Anime & Manga > Slam Dunk
Ricorda la storia  |      
Autore: Ghostclimber    23/01/2019    5 recensioni
Hanamichi Sakuragi ha tutto sotto controllo.
O forse no.
O forse sì.
Mi sa di no.
Ma per fortuna c'è Kaede Rukawa.
Avvertenza: contiene massicci riferimenti a Harry Potter, per chiarimenti leggere le note a piè di pagina.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Ho tutto sotto controllo!”

Questa era la frase che Hanamichi Sakuragi si ripeteva ogni mattina, davanti allo specchio, cercando di farla sembrare sincera.

Lui era il Tensai, che diamine, grazie ai suoi magnifici slam dunk avevano vinto un sacco di partite durante i tre anni del liceo, e bastava la sua presenza in difesa per scoraggiare gli avversari sotto canestro: alla fine, la tecnica dello sguardo che uccide un po' aveva funzionato.

La gente arrivava da tutta la prefettura per inneggiare a lui e, va beh, un po' anche a Rukawa, ma mica tanto. Diciamo che il dieci percento dello stadio, almeno, era tutto per Sakuragi. Dieci è più grande di novanta, no?

E va bene, Rukawa era migliore, era pure figo, che ci vuoi fare, parafrasando il comune modo di dire tira più un pelo di ca... quello... che un carro di buoi.

Però anche Sakuragi non scherzava.

Insomma, ci sarà pure un motivo se quell'anno avevano eletto lui a parimerito con quella splendida volpaccia spelacchiata come miglior giocatore dell'anno, no?

C'era un motivo se la University of Carolina, in cui aveva militato (inchinatevi, prego) Michael Jordan il Sommo e Supremo, aveva convocato anche lui oltre che a Rukawa, no?

Il motivo c'era.

Il motivo era che Hanamichi Sakuragi aveva tutto sotto controllo.

Lui poteva tutto.

Come Jim Carrey in “Una Settimana da Dio”, aveva il potere. Va bene, non poteva agganciare la luna all'amo e trasportarla più vicina alla terra, ma se ben ricordava quella faccenda aveva poi anche creato dei grossi problemi con le maree, per cui forse non era un male.

Aveva persino il potere di far sorridere Rukawa.

Sakuragi, di fronte allo specchio, dopo aver ripetuto il suo mantra, si concesse di ricordare la prima volta che era successo mentre si faceva la barba con cautela: in quello, ancora non era esattamente un genio (ma lo sarebbe diventato a breve) ed era una giornata importante.

Si stavano battendo contro il Kainan, che privato dell'imponente guida di Maki, ormai passato all'università, stentava a tenere il ritmo dello Shohoku, ulteriormente migliorato da che una serie di allenamenti mirati avevano trasformato la loro scarsissima panchina in uno schieramento di giocatori di primissima qualità. Kiyota berciava e strillava, ma le sue urla e i suoi insulti non avevano potuto nulla contro la potenza del Genio del Basket Sakuragi, che all'ultimissimo secondo aveva sbattuto la palla nel canestro con uno slam dunk da manuale, recuperando il punto di svantaggio e aggiungendone uno per buona misura, salvando la squadra dalla sconfitta e dai tempi supplementari.

Per un istante, Sakuragi era rimasto stupito e incredulo, poi aveva combattuto l'incedere di un fiume di lacrime di commozione con una delle sue solite buffonate: era andato ad istinto e aveva mischiato un paio di mosse fighe per esultare, una roba ridicola propria. Tre o quattro passi di moonwalk, un braccio alzato al cielo col dito puntato in stile Tony Manero e uno strillo in falsetto: “I've got the power!”. Il pubblico era esploso, i compagni di squadra piangevano e ridevano e lo abbracciavano e lì, poco oltre i margini della folla, c'era Rukawa, con le labbra incurvate in un sorriso che era una via di mezzo tra divertimento ed esasperazione, come quando qualcuno fa una battuta abbastanza pietosa da essere buffa proprio in ragione della sua idiozia, e scuoteva il capo mentre si sistemava la fascetta di spugna sull'avambraccio.

-Ehi, Kitsune, adesso dovrai ammettere che sono il migliore!

-Un minuto ogni tanto, Do'aho.- aveva risposto quella specie di ghiacciolo antropomorfo.

Che poi, tanto ghiacciolo non lo era.

Dopo un'attenta analisi, corredata da indagini approfondite e da un assedio interminabile, Sakuragi era riuscito ad aprire una crepa nella maschera di perfetta indifferenza e totale superiorità di Kaede Rukawa, scoprendo che sotto sotto era niente più che un tipo timido, gradevolmente misantropo e capace di esplosioni di sarcasmo davvero notevoli.

In più, gli piacevano i libri fantasy, al punto che restava spesso sveglio fino alle ore piccole per leggerli: questo era il reale motivo per cui in classe poi si addormentava.

 

Sakuragi leccò un pezzettino di carta igienica e lo applicò su un piccolo taglietto per tamponare la gocciolina di sangue che stava uscendo. Questa volta era andato alla grande, c'era solo quello; la prima volta che si era fatto la barba, sua madre era quasi svenuta alla vista di tutto quel sangue, e Miyagi l'aveva preso per il culo per un mese e mezzo, chiamandolo “Edward Mani di Forbice”.

Il cellulare di Sakuragi squillò.

“Ehi, sei sveglio?” chiese Rukawa.

“Più di te sicuramente!” digitò rapidamente Sakuragi prima di prendere il dopobarba. Se ne mise un po' sulle mani e si schiaffeggiò il viso, come Kevin di Mamma Ho Perso l'Aereo, emise un urlo silenzioso (non voleva spaventare la mamma) e ridacchiava ancora quando giunse la risposta di Rukawa: “Idiota. Ci vediamo dieci minuti prima in palestra?”

“Sì, ma non farmi allenare, che se sporco la toga mia mamma mi incula con la sabbia”

“...che immagine poetica.”

“Dal Tensai non potevi aspettarti di meno”.

Come sempre, era tutto sotto controllo.

 

E allora, perché questo batticuore?

Perché quella strisciante sensazione, come di essere aggrappato con le nude mani al vagone di un treno che continua ad aumentare la velocità?

Perché quell'istinto di urlare “Basta, fermiamoci un attimo, sediamoci a ragionare”?

Poi, fermarsi.

Fermarsi non era una parola che figurava nel vocabolario del Genio, forse scritta in piccolo nel bel mezzo di una nota a piè di pagina, ma niente più.

Ragionare, poi, non era neanche menzionato.

Eppure...

Eppure, Sakuragi sentiva il bisogno di fermarsi a ragionare.

C'era qualcosa nella sua vita di non concluso, una o più faccende a cui non era mai stato posto un punto fermo, un finale che, soddisfacente o meno, avrebbe almeno placato la sensazione di incompletezza che continuava a provare.

Tutto sotto controllo?

Ma se non aveva sotto controllo nemmeno la propria vescica!

Cioè, non che fosse incontinente, non aveva mica novant'anni, però certe volte quando gli scappava gli scappava. Rukawa sosteneva che fosse perché a tratti Sakuragi si metteva a bere come un cammello, un sorso d'acqua dopo l'altro fino a prosciugare bottiglie su bottiglie, ma Rukawa non faceva testo: quell'essere assurdo beveva e mangiava a sufficienza per garantirsi la sopravvivenza fisica e delle buone performance sportive, e niente di più. Sakuragi l'aveva visto con i propri occhi lasciare a metà una fetta di torta Sacher. Sacher, dannazione, come fai ad avanzarla?! Per fortuna c'era anche lui a salvargli la faccia: dopo avergli rifilato il vecchio discorso sui bambini che muoiono di fame in Africa, aveva finito la fetta, ignorando il commento di Rukawa: “E se io finisco la fetta cosa succede, che ne sfamo uno?”.

Lui e la sua retorica del piffero.

Ma si sa, i Serpeverde sono molto più freddi e logici dei Tassorosso.

Ebbene sì, il basket non era l'unico sport che quel sociopatico apparentemente monotematico amasse: c'era anche il Quidditch.

Siamo d'accordo, praticarlo tra i Babbani è noioso e potenzialmente dolorosissimo, con quattordici persone che corrono avanti e indietro in un campetto fangoso con delle scope di saggina tra le gambe (trovarne una volante è un'impresa impossibile persino per il Genio!), ma Rukawa non disdegnava di guardare e riguardare gli otto film di Harry Potter e godersi ogni partita. Una delle sue non poche lamentele sulla trasposizione cinematografica della sua serie fantasy preferita era che non era stato dato abbastanza spazio alla finale dei Mondiali di Quidditch.

La conversazione sulle case di appartenenza era stata esilarante, ricordò Sakuragi mentre indossava la sua preziosa maglietta con il logo di Tassorosso e un paio di jeans (tanto, sarebbe stato tutto poi coperto dalla toga, e subito dopo sarebbero usciti tutti a festeggiare, cosa che lui non aveva intenzione di fare con addosso l'odiata divisa scolastica).

Comunque, si trovavano in spogliatoio, Sakuragi aveva notato nella cartella di Rukawa un quaderno verde con l'inconfondibile logo di Serpeverde e aveva trapanato i timpani di mezza Kanagawa urlando: -CI AVREI SCOMMESSO LE PALLE CHE ERI SERPEVERDE!

-Do'aho.- era stata la prevedibile risposta.

-Non mi chiedi io in che casa sono?- aveva insistito Sakuragi, prendendolo a gomitate.

-No, è ovvio che sei un Tassorosso.

-Parla con rispetto della grande casata di Tassorosso!- l'aveva redarguito Sakuragi, ricevendo un ovvio “Tsk!” in risposta. Durante la rissa che era seguita, Miyagi, che aveva una vaga conoscenza di Harry Potter (assorbita per osmosi da Ayako), aveva commentato: -Ci credo che non andate d'accordo, un Serpeverde e un Tassorosso...

-EHI!- l'aveva corretto Sakuragi, -Guarda che tra Serpeverde e Tassorosso nascono legami molto profondi, sono le due casate che vanno più d'accordo tra loro! Si controbilanciano!

-Sì, un pugno da una parte e un cazzotto dall'altra!- aveva riso Miyagi, e Sakuragi aveva rinunciato a spiegare le complesse relazioni tra casate di Hogwarts a quell'ignorante di un pigmeo, che sicuramente aveva guardato solo i film, si era fatto un paio di seghe su Emma Watson e aveva imparato qualche battuta giusto per impressionare Ayako.

 

Sakuragi guardò la toga come se fosse stata un mostro marino pronto ad attaccare, e con cautela cominciò ad infilarsela.

-Mapporc...!

-Hana! Tutto bene?- chiese sua mamma.

-Tutto sotto controllo, ma', tranquilla!- rispose Sakuragi, lanciando maledizioni al deficiente che aveva deciso che le toghe dovessero essere progettate senza bottoni. Dopo minuti interminabili di lotta trattenuta, combattuto tra l'esigenza di riemergere da quella trappola mortale e quella di non stracciarla in mille pezzi, finalmente riuscì a spremere la testa fuori dallo scollo. Si sistemò con aria poco convinta quel grumo di stoffa e scese al piano di sotto dove trovò la madre ancora con i pantaloni del pigiama e una tazza di caffè in mano.

-Oh, mamma, senti, io vado, Rukawa mi aspetta dieci minuti prima per fare quattro chiacchiere.

-Chi?- Sakuragi sospirò.

-Quello muto. E non è muto, mamma, è timido, ma se gli dici che te l'ho detto non lavo più i piatti.

-E io non preparo più la cena, guarda un po'.

-Sei impossibile però, eh! Va beh, vado, ci vediamo là!- Sakuragi uscì, vestito di tutto punto per la cerimonia del diploma; controllò l'orologio e vide che era in anticipo imbarazzante, per cui si risolse a camminare pian piano, cercando di andare incontro a se stesso creando una piccola finestra di riflessione. Nonostante le sue costanti rassicurazioni, aveva una brutta sensazione.

Stava perdendo il controllo.

E non era più successo da parecchio, da quando il suo rapporto con Rukawa si era approfondito. Mano a mano, un passettino alla volta, quando non uno avanti e due indietro, si erano avvicinati l'uno all'altro e avevano cominciato a mitigarsi davvero a vicenda.

Sakuragi l'aveva portato ad aprirsi poco a poco, non certo a livelli folli, era pur sempre di Rukawa che si stava parlando, ma si poteva dire che erano diventati amici. Si trovavano sempre il sabato pomeriggio a fare quattro tiri al campetto, e quando pioveva finivano nove volte su dieci a casa dell'uno o dell'altro a guardare la tv insieme.

Si scambiavano libri, manga e opinioni; le curiosità e le headcanon sul mondo di Harry Potter erano sempre il loro argomento preferito, e Sakuragi aveva riso fino alle lacrime quando aveva letto che i Serpeverde sono protettivi fino alla morte nei confronti del loro Tassorosso.

-Tu non sei protettivo nei miei confronti, Kitsune.- si era lagnato, fingendosi offeso.

-Certo che lo sono.- aveva risposto Rukawa, senza staccare gli occhi dalla partita Lakers/Bulls.

-Ma quando mai!

-Ti proteggo da te stesso quando ti ricordo che sei un idiota.

-Baka Kitsune!- Sakuragi era saltato in testa a Rukawa, e aveva persino ricavato un piccolo extra (per la precisione, un calcio nel sedere), quando Rukawa aveva notato che l'interruzione gli aveva fatto perdere gli ultimi minuti della partita.

-Non mi chiami mai “Rotolino alla cannella”.- aveva protestato Sakuragi, imbronciato, massaggiandosi il gluteo offeso. Rukawa l'aveva fissato con occhi sgranati.

-Come ti dovrei chiamare, scusa?

-“Rotolino alla cannella”. Su quella roba che ho letto, il Serpeverde diceva “Don't touch my cinnamon bun”.

-Do'aho. Chiariamoci. Io non ti chiamerò MAI “Rotolino alla cannella”.

-Mai dire mai.- Sakuragi aveva messo su un broncio sprezzante, per nessun motivo se non la voglia di giocare un po' con Rukawa, prolungando il loro tempo insieme.

-Mettiamola così. Il giorno che ti chiamerò in quella maniera, ti dichiarerò anche il mio imperituro ed eterno amore.- Sakuragi aveva risposto qualcosa come “uffa”, ma mentre camminava piano verso la scuola, in un limpido sabato all'inizio di marzo, ricordò che sul momento il cuore gli era sobbalzato nel petto.

 

Rallentò ulteriormente il passo.

Si maledisse.

Che stupida idea era stata, decidere di fermarsi a ragionare.

Aveva raggiunto una conclusione, ma non era per niente piacevole. Certo, meno di un'ora prima si era detto che l'importante era chiudere il cerchio, per quanto sgradevole sarebbe potuta essere la questione, ma certo non si era aspettato una cosa del genere.

Tutti quei mesi a stretto contatto con Rukawa...

Tutte quelle cose in comune...

Le battute condivise solo tra loro due, che nessun altro avrebbe compreso...

Certo, tutti ottimi ingredienti per un'amicizia di quelle che possono andare avanti fino al reparto di geriatria, ma c'erano alcuni elementi che stonavano.

Per esempio, Sakuragi dubitava che fosse normale ritrovarsi ad annusare i capelli di un amico se questo ti si addormenta addosso. Dubitava che fosse normale mettersi i vestiti che gli aveva prestato senza prima lavarli, per sentirsi avvolto dal sentore della sua pelle. Dubitava che fosse normale poter passare pomeriggi interi a giocare a Twister in due, da soli, rischiando contusioni e slogature ogni volta che c'era da girare la lancetta; voglio dire, un passatempo più normale, tipo gli scacchi, le carte, no?

Per quasi due anni, l'intera esistenza di Sakuragi era stata volta alla ricerca di un contatto più intenso con Kaede Rukawa.

Sakuragi scrollò la testa, come se così facendo avrebbe potuto far scivolare i pensieri fuori dalle orecchie. “Quantomeno, adesso sai. Era questo che volevi, no?”

Sì.

Riprendere il controllo.

Era già stato innamorato altre volte, ed era sempre sopravvissuto.

Come al solito, era tutto sotto controllo.

 

Certo.

Peccato che non gli fosse mai capitato di placcare una delle ragazze che gli erano piaciute.

Peccato che non si fosse mai trovato nel letto di una di quelle ragazze, sotto le coperte a leggere fianco a fianco mangiando biscotti.

Peccato che non sarebbe stato plausibile fare la doccia a mezzo metro da una di quelle ragazze.

Peccato che non si sarebbe mai trovato nella condizione di aver già preso in affitto un monolocale dall'altra parte del mondo in cui avrebbe vissuto per i prossimi anni insieme a una di quelle ragazze.

No, ma tutte quelle cose in compenso le aveva fatte con Kaede Rukawa.

Come avrebbe giustificato un'erezione durante un confronto?

Come avrebbe giustificato il proprio rossore e il proprio rifiuto categorico di leggere di nuovo insieme, nello stesso letto, immersi nella penombra delle abat-jour sui comodini?

Come avrebbe fatto a non guardarlo sotto la doccia, negli spogliatoi?

Come avrebbe fatto a resistergli, una mattina dopo l'altra, guardandolo alzarsi dal letto con il classico alzabandiera, ancora caldo di letto e scarmigliato? E una sera dopo l'altra, quando sarebbe entrato in camera da letto nudo a cercare le mutande dopo la doccia? E d'estate, quando fa così caldo, Rukawa soffriva molto il caldo, aveva ammesso che a volte per resistere si sdraiava nudo sul pavimento di fronte al ventilatore.

Ma soprattutto, come avrebbe fatto a parlargli normalmente fra quattro minuti e ventisei secondi, quando avevano appuntamento in palestra?

Col cazzo che era tutto sotto controllo.

 

-Ehi, Kitsune.

-Ciao.- il cuore di Sakuragi fece una capriola; quella era una novità degli ultimi mesi, il “ciao”. Prima, il saluto di Rukawa era il suo tipico “nh”, ma come voto per l'anno nuovo aveva deciso di provare a salutare come i comuni mortali. Sakuragi l'aveva preso in giro per due settimane, e ancora non si era abituato; quel giorno, poi, era ancora peggio.

-Ehi, ancora non ci credo che ci hanno promossi.- disse Sakuragi, tanto per rompere il ghiaccio. C'era uno strano disagio nell'aria, e sapeva di esserne l'unico responsabile.

-Nh. Senti...- Rukawa si bloccò e infilò le mani nelle tasche della toga, che poi erano solo due fessure che permettevano l'accesso alle tasche degli abiti che si indossavano sotto.

-Ehm... sì?

-Non voglio farmi i cazzi tuoi.- disse Rukawa. Nella mente di Sakuragi, una voce folle e indesiderata sbraitò: “e io invece voglio farmi il cazzo tuo!”

-Ma ultimamente mi sembri... beh, giù.

-Ah, beh, ecco, io... Rukawa, è un discorso un po' complicato, non riesco a venire a capo di una faccenda, ma niente di grave, davvero, te ne parlo quando è a posto. Davvero. Sul serio. Non chiedermi di parlarne addosso perché se no urlo e ti picchio.- Rukawa alzò lo sguardo e rivolse a Sakuragi un sorriso che gli rimescolò le budella.

-È questa tua sincerità.- disse il moro.

-Eh?

-Niente. Così.

-Teoricamente dovresti finire la frase, lo sai?

-Quando cazzo mai ho seguito le regole?- Sakuragi rispose finalmente al sorriso di Rukawa, che si ravanò sotto la toga ed estrasse un pacchetto piatto e rettangolare.

-Per me?- chiese Sakuragi.

-Sì. Fin quando non vorrai parlarne.- le dita di Rukawa si flessero eleganti mentre lasciavano la presa, e Sakuragi spinse in avanti la curiosità per evitare di seguirle con uno sguardo adorante e la bava alla bocca.

Sciolse il nastro, strappò la carta e si trovò di fronte ad una tavoletta di cioccolato, con il logo del più famoso negozio di dolciumi della saga di Harry Potter, Mielandia.

Lesse l'etichetta: -“Mangiare in caso di Dissennatori.” Rukawa...- era quasi tentato di incazzarsi per la facilità con cui Rukawa gli sottraeva quel pochissimo controllo che gli restava, ma si trattenne alla vista del bel volpino che si chinava a raccogliere il nastro da terra e glielo porgeva. -Non... non hai letto il biglietto.- disse a voce bassissima per poi indietreggiare di qualche passo. Sakuragi aprì le due ali del bigliettino e vide cosa c'era scritto: “Per il mio Rotolino alla Cannella. Kaede”.

-Occielo.- Rukawa indietreggiò di un altro passo.

-Opporca!- Sakuragi appoggiò delicatamente il cioccolato e il biglietto sulla cesta dei canestri e si allontanò, come un artista che cerca di capire se ha azzeccato le proporzioni.

-Occazzo!- Sakuragi si rannicchiò su se stesso, col sedere per aria e la testa all'altezza delle ginocchia, le mani in faccia a contenere un urlo isterico.

-Ommerda!- Rukawa, preoccupato di aver causato un colpo apoplettico a quel cretino che senza nemmeno accorgersene gli si era insinuato sotto la pelle, nella mente e nell'anima, si avvicinò e osò posargli una mano su una scapola: -Stai... stai bene?- chiese.

Sakuragi si alzò di scatto in tutto il suo metro e novantacinque, lo guardò fiero dall'alto in basso (era orgogliosissimo dei suoi due centimetri in più) e infine disse: -Ssstobeneh!

-Sei... sicu...- Rukawa non poté terminare la parola. Sakuragi si era avventato sulla sua bocca con la propria e lui stava già rispondendo al bacio.

Increduli, uno più dell'altro, si cercarono con urgenza, respirandosi nelle bocche, incrociando le lingue come spade in una schermaglia di esercitazione, la pelle liscia della parte inferiore contro quella ruvida della parte superiore, le pareti morbide e cedevoli delle guance, il bordo liscio dei denti, le gengive dai nervi tesi e sottili, nulla pareva essere abbastanza. Ingombrati dalle toghe, premettero insieme i corpi, anelando ad un contatto più profondo. Sakuragi sorrise contro le labbra di Rukawa, pensando che non avrebbe avuto più problemi con il suo alzabandiera: glielo avrebbe fatto passare di persona.

Si fermarono, labbra contro labbra, a sorridersi addosso, a respirarsi, a non bastarsi mai, poi il Genio scoprì di poter compiere il miracolo supremo: Rukawa rise.

Sakuragi si spostò per godersi lo spettacolo, e per poco non gli cedettero le ginocchia: era un'apparizione, con i denti perfetti snudati in una curva sensuale, incorniciati dalle labbra rosse e tumide per il tanto baciarsi.

I suoi occhi luccicarono per un istante tra i rapidi battiti d'ali delle sue ciglia, e in un istante di percezione miracolosa Sakuragi vide che esse proiettavano delle piccolissime ombre sui suoi zigomi, imbellettati da un rossore che era il frutto della subitanea reazione chimica che c'era stata in quei brevi, immensi istanti.

Una mano affusolata, degna di un dipinto, si alzò a scostargli la frangia corvina dalla fronte e ad accompagnare un fiato di parole: -Credevo che mi avresti ammazzato di botte.

-Ma come ti permetti! Sono il Genio, io ho sempre tutto sotto controllo!- Sakuragi si avvicinò, mentre la risata di Rukawa si disperdeva tra le amate mura della palestra e la sua espressione tornava seria: -Sì, lo dici sempre. Ma è vero?- tagliente, dritto al punto. Rukawa era una persona che caratterialmente aveva moltissimi difetti e pochi pregi; pochi, ma così luminosi da far passare in secondo piano i lati meno piacevoli.

Uno di questi pregi era la capacità di andare dritto al punto.

I suoi occhi blu reclamarono la verità, e Sakuragi sorrise: -Sì, Kaede, stavolta è vero.- prima che la campanella suonasse per richiamare gli studenti dell'ultimo anno alla cerimonia di consegna del diploma, un Serpeverde e un Tassorosso si concessero un altro bacio.

 

 

 

 

 

Note per chi conosce poco Harry Potter:

 

Serpeverde: casata dei più ambiziosi, furbi e intraprendenti. Sono molto calcolatori e spesso risultano distaccati perché preferiscono valutare le situazioni dall'esterno e giudicare se valga la pena di gettarsi nella mischia. Giocano per vincere.

 

Tassorosso: casata di coloro che apprezzano più di ogni altra cosa la lealtà. Sono affidabili e leali, ma non conviene mettersi contro di loro perché sono pronti a difendere con le unghie e con i denti ciò a cui tengono, specialmente amici e famiglia, e non si lasciano intimorire da nessuno.

 

Rapporti tra Serpeverde e Tassorosso: stando alle headcanon (spesso molto più logiche delle ultime dichiarazioni di J.K.Rowling) sono i legami più saldi tra casate diverse. Una battuta tipica è “Sei nella casa di Serpeverde, hai diritto a scegliere un Tassorosso, se non ne conosci nessuno te ne sarà accordato uno d'ufficio”. I Tassorosso insegnano ai Serpeverde ad essere meno distaccati, mentre i Serpeverde insegnano ai Tassorosso che non sempre è necessario gettarsi a capofitto nelle cose. Si bilanciano e si proteggono a vicenda. Quando si tratta del loro Tasso, pare che le Serpi siano molto inclini a fare terra bruciata attorno a chiunque si azzardi a toccarli. Qui la famosa frase del Rotolino alla Cannella.

 

Dissennatori: sono creature di oscurità che si nutrono di ogni sentimento positivo: trovarsi nelle vicinanze di un Dissennatore fa rivivere le peggiori esperienze e fa pensare che non si riuscirà mai più ad essere felici. L'ultima arma del Dissennatore è il bacio, con cui risucchia l'anima. Per ammissione dell'autrice, sono una metafora per descrivere la depressione. Si consiglia di mangiare cioccolato quando si scampa ad un contatto con un Dissennatore.





Jonghyun88... per te! <3
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Slam Dunk / Vai alla pagina dell'autore: Ghostclimber