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Autore: Alexa_02    25/01/2019    1 recensioni
Julianne ha tutto ciò che potrebbe mai desiderare, quando guarda la sua vita non c’è una virgola che cambierebbe. È così sicura che ogni cosa andrà nel giusto ordine ed esattamente come se lo aspetta, che quando si sveglia e trova la lettera di addio di sua madre non riesce a capacitarsene.
Qualcosa tra i suoi genitori si è incrinato irrimediabilmente e April ha deciso di scompare dalla vita dei figli e del marito senza lasciare traccia o la benché minima spiegazione.
Abbandonata, sola e ferita Julianne si rifugia in sé stessa, perdendosi. Una spirale scura e pericolosa la inghiotte e niente è più lo stesso. Julianne non è più la stessa.
Quando sua madre si rifà viva, è per stravolgere di nuovo la sua vita e trascinare lei e suo fratello nell'Utah, ad Orem, dalla sua nuova famiglia.Abbandonata la sua casa, suo padre e la sua migliore amica, Julianne è costretta a condividere il tetto con cinque estranei, tra cui l'irriverente e affascinante Aaron. Tra i due, da subito, detona qualcosa di intenso e di forte, che non gli da scampo.
Può l’amore soverchiare ogni cosa?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Julianne

 

Fino a ieri, la nottata peggiore della mia vita era quella in cui avevo sperimentato per la prima volta i sintomi dell'astinenza. Avevo vomitato dieci volte di fila, tremato e sudato alla stesso tempo e urlato così a lungo che avevo perso la voce. Tutto ciò non è stato nulla in confronto a dover sentir piangere mio fratello per tutta la notte. Henry ha singhiozzato nel mio cuscino così a lungo che ormai è da strizzare. Non ho chiuso occhio nemmeno per dieci minuti, nemmeno quando ha finito le energie e si è assopito. Ho continuato a guardarlo per controllare che stesse respirando e che non andasse in mille pezzi tra le mie lenzuola. Tutta la storia di Dylan lo ha prosciugato, soprattutto quando lui ha negato i suoi sentimenti davanti a tutti, incolpando Henry della sua sessualità. Oggi gli conviene non arrivarmi troppo vicino, non sono sicura di riuscire a controllarmi.
“Jules” sospira roco rigirandosi tra le lenzuola. “Che ore sono?”.
Lancio un'occhiata alla sveglia. “Le sei e trenta. Dormi ancora un po'”.
Si stropiccia gli occhi gonfi e arrossati. “Devo prepararmi, oggi c'è scuola”.
Gli accarezzo i capelli. “Magari possiamo rimanere a casa. Mangiamo schifezze, guardiamo pessimi programmi alla tele e ci dimentichiamo del mondo. Che ne dici?”.
Scuote la testa. “Ho il compito di biologia”.
Sbuffo. “Potresti saltarlo, non morirà nessuno se oggi ti prendi una pausa”.
Scalcia le coperte. “Ho già creato abbastanza problemi, non voglio che la scuola ne diventi un altro” Si alza ondeggiando. “Jim non mi guarda più negli occhi e non credo che ricomincerà a farlo molto presto”.
“Mandalo al diavolo!” sbraito “Mandali tutti al diavolo. Non hai bisogno di persone del genere nella tua vita”.
Corruccia la fronte infastidito “So che ami fare terra bruciata intorno a te, Jules, ma questo non significa che io debba fare lo stesso. So più maturo di così”.
Stringo le braccia al petto cercando di non offendermi. “Grazie, Henry”.
“È la verità e ogni tanto fa male” sospira “Impara ad accettarla prima che sia troppo tardi”. Apre la porta e sparisce lasciandomi a digerire le sue parole cariche di dolore e risentimento.

 

 

Dopo una doccia bollente, indosso un paio di jeans a vita alta, una canottiera, un cardigan morbido e mi dirigo verso la cucina. Saltello ondeggiando pericolosamente mentre entro nella stanza e mi infilo gli stivali. Il caos mi avvolge prima che riesca ad alzare la cerniera. Liv urla così forte che ho quasi l'impressione che i vetri tremino. Mamma cerca di calmare la sua crisi abbracciandola e cercando di mettergli in mano la sua rana preferita. Cole si scaraventa in bocca secchiate di cereali e sbatte le dita contro il telefonino. Andrew fissa il vuoto nel bel mezzo di uno dei suoi momenti depressi e ha la stessa espressione che ha Henry mentre spilucca il suo muffin in un angolo.
“Tesoro, ti prego” mugola la mamma “Devi prepararti o finiremo per fare tardi”.
“Voglio papà!” strilla Liv sbattendole contro la rana arancione “Voglio il mio papà!”.
“Papà è andato a lavorare molto presto, oggi non può portarti all'asilo” sospira la mamma “Ma ci sono io”.

Liv grugnisce schifata e agita la rana con più irruenza. “Non voglio te! Voglio papi!”.
Entro in cucina in più silenziosamente possibile e afferro una ciambella glassata e una tazza di caffè.
“Julie”sospira.

Merda. “Dimmi, mamma”.
“Ho bisogno del tuo aiuto” geme “Devo finire di impacchettare i dolci per la fiera della scuola di Cole, puoi aiutare Liv a preparasi?”.
Ovvio, tocca a me la patata bollente. “Posso sistemare io i dolci”.
Mi lancia una lunga occhiata assassina. “Per favore”.
Che palle. “Va bene”. Mi avvicino e cerco di prendere in braccio Olivia, ma lei in risposta mi colpisce con la rana di peluche dritta sul naso. “Ahi”.
“Non voglio te” brontola.
Nemmeno io. “Liv, collabora, per favore”.
Mamma si dilegua come una razzo, lasciandomi con una bimba capricciosa e un umore sempre più nero. Cerco di prenderla ancora in braccio ma lei usa di nuovo la rana per malmenarmi, questa volta in un occhio. “Non voglio!”.

“Ranocchietta!” la rimprovera Aaron dalla soglia “Cosa abbiamo detto sulle botte?”.
Mi giro verso di lui e la rabbia evapora come limonata al sole. È bello da fare invidia ad un dipinto di Monet. I capelli spettinati, la giacca di jeans e i pantaloni sdruciti completano un'opera già perfetta di partenza. Mi tremano le ginocchia e quando si avvicina il cuore mi sbatte contro le costole con forza. “Non bisogna mai picchiare nessuno, nemmeno per gioco” borbotta Liv imitando il tono di Aaron. “Scusa, Julie”.
Solo con lui si comporta come un cucciolo dolce e ubbidiente, non è giusto. “Tranquilla”.
La afferra per la vita tirandola su dal tavolo. “Perchè ora non viene con me e Jay e ti aiutiamo a prepararti? Puoi vestirti come preferisci”.
Le ridacchia arrampicandosi sul fratello. “Va bene, Ron-Ron”.
Se bastava così poco, ero capace pure io. Mi fa l'occhiolino e si avvia verso le scale. Sbruffone. Mi godo la visione del suo sedere stretto nei jeans scuri e il modo in cui la giacca gli fascia la schiena. È uno sbruffone molto sexy.
 

Al piano superiore, Liv lancia per aria tutto il suo armadio e opta per un look molto audace. Sceglie un paio di pantaloncini color mela, delle calze con le stelline e un bel maglione arancione con delle rane di brillantini. Tutto quanto è messo in risalto da una coroncina da principessa. Vorrei avere la sua sicurezza nel vestirsi.
La piccola peste si chiude in bagno e comincia a prepararsi lasciandoci soli in camera sua. Aaron mi stringe tra le braccia prima ancora che Liv abbia del tutto chiuso la porta. Il suo odore mi rilassa all'istante. Mi aggrappo alle sua spalle come ad una scialuppa di salvataggio.
“Mi sei mancata” sospira tra i miei capelli.

“Anche tu”.
Allenta l'abbraccio ma continua a tenermi le mani sui fianchi. “Henry come sta?”.

È bellissimo ma non riesco a non notare che ha il viso stanco e gli occhi arrossati. “Male. Non sembra neanche più lui. Tu come hai dormito?”.

“Mi dispiace da morire per lui, vorrei poterlo aiutare. Dylan ha fatto proprio lo stronzo” Inclina la testa e sorride. “Ho dormito molto bene”.
Gli accarezzo la guancia lievemente ispida. “Non ho chiesto una bugia, Aaron”.
Si china verso di me sfiorandomi il naso con il suo. “Non voglio dirti che non ho chiuso occhio tutta la notte perché ormai mi sono abituato a dormire nell'incavo del tuo collo ed ad avere intorno il tuo profumo meraviglioso. Non voglio dirtelo perché so che ti sentiresti in colpa e perché sono convinto che hai fatto bene a dormire con tuo fratello, visto che ieri sembrava molto più che a pezzi”.

Mi sento comunque in colpa. “Mi dispiace”.
“Non devi”. Chiude gli occhi e appoggia la fronte alla mia. “Ma sono sicuro che saprai come farti perdonare...”.
Il suo tono caldo mi fa vibrare lo stomaco. “Ho una mezza idea...”.
Mi posa un braccio intorno alla vita attirandomi contro il suo corpo. Lo bacio piano sulle labbra. Un bacio dolce, tenero e perfetto, come lui. Dura un secondo, perché prima che riesca a rendermene conto tutto si fa più intenso. Le sue dita mi stringono sopra i vestiti e tra i capelli. Ogni muscolo del mio corpo si tende come una molla pronta a scattare. Mi spinge delicatamente contro il muro e intensifica il bacio. Lo sento ovunque, dalla testa ai piedi. Vorrei che non smettesse mai, ma proprio quando l'elettricità si intensifica la voce di Liv arriva dal bagno. “Sono pronta” annuncia “Volete vedere?”.
Aaron si allontana con un sforzo e geme di frustrazione. “Ne riparliamo dopo”. Si sposta di lato aggiustandosi i capelli e i pantaloni. “Vieni fuori, Livvie”.
Lei esce dal bagno con una piroetta e sfilando come una modella di Victoria. Il suo completo la fa assomigliare ad un cono stradale, ma è adorabile quindi fingiamo che vada bene così.

“Sei bellissima, ranocchietta” sentenzia Aaron.

Lei ridacchia come una delle ochette che di solito gironzolano intorno a lui. “Grazie”.
Oh, come ti capisco. “Forza” li esorto “È ora di andare a scuola”.

 

 

Davanti al mio armadietto, infilo i che mi servono nello zaino e lascio quelli che mi ero portata a casa. Cerco di auto convincermi che, se ci credo con fermezza, la giornata migliorerà. Non riesco a far passare nemmeno un minuto da quel pensiero, che la situazione si capovolge in maniera indicibile. L'anta di metallo sbatte con irruenza rischiando di tranciarmi la mano di netto. “Sei solo una puttana!” sbraita Nicole con il viso rigato di lacrime al mascara.
Sono del tutto impreparata. “C-cosa?” balbetto.
Lei non mi risponde, alza la mano e mi colpisce con forza la guancia. Non sono pronta ad incassare e arranco all'indietro, cadendo rovinosamente a terra. Il mio culo sbatte sul linoleum, procurandomi una fitta che si sovrappone al bruciore al labbro. In corridoio cala il silenzio e gli studenti incuriositi ci accerchiano. Vorrei parlare o fare qualcosa ma sono del tutto congelata. Nicole trema come una foglia in mezzo ad una tempesta e fissa la sua mano ancora alzata a mezz'aria. Sembra bloccata tra lo stupore e l'appagamento, indecisa su come reagire. Non impiega molto a decidere e prova a saltarmi addosso, ma il braccio di Matt la intercetta. “No, Niki, smettila!” tuona stringendola e trascinandola nella direzione opposta.

Lei scalcia e si dimena. “No! Lo devono sapere tutti!”.

La folla borbotta ipotesi a mezzavoce mentre nella mia testa esplode il caos. Sento il panico risalirmi lungo le gambe come un serpente.
Nicole scivola via dalla presa del suo ragazzo e avanza verso di me. “Sei una puttana malata! Ti sei divertita a scopartelo? È stato liberatorio?!”. La sua rabbia mi investe, il suo dolore mi si riversa addosso e io non faccio niente per bloccarla. “Spero ne sia valsa la pena, perché hai rovinato la mia vita e anche la sua!” si infila le mani nei capelli con rabbia “Sei una puttana disperata e con un mucchio di problemi e questo non cambierà mai!”.
Le sue parole mi schiacciano contro il pavimento come un macigno.
Matt le afferra il braccio. “Smettila, ti ho detto che lei non c'entra”.
Nicole si ritrae come se la scottasse. “Non toccarmi! Non devi più toccarmi, mi fai schifo!”.
“Niki...” sospira Matt.
“Mi fate schifo entrambi”. Con occhi furenti e carichi di dolore mi sputa addosso. Letteralmente. La sua saliva mi macchia i pantaloni e aggiunge un crepa ad un muro che sta andando in mille pezzi.
“Si può sapere cosa sta succedendo?” la voce del preside Richmond rimbomba tra gli studenti “Si sposti, signor Brown” esala scostando uno studente “Ma cosa...”. I suoi occhioni marroni scrutano la scena con stupore e confusione, finché il suo cervello non trae le conclusioni. “Voi due” ci indica “Nel mio ufficio. Subito”.

 

 

Il preside Richmond fissa lo schermo con gli occhi sgranati e la bocca socchiusa. Ha lo stesso sguardo di un pesce palla sorpreso. La ripresa delle telecamere del corridoio mostra perfettamente Nicole mentre mi colpisce, mi insulta e alla fine mi sputa con disprezzo addosso.
“Tutto ciò è inconcepibile...” sospira “Nella mia scuola...”.
Nicole si raddrizza sulla sedia come un cagnolino ubbidiente. “È stata lei a cominciare”.

Non concepisco la ragione, ma in qualche modo mi trovo d'accordo con lei. Resto in silenzio nel tentativo di acquietare le voci assordanti che mi urlano nella testa.
“E in che modo esattamente, signorina Stuart? Perché da quello che vedo è lei che comincia” afferma il preside Richmond.
La porta si apre con uno scatto e la dottoressa Dawson fa il suo ingresso tutta trafelata. “Scusate il ritardo”.
Nicole sbuffa “Non abbiamo bisogno del supporto psicologico, almeno non io”.
Il preside mostra la ripresa alla dottoressa e lei si acciglia preoccupata. Mi guarda a lungo, sento il suo sguardo addosso ma non lo ricambio mai, non riesco.
“Mi sembra chiaro che qui Julianne sia la vittima” afferma.
Nicole squittisce “Non è vero! Sono io la vittima, lei è solo una puttana!”.
“Signorina Stuart!” tuona il preside “Moderi il linguaggio”.
Nicole sbatte la mano sulla scrivania “È la verità! È andata a letto con il mio ragazzo, se l'è meritato!”.

Il collo del preside si tinge di rosso accesso. “Qualsiasi cosa sia successa al di fuori delle mura scolastiche non giustifica una aggressione di quel genere” si agita sulla poltrona “Suo padre è lo sceriffo e per questo sarò clemente, poichè sono sicuro che lui saprà come gestire la faccenda. In ogni caso, sconterà un'ora di punizione ogni pomeriggio per due settimane”.
“Ma non è giusto!” sbraita “E lei niente? È stata lei a causare tutto questo”.
Il preside alza il mento e le indica la porta. “La mia decisione è presa e se continua a ribattere aumenterò le settimane”. Lei abbassa la testa e chiude la bocca. “Molto bene, ora vada a lezione”.
Si alza di scatto e mi molla un colpo sulla spalla con la borsa.
“Le settimane sono diventate tre!” sbotta il preside mentre Nicole fila fuori dalla porta.
Il silenzio cala sulla stanza ed entrambi mi fissano. Lui fruga nei cassetti e tira fuori dei fazzolettini e del disinfettante. Inumidisce il fazzoletto e me lo porge indicandomi il labbro. Tampono il taglio sul labbro stringendo i denti quando questo inizia a bruciare.
“Signorina Roux...” sospira. Quel tono deluso e rammaricato mi scava un buco in mezzo allo stomaco. “Non le assegno nessuna punizione perché è alquanto ovvio che lei non ha reagito e non ha nemmeno causato la rissa, ma voglio lo stesso che riempia questo”. Il barattolino con il tappo rosso mi fissa e il muro va in mille pezzi. Il panico mi investe come un carrarmato e la stanza comincia a girare su se stessa e intorno a me. Il pavimento mi risucchia tra le travi di legno e mi fa cadere in un burrone di oscurità. Mi precipita tutto addosso. Dolore, vergogna, consapevolezza. Si riversa tutto insieme, condensandosi a livello dei polmoni. Mi manca l'aria. Vorrei respirare ma non ci riesco. Vorrei urlare ma non ci riesco. Vorrei fare qualcosa ma non riesco, quindi smetto di lottare e lascio che il vuoto abbia la meglio.

 

 

 

Riapro lentamente gli occhi e fisso il soffitto candido. Una mano delicata mi accarezza la testa con movimenti ritmici. Sposto lo sguardo incrociando gli occhi della dottoressa Dawson che mi osservano con dolcezza. “Bentornata” sospira sfiorandomi la guancia.
“Perchè? Dov'ero andata?” chiedo con voce roca.
Lei sorride. “Sei svenuta per un po'”. Cerco di alzarmi ma lei me lo impedisce. “Vacci piano. Hai avuto un attacco di panico davvero forte e hai iperventilato fino allo svenimento. Non mi era mai capitato, mi sono preoccupata molto e dovevi vedere il preside. Si è spaventato così tanto che voleva chiamare l'ambulanza, la polizia e la guardia costiera” mi accarezza la fronte con l'indice.

“Ma qui non c'è la costa” mormoro.

Ridacchia piano. “Esatto. Si è pure scordato del test delle urine, ha buttato il barattolino nella spazzatura. Suppongo pensi sia colpa sua”.
Chiudo gli occhi. “Mi dispiace”.
“Non hai nulla di cui scusarti, Julianne. Hai subito un'aggressione e hai reagito come hai potuto, è molto forte da parte tua”.
Mi alzo lentamente cercando di sopprimere un giramento. “Non è stata un'aggressione”.
Incrocia le braccia al petto. “Nicole ti ha aggredita verbalmente e fisicamente, non provare a minimizzare. Tre settimane di punizione sono una sciocchezza, solo perché suo padre è lo sceriffo. Patetico. Ho chiesto al preside di consigliare ai suoi genitori di mandarla da me o da un altro psicologo”.
Sospiro massaggiandomi il viso. “Non penso che la terapia possa aiutarla”.
“La terapia può aiutare chiunque, Julianne” sorride “Soprattutto se fatta da me”.

Sorrido e il taglio sul labbro brucia. “Ahi” mormoro toccandolo con la punta del dito.
“Ti ha lasciato un bel segno” afferma “Forse ti rimarrà la cicatrice”.
Mi giro verso l'acquario cercando di specchiarmi. “Il suo stupido anello della castità mi ha tagliata”.

“Perchè crede che tu sia andata a letto con Matt?” chiede alzandosi a dirigendosi verso la sua poltrona.
“Non mi domanda se è vero?” dico mettendomi a sedere tra i miei cuscini.
Sorride inclinando la testa. “So che non è lui il ragazzo misterioso e so anche che non sei il tipo che va con i ragazzi fidanzati”.
Giocherello con un bottone. “Un tempo lo facevo. Sono andata a letto con un sacco di ragazzi fidanzati” sbuffo “Ero proprio una stronza”.
Mi punta la penna contro. “Vedi, eri. Questo è l'importante”.

Spero che abbia ragione. “Comunque penso che creda che ci sia andata a letto perché lui mi ha baciata alla festa di Savannah”.
Strabuzza gli occhi. “Raccontami”.

 

Dopo il resoconto della festa, la dottoressa annuisce convinta. “Non mi sorprende affatto, Matt è molto insicuro. Suo padre è un avvocato eccezionale, forse il migliore della città. Si aspetta sempre troppo dal figlio e lui ne risente molto”.

Scuoto la testa. “Non capisco cosa c'entri con me”.
“La sua vita deve seguire sempre degli standard. Voti perfetti, comportamento perfetto e ragazza perfetta. Magari nulla di questo lo rende felice e allora prova ribellarsi nell'unico campo che a suo padre non importa molto”.
Sospiro. “Nicole”.
Annuisce. “Esatto. E cos'è il contrario di una ragazza perfetta che non ti piace sul serio?”.
Ridacchio. “Io?”.

Scuote la testa. “Si. Cioè l'unica ragazza che lo abbia fatto sentire vivo e per cui prova vere emozioni”.

Ha senso ma non del tutto. “Ancora non capisco perché ha mentito sul sesso”

Lei scribacchia sul quaderno. “Magari non lo ha fatto, magari è Nicole che ha equivocato”.

“Sì, forse” sospiro fissando la macchia della saliva velenosa di Nicole.

La dottoressa si alza, si avvicina e si siede sul tavolino proprio davanti a me. “Questo” dice indicando lo sputo “É il tentativo più abietto e laido di una ragazza disperata di mortificarti. Non ti definisce come persona e non lo meriti per nulla, chiaro?”.

Annuisco cercando di deglutire l'enorme nodo che mi stringe la gola. È davvero così? Non lo merito?

Non ne sono molto sicura.

 

 

 

Raggiungo la lezione di chimica avvolta dagli sguardi indiscreti e le risatine sommesse. Mi stringo al petto i e cerco di tenere la testa più in basso che posso. Scivolo in classe cercando di risultare invisibile e mi siedo al tavolo. Sistemo gli appunti e tengo gli occhi bassi cercando di mimetizzarmi con il tavolo di metallo. Quando penso di esserci riuscita, Lip entra in classe urlando come una tromba nautica. “Dolcezza!”. L'intera classe si gira verso di me e comincia a bisbigliare. Meraviglioso. Lip avanza con la delicatezza di un lamantino affamato e mi raggiunge. Salta sullo sgabello e mi afferra il viso con entrambe le mani. “Cazzo!” esclama mentre esamina le mie ferite di guerra. “Che stronza ignobile!”.
Lo scaccio agitando la mano. “La pianti di fare tutto questo casino, per favore? Sto cercando di allontanare l'occhio di bue dalla mia vita, non di vendere più biglietti per lo spettacolo”.
Sbuffa. “Quante metafore. Dai, non dirmi che ti da fastidio un po' di attenzione?”.
Lo guardo esterrefatta “No” sospiro con sarcasmo “Adoro che la gente mi dia della puttana e mi sputi addosso”.
Abbassa lo sguardo colpevole. “Scusa, dolcezza, non era quello che intendevo. Non hai fatto nulla di male, è lei che ha perso la testa. Sappiamo che non sei andata a letto con Matt”.
Noi lo sappiamo” ribatto “Ma il resto del mondo pensa che io sia una troia”.
Mi tira una ciocca. “Devo ripeterti il discorso sul lasciare che la plebe parli?”.
“No, però...”. Soffio allontanandolo dai miei capelli.
“Però nulla, dolcezza” asserisce dandomi un colpetto sul naso.
“Wow, non perdi tempo” esala una voce alle mie spalle. Sia io e che Lip ci giriamo verso il ragazzo. “Scusami?” chiedo con fastidio. Non lo conosco e non ho idea del perché mi stia parlando. Beh, forse una sì.
Il ragazzo avanza appoggiando un braccio sulla mia sedia. “Sei una che non perde un colpo a quanto vedo” si china verso di me leccandosi le labbra “La cosa mi piace parecchio”. Un brivido di puro disgusto mi attraversa la spina dorsale.
La mano enorme di Lip lo afferra all'altezza del colletto e lo strattona indietro. “Levati dalle palle, Russell, o ti insegno a contare facendoti raccogliere i denti dal pavimento”.
Il ragazzo si sottrae alla presa e si scosta di lato. “Rilassati, O'Connor. Dovresti sul serio imparare a condividere, sei troppo ingordo”.
“Ottima idea”. Lip si fa avanti come un bulldozer e mi sovrasta come un bodyguard. “ Ho deciso che sarò generoso, condivido entrambi i miei pugni con la tua faccia da cazzo, che ne dici?”.
Russell indietreggia e alza le mani in segno di resa. “Scusa, amico, stavo scherzando”.
“Ti conviene girarle a largo o scoprirai se io sto scherzando invece” afferma con rabbia. Russell si allontana con la coda tra le gambe e Lip si risiede con un tonfo. “Che razza di porco”.
Cerco di sopprimere un sorriso con difficoltà. “Wow. Ci si può annegare in tutto questo testosterone”.
Ridacchia. “E quello era niente. Se qualcuno ti da fastidioso come Russell dimmelo, so io come raddrizzarli”.
Gli regalo il sorriso migliore del mio repertorio. “Grazie, Lip”.
Mi accarezza la nuca. “Dovere, dolcezza”.

 

 

 

Le due ore successive sono uno strazio. Giselle infierisce in ogni modo possibile sulla scenata di Nicole e si destreggia in una serie di frecciatine perfettamente affilate e molto dolorose. Peyton mi stringe il braccio così forte, per impedirmi di colpirla, che probabilmente mi spunterà un livido.
Durante algebra il professore mi chiama alla lavagna e sono così distratta dai commenti che sbaglio un'equazione che con fatica avevo imparato a fare. Dorothea non aiuta, arrossendo e cercando di sprofondare nel pavimento insieme a me.
Mi trascino nel fango di adolescenti impiccioni e maleducati come un soldato solo per arrivare all'ora di francese. Corro in classe ignorando tutto e tutti e travolgendo un paio di studenti. Quando varco la soglia Aaron è già seduto al nostro banco e fissa nella mia direzione con la fronte completamente corrucciata. Stringe i denti e increspa le sopracciglia, come un cucciolo imbronciato. Non serve dire che è perfetto anche mentre è tutto corrucciato. Quando mi vede espira con irruenza, come se fino ad adesso avesse trattenuto il fiato. Si muove a scatti come se fosse tentato dalla voglia di corrermi incontro, ma fosse trattenuto dalla consapevolezza del mondo che ci osserva con occhio critico.

Lo raggiungo velocemente e mi siedo al suo fianco. Mi osserva a lungo, mi esamina nei dettagli e quando i suoi occhi si fermano sul taglio al labbro inferiore, i suoi bellissimi occhi verdi si rabbuiano. “Jay” sospira con sofferenza.
Allungo la mano verso la sua e gliela stringo nascondendola tra le nostre ginocchia. “Lo so. Non ci pensare”.
Mi accarezza il dorso con il pollice. “Dovevo essere lì. Dovevo proteggerti. Non è giusto, lei...”.
Gli strattono la mano. “Smettila. Sto benissimo”.
“Hai miei occhi non sembra” esala con rabbia.
“Ti assicuro che sto bene, è passato” affermo con decisione.
Mi accarezza la mano con dolcezza e smette di ribattere, anche dal suo sguardo so che non mi crede. Passa tutta la lezione ad accarezzarmi, toccarmi e cercare di sorridermi il più delicatamente e furtivamente possibile.

Camminiamo insieme verso la mensa e ogni volta che qualcuno prova a parlare, ridere o bisbigliare Aaron si trasforma in un materasso umano e attutisce qualsiasi colpo. In coda per il pranzo mi lascia insieme alle mie amiche e raggiunge i suoi.
“Come stai?” domanda cauta Peyton.
Faccio scorrere il vassoio. “Bene”.
Arriccia il naso e mi osserva. “Non si direbbe”.
Sbuffo. “Sono così orribile?”.
Le scuote la parrucca bianca. “No, hai solo la faccia di chi è al limite della sopportazione”.

Perché è così. “Non so di cosa parli, io sto alla grande”.
Una cheerleader non identificabile ci passa accanto e gracchia. “Puttane!”.
Peyton le mostra il dito medio. “Parli per esperienza, Millie?” strilla facendomi ridacchiare.

Dottie squittisce e si raggomitola il più lontano da noi. “Che c'è Dots?” le domanda Pey.
Dorothea la guarda esterrefatta. “Cosa c'è? Scherzi? È tutto il giorno che mi becco insulti del genere e io non ho fatto nulla”.
Peyton si stringe nella giacca. “Pure io, ma che ci vuoi fare”.
Le guance le si tingo di rosso. “Beh, ma io non ho fatto nulla di male”.
Mollo il vassoio e la squadro. “Perchè pensi che io abbia fatto qualcosa di quello che dicono?”.

Lei sospira e si gratta il collo arrossato. “Non lo so, io...”.
“Non l'ho fatto” metto in chiaro.
“Dottie ma che cavolo fai?” chiede brusca Peyton.
Dorothea sbatte velocemente le ciglia. “Se si ha un certo comportamento alla fine si raccoglie quello che si semina. Io non ho seminato nulla e mi sto beccando comunque i frutti”.

Peyton strabuzza gli occhi.
“Quindi pensi che io mi comporti come una troia?” domando stupita “Davvero?”.
Lei abbassa lo sguardo sulle scarpe. “Io...”.

Spalanco la bocca . “Wow. Grazie, Dorothea”.
Lei si stringe le braccia al petto. “Sto solo dicendo...”.
Alzo la mano. “No, non mi interessa” la interrompo “Per tutto il giorno ho ignorato i commenti di persone che non ho mai visto, perché loro non mi conoscono. Pensavo che almeno da voi non sarei stata giudicata colpevole sulla base di delle voci”.
“Noi non ti giudichiamo, non lo abbiamo mai fatto. Vero, Dottie?”.
Dorothea mi osserva incerta e poi abbassa lo sguardo sul pavimento. Nessuna parola e allo stesso tempo una grossa risposta. La pugnalata scivola a fondo colpendo il centro più delicato del mio corpo. Brucia e fa più male di tutto lo sporco che mi hanno tirato addosso oggi. “Buono a sapersi” sospiro per poi voltarmi e allontanarmi da loro.
Pey mi chiama ma la ignoro ed esco dalla mensa.

 

 

 

Vago per i corridoi come un fantasma. Il mio cervello macina pensieri e ragionamenti che non fanno altro che allargare il solco. Vorrei dire che le parole mi scivolano addosso come acqua e la maggior parte lo fa, ma non quelle delle persone a cui tieni. Quelle ti restano dentro e come un seme danno vita ad una pianta velenosa che ti intossica.
 

I ain’t playing no games

'Cause I’ve got nothing left to lose

 

La voce calda e carica di emozioni mi fa bloccare in mezzo al corridoio. Il fiume di emozioni arriva dalla porta socchiusa dell'aula di musica.

 

I'm so tired of circular motions

They leave me dizzy and confused

 

Seguo la voce come un attirata dal canto di una sirena. Sbircio nella stanza e il profilo ombroso di Tyson si riflette nel pianoforte lucido.

 

My heart, oh no, is not your revolving door

I get stuck spinning and spinning and spinning

 

Preme sui tasti bianchi con così tanta passione da far perdere il fiato. Il suo volto, di solito di ghiaccio, sembra in frantumi ed attraverso ogni crepa si vede tutto il suo dolore. Sembra quasi un'altra persona.

Spingo la porta per vedere meglio e il cigolio improvviso lo fa voltare nella mia direzione. Non sembra infastidito, solo sorpreso. “Scusa” sospiro “Non volevo origliare”.
Mi osserva a lungo, poi scivola di lato sullo sgabello e mi fa segno di sedermi. Sorpresa lo raggiungo e mi accomodo al suo fianco. Sul leggio davanti a noi spicca un quaderno di rovinato su cui si trova il testo della sua canzone. Assomiglia molto al mio diario delle canzoni e la cosa mi fa scappare un sorriso.
Tyson ignora i miei risolini da pazza e ricomincia a suonare. La musica ci avvolge nel suo bozzolo caldo e rassicurante. Non ci sono più epiteti dolorosi, amiche che non credono in te e amori impossibili. Non ci sono confini e restrizioni. C'è solo amore, passione e tutto ciò che vogliamo immaginare.
Riapro gli occhi solo quando Ty smette si suonare. Non ricordo nemmeno quando li ho chiusi. Lui allunga un pollice verso la mia guancia e cattura una lacrima fuggiasca. Non mi sono nemmeno resa conto di aver pianto.
“Grazie” sospiro piano.
Lui mi scandaglia con i suoi strani occhi scuri. “Lascia pure che parlino ma non credere a nulla di ciò che dicono. Non sono nessuno e mai lo saranno. Hai molto più talento di chiunque in questo posto. Lascia che vivano il loro momento di gloria, perché il liceo finisce e un giorno si sveglieranno e scopriranno che non hanno niente di quello che volevano e invece noi abbiamo tutto. Sei una persona fantastica, Julianne. Non provare mai a dubitarne”.
È la frase più lunga che gli abbia mai sentito dire ed è anche la migliore di tutta la giornata. “Grazie, Ty”.

Sorride e si rimette a suonare come se nulla fosse. Non provo a riaprire il discorso e allungo le mani verso il piano e suono con lui. Non abbiamo bisogno di parole quando c'è la musica a parlare per noi.

   
 
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