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Autore: jarmione    24/01/2019    2 recensioni
“Cosa guardi, bambina?” chiesero.
“Sto guardando il mio amico”
*****
La bambina lo supplicò, cercò di fermarlo, ma fu inutile.
Kenikie uscì dalla stessa porta da cui era entrato e da quel giorno lei non lo vide più.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Dai, gioca con me!” esclamava allegramente sistemando i pupazzi sulle seggioline attorno al tavolo rosa.
Tazzine da gioco erano pronte per essere colmate del finto tè che avrebbe gustato assieme al suo migliore amico.
Versò l’immaginario contenuto, ma non parlava ai suoi orsacchiotti o alla piccola Dolly che i genitori le avevano regalato per il suo quarto compleanno, avvenuto pochi giorni prima.
Conversava tranquillamente del più e del meno, mentre il suo amico Kenikie l’ascoltava.
 
*****
 
Seduta sul ramo dell’albero che aveva in giardino, con le gambe a penzoloni, osservava in direzione del parco.
Tutti i suoi compagni di scuola stavano giocando fra di loro e lei non era stata invitata, cosa che, comunque, non le importava.
Lei se ne stava lì, appollaiata sull’albero, a sbuffare.
Poco dopo scese giù e andò a sedersi sull’altalena che suo padre le aveva costruito per il suo settimo compleanno.
Fissò il vuoto con fare annoiato poi, all’improvviso, sorrise felice.
Il suo migliore amico era arrivato “Finalmente, sei arrivato!” esclamò “mi spingeresti?” e lui eseguì.
 
*****
 
La ragazza osservava dall’alto delle scale ciò che stava accadendo nel salotto di casa sua.
Due uomini vestiti di bianco e sulla mezza età, parlavano con i suoi genitori e ponevano delle domande per lei incomprensibili.
Avvoltoi, li chiamava il suo amico Kenikie che, qualche giorno prima, li avevano visti aggirarsi attorno alla casa con fare furtivo.
Poco dopo, i genitori la chiamarono e la lasciarono sola con i due signori dall’aria poco amichevole.
“Quanti anni hai?” le domandarono.
“Undici e mezzo” rispose lei tranquillamente, voltandosi verso Kenikie che la osservava dalla cucina.
“Cosa guardi, bambina?” chiesero.
“Sto guardando il mio amico”
 
*****
 
Il suono del campanello la fece sobbalzare e lo sguardo di Kenikie si fece cupo.
“Meglio andare a vedere” le disse.
Lei chiuse il libro che stava leggendo e scese le scale fino a metà, dove si bloccò ed avvertì una morsa allo stomaco.
C’erano i due uomini in bianco, gli avvoltoi, della settimana passata.
Perché la guardavano in modo strano?
E perché avevano in mano una strana giacca con le cinghie?
“Mamma, perché piangi?” chiese iniziando a spaventarsi “che succede?”
“È per il tuo bene, bambina” disse uno degli avvoltoi, avvicinandosi alla ragazza e bloccandola con la forza per permettere all’altro di farle indossare la strana giacca con le cinghie.
La ragazza iniziò ad urlare “Kenikie, aiuto!”
Ma lui non potè intervenire e rimase immobile ad osservarla con occhi sgranati mentre la portavano via di peso.
 
*****
 
“Forza bevi” ordinò un’infermiera molto robusta, entrando senza bussare nella stanza vuota che le avevano dato.
Lei rifiutò e si voltò dall’altra parte.
Se ne stava seduta sul letto metallico, i capelli sciolti e spettinati che le coprivano il volto.
Era in quel luogo solo da due giorni, ma avrebbe preferito morire piuttosto che restarci.
Aveva capito troppo tardi che i suoi genitori l’aveva spedita in un centro di cure mentali; credevano fosse pazza.
Ma perché?
E perché Kenikie non era intervenuto?
“Ho detto bevi!” sbottò la donna all’ennesimo rifiuto, alzandola di peso e facendole poi ingurgitare a forza ciò che conteneva il bicchiere di plastica.
Urlare non fece che aumentare l’ira della donna, che le diede un colpo con un manganello obbligandola ad inginocchiarsi sul pavimento.
Iniziò a piangere, ma alla donna non importò.
“Tra un’ora ti sarai calmata” disse l’infermiera uscendo e chiudendo la porta blindata a chiave.
Dopo quasi cinque minuti, la porta si riaprì e gli occhi della ragazzina si illuminarono.
“Kenikie!” esclamò fra le lacrime, alzandosi e avvicinandosi al suo amico.
Lo strinse forte e venne ricambiata.
Passò le sue mani sul volto dell’uomo, che le sorrideva dolcemente.
“Portami via” lo implorò.
“Non posso” rispose lui “non ho questo potere e nessuno me lo può dare”
“Non voglio stare qui!” ribattè lei, tirando su col naso “voglio andare via, voglio venire con te”
Ma lui scosse la testa e la strinse di nuovo forte, cercando di calmare quel pianto irrefrenabile.
“Sto per andarmene” mormorò lui.
Lei lo strinse di più “Tornerai?” domandò “dimmi che tornerai o non ti lascio andare”
“Credo che non riuscirò più a tornare”
A quella risposta il pianto divenne a singhiozzi tali da farle mozzare il fiato.
Kenikie le diede un bacio sulla fronte e poi si alzò “Ti voglio bene” le disse.
La bambina lo supplicò, cercò di fermarlo, ma fu inutile.
Kenikie uscì dalla stessa porta da cui era entrato e da quel giorno lei non lo vide più.
 
*****
 
Era il 1950 quando lei venne portata in un ospedale psichiatrico.
Era il 1951 quando dissero ai genitori che la bambina vedeva persone inesistenti.
Era il 1952 quando venne dichiarato il decesso.
  
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