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Autore: Ladyhawke83    23/01/2019    11 recensioni
Un cigno, ecco cosa gli ricordava vederla così, austera, elegante, silenziosa, come se fosse di un altro mondo.
Anuviel gli aveva fatto sempre quell’effetto, un misto di inafferrabilità e fragilità, unite ad un carattere schivo, spigoloso, diffidente, a tratti insopportabilmente distante, soprattutto quando lei lo guardava con quei suoi occhi grandi, soppesandone il valore. In quel suo leggero movimento delle mani, così tipico, ma così impercettibile agli altri, Joseph Vargas vi leggeva sempre il suo essere inferiore a lei, sarebbe stato sempre quello diverso, contaminato, impuro.
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Note dell’autrice: come sempre ringrazio le splendide ragazze del gruppo Facebook “boys love” per l’ispirazione e il sostegno, nonché l’amicizia e l’allegria che mi donate. Grazie, questa nuova OS è per voi!
Genere: Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il cigno degli Unamar

 

Un cigno, ecco cosa gli ricordava vederla così, austera, elegante, silenziosa, come se fosse di un altro mondo.

Anuviel gli aveva fatto sempre quell’effetto, un misto di inafferrabilità e fragilità, unite ad un carattere schivo, spigoloso, diffidente, a tratti insopportabilmente distante, soprattutto quando lei lo guardava con quei suoi occhi grandi, soppesandone il valore. In quel suo leggero movimento delle mani, così tipico, ma così impercettibile agli altri, Joseph Vargas vi leggeva sempre il suo essere inferiore a lei, sarebbe stato sempre quello diverso, contaminato, impuro.

“Che cosa c’è?” Gli aveva domandato brusco lui, senza neanche voltarsi. Nelle mani stringeva un piccolo diario rilegato. La pelle della copertina ormai logora, come logore e quasi dimenticate erano le lettere e le parole al suo interno.

Frammenti di una vita e di un amore che non esisteva più, un amore che lui stesso aveva scelto di sacrificare per un bene più grande, o almeno così si era sempre detto, mentendosi.

La verità era che aveva sposato quella donna, quella bellissima elfa, che sembrava quasi una dea al suo confronto, solo  per sfuggire a se stesso e a quella terribile maledizione che gravava su di lui, e sul sangue del suo sangue, da generazioni ormai.

“È questa la notte. È il nostro destino. Non ci possiamo sottrarre...”le parole erano fredde, come freddo era l’accento elfico della sua sempre giovane moglie.

Joseph alzò gli occhi al cielo e una luna luminosa, piena e beffarda, mise in risalto le iridi scure, le cicatrici agli angoli del viso e i marchi impietosi del demone, disposti un po’ ovunque sulla sua pelle. Linee scure sinuose e potenti attraversavano spalle, schiena, e parte del suo torace nudo, esposto al caldo umido di quella notte afosa e lenta.

“Si che possiamo. Tu non mi convincerai. Io non intendo piegarmi al fato, anche a costo di non sfiorarti mai più” Rispose il mezzelfo, voltandosi finalmente verso l’esile e aggraziata figura della propria sposa.

Anuviel vedendo i segni sul marito e avvertendone la voce alterata, sussultò lievemente, quasi intimorita.

“Se non ti conoscessi bene, mia amata, direi che hai paura di me... Normalmente ciò che mi riservi è solo indifferenza o tuttalpiù disprezzo...” Le disse lui accompagnando le parole con un lieve riso amaro di rassegnazione.

“Ti ho dato una figlia, ricordi?” Il tono di lei era quasi impassibile.

“Si che lo ricordo. La notte che concepimmo Erinn fu triste e patetica. Ora non rifarò lo stesso errore perché voci di elfi defunti, o chissà quale visione, ti ha predetto che dovrà nascere un altro bambino... non sarà stanotte” 

Il pensiero di Joseph fu irremovibile, granitico nella sua semplicità, non altrettanto fece il suo corpo, stregato dai sensi e bisognoso di attenzioni.

“Quel bambino nascerà e metterà fine alla tua condizione di dannato, non era quello che desideravi?”. Insistette lei avvicinandosi. 

I suoi passi quasi impalpabili, la veste candida e argentea quasi trasparente, la fasciava quasi come fosse una seconda pelle.

Anuviel splendeva, seppur nella quasi oscurità della notte, una stella in confronto a lui, un orribile pozza nera di sensi di colpa e pensieri angosciosi, rivestita di magia e ossa.

“No!” Gridò lui, sbattendo il pugno sul letto e facendo scattare indietro lei, istintivamente.

“Non ho mai voluto sacrificare un figlio, per liberarmi di questo fardello di dolore, altrimenti sarei rimasto con lei e con Alexandros”

Continuò lui, con tono più calmo, anche se aveva una tempesta nel cuore.

“La ami ancora, non è vero?” Gli domandò a bruciapelo lei, raccogliendo il diario del mezzelfo.

“Sempre, ma non ha niente a che vedere con te...” Cercò di giustificarsi lo stregone.

“Che cosa ha quella figlia d’Adamo che non possiedo io?” Anuviel si mostrò per una volta, incerta, titubante, verso il marito.

Joseph ripensò alla loro prima notte di nozze, avvenuta  più di sei anni addietro. Anuviel era bellissima, racchiusa in un abito elegante, ma sobrio, impalpabile, dei colori tipici dei matrimoni tra Alti Elfi, il blu e il bianco, con decori argentei sulle spalle e sui fianchi.

Lui le aveva allentato i lacci e fatto scivolare via la fibbia che teneva insieme i lembi di tessuto sulla schiena, lei lo aveva guardato con sguardo glaciale e gli aveva intimato di far presto.

“Per favore, non perdiamoci in inutili, quanto patetiche effusioni. Voi non amate me, io non amo voi, ciononostante questo matrimonio va’ consumato e così sarà. Fate quello che sapete, ma fatelo in fretta” 

Joseph l’aveva guardata alla luce tremolante delle sfere luminose appese tutte intorno al loro letto, e nonostante la luce soffusa e calda, ciò che aveva percepito in lei, osservandone i contorni del volto, era soltanto gelido distacco, quasi repulsione.

Non un tremolio nella voce, non uno sguardo schivo, o imbarazzato,  solo lucida determinazione a portare a termine quel “compito”, che lei pensava le fosse stato imposto.

Forse aveva paura e ostentava indifferenza per mascherare il proprio virginale pudore, si era detto lo stregone mezzelfo, mentre le accarezzava dolcemente una spalla.

“Non è paura la mia, se ve lo steste chiedendo... questo nostro non è altro che un mero atto carnale, quasi sempre sopravvalutato dai più. Quindi davvero, niente preamboli...” aggiunse la bella elfa seminuda, sotto al peso del novello sposo, aprendo le gambe in un gesto eloquente.

Il mezzelfo rimase per un attimo interdetto da quello strano comportamento. È vero lui conosceva a malapena Anuviel, e il loro matrimonio era stato combinato e organizzato in tutta fretta, ma ciò non toglieva il fatto che lui aspettasse quella loro prima notte per conoscerla davvero, per farla stare bene tra le sue braccia, per dissipare i suoi timori, per sussurrarle parole dolci all’orecchio, come ogni marito dovrebbe fare. Non certo pensava che si gli sarebbe stato chiesto proprio da lei, dalla sua sposa, di fare tutto come se fosse una semplice “sveltina”.

“Io non credo sia il caso di farlo così... volevo fosse qualcosa di speciale, il primo bel ricordo della nostra nuova vita insieme...” le parole di Joseph uscirono dalla sua bocca un po’ impacciate, ma sincere.

Lei lo sguardo con occhi che mai avrebbe dimenticato, a metà tra l’adirato, offeso e l’indignato.

“Vi ho detto di farlo e basta. Non aspetterò oltre... Questa sarà l’unica volta che vi concederò di toccarmi e vedermi nuda, sia chiaro, e adesso per amor degli Dei, smettete di parlare e pensate al sesso” Anuviel era decisa e non mostrò nulle di sè nemmeno quando pri lui si decise a penetrarla, senza averlama accolta, accarezzata, riscaldata a dovere. Lei voleva così, e lui le stava dando quello che voleva. Mentre i loro corpi fremevano facendo attrito uno sull’altro e lui sentiva i muscoli tesi di lei stringerlo con forza, per un attimo ebbe l’impulso di fermarsi. Joseph si sentiva sporco, come se le stesse facendo violenza, non stava abusando di lei, anzi Anuviel nemmeno lo guardava, né gemeva. 

Lo stregone poteva solo immaginare quanto provasse dolore e il desiderio che tutto finisse in fretta lo percepiva sentendo le dita di lei artigliarsi con forza alle sue spalle. 

Sudato per l’amplesso appena consumato Joseph incrociò il suo sguardo con quello di lei, niente era mutato in quelle iridi verdi e oro, solo un leggero velo opaco tradiva una qualche emozione, a lui preclusa.

“Posso almeno baciarvi, ora che vi ho fatta mia?” Domandò lui, ed in quella domanda c’era una premura tale, che sarebbe stato difficile sottrarsi.

“Non amo essere baciata, da nessuno” disse freddamente Anuviel, prima di sgattaiolare via da lui, come se si fosse appena scottata.

Lui era rimasto solo, accaldato, colpevole e sporco, come se avesse rovinato e sciupato qualcosa di bellissimo.

L’immagine che affiorava spesso alla sua mente era quella di un corvo che strappava le ali ad un cigno, macchiandole di rosso vermiglio e confondendole con le proprie, nere e inadeguate.

Si era sentito così in quella loro prima volta, e unica insieme, e si sentiva così anche in quel momento, con lei che gli sventolava davanti il prezioso diario, e tutta una serie di vaneggiamenti su un figlio ipotetico, un futuro incerto e una profezia assurda.

“Lei mi amava” disse solo con voce bassa.

Anuviel inghiotti a vuoto, lui se ne accorse, ma non cercò di rassicurarla.

“Lei mi desiderava” continuò “Lei mi baciava... mi permetteva di toccarla di stringerla, di annusare la sua pelle...”. Joseph si portò a poca distanza dalla moglie, “voi siate stata solo capace di farmi sentire solo anche mentre ero dentro di voi. E da quella notte orribile è nata quella stupenda bambina che è Erinn. Non intendo però ripetere due volte lo stesso errore...” disse sibilando Joseph.

Era furioso, più con se stesso che con Anuviel, le aveva permesso di tagliarlo fuori dalla sua vita, di usarlo solo come maschio da riproduzione e questo lui non lo poteva accettare. 

Per sei lei anni si era negata a lui, rinchiudendosi nelle sue sontuose stanze, facendo piombare il loro rapporto in un gelido silenzio di convenienza, non degnandolo nemmeno di una carezza, di un po’ di affetto, di una qualche parola gentile. Joseph per Anuviel era invisibile, al pari di un regalo non gradito e dimenticato chissà dove. E ora voleva addirittura concepire un altro figlio, perché una visione lo diceva?

Era inaccettabile, non si sarebbe piegato di nuovo ai capricci e alle richieste assurde di sua moglie, per quanto bellissima e preziosa fosse. 

Lei era l’ultima discendente degli Unamar (1), gli Alti Elfi del mare, dediti al culto della luna e delle maree.

La piccola Erinn, una splendida creatura di cinque anni, vivace intelligente e dalla grazia incantevole, aveva ereditato i poteri della madre, ma per consolidare il potere e la perduta discendenza, occorreva un erede maschio. Peccato però che Joseph portasse, dalla sua, nel sangue, la maledizione del demone, per cui sarebbe stato alquanto improbabile che dalla loro unione nascesse un elfo di puro sangue Unamar.

“E se io facessi tutte le cose che lei ha fatto per te? Allora accetteresti di giacere con me stanotte?” Chiese Anuviel con un filo di voce, pareva diversa, quasi imbarazzata nel dirlo, come se il pensiero di baciarlo le smuovesse qualcosa dentro, qualcosa a cui non aveva mai dato spazio.

“Avresti comunque sei anni da recuperare. Mi hai tenuto qui, in gabbia quasi, come un bell’oggetto da mostrare, ma non hai mai tenuto a me davvero...” Le sue parole ebbero l’effetto di uno schiaffo su di lei, che la risvegliò, la smosse dal torpore e dalla sua tipica indifferenza e noncuranza per le cose e il tempo degli uomini e degli Adanedhel (2) come lui. Il viso del cigno, sempre imperturbabile, quella notte si colorò di rosso e grosse lacrime lo bagnarono, mentre la voce ne usciva avuta e strozzata.

“Perché non te ne sei andato allora? Nessuno ti ha trattenuto in catene” Gridò Anuviel, non si riconosceva, scossa fin dentro le proprie fondamenta, l’anima in subbuglio e le gambe tremanti per la rabbia.

“Sono rimasto per Erinn. Ho amato quella bambina dal primo momento che mi hai comunicato di aspettarla”. Confessò deciso lui, ripensando alla gioia che gli aveva dato quell’inattesa notizia anni prima.

“E a me non ci avete pensato mai?” Chiese fra le lacrime, alzando un muro invisibile fra loro.

“Ci ho pensato sempre, fin dal primo momento che ti ho tenuto la mano come mia moglie...” confessò ancora lui con un tono amaro nella voce.

“Perché non me lo hai detto?”

“Non me lo hai mai chiesto”

Joseph fece un passo verso di lei, Anuviel non si mosse, non lo guardò, le mani strette sui fianchi, nel tentativo di contrastarne il tremore.

“Volevo baciarti quella notte, ricordi? Mi sentivo orribile ad averti preso così. Lo so che tu me lo hai chiesto, me lo hai quasi imposto, ma io non avrei dovuto accettare...io volevo solo vederti sorridere... sentirti viva, insieme a me...” 

Mentre Joseph parlava il suo cuore si alleggerì di un grosso peso, mentre quello di Anuviel si strinse in una morsa di rimpianto. Ah, se solo fosse stata meno altezzosa, meno terrorizzata, meno distante.

Quel mezzelfo era ancora lì, dopo tutte quelle notti solitarie, tutti quegli anni a vedersi rifiutato, Joseph era ancora lì a ricordarle che voleva esserci per lei, che quella prima notte, come tutte le seguenti, avrebbe voluto renderla felice, anche se non l’amava. Non è questa già una gran dimostrazione di dedizione e fedeltà?

E lei, colta dal peso di quella rivelazione e dal senso di tutto quello che si era negata per stupidità, per incomprensione, e per incomunicabilità, ebbe quasi un mancamento.

Lui la afferrò delicato, ma saldo, e le impedì di cadere rovinosamente a terra, adagiandola poi sul grande letto, che per troppe notti aveva condiviso solo con se stesso e i propri pensieri.

“Puoi... puoi baciarmi ora?” La voce ridotta ad un filo, le labbra secche e la gola serrata, Anuviel sentiva il cuore galoppare rimbombandole nelle orecchie.

“Sì, se tu lo vuoi...” 

“Lo desidero da quella notte...” confessò lei, mentre lui le carezzava  ciocche di capelli argentei, sfuggiti all’intricata acconciatura.

Joseph le prese il volto con entrambe le mani, sfiorando deliberatamente con il pollice destro il labbro inferiore, Anuviel istintivamente dischiuse la bocca, mostrando una fila di denti perfetti e bianchissimi. Il mezzelfo si accostò alla guancia di lei posandovi un bacio delicato, lieve come il tocco di una piuma, poi con calcolata lentezza si avvicinò agli angoli della bocca, due linee rosa e sottili, anch’esse perfette, come se quella donna fosse stata creata prendendo a modello una dea.

Anuviel cedette alla tensione e lo baciò lei stessa, non resistendo più alla provocazione.

Piano piano la sua bocca si rilassò e si schiuse, lasciando spazio ad uno scambio più audace, nel quale la lingua di Joseph osò persino sfiorarle i denti.

Si staccarono solo per liberarsi dagli abiti e per guardarsi negli occhi.

“Sei sicura di volerlo?” Chiese di nuovo lui, non senza sentire su di sé lo spettro di ciò che era stato anni prima.

“Se fosse bello anche solo la metà di come è stato questo bacio, certamente sì, lo voglio...” disse lei, con un lieve sorriso ad incresparle le labbra.

“Potrebbe esserlo anche di più, ma dipende anche da te...” le ricordò Joseph, splendido nella sua nudità esposta, nella sua imperfezione data dai marchi e dalle cicatrici sul corpo, che contrastava nettamente, col candore di lei.

Lui era oscuro, suo malgrado, come un cielo notturno senza stelle, lei una luna piena e splendente. Lui era un corvo dalle ali troppo grandi, lei un cigno che non sa di poter volare.

Si amarono intensamente, per la prima volta, dopo tanti anni, fatti di silenzi, di muri, di gelide notti.

La stanza si riempì del loro desiderio, dei loro gemiti e di quel calore che a entrambi era mancato.

Fu così che qualche mese più tardi nacque un bambino, un maschio, frutto di quella notte di passione, così come aveva predetto la visione e fu chiamato Simenon.

Simenon Vargas, figlio di un Nephilim e dell’ultima discendente di sangue puro degli Unamar, un bambino benedetto, o così, loro speravano.

 

 

Note al testo:

  1. Gli Unamar sono una razza di elfi che mi sono inventata. Hanno un legame strettissimo con i cicli lunari, le maree, le visioni, e si uniscono solo fra di loro. Considerano tutti gli altri non elfi, non Unamar, inferiori, incapaci di decifrare il delicato equilibrio che c’è tra il mondo, la luna, che è sacra, e le visioni.
  2. Adanedhel significa mezzelfo, o mezzuomo, a seconda di chi appella chi, comunque è inteso in senso dispregiativo dagli elfi verso gli altri.

 

 

Note dell’autrice: come sempre ringrazio le splendide ragazze del gruppo Facebook “boys love” per l’ispirazione e il sostegno, nonché l’amicizia e l’allegria che mi donate. Grazie, questa nuova OS è per voi!

   
 
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