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Autore: L S Blackrose    23/01/2019    0 recensioni
C'era una volta un piccolo paesino di campagna, racchiuso tra boschi e nebbiose pianure. C'era una volta una famiglia come tante, ma con qualche segreto in più da nascondere. E c'erano una volta due anime gemelle, due sottili gambi di rosa destinati ad intrecciarsi, tra i petali e le spine di un unico destino.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 1

 


Roz

 

 

- Vili mascalzoni - borbotto sottovoce, per non farmi udire dalla nonna. Mi accanisco con la spazzola da bucato sul muro di cinta, maledicendo in silenzio chiunque abbia osato imbrattare la proprietà di un'anziana signora con questa scritta orrenda.

Per la seconda volta nel giro di un mese.

Qualcuno dovrebbe far presente agli abitanti del mio paese che il Medioevo è terminato da un pezzo. Ostentare in questo modo le loro menti retrograde e anacronistiche – e più ristrette di un maglione di cachemire dopo un lavaggio a sessanta gradi – non li colloca affatto sotto una buona luce.

Io so esattamente dove vorrei collocarli, invece.

Strofino a più non posso, digrignando i denti. Se potessi fare a modo mio, a quest'ora sarei già a caccia dei colpevoli. Di sicuro saprei come far loro rimpiangere di aver messo piede nella proprietà della nonna, per poi sporcare con della volgare tempera l'intonaco ancora fresco.

E ringraziamo il cielo che si tratti di tempera e non di vernice.

Ad ogni borbottio che mi sfugge corrisponde un furioso colpo di spazzola. - Credevo che l'essere umano si fosse evoluto dall'epoca delle pitture rupestri, invece, come sempre, tendo a sopravvalutare la specie... -.

- Dici a me, tesoro? - chiede nonna Milena, intenta a curare il giardino dall'altra parte del muro.

- No, non badare a me, nonna. Sto parlando da sola -.

Prendo una spugna inzuppata d'acqua dal secchio ai miei piedi. La strofino sul muro, senza smettere di lanciare insulti a mezza bocca.

- Cara, si può sapere cosa stai facendo? -. La voce di nonna è pericolosamente vicina: probabilmente sta controllando che le sue preziose erbe aromatiche non stiano soccombendo in mezzo alle piante infestanti. Non sentendomi rispondere, il suo tono si vena di apprensione. - Rosalia? Tutto bene? -.

- Sì, sì. Arrivo subito, sto solo ripulendo il muro da...da...dai ricordini di qualche piccione di passaggio - balbetto, dopo l'affannata ricerca di una scusa per non insospettirla.

La sua risatina mi fa sospirare di sollievo. - Va bene, cara. Ti aspetto in casa per il tè -.

- Grazie, nonna. Cinque minuti e arrivo -.

Olio di gomito, olio di gomito, mi ripeto per darmi un ritmo.

Mi passo il dorso della mano sulla fronte sudata, notando con soddisfazione che la pittura sta lentamente sbiadendo. Osservo con le sopracciglia corrugate quello che rimane della scritta in rilievo, dipinta di viola. Due parole, dodici lettere, che occupano quasi tutto lo spazio tra l'inizio del muro di cinta e il cancello d'ingresso alla casa di nonna.

Brutta strega.

Immergo la spugna nel secchio, scuotendo piano la testa. Perlomeno hanno azzeccato le doppie. La volta precedente non riuscivo a smettere di ridere, dopo aver posato gli occhi su quel “bruta”. Nella mente vedevo il volto di nonna fondersi con l'immagine di Ygritte del Trono di Spade e ci ho messo il doppio del tempo per ridipingere il muro.

- Stupidi vandali - mormoro, come al solito più irritata per quel “brutta” che per la scritta in sé.

Andiamo, dove devo firmare per avere il fisico di nonna Milena? Se mai arrivassi alla sua età - circostanza da non escludere dati i miei precedenti -, dubito riuscirei a vantare una figura atletica ed elegante come la sua. Anche da giovane era bellissima: quando riapro gli album di famiglia e trovo le foto del matrimonio col nonno, resto sempre a fissarli incantata neanche fossero due stelle di Hollywood.
Ora, a settantadue anni compiuti, nonna Milena è ancora una bella signora.
Getto un'occhiata truce alla scritta, soddisfatta di vedere la tempera sciogliersi in un alone indistinto.

Brutta strega.

Con uno sbuffo seccato, riprendo a strofinare.

Abbiamo varcato le soglie del XXI ormai da un bel po'...e ancora esistono persone che credono all'esistenza delle streghe? Ma per favore! Solo perché la nonna abita da sola, in una casa sperduta nella campagna al limitare del bosco, e usa le erbe per curare qualsiasi malessere...tutto ciò non fa di lei una strega. E' pure allergica ai gatti, santo cielo!

La gente di questo paesino è fin troppo prevedibile e superstiziosa.

Scuoto lentamente la testa e tiro su le maniche della camicia per non sporcarmi più del necessario. So che sto facendo un disastro, che è inutile sforzarsi perché, per quanto strofini, la scritta non si cancellerà. Ma non voglio che la nonna la veda: meglio questa confusa nuvola viola che quelle due insulse parole che finirebbero per rattristarla.

Devo ammettere, però, che questo colore non è niente male. Ho sempre avuto un debole per qualsiasi sfumatura di viola, fin da bambina... A questo pensiero, la mano mi trema e rischio quasi di ritrovarmi la spugna appiccicata in faccia. Faccio un respiro profondo per riprendere il controllo, scacciando qualsiasi ricordo che comprenda me e il colore viola.

Meglio non soffermarsi troppo sui motivi di questa mia preferenza.

Mi sporgo sul secchio per sciacquare la spugna, quando sento un rombo provenire dal bosco. Mi volto in quella direzione con le orecchie tese, vagamente allarmata.

Il giardino di nonna si estende fino alla prima fila di alberi, il confine delimitato da una vecchia staccionata. La sfumatura chiara del legno verniciato di fresco contrasta in modo netto con le ombre proiettate dai tronchi degli alberi. Mancano poche ore al tramonto e l'aria autunnale trasporta con sé uno sciame di foglie variopinte, che svolazzano in ogni direzione.

Per un momento mi incanto a fissarne due, che volteggiano nel vento come una coppia di ballerini impegnata in un lento valzer. Sono due foglie d'acero - una bruna, l'altra più dorata. Danzano leggere e sono talmente vicine da sembrare incollate, finché uno sciame di insetti - non meglio identificati - non spezza bruscamente la loro armonia.

Grazie agli insegnamenti di nonna, so perfettamente qual è il significato simbolico della foglia d'acero. Quindi faccio automaticamente un passo indietro, pronta alla fuga, ma mi ritrovo spalle al muro.

In tutti i sensi.

Oh, no.

Il rumore che ho udito in precedenza si fa sempre più forte. Ora, però, ne riconosco la fonte e mi scappa un'imprecazione che nonna di sicuro non approverebbe.

Per quanto possa augurarmelo e per quanto mi sforzi, le probabilità non sono mai a mio favore.

Una motocicletta, dipinta di rosso e tirata a lucido, emerge dal bosco come un drago all'inseguimento di una preda. Imbocca a tutta velocità la stradina sterrata che passa davanti alla casa di nonna, e non accenna minimamente a rallentare. Il mio stomaco si contrae per la paura, anche se so che non mi accadrà nulla.

Un secondo veicolo si fa largo tra due querce, accelerando per raggiungere il primo. Un'occhiata alle fiamme verdi che spiccano sulla fiancata e il mio cuore comincia a battere più forte.

Mentre osservo la scena, quasi come se mi scorresse davanti al rallentatore, mi accorgo di tre cose nello stesso istante.

La prima, è che quei due pazzi stanno decisamente infrangendo il limite di velocità.

La seconda, che sto rischiando grosso a non togliermi dal loro percorso.

E terzo...dannazione, vorrei non conoscere affatto l'identità dei due in sella!

Poco prima di superarmi, la moto rossa sterza bruscamente per evitare una buca. Vedo con chiarezza gli sforzi del guidatore, accortosi all'ultimo momento della mia presenza sulla sua traiettoria. Nonostante il rombo del motore, mi sembra quasi di udire una sequela di imprecazioni provenire da sotto il casco nero integrale.

Rimango ferma dove mi trovo, i piedi ben piantati per terra, incurante del panico che mi irrigidisce i muscoli. Tengo gli occhi puntati sulla scena, anche se so già come andrà a finire. Sospiro rassegnata.

Tre, due, uno...

Con uno stridore di freni e un tremendo contraccolpo, la moto si ferma esattamente a due centimetri dalle mie scarpe da ginnastica. In mezzo alla nube di polvere sollevata dalle ruote, sento le grida spaventate dei due piloti.

- Merda, non sono riuscito a...oddio! -.

- Levati, idiota! -.

Riconosco entrambe le voci, ma solo una di esse mi provoca un brivido in tutto il corpo.

Sempre in mezzo ai piedi, accidenti a lui.

Agito una mano davanti al viso per disperdere la polvere e mettere a fuoco i due ragazzi che mi si sono parati di fronte. Il mio cipiglio si incupisce nel ricambiare i loro sguardi preoccupati.

Giacomo Tremonte e Nicolò Malaspina.

Due mine vaganti da quando hanno messo le mani su un volante. O manubrio, tanto per essere precisi.

Entrambi alti, proporzionati e...maledettamente biondi. Potrebbero essere fratelli per quanto si somigliano.

Distolgo gli occhi dalle loro facce scioccate. - Si può sapere chi diavolo vi ha dato la patente? - sbuffo, tentando di togliere la polvere dai jeans.

Una mano, grande e calda, si posa piano sulla mia spalla. Non mi occorre alzare gli occhi per capire a chi appartenga.

- Rosalia, stai bene? -.

Il suo tocco lieve e il suo timbro roco sono una combinazione pericolosa per i miei nervi. Mi tolgo la mano di dosso con una scrollata. - Sì - mi limito a dire, prima di chinarmi a raccogliere il secchio. Spero che entrambi imputino il tremito delle mie mani alla scarica di adrenalina dovuta al pericolo corso.

- Mi dispiace, davvero, non mi ero accorto di...-.

Interrompo l'altro ragazzo con un gesto della mano. - Le scuse non servono. Non è successo nulla -.

- Ma avrebbe potuto -, replica lui, e con la coda dell'occhio lo vedo passarsi la mano tra i capelli, in un gesto frustrato.

Capelli biondi. Lisci, non troppo lunghi, ma dannatamente biondi.

Non dovrei sapere cosa si prova ad accarezzarli, a far scorrere le dita fino alla nuca, dove sono più sottili e morbidi. Purtroppo, invece, lo so anche troppo bene.

Accidenti a me.

Non so dove trovo la forza, ma riesco ad incontrare i suoi occhi per un attimo. Occhi scuri come il cielo a mezzanotte, che contrastano in modo sorprendente con la sfumatura dorata dei capelli.

- Sapevo che non sarebbe successo niente, altrimenti mi sarei spostata -.

Un sorriso malizioso si affaccia sulle mie labbra, mentre lui batte le palpebre. Non potrebbe avere un'espressione più frastornata nemmeno se l'avessi appena colpito in testa con una clava.

Perché, da quella notte, non gli ho più rivolto la parola.

Fisso prima lui, poi il suo compagno motociclista inarcando le sopracciglia con sfacciata ironia. - Dopotutto, sono una strega, no? -.

Sotto i loro sguardi contriti, oltrepasso il cancello senza più voltarmi. Mentre percorro lo stretto vialetto che conduce alla casa di nonna, avverto i loro occhi su di me. O, per meglio dire, un paio di occhi in particolare.

Prima di salire i gradini che conducono al portone principale, getto un'occhiata ai cespugli di rose che crescono poco distante.

Cogli la rosa, ma attento alle spine, scriveva D'Annunzio.

Ecco, la rosa che ho appena lasciato al di là del muro è talmente irta di spine che i boccioli si vedono a malapena. E queste spine sono estremamente lunghe e affilate.

L'unica volta in cui ho osato avvicinarmi ai petali del fiore, una di esse mi ha punto. Mi è entrata sottopelle, insediandosi sempre più in profondità, tanto da non poter più essere estratta.

Lui è una spina nel fianco. Di nome e di fatto.

La mia, eterna, personale spina nel fianco.

 

* * *

 

Nicolò

 

- La vuoi piantare? -.

La domanda mi fa sussultare, neanche fossi stato beccato a rubare in gioielleria. Distolgo bruscamente lo sguardo dalla schiena di Rosalia - anzi, dalle curve sinuose dei suoi fianchi -, per puntarlo addosso a quell'idiota di Giacomo.

Il fatto che sia il mio migliore amico non conta: in questo momento vorrei solo strozzarlo.

Lui mi rivolge una smorfia sarcastica, ignaro dei miei istinti omicidi. Replica alla mia occhiata velenosa alzando platealmente gli occhi al cielo. - In tre parole, fratello: smettila di sbavare. Sei disgustoso -.

Evito di stare al gioco: ho ancora il battito accelerato e un velo di sudore freddo mi copre il viso. Mi strofino la fronte con la manica della felpa. - Avresti potuto investirla. Te ne rendi conto, vero? -. Se penso a cosa sarebbe potuto succedere, sento lo stomaco contrarsi e la gola farsi talmente stretta da non riuscire a respirare.

Giacomo è già risalito in sella e si sta infilando il casco. Il mio tono gelido lo fa immobilizzare. Mi guarda e nelle sue iridi azzurre posso scorgere chiaramente la paura e il rimorso. - Non l'avevo vista. Te lo giuro -. Stringe gli occhi e la sua espressione si irrigidisce. - Per fortuna sono riuscito a fermarmi in tempo. Rosalia non sembrava molto scossa, però -.

- Già – commento, e i pugni si contraggono lungo i fianchi. - E' sempre stata brava a fingere. Non mostra a nessuno le sue debolezze -.

Più che un dato di fatto, suona come un'accusa. Per quanto le sue abilità di attrice siano confermate, non mi lascio ingannare. Rosalia era davvero scossa: le tremavano perfino le mani e non ha quasi mai alzato lo sguardo su di noi.

Non che mi abbia mai guardato granché.

Accidenti, da dove salta fuori questo pensiero? Mi passo le dita sulle sopracciglia, quando vorrei solo prendermi a pugni.

Anche Giacomo si passa una mano sulla fronte e scuote la testa. Dopo qualche secondo, vedendomi perso nei pensieri, scende dalla moto e si piazza al mio fianco. Osserviamo entrambi la scritta sbiadita che occupa gran parte del muro di fronte a noi.

Brutta strega.

Allungo una mano, come se volessi farla sparire con un semplice schiocco di dita.
Quei bastardi. Quando la smetteranno con questa ridicola storia?

Alla mia destra, Giacomo si schiarisce la gola. - Chi pensi sia stato stavolta? -.

Ho molti nomi dei possibili colpevoli in testa, ma nessuna prova. La mia replica è brutale, il tono roco come se non parlassi da giorni. - Meglio che non lo sappia. Il mio autocontrollo non sembra voler collaborare, in questo periodo -.

Il mio migliore amico si lascia sfuggire una risata. - Quindi è per questo che hai deciso di passare di qui, oggi. Sapevi che l'avremmo incontrata -.

Con mio sommo orrore, mi accorgo di essere arrossito. Fingo di controllare l'orologio per dominare l'imbarazzo. - Meglio andare, adesso. E' quasi ora di cena e mia madre mi farà una predica lunga mezz'ora se ritardo di nuovo -.

- Eh, no, fratello – mi rimprovera scherzosamente Giacomo, mentre riprendiamo posto sulle moto. - Non vale cambiare discorso -.

- Guarda che lo dicevo per te – replico, in tono serafico, dopo aver recuperato un contegno. - Spari sempre un mucchio di stronzate quando sei a digiuno da ore -.

La risata da iena di Giacomo si sente benissimo anche da sotto il casco. Poi tira su la visiera e mi strizza l'occhio. - Deve piacerti parecchio, per farti percorrere dieci chilometri, di cui cinque in mezzo ai rovi, solo per vederla di sfuggita -.

A corto di parole, mi limito a sbuffare e mi infilò il casco senza ribattere. Pur di non guardare Giacomo in faccia, punto gli occhi sulle nuvole tinte dei colori del tramonto.

Quell'idiota del mio migliore amico ride di nuovo. - Ah, la tua bella strega... -.

A quell'affermazione, mi volto per lanciargli un'occhiata fulminante. - Non è una strega! - esclamo con fin troppa veemenza, e mi accorgo troppo tardi di essere caduto nella trappola con tutte le scarpe. Di fatto Giacomo è piegato in due dal ridere.

Gli assesto un pugno sul braccio, abbastanza forte da farlo gemere. - Non è una strega. E non è mia – specifico, sorridendo mio malgrado.

- Ma potrebbe – rilancia scaltro Giacomo, con un ghigno malizioso. - Sei tu che non ci hai mai provato sul serio -.

- Credimi: l'ho fatto -.

Giacomo si ritrae da me, guardandomi dall'alto in basso con finto terrore. - Quindi mi stai dicendo che il famoso fascino dei Malaspina non funziona più? Scandaloso! -.

Lancio un'occhiata alla casa che si intravede in mezzo alle siepi, oltre il cancello. - Forse alcune persone ne sono immuni, anche senza l'uso della stregoneria -.

La mia risposta abbattuta spegne di colpo l'ilarità di Giacomo, come se avessi premuto un qualche interruttore. Lui si gratta il mento, pensieroso. Alla fine sospira. - Credi che lei ci perdonerà, prima o poi? -.

Stiro le labbra in un amaro sorriso. Con un colpo deciso del piede metto in moto. - Tu forse hai ancora qualche possibilità – ammetto, dando gas. - Quanto a me, ne dubito -.

 






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Nota 1 - Ygritte è uno dei miei personaggi preferiti della saga Game of Thrones dello scrittore George R. R. Martin. Il termine “bruta” riferito a lei non è un dispregiativo, ma la identifica come appartenente al popolo dei Bruti (Wildlings o Free Folk in inglese).

Nota 2 - Significati più comuni della foglia d'acero: amicizia, lealtà e sostegno. In alcune culture si dona ad una persona cara.

Nota 3 - Nel testo ho riformulato la citazione da Hunger Games, “Le probabilità non sono mai a nostro favore”.

Nota 4 - “Spine lunghe e affilate”: citazione dal mio racconto Come neve sulla pelle. Disponibile su Amazon.

   
 
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