Crossover
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Autore: Registe    24/01/2019    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 25 - Axel (VI)





Roxas e Axel





“Axel … cos’è quell’oggetto?”
“Aspetta e vedrai!”
A detta di Larxen era facilissimo. Una cosa da neonati. Ma a detta di Larxen anche battere il n. V a braccio di ferro era semplice.
Doveva solo attaccare i cavi nell’ordine che le aveva detto.
Axel si mise in punta di piedi sul bordo della sedia, facendo luce con le fiamme per guardare dentro il buco che la n. XII aveva fatto sul soffitto della camera di Roxas mentre il proprietario dormiva.
Vide una massa di fili, ed erano tutti alla rinfusa. “Questo oggetto ti cambierà la vita, parola mia!”
Con una certa titubanza ne afferrò uno ed iniziò a collegarlo.
Un pianeta baciato da un sole fioco, per di più per poche ore al giorno, non era stata la scelta più felice per un ragazzo che aveva scelto come proprio elemento la luce: nei mesi successivi allo spostamento Roxas aveva avuto continui malesseri e svenimenti improvvisi che avevano messo a dura prova la pazienza del n. IV. Lo stesso Axel aveva faticato ad adattarsi a quel posto gelido, ma per il n. XIII non vi era stato molto da fare: privo della sua principale fonte di energia, il ragazzo dormiva quasi venti ore al giorno di un sonno così profondo che le prime volte lo aveva persino spaventato.
Ed Axel si era sentito in dovere di rimedire.
“Lo hai comprato in un altro mondo? Anche se il Superiore ha vietato di andarci?”
“Oh, lo sai che non sono bravo ad ubbidire agli ordini. E poi non l’ho esattamente comprato …” disse, lasciandosi scappare un sorriso compiaciuto al ricordo di Larxen che distraeva i commessi mentre lui se la svignava con la refurtiva.
Era pronto a ricevere l’ennesimo rimprovero sulla sua condotta peccaminosa, quindi decise di concentrarsi sul secondo filo di corrente ed iniziò ad armeggiare con l’oggetto per tenerlo in posizione. Si accorse solo dopo dell’enorme paio di occhi azzurri che lo fissavano dal basso con fare interrogativo “Ti serve una mano, Axel?”
Perché, in effetti, in piedi su una sedia traballante con un enorme lampadario nella mano sinistra e le dita della mano destra in un buco del soffitto pieno di fili non era esattamente l’immagine dell’affidabilità e del successo.
“Sembro veramente così in difficoltà?”
“Sì. Molto”
Prese un’altra sedia e gli venne accanto, anche se con le sue gambe corte e malferme non arrivava ai cavi nemmeno con la fantasia. “Non è che chiederesti ai tuoi dèi di illuminare con la loro suprema grazia questo buco? Larxen ha messo questi fili chiaramente sotto ispirazione dello Spiromorfo!”
“Gli dèi non vanno scomodati per montare oggetti” gli rispose il piccoletto. Axel lo vide concentrarsi con una smorfia, poi dal palmo della sua mano uscì una piccola sfera luminosa. Era chiaro che in quel mondo in penombra anche solo creare una simile sciocchezza gli costasse molta più energia del solito. La sfera fluttuò proprio nella cavità, appoggiandosi sopra i fili per concedergli di vedere.
“Allora ogni tanto la usi quella cazzo di magia …”
In effetti Larxen doveva essersi davvero divertita ad ingarbugliare quei fili di rame come una matassa.
Ci mise quasi mezz’ora a venirne a capo, attaccandoli l’uno all’altro e stringendo un paio di viti senza perdere di vista il ragazzino nel timore che si potesse addormentare anche in piedi sulla sedia. Riproponendosi di non rubare mai più un oggetto simile -o, in alternativa, di non provare a montarlo da solo- applicò l’ultimo cavo e lasciò il lampadario pendere dal soffitto. Sebbene l’effetto fosse più simile a quello di un gatto impiccato che di uno strumento atto a fare luce, l’espressione contenta sul volto del più piccolo gli fece capire che non aveva sprecato il proprio tempo. Le cinque lampadine all’interno erano ancora spente, ma accenderlo era l’unica parte facile.
“Vedrai, adesso viene il bello! Pronto alla grande festa?”
Non aveva ben chiaro il funzionamento di quella “elettricità”, ma aveva visto la n. XII accendere tante di quelle lampadine che non aveva bisogno di saperne di più. Si leccò per bene le dita della mano sinistra e le spinse su per il soffitto, in mezzo ai cavi.
“E luce fu!”
L’attimo dopo lui e Roxas si ritrovarono a terra, bruciacchiati come se un fulmine fosse calato dal Nirvana dritto sulle loro teste.
Oltre la porta della stanza avrebbero sentito le risate della Ninfa Selvaggia persino nell’altra parte dell’universo conosciuto.
 
 
 
Si teleportò nella stanza di Roxas con tutta la velocità che aveva, quasi si sentisse Saïx già alle calcagna. Nella foga si concentrò in modo pessimo ed aprì il portale proprio sul comodino, travolgendo quello, la lampada ed i libri.
Il proprietario della stanza non si svegliò.
Probabilmente non lo avrebbe fatto nemmeno se Axel gli avesse distrutto l’intera libreria ed i due armadi.
Si avvicinò al letto e lo strattonò, ma una bambola sarebbe stata più reattiva.
Maledicendo Saïx, il Superiore ed almeno un’altra dozzina di persone aprì un secondo portale e vi spinse dentro il ragazzo senza troppi riguardi.
Doveva sapere.
Non appena atterrarono nel vicolo si richiuse il portale, fissando ogni singolo strale oscuro spegnersi nell’aria nel timore che qualcuno lo attraversasse all’ultimo secondo.
Si sentiva l’odore della carne di Xigbar sulla tunica.
“Che succede, Axel?”
Sebbene il vicolo fosse in ombra, la poca luce di quel mondo era stata più che sufficiente a risvegliare il suo amico. Le iridi e le pupille del ragazzo si allargarono all’istante. “Una missione urgente?”
“Missione no. Urgente sì” rispose. “Dobbiamo parlare”.
 Il suo occhio affilato di ladro si accorse subito di un paio di soldati all’estremità del vicolo che lanciarono un’occhiata sospetta nella loro direzione. Si limitò a rimettere in piedi il ragazzo, a strattonarlo un po’ e lo sospinse in mezzo alla strada, tra la folla.
Non aveva idea del perché il suo cervello avesse scelto come primo luogo per fuggire la città di Ulnar, nel cuore del Magnamund: era un mondo arretrato come tanti, senza nulla di particolare. La capitale aveva un livello di civiltà un po’ più avanzato, ma la mancanza di elettricità o qualsiasi altra tecnologia lo rendeva un pianeta “primitivo”. Forse gli ricordava il loro mondo, ma senza i demoni.
La statua di una chissà quale divinità armata di una spada di luce attirò l’attenzione del giovane, che si fermò e fece un cenno di rispetto. Axel si accorse che la folla era fitta, ed in quel punto il ragazzo non sarebbe potuto comunque andare molto lontano.
Provò a formulare un inizio decente, ma non era mai stato portato per la retorica e le frasi ad effetto. “Hai fatto tu la soffiata al Superiore?”
I due grandi occhi blu si voltarono verso di lui, interrogativi. “… cosa? …”
“Non mi ripeterò due volte. Hai detto tu al Superiore del complotto? Come lo hai scoperto?”
Roxas lo fissò come se fosse appena diventato un enorme mostro verde. E, sebbene non avesse l’olfatto prodigioso di Zexion, il n. VIII sapeva che il ragazzo era assolutamente incapace di mentire a dovere. Non era in grado di essere convincente nemmeno per bugie organizzate per fare qualche scherzo ai loro compagni, figuriamoci se preso a bruciapelo. Il n. XIII mosse qualche passo all’indietro, ma Axel lo afferrò per il polso e lo fissò. “Xigbar ha fatto il tuo nome”.
“Ma io non …”
“Ho bisogno di sentirlo da te. E credo di meritarmi una spiegazione”.
 
 
“Lo sai cosa ne penso, Marly. Questa storia del veleno non mi piace”.
“Ecco perché ti ho fatto chiamare. Ci sono delle novità”.
Il n. XI camminava dietro le sbarre della cella come un principe nel suo castello. La sua fottuta nobiltà gli traboccava da ogni poro assai più di quanto avesse fatto negli ultimi due anni, e nella durata di pochi passi ad Axel parve di vedere Bocciolo di Rosa quasi felice di essersi sbarazzato della maschera di bravo Membro dell’Organizzazione ubbidiente. “Il n. IV sta lavorando ad un sonnifero abbastanza potente da stendere persino Saïx. Quindi niente spargimenti di sangue, proprio come piace a te”.
“Ed hai modificato il tuo grande piano solo per farmi contento? Ma fammi il piacere, Marly!”
Axel non poteva dire che quella storia del complotto gli dispiacesse del tutto. Che il n. XI fosse un grandissimo bastardo non era mai stata una novità, ma dietro quello che aveva fatto alla sua famiglia rivale c’era un atto di sfida nei confronti del Superiore che non era rimasto indifferente a nessun abitante del Castello.
Forse era stato quello il motivo che lo aveva spinto ad accettare di incontrarlo nella sua cella, tre giorni prima.
“L’omicidio è un mezzo, non un risultato. E, nonostante le nostre giuste differenze, io e te siamo simili, n. VIII” sussurrò l’uomo dai capelli rosa “Ci interessa solo ottenere un risultato. E ottenerlo nella maniera più rapida e sicura possibile”.
“Mettiamo bene in chiaro un dettaglio, Bocciolo di Rosa: io e te non siamo simili. Dei poteri delle Stanze della Memoria non me ne frega nulla, e ti dico chiaro e tondo che se desideri riprendere la tua crociata contro i demoni per liberare gli umani la farai senza di me. Intesi?”
Nonostante l’offesa, il n. XI continuava a sorridere. Spostava il peso del corpo da un piede all’altro con incredibile naturalezza, senza tradire alcun nervosismo. Al contrario, appariva divertito “Stai tranquillo, n. VIII, non ho mai fatto appello al tuo istinto filantropico e, credimi, non inizierò adesso soltanto perché sono chiuso in una cella. Tu hai un obiettivo, io il mio, ed è solo una coincidenza che corrispondano”.
Sbarazzarsi di Saïx, quello era il primo obiettivo di Axel. Il mastino personale del Superiore era diventato, se possibile, ancora più paranoico ed insopportabile dopo aver scoperto di un ribelle come il n. XI in grado di sfidare la volontà del suo padrone. La lontananza dalla luna aveva reso il licantropo ogni giorno più furioso ed instabile.
“Secondo errore, Marly. Tu credi di conoscere il mio obiettivo …”
Con il Superiore era un altro paio di maniche. Senza quel Radigata pazzo e fuori dagli schemi probabilmente sarebbe stato uno dei tanti ladri affamati dei bassifondi del suo villaggio, o forse uno cadavere lasciato nei campi, ucciso da una coltellata volante durante una rissa. Certo, non lo aveva mai considerato un “padre”, ma sapeva di avere con quell’uomo un debito davvero difficile da ripagare. Anche le sue decisioni assurde, specie quella di isolarsi in un mondo disabitato, buio e freddo, non gli avevano mai fatto mancare un tetto sulla testa o un piatto di cibo caldo. Uccidere lui, così come tutti gli altri, era stato fuori discussione.
Specie all’idea della reazione di Roxas. “… ma ti avviso, sei fuori strada”.
Escludere il ragazzo dal complotto era stata una sua ferrea volontà, e fortunatamente né Marluxia né Larxen si erano opposti. Ma sapeva che, prima o poi, qualcuno avrebbe dovuto spiegare al ragazzo come mai più di metà dell’Organizzazione fosse svanita nel nulla come per magia: e non avrebbe potuto delegare quel compito a nessun altro.
Forse era stata l’assenza di una valida bugia a farlo tentennare. “Comunque questa idea del sonnifero non mi dispiace. Per una volta quel vecchio gufo del n. IV ne ha pensata una giusta”.
“Sai, Axel, sto iniziando a sospettare che tu e Vexen siate più simili di quanto immagini. Avete dei problemi … “affini”, se mi passi la considerazione”.
“No, non te la passo. Ma approvo questo piano, fammi mandare a chiamare da Larxen quando è tutto pronto!” rispose, poi si allontanò dalle sbarre ed intraprese le scale. Non riuscì però a levarsi la sensazione che i due occhi blu fossero puntati contro la sua schiena, pronti a conficcarsi come un coltello tra le sue scatole. “Mi auguro solo che il tuo dolce amichetto sia così stupido da credere a tutte le bugie che dovrai raccontargli, Axel”.
 
 
Il ricordo delle parole di Marluxia gli scosse la schiena come un tocco gelido.
Aveva trascorso gli ultimi giorni immaginando miliardi di scenari: nella maggior parte dei casi si trattava di futuri dove avrebbe inventato a Roxas una bella frottola di comodo, per esempio che gli altri fossero partiti per una missione urgente e non fossero più tornati. Quasi sempre il nanerottolo piangeva, tentava di organizzare inutili squadre di ricerca per poi abituarsi lentamente all’assenza.
In altre situazioni, più rare, gli avrebbe confessato tutto a complotto finito; certo, ovviamente condito con le dovute rivisitazioni, ma vi erano persino dei momenti in cui Axel aveva osato sperare di trovare il coraggio di vuotare il sacco davanti a quel piccoletto.
In qualsiasi scenario, però, Roxas piangeva.
Un pianto diverso ogni volta, con vari sussurri e preghiere inframezzate, ma non vi era alcuno scorcio del futuro in cui il viso del ragazzo non fosse attraversato da un dedalo di lacrime.
Tranne nella scena che gli si stava parando davanti agli occhi.
“Cosa sta succedendo, Axel?”
Nonostante avesse la mano bloccata dalla sua, sul viso del n. XIII si alternavano la preoccupazione, il dubbio ed il sospetto che il suo migliore amico fosse impazzito del tutto. Ma nessuno squarcio di paura. “Non ho idea di cosa tu stia parlando. Per favore, lasciami”.
“Lo sai qual è la cosa divertente? Che potresti essere del tutto innocente o il miglior attore che abbia mai incontrato”
“Forse, se mi dicessi cosa …”
“Te lo ho già detto. Hai rivelato al Superiore il nostro complotto”
“Ma di quale complotto vai parlando? Sei ubriaco?”
Gli sarebbe piaciuto esserlo, ammise tra sé. Essersi scolato tutta la birra del Diadema di Rame ed essere tornato al Castello convinto fradicio che fossero stati scoperti, ed al massimo di aver avuto col n. II una sana scazzottata di quelle che scappavano sempre quando entrambi alzavano il gomito. E nulla altro.
Purtroppo, però, non era mai stato così lucido e confuso allo stesso tempo. “Ti ho già detto che Xigbar ha …”
“Cosa, Axel? COSA?” rispose senza sottrarre il polso “Io non vedo Xigbar da più di due settimane! La sera è sempre in giro con Xaldin, e quando siamo a tavola con il Superiore ci sei anche tu? Cosa dovrei aver fatto, ti prego, dimmelo! È da quando è successa quella cosa dei Keyblade che …”
“Lasciamo fuori quelle chiavi e quel tipaccio nelle Stanze della Memoria, va bene? Per una volta sto parlando di qualcosa molto più … problematico. Tipo Saïx che a breve vorrà la mia testa, per dire un piccolo quanto cruciale dettaglio!”
“Allora dimmi cosa è successo. Ti prego”.
Le parole cariche di veleno del n. XI gli ritornarono alla mente tutte insieme.
Le bugie che aveva pensato, così come le giustificazioni per se stesso.
Non poteva essere stato Roxas a tradirli, non con quella voce o con quegli occhi. Roxas che lo fissava, immobile, senza approfittare della folla e della luce del sole per dileguarsi.
Roxas che era una schiappa a mentire, e non aveva mai avuto un’espressione così sincera.
Si diede dell’idiota.
Xigbar aveva chiaramente mentito al n. IV, ma le motivazioni se le era portate con sé nel Nirvana.
Un tassello del mosaico gli mancava, e al ricordo di quello che era accaduto solo un’ora prima gli tremarono le mani. Lasciò andare il polso del ragazzo, spaventato dalla sincerità di quegli occhi blu e dalle risposte che stavano implorando. “Non posso”
“Ma …”
“Ti prego. Non posso. Non ora”
Dietro le sue palpebre, il sorriso da sparviero del n. XI si allargò.
“C’è una cosa che devo scoprire. E devo farlo subito”.
Non riusciva a comprendere il motivo che avesse spinto Xigbar a nominare Roxas, ma se davvero il n. IV avesse raccontato questo dettaglio a gente come Larxen le cose sarebbero cambiate.
Nessuno sarebbe stato clemente con un traditore, loro che stavano creando un complotto.
E la vita di quel marmocchio che aveva raccolto nel bosco due anni prima era qualcosa che non aveva alcuna intenzione di perdere. “Aspettami qui, in questa piazza. Non ti muovere, non andare dove non posso ritrovarti”.
L’altro fece per rispondere, ma non gliene diede l’opportunità. “Non tornare al Castello per nessun motivo al mondo, chiaro? Non aprire nemmeno un portale grande come una noce! Ci sono delle cose che devo assolutamente sistemare. Ma verrò a prenderti, tranquillo, entro stasera sarò di ritorno!”
Cercò di non fissarlo nelle pupille, ma quando voltò la testa non poté nascondere a se stesso che adesso, più che in qualsiasi altro momento, un velo di terrore e preoccupazione aveva attraversato il viso del n. XIII.
“Roxas … ti fidi di me?”
“Ma certo, Axel. Ti imploro, che cosa …”
Non aveva esitato nemmeno un istante nel rispondergli. Questo fu per Axel la prova definitiva.
“Allora rimani qui e non muoverti. Torno tra poco!”
Si allontanò di corsa da lui, lanciandosi nella folla del mercato. Sapeva che il piccoletto lo avrebbe seguito, ma gli anni trascorsi fuggendo dalle guardie del suo villaggio gli tornarono nelle gambe e scattò fino al vicolo in cui si erano teleportati poco prima. Si gettò tra le ombre ed aprì il varco oscuro.
Si ritrovò di nuovo nella stanza di Roxas, solo.
Fissò il punto dove era riemerso per oltre un minuto, temendo che il nanerottolo provasse a disubbidirgli ed a corrergli dietro, ma nessuna spira nera si disegnò contro le pareti bianche.
Doveva agire in fretta, e scoprire perché gente come Xigbar -e quindi il Superiore- avesse deciso di fare il nome di Roxas in quella faccenda, e impedire a Vexen di raccontare il tutto agli altri. Fece per aprire un altro varco, stavolta diretto al laboratorio del n. IV, quando una sensazione pungente lo attraversò lungo il corpo, bloccandogli le gambe in una morsa. Le mani persero l’incantesimo di trasporto, e prima di collassare a terra, col freddo piantato fin dentro il cervello, gli parve di sentire una voce.
“Sapevo che non ci avresti mai creduto”.
  
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