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Autore: Kira Eyler    22/01/2019    4 recensioni
[500 parole] [Tematiche delicate] [TRIGGER WARNING!]
"[...] Tutto ciò che ricevi sono continui “Mi dispiace” e “Vorrei poter fare qualcosa”. Bugie, bugie, solo bugie. [...] E a che servono i “Mi dispiace” quando restano a guardarti spolpare? E a che serve la compassione quando questa è una mano sulla bocca che soffoca le grida, dita che si muovono fameliche tra gambe aperte a forza? [...]
«Sono solo un ragazzino,» sussurri e le labbra ti tremano, «potrei essere tuo figlio». Non sai nemmeno se il tuo tentativo di pietà sia stato udito, ma tanto a che sarebbe servito?[...]"
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'ἄπειρον '
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Questo è il secondo esperimento, dai toni più cupi. Parlo al maschile, ma il personaggio potete vederlo alla fin fine del genere che volete.
La precedente flash ("Vincere") era di uno stile più... tranquillo? Non mi appartiene molto, quindi ho provato a fare un secondo esperimento con l'Angst. Non sono soddisfatta nemmeno di questo, a dirla tutta.
NOTA: non intendo istigare ad alcun tipo di violenza.
Buona lettura, spero non ci siano errori!
-Kira

Amnesia

Hai imparato a tue spese che, dopotutto, la pazzia non è qualcosa da cui scappare o da cui nascondersi. A volte sa essere più dolce di quanto tutti possano pensare.
Dalle carni lacerate sgorga sangue bollente intriso d’odio. Ti abbandoni ai loro tocchi maligni e lasci che ti lavino via il liquido viscoso con la loro lingua velenosa, che ti mordino e che ti divorino gli organi strappandoli a brandelli dopo averci giocato abbastanza.
Sai che non serve gridare perché verrebbe fuori solo un pianto disperato e dalla prigione del cuore scapperebbe un lato infantile che, ingenuo e bisognoso anche di false carezze, chiederebbe pietà a chi non conosce quella parola. Probabilmente chiederebbe anche scusa: “Scusa, scusa, è colpa mia se mi stai strappando il cuore. Vuoi che ti aiuti a tagliarlo? In quante parti lo vuoi? Vuoi che ti imbocchi?”.
La pelle incontra il freddo, struscia contro la superficie ruvida e alzi gli occhi ad un cielo coperto per chiedere perché. Mentre percepisci gli artigli nemici esplorare le interiora e i denti aguzzi creare squarci tra la pelle, ti dici che una risposta, evidentemente, non la meriti.
Tutto ciò che ricevi sono continui “Mi dispiace” e “Vorrei poter fare qualcosa”. Bugie, bugie, solo bugie. Per loro ti sei alzato, hai lottato, per loro hai passato notti a pungerti pur di restar sveglio e di combattere contro le ombre che volevano sbranarli e in cambio loro non fanno niente, poiché spaventati da quel mostro. E a che servono i “Mi dispiace” quando restano a guardarti spolpare? E a che serve la compassione quando questa è una mano sulla bocca che soffoca le grida, dita che si muovono fameliche tra gambe aperte a forza?
Anzi, a chi servono queste cose?
Qualcosa si spezza e non sono le fragili ossa. È una scossa elettrica che percorre velocemente l’intera spina dorsale e che fa allontanare le voci, ma i singhiozzi e le grida di rabbia e disperazione si mescolano in un caos infernale tra le orecchie, frantumano la mente come se la stessero colpendo con grossi chiodi e martelli. La vista si annebbia e se fossi qualcuno avresti pianto, invece sei solo un guscio vuoto, un pupazzo di carne, sangue e organi sottosopra; persino i fantasmi ridono del giocattolo che sei.
Lottando contro la paura incontri gli occhi vermigli responsabili del caos. Allunghi una mano e con le dita sfiori la guancia del mostro, astuta creatura che ha ben saputo colpire e uccidere.
«Sono solo un ragazzino,» sussurri e le labbra ti tremano, «potrei essere tuo figlio». Non sai nemmeno se il tuo tentativo di pietà sia stato udito, ma tanto a che sarebbe servito?
Le forze ti abbandonano, chiudi gli occhi e resti spoglia preda dei dannati. La pazzia ti culla con fare materno, mentre il sangue ti riscalda salvandoti dalla gelida apatia.
Quando riapri gli occhi sembra passata un’eternità. Con lacrime di paura guardi il sangue sulle lenzuola e ti chiedi con beata innocenza a chi appartenga, questa volta.
   
 
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