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Autore: _joy    22/01/2019    0 recensioni
Ordinato Primo Cavaliere, Gabriel Stuart Sinclair ha finalmente il potere di opporsi a Sophia Blackmore. Per la piccola Sophia gli effetti del loro primo scontro sono devastanti... Ma anche per Gabriel, in un modo completamente diverso e inatteso, come ha modo di scoprire Jerome Sinclair.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gabriel Stuart, Jerome Sinclair, Sophia Blackmore
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Jerome Sinclair aggrottò la fronte.
 
Al centro del cortile della caserma dell’esercito di Altieres, due soldati stavano combattendo.
Nel silenzio assoluto dei militari schierati, il cozzare delle lame risuonava nitido e affilato.
Faceva caldo, il sole batteva forte sulle pietre chiare e sugli uomini schierati rigidamente sull’attenti.
 
Un gemito involontario sfuggì dalle labbra dell’ufficiale che stava affrontando Gabriel Stuart Sinclair.
Jerome seguì con gli occhi il cugino e fratello di spada, mentre incalzava l’altro senza dargli tregua.
Gabriel combatteva sempre con trasporto, ma quel giorno era diverso.
C’era un’aggressività nei suoi movimenti che stonava con la grazia abituale.
Con i suoi soldati, poi, Gabriel non era mai violento.
Per entrare nell’esercito di Altieres, lui che era di Maderian, aveva dovuto sfidare i veterani dell’armata in un duello all’ultimo sangue, un duello dal quale nessuno credeva che sarebbe uscito vivo.
Abituato come sempre a sfatare ogni previsione che lo riguardava – e questa era davvero una previsione nefasta, tanto che la loro cuginetta Fayette si era messa a letto per due settimane, gemendo che l’avrebbero ucciso di certo, senza fallo, testardo che non era altro! – Gabriel li aveva battuti tutti, pure esperti com’erano.
Non solo: li aveva risparmiati, contrariamente a quanto prevedeva la prova stessa, con il dire che non avrebbe reso un buon servigio ad Altieres uccidendo i suoi ufficiali migliori.
Da quel momento, il giovanissimo Stuart era l’idolo delle truppe.
Entrare nell’esercito di Altieres era la sua chiave per l’accesso al trono.
Figlio di Madeline Sinclair, era il pretendente diretto, in mancanza di un erede Blackmore.
 
Certo, si disse Jerome, era.
Tutta quella fatica, tutti quegli allenamenti, quella lotta senza respiro…
E poi se ne veniva fuori dal nulla lei.
Sophia Blackmore.
L’ultima erede della famiglia quasi scomparsa, la garante del patto con il Presidio.
Quella ragazzina tutta lentiggini, che aveva quasi ucciso Gabriel con i suoi poteri demoniaci.
La principessa trovatella, come la chiamava Gabriel.
Oppure il piccolo demone.
Nomi quanto mai giusti per lei, che condivideva tre nature in un unico corpo: quella divina della Rosa di Blackmore, fautrice della Tregua, quella di demone che la avvicinava al Presidio, e quella umana.
Com’era possibile che una trovatella cresciuta dai monaci del nord fosse la figlia di Brian e Clarisse Blackmore?
 
Non solo la famiglia Stuart era sospettosa nei confronti di Sophia.
Ad Altieres circolavano molte perplessità in merito all’erede ritrovata, che per di più non si era ancora degnata di visitare la sua patria, ma se ne stava nella Vecchia Capitale come se non le importasse nulla delle sue radici.
Certo, era una scholara, quindi apparteneva allo Studium.
Eppure, come si poteva pretendere che guidasse Altieres se nemmeno l’aveva mai vista?
Come avrebbe potuto amarla più di loro – più di quanto Gabriel amava Altieres, la patria della sua adorata madre – quella ragazzina pelle e ossa, burattino nelle mani dei Vandemberg?
Gabriel era certo che il ritrovamento di Sophia facesse parte di un piano della famiglia reale per controllare più Nationes.
Jerome, più prudente, si limitava a osservare che l’appoggio dei vampiri di stirpe Blackmore rendeva la posizione di Sophia quantomeno solida.
Il ritorno di Ashton Blackmore, guardiano dell’erede di Blackmore, e il suo appoggio incondizionato a Sophia avevano infatti messo una seria ipoteca sul trono.
Gabriel, però, non era tipo da cedere.
Il sovrano di Altieres aveva anche potere militare e le truppe di certo erano con il giovane Stuart.
La sua ammissione nell’esercito lo rendeva quantomeno il primo antagonista di Sophia nella lotta al trono.
Suo padre Nassar Stuart, il Reggente di Maderian, era uomo con grandi ambizioni politiche e i suoi due matrimoni lo dimostravano: Gabriel aveva un’ascendenza regale alle spalle.
Ma il giovane, pur trattando con rispetto il padre, aveva preso una certa distanza dalla casa reale di Maderian e passava tutto il suo tempo ad Altieres.
Nassar non lo osteggiava, visto che entrambi i suoi matrimoni erano stati politici e la sua ambizione chiaramente rivolta all’acquisizione di un potere sempre più grande.
Padre severo, mai affettuoso, guardava compiaciuto quel figlio che gli somigliava così tanto crescere glaciale e dedito alla missione che più a Nassar stava a cuore: mettere ai suoi piedi la corona di Altieres.
 
Il ritrovamento di Sophia, però, oltre a mettere in discussione quella corona ormai vista come vicinissima, aveva aperto un’altra questione.
Come ci si poteva opporre a un essere in parte demone?
Nello sconcerto generale della famiglia, Gabriel aveva trovato una soluzione.
L’impassibile Jerome rabbrividiva ancora al pensiero del suo fratello di spada che chiedeva di essere esaminato dall’Ordine della Croce, per verificare se aveva i requisiti per esserne ordinato cavaliere.
Nessun potere di Evocatores si era manifestato in lui – contrariamente a quanto il giovane sperava – ma Gabriel era riuscito a sopportare la terribile prova della Croce.
Per giorni infiniti, con dolore immenso, il marchio si era fatto strada nella sua carne, straziandola.
 
E, alla fine, l’Ordine della Croce aveva acclamato il suo Primo Cavaliere.
 
*
 
Un fendente rabbioso di Gabriel mandò il suo avversario lungo disteso a terra, disarmato.
Contrariamente alle sue abitudini, il giovane non si fermò ad aiutare il soldato e, anzi, girò sui tacchi e si allontanò a grandi falcate.
Jerome lo raggiunse e gli posò una mano sulla spalla.
Gabriel si fermò e voltò il viso verso il cugino.
Erano molto simili: biondo Jerome quanto Gabriel era moro, ma con gli stessi occhi grigi, il naso patrizio, le labbra cesellate.
Le donne impazzivano per entrambi; di Gabriel dicevano sempre che era bello come un angelo ma cattivo come un demonio.
Per Jerome, invece, sospiravano di sconforto, appena diventava evidente che le sue preferenze si rivolgevano altrove.
 
Jerome condusse il cugino verso una fontanella gorgogliante, nell’angolo del cortile.
Gabriel, le labbra serrate, si chinò a bere dell’acqua fresca e poi si sciacquò ripetutamente il viso.
I due cugini alzarono insieme lo sguardo al suono di passi pesanti e osservarono il soldato che Gabriel aveva sconfitto appoggiarsi pesantemente al braccio di un commilitone.
«Capitano Stuart» bofonchiò l’uomo, con un labbro tumefatto.
Gabriel fece un secco cenno con il capo; Jerome aggrottò la fronte mentre osservava il soldato allontanarsi, dolorante.
«Che succede, Gabriel?» chiese, quindi, a bassa voce.
«Niente» rispose l’altro.
«Non mi pare» aggiunse Jerome dopo un attimo di silenzio «Ti sei accanito in modo che non è da te. Almeno, non lo è se non sei davanti a un nemico»
Gabriel voltò il capo, il volto impassibile.
«Ho detto che non è niente»
Si incamminò verso i quartieri degli ufficiali e il cugino lo seguì, scrollando appena le spalle.
 
Entrarono insieme nel circolo degli ufficiali e Gabriel si lasciò cadere in una poltrona.
Jerome, gli occhi fissi sul cugino, andò a versarsi da bere.
Mentre si dissetava rivolse l’ennesima occhiata all’amico, quindi gli riempì un calice di vino scuro.
Quando glielo porse, mormorò:
«Potremmo andare al Collegio di Altieres: sono arrivati i dispacci da casa, alle ragazze farà piacere sapere che ci sono dolci in abbondanza»
Attese qualche secondo, ma Gabriel non diede segno di aver sentito.
Fissava il tappeto, polveroso e un po’ logoro ai bordi, dove tracciava distrattamente dei segni con lo stivale.
Sembrava perso in profonde riflessioni.
Entrarono altri tre ufficiali, che Jerome salutò e Gabriel ignorò.
Ma, quando il generale in persona fece il suo ingresso, una violenta gomitata di Jerome fece balzare in piedi – seppure con un attimo di ritardo – il giovane Stuart.
Irrigidito nel saluto militare, Gabriel fissava, inespressivo, il suo superiore.
Jerome invece era accigliato.
«Insomma» sibilò al cugino, sospingendolo verso una delle ampie finestre «Si può sapere cosa sta succedendo? E non dirmi di nuovo che non è niente!»
Gabriel fece una smorfia e si voltò verso le vetrate, sulle quali poggiò una mano.
Jerome rimase di nuovo in silenzio.
Per sua natura era taciturno; Gabriel era la persona con la quale era più in confidenza, ma comunque ne rispettava gli spazi.
Stava rassegnandosi a non ricevere risposta e a classificare quello strano cipiglio come una giornata no, quando il cugino borbottò:
«Sai nulla… hai saputo nulla di… di lei?»
Fu il turno di Jerome di aggrottare la fronte.
«Lei?» ripeté «Lei chi?»
Gabriel si morse il labbro inferiore, gli occhi che accuratamente evitavano quelli del cugino.
«La Blackmore» borbottò a bassa voce «No, anzi… Quella impostora che dice di essere una Blackmore»
Nulla, nel viso impassibile di Jerome, ne tradì la sorpresa.
Eppure, era molto sorpreso.
«Impostora?» mormorò «Ma, Gabriel… L’hai colpita con il tuo potere, giusto ieri. Il potere della Croce ha effetto su di lei, quindi la sua natura, in parte almeno, è quella dei demoni del Presidio. E…»
Jerome si interruppe, vedendo che il cugino aveva chiuso gli occhi scatto.
La postura rigida delle spalle suggeriva che fosse furioso… ma perché?
«… E questo significa che è una Blackmore, lo sai bene» concluse.
Nessuna risposta dall’altro.
«Non che questo ne faccia la candidata ideale al trono di Altieres» proseguì «Ma che sia Blackmore, non ci sono dubbi»
 
Senza preavviso, Gabriel mollò un pugno all’intelaiatura della finestra, che vibrò rumorosamente.
Jerome sobbalzò e, dall’altro capo della sala, si levò la voce secca del generale Rhaegar:
«Capitano Stuart!» abbaiò «Cosa state facendo? Siete pregato di ricordare che siete un ufficiale dell’esercito di Altieres e che qui non sono tollerati modi del genere!»
Gabriel si voltò verso il suo superiore, rigido e scuro in volto.
«Il fatto che siate anche uno scholarus» continuò quello «Non vi autorizza a comportarvi come se foste in una taverna! Tollero già a sufficienza le vostre bravate in giro per la città, ma non vi permetto di dimenticare chi siete e dove vi trovate!»
Per un folle momento, Jerome temette che Gabriel si sarebbe scagliato contro il suo superiore.
Invece, il cugino fece un secco cenno con il capo, mettendosi sull’attenti.
«Le mie scuse, generale» rispose, a denti stretti.
La disciplina militare era ferrea, ma lui riuscì comunque a sembrare arrogante, anche nello scusarsi.
Per un lungo momento, il generale lo considerò con freddezza, poi scosse il capo.
«Andate a fare due passi, scaricate la tensione senza buttarmi giù la caserma»
Gabriel chinò il capo e Jerome quasi sospirò di sollievo.
Uscirono, dopo aver fatto il saluto militare.
 
«Gabriel» ringhiò Jerome, mentre scendevano le scale «Ma sei completamente impazzito? Non ti bastava il richiamo della scorsa settimana?»
Giusto sette giorni prima, Gabriel aveva fatto a botte con i congiunti di una ragazza con la quale si era preso certe libertà. Era tornato in caserma con un labbro spaccato… che comunque non era nulla, rispetto a come erano concitai i suoi assalitori.
L’esercito non tollerava, generalmente, risse con la popolazione, ma con l’amato Stuart chiudeva un occhio.
La ramanzina dei superiori era stata tiepida, come se i militari sapessero già che sarebbe passato poco tempo prima che la questione si ripresentasse, identica.
«Non era nulla» minimizzò infatti Gabriel.
«D’accordo, ma questo non ti autorizza a comportarti come un pazzo di fronte al generale!»
Gabriel scrollò nuovamente le spalle e si diresse all’uscita della caserma.
Jerome, trinceratosi in un silenzio di disapprovazione, si limitò a seguirlo.
Si inoltrarono per le strade della Vecchia Capitale con solo il rumore dei tacchi sull’acciottolato.
Quando giunsero al Collegio di Altieres non si erano ancora scambiati parola, ma il loro arrivo non passò inosservato.
«Gabriel! Jerome!» era Justin Sinclair, loro cugino stretto, che correva giù per le scale «Avete sentito la novità?»
Gabriel si bloccò sul posto, impietrito.
Jerome gli lanciò un’occhiata preoccupata, ma Justin non se ne accorse.
«Drayden è stato male dopo aver mangiato un chilo di fagioli stufati, per scommessa» ridacchiò «Mai visto in quello stato!»
Gettò un’occhiata ai cugini e la risata gli si spense sulle labbra.
«Che succede?» chiese, preoccupato.
Gabriel non rispose e si incamminò verso i dormitori.
Jerome scosse il capo.
«Gabriel è di malumore» si limitò a dire.
Justin non sembrava aspettarsi ulteriori commenti, per cui annuì.
Insieme, salirono verso le stanze delle cugine, ma quando imboccarono il corridoio, Gabriel sembrò esitare.
«Che c’è, non ti orienti più?» lo prese in giro Justin «Scommetto che non c’è una porta femminile, qui, che ti sia sconosciuta!»
Superò con aria allegra il cugino e bussò a una porta, che si aprì subito.
Apparve un viso dalla pelle candida, nel quale spiccavano due occhi scuri e profondi.
«Ciao!» trillò Fayette, la più piccola delle loro cugine al collegio «Entrate! Stavamo giusto parlando di voi!»
Alexandria si spostò sul comodo divano per fare posto ai cugini.
«Come sta Drayden?» chiese.
Justin ridacchiò.
«Male, anche se fa finta di niente. Che idiota!»
«Quanto te» ribatté impietosa Fay «Siete identici»
«Per nulla!» insorse il cugino «Io sono molto più intelligente di Drayden!»
Fay, irrispettosa come sempre, lo liquidò con una risatina.
«Vedrai, vedrai» la ammonì lui «Vedrai quando siederò sul trono di Altieres!»
Un silenzio costernato accolse quelle parole.
Justin si limitò a scrollare le spalle.
«Sapete che si parla di un possibile matrimonio tra me e la Blackmore, no? Beh… almeno, se Gabriel non la fa fuori prima»
 
Un tonfo fece girare tutti verso Gabriel, che aveva rovesciato la poltrona su cui sedeva alzandosi di scatto.
Un’occhiata all’espressione del cugino fece impallidire Justin.
«Gabriel io… io scherzavo» balbettò.
Gabriel lo gratificò di un’occhiata di fuoco, la mano stretta sull’elsa della spada.
Poi, senza preavviso, girò sui tacchi e uscì sbattendo la porta.
Alexandria esalò un gemito.
«Ma… che gli prende?»
Si voltarono tutti verso Jerome, che scosse il capo.
«Non saprei»
«Non dicevo sul serio, a proposito di Altieres» borbottò ancora Justin, imbarazzato.
«Lo sappiamo» sospirò Alexandria «Mai che tu riesca a usare il cervello, prima di aprire bocca»
 
*
 
Quando Jerome fece ritorno in caserma era notte.
 
Fece il saluto militare alla guardia all’ingresso e poi si diresse verso i quartieri degli ufficiali.
Aveva cenato in collegio, quindi non aveva bisogno di passare per la mensa.
Si aspettava di non trovare nessuno negli alloggi, ma quando allungò la mano verso la maniglia della porta principale, questa si aprì dall’interno.
Jerome scattò sull’attenti nel vedere l’alta figura che gli si stagliò di fronte.
L’uomo, dalla pelle olivastra e dalla muscolatura ben sviluppata, fece un cenno amichevole con il capo.
«Jerome» disse, a mo’ di saluto.
«Padre Thorne» rispose l’altro, più formale.
Thorne era un Cavaliere della Croce, come Gabriel. E, proprio come il cugino, Jerome gli tributava un rispetto immenso.
«Stai andando da Gabriel?» chiese Thorne.
Jerome scosse brevemente il capo – non aveva voglia di assistere ad altre esplosioni di rabbia immotivate – ma Thorne lo sorprese dicendo:
«Secondo me dovresti. Gli farà bene»
Jerome inarcò un sopracciglio.
«Di solito, lo lascio in pace con i suoi malumori»
Thorne sembrò nascondere un sorriso.
«Non è di malumore» rispose, dopo un attimo «È spaventato. E questo lo rende furioso»
Jerome batté le palpebre, perplesso.
«Gabriel? Spaventato? E perché mai dovrebbe?»
Thorne sembrò esitare, mentre si accarezzava il mento.
Dopo un attimo, chiese:
«Tu sai cosa ha fatto ieri, vero?»
Jerome sembra ancora perplesso, quindi l’altro aggiunse:
«Sai cos’è successo con Sophia Blackmore, no?»
«Ah» Jerome, pur non dandolo a vedere, era costernato.
Che Gabriel fosse stato punito?
Dopotutto, l’esercito di Altieres era – tecnicamente – di Sophia… simpatie per Gabriel a parte.
Però, se il cugino fosse stato accusato di aggressione alla principessa, tutti lo avrebbero saputo e lui, certo, non se ne sarebbe andato impunemente in giro per un giorno intero.
Non sapendo cosa rispondere, Jerome si limitò a un vago cenno con il capo.
Thorne lo studiava, in silenzio.
«Le ha fatto molto male, sai?» disse poi, con una noncuranza smentita dalle stesse parole.
Jerome rimase zitto.
Ned, dopo un’altra pausa, aggiunse misteriosamente:
«Certo, immagino che Gabriel non vedesse l’ora di testare il suo potere. E immagino anche che non pensasse di farsi altrettanto male... Se non di più»
«Cosa? Chi?»
Stavolta, a Thorne sfuggì un mezzo sorriso.
«Gabriel» rispose «Chi altri?»
Jerome sbarrò gli occhi.
«Ma… perché dite così?» chiese «Gabriel non si è fatto nulla»
Il sorriso di Thorne, divertito, stavolta balenò chiaramente nel buio.
«Ti sbagli, Jerome» si limitò a rispondere «Si è fatto parecchio male, invece»
E detto questo si congedò con un cenno del capo.
 
Contrariamente a quanto pensava di fare, Jerome si diresse immediatamente agli alloggi del cugino ed entrò senza quasi bussare.
Gabriel, sorpreso, si alzò dalla poltrona nella quale era sprofondato.
I due cugini si fissarono in silenzio.
«Cos’è questa storia?» chiese Jerome, di getto «Padre Throne dice che ieri sei rimasto ferito, quando hai colpito la Blackmore con il potere del Primo Cavaliere»
Gabriel sussultò, poi scosse il capo.
«Non mi sono fatto nulla»
«Ma se…»
Jerome non fece in tempo a terminare la frase, che l’altro gli girò le spalle.
«Dannazione, Gabriel!» esplose allora «Quando ti vorrai degnare, sai dove trovarmi»
E uscì sbattendo la porta.
 
 
Quella notte, però, non riusciva a prendere sonno.
Girandosi nel letto, si ripeteva nella mente le parole di Padre Thorne.
Non era possibile: Gabriel ferito? Gabriel sofferente?
Se ne sarebbe accorto, erano sempre assieme.
Per quale motivo il cugino avrebbe dovuto tacerglielo?
Erano compagni d’arma, non c’erano segreti tra loro.
Verso le due di notte, mentre rigirava per la centesima volta il cuscino, gli venne una strana idea.
Che Ned Thorne alludesse a un altro tipo di ferita?
Magari emotiva?
Mentre ci rimuginava su cadde finalmente in un sonno profondo.
 
 
La sveglia suonò per la funzione della mattina, obbligatoria per gli ufficiali e i soldati.
Jerome si preparò con cura (era vietato presentarsi abbigliati in modo non adeguato) e si diresse alla cappella militare.
Fuori, scorse Gabriel e Padre Thorne: quest’ultimo disse qualcosa e poi batté affettuosamente una mano sulla spalla del più giovane, che sfoggiava un’aria stranamente vulnerabile e quanto mai insolita, per lui.
Thorne si allontanò e Jerome entrò e prese posto; Gabriel lo raggiunse dopo qualche minuto.
Seguirono la funzione senza scambiarsi parola, con Jerome che osservava di sottecchi il cugino, memore degli strani pensieri che gli erano sovvenuti nella notte.
Quando la funzione terminò, si diressero in mensa, fianco a fianco.
Improvvisamente, Jerome chiese a bruciapelo, quasi temendo che gli venisse meno il coraggio:
«Gabriel, è per Sophia Blackmore?»
Il lampo che passò nello sguardo del cugino fu una risposta sufficiente, tanto che Jerome si fermò addirittura.
«Ma… non capisco. Perché?»
Gabriel si guardò attorno, come timoroso.
Jerome credeva che non avrebbe risposto, che si sarebbe trincerato nel mutismo del giorno prima.
Invece, dopo qualche attimo, il cugino rispose:
«Non… Non pensavo che lei… Che le avrei fatto così male»
Le parole sembravano uscirgli a fatica.
Jerome ci pensò su.
«Ho saputo che è stata portata alla Misericordia» disse poi «Ma che sta bene»
Gabriel annuì.
«Me l’ha detto Padre Throne, ieri sera» borbottò poi.
«Sì ma… Gabriel, che ti importa? Tu, che hai sempre detto che è un demone! Se anche l’avessi uccisa…»
Le parole gli morirono in gola.
Due paia di occhi grigi, identici, si fissarono: i primi spaventati e i secondi improvvisamente consapevoli.
E scioccati.
 
Jerome richiuse la bocca, che aveva involontariamente spalancato.
Sotto il suo sguardo, Gabriel arrossì.
Era quello, allora.
Gabriel non era arrabbiato, era spaventato. Proprio come diceva Thorne.
 
Jerome osservò il cugino voltargli le spalle e allontanarsi.
Non lo seguì: lo conosceva troppo bene per non sapere che in quel momento desiderava stare da solo.
L’esternazione dei propri sentimenti non era una cosa comune, per Gabriel Stuart Sinclair.
Anzi, a ben pensarci Jerome non ricordava occasioni in cui il cugino si fosse mostrato vulnerabile all’affettività, a meno che non si trattasse di sua madre.
La quale – proprio per questo motivo – veniva nominata assai raramente dal giovane cugino.
 
E invece, in quella mattina di sole, Jerome scopriva che c’era qualcos’altro capace di turbare Gabriel.
Ma chi avrebbe mai potuto immaginare che si trattasse di quella ragazzina alta e magra, con quegli occhi blu e le lentiggini?
Si può andare fuori di testa chiedendosi se si ama qualcuno oppure no*.
Chi glielo aveva detto?
Non sapeva, non lo ricordava, ma a quanto sembrava, chiunque fosse l’ignoto saggio, aveva proprio ragione: si può andare fuori di testa chiedendosi se si ama qualcuno oppure no.


_____
*La citazione viene da  "Divorare il cielo" di Paolo Giordano.

Sorpresa! Non sono scappata o altro e - meno male - ricordo ancora le mie credenziali di accesso a Efp! 
Solo, facevo (e faccio) fatica a dedicare alla scrittura il tempo che sarebbe giusto dedicarle, a causa del lavoro, della vita quotidiana e delle avventure di questi anni! E, in aggiunta, volevo prendermi un momento di pausa da alcuni personaggi tossici che popolano il web, mi sembra con una concentrazione ben maggiore rispetto alla realtà quotidiana. Del resto, come diceva il grande Umberto Eco, i social hanno dato voce a legioni di imbecilli... E come è vero!
Per fortuna, però, la mia vita e la mia quotidianità non sono fatte di questi individui, cosa per cui ringrazio ogni giorno.
E' bello tornare a "casa", su Efp. Le mie storie sono ancora aperte, lo so bene, ma volevo tornare con un omaggio alla divina Virginia de Winter, che tutti qui conosciamo (e veneriamo) come Savannah. Lei è davvero una Magistra della penna e questa piccola storia vuole essere solo un tributo alla sua meravigliosa Black Friars. Lady V., io attendo con ansia il seguito!
Per il resto, che dire: amo sempre scrivere e amo le mie storie e il condividerle con voi; grazie a tutti quelli che, con pazienza e affetto, mi scrivono sempre e mi ricordano che mi aspettano e vogliono leggermi ancora.
Vi abbraccio forte, sono qui,
Joy





 
   
 
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