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Autore: Barbra    25/01/2019    0 recensioni
Questa fanfiction è un crossover tra l'Universo di Pokémon Adventures (il manga) e l'Universo di "Avatar, the Legend of Aang"/ "Legend of Korra". La storia si svolge, secondo la cronologia Pokémon, dopo gli avvenimenti di Sole e Luna. Secondo la cronologia di Avatar, dopo la morte di Korra e la nascita della sua successiva reincarnazione.
DAL TESTO: Il Maestro dell'Aria Meelo scese dalla tribuna dei giudici e si diresse verso la sedicenne senza una parola.
Era stato chiamato per controllare che la sua allieva non “sporcasse” la Prova dell'Acqua applicando tecniche del Dominio dell'Aria per tenere d'occhio gli avversari. Sapeva bene che la cieca, nel cui mondo non esistevano né forme né ombre, avrebbe usato il Senso del Sangue al posto del super-udito che i montanari le attribuivano. Tuttavia, non si aspettava uno scivolone così clamoroso da parte sua. || NOTA: canon-divergent || PERSONAGGI PRINCIPALI (non in elenco): protagonista OC, Sird (pg esclusivo del manga), Lunala, Giratina (Pokémon); Raava e Vaatu (Avatar). TERMINATA
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Arceus, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate | Contesto: Manga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avatar e Pokémon'
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15. I demoni (II)


Diantha rivolse alle due Reclute una domanda semplice: «Come si fa a mettere il pilota automatico per Sinnoh?».
Ma non ottenne risposta.
La donna sbuffò, offesa. Borbottò: «Inserire il pilota automatico per Sinnoh».
«Operazione non autorizzata» le comunicarono in coro i due giovani.
«Un corno! Cos'è, la rivolta degli androidi?! Computer... rientro immediato alla Base».
«Operazione non autorizzata».
«Perché?».
Silenzio.
Diantha fu tentata di battere le teste delle due Reclute l'una contro l'altra. Le loro prestazioni erano deludenti. «Analisi livello» richiese.
«Analisi...» comunicarono. «Livello Tau».
Tau era uno dei più bassi. Quegli androidi dal volto così umano avevano la capacità relazionale di un paio di zucche. Non riconoscevano le sue domande e neppure le chiedevano di ripeterle.
«Impostare il livello Kappa».
«Impostato livello Kappa» dichiararono entrambi.
La loro parlata era un po' più fluida.
Diantha ricominciò: «Perché non possiamo andare a Sinnoh?».
«Perché questa unità è diretta a Kanto» le spiegarono in coro.
«Kanto?! Vorrete dire Kalos...».
«Negativo. Questa unità è diretta a Kanto».
«Perché?».
«Non capisco la domanda. Sono necessari ulteriori dati».
Il computer centrale li faceva parlare insieme, come se fossero un'entità indistinta.
Diantha preferiva interagire con qualcosa di più umano. Decise di affaticare un po' i loro circuiti. «Impostatevi sul livello Zeta» ordinò.
«Impostati sul livello Zeta, Comandante Eris».
Ora, il computer rispettava l'individualità delle sue parti. La donna si rivolse al ragazzo seduto a sinistra e gli toccò una spalla. «Tu. Perché stiamo andando a Kanto?».
«Sono ordini del Comandante Mercurius, Signora».
«Beh, gli ordini sono annullati».
«Impossibile».
«Perché?».
«Perché gli ordini diretti del Comandante Mercurius non possono essere revocati o modificati... se non dal Comandante Mercurius».
«Quindi, neppure Cyrus potrebbe farci cambiare rotta. È corretto?».
«Corretto».
«E questo... lui lo sa?».
«Non abbiamo dati sufficienti per rispondere».
Ma era facile che Cyrus lo sapesse. Il Comandante Mercurius, Sird, aveva fatto la mamma quando si era impegnata in una missione di importanza secondaria, lasciando a lui il comando e il campo libero a Sinnoh. Malgrado la sua predilezione per il lavoro sul campo, la sua ossessione di fare tutto da sola e le sue scarse abilità di coordinatrice, era Sird a dirigere il carro.
«Perché Mercurius ci ha inviati a Kanto?» domandò Diantha.
«Non lo sappiamo».
«Datemi un'idea...».
Quello era chiedere la Luna. Le unità si irrigidirono per un attimo, mentre le loro sinapsi trasmettevano ed elaboravano dati senza giungere a una conclusione accettabile. Il ragazzo che era stato interpellato per primo, quello a cui lei aveva toccato la spalla, replicò: «La sua domanda è complicata, Comandante. Non siamo in grado di rispondere».
Era una variante più umana e gradevole del precedente “operazione non autorizzata”.
Sird, per qualche motivo, odiava Kanto. Di sicuro i suoi piani per quella Regione e per i suoi abitanti non erano innocenti. I due passeggeri, avvelenati da una terribile tossina paralizzante, erano “addormentati” con le maschere di due ventilatori meccanici portatili sul viso. I loro corpi assorbivano l'antidoto mentre le macchine li aiutavano a respirare per portarli oltre la fase critica. Era impossibile svegliarli e chiedere loro che rapporto avessero con sua madre, se le avessero fatto un piccolissimo torto, o se conoscessero qualcuno a Kanto che lei reputava suo nemico.
L'aereo volava con l'autopilota, quindi Diantha ordinò alle Reclute: «Tutti e due: in piedi».
Loro obbedirono e lasciarono il posto di comando.
La Comandante Eris toccò con gli indici tesi la loro fronte. «Livello Alfa» richiese.
I due sgranarono gli occhi in un'espressione fugace di terrore. Poi nell'aereo scattò un allarme di stallo e si accesero delle luci rosse. Le due unità chiusero gli occhi e rimasero rigidi e immobili con la testa abbandonata sul petto. La voce registrata della madre suonò beffarda nella cabina. «Lo sapevo!» ridacchiò. Almeno, il suo umorismo verso i suo figli era bonario. «Hai fatto di nuovo il Comandante Didì!». Il Comandante Didì era il lato buono ma pasticcione del Team Galassia. Nessun altro avrebbe cercato di risvegliare due intelligenze artificiali prima della distruzione ufficiale e definitiva del vecchio Universo.
La registrazione andò avanti: «Hai scelto il nome del pianeta nano Eris. L'hai scelto per non far nascere dispute su chi meritasse il titolo di Comandante Venus tra te e le altre due. E già qui... lo vedi, il paradosso? L'inizio era poco promettente. Ora impegnati per migliorare». E il suo tono divenne serio: «Computer: livello Psi».
Le due unità si “riaccesero”. Con la vitalità di due melanzane.
«Computer, livello Tau» ricominciò rassegnata Diantha.





A Kalos

Appena entrato nella sala della lussuosa villa bianca adibita a covo Galassia, Xerosic si trovò davanti una ragazza che conosceva benissimo. Aveva la pelle bianca, il viso rotondo, i capelli corti tinti di viola come le labbra. Indossava la divisa Falre e i suoi occhi erano ancora coperti da un visore.
«Celosia?!» esclamò lo scienziato.
Nessuna reazione. La sua ex assistente continuava ad ignorarlo e a fissare il muro, il suo viso era immobile ed inespressivo.
«Che ti è successo?».
La graziosa ragazzina dai capelli rossi, la Comandante Mars, fece un cenno di noncuranza. «E' inutile parlare con lei. È un robot».
«Che cosa?!».
Celosia gli rivolse la parola, per non far affaticare le corde vocali del suo Comandante: «Ha detto che sono un robot».
«Ma... che scherzo è?».
«Hai mai visto i suoi occhi?» gli domandò il giovane dai capelli blu, il Comandante Saturno.
Nel quartier generale Flare, gli unici a non portare l'uniforme erano il maschio e la femmina alfa, ovvero Lysandre e Malva. Tutti gli altri indossavano abiti impersonali, e usavano speciali lenti rosse o visori, per proteggersi dall'atteso bagliore della bomba.
Mentre costruiva l'Arma Suprema, gemella identica di quella esplosa tre millenni addietro, Xerosic non aveva guardato negli occhi nessuno. Nessuno se non il capo e la sua compagna. «Non ricordo. Credo di no. Cosa c'entra?».
Mars tolse il visore a Celosia senza che lei muovesse un dito. Rivelò due sclere uniformemente viola, privi di iride e pupilla.
Xerosic, con tutto il suo autocontrollo, rimase stupefatto. «Celosia è... è un androide? E anche le altre tre? Aliana, Bryony e... ».
«Sì» lo interruppe un'altra voce femminile, più matura di quella di Mars. Si fece avanti una donna dai capelli color prugna, con l'aria da dura e il corpo da statua, in una divisa bianca e nera che le lasciava scoperta una coscia. Nonostante gli abiti poco militareschi, i suoi occhi a mandorla e i suoi modi rivelavano un carattere granitico. «Ogni recluta, scienziato e amministratore della vostra organizzazione deriva dai nostri modelli base. Qualche stupido umano sarà pure rimasto incantato dalla vostra ideologia folle, ma... come altrimenti sareste stati così tanti? Voi, la Venus, vi siete ribellati al comando centrale...».
«E' la maledizione della rotazione retrograda» scherzò Saturno, facendo girare l'indice in senso orario.
Jupiter lo fulminò con lo sguardo, il ragazzo non la considerò neppure.
La Comandante riprese il discorso dall'inizio della frase: «Voi, la Venus, vi siete ribellati al comando centrale. Eravate una nostra frangia ribelle, prima che decapitassimo la vostra organizzazione e vi richiamassimo all'ordine».
Xerosic scosse la testa. «Impossibile».
Il Comandante Saturno alzò la mano sinistra. «Unità rosse: scopritevi gli occhi».
Appena abbassò il braccio, tutti i caucasici in divisa rossa si tolsero gli occhiali. Erano diversi l'uno dall'altro ma tutti, maschi e femmine, avevano le sclere uniformemente bianche. Senza iridi e senza pupille. Non erano e non sembravano umani. Quindi, Lysandre aveva messo su un Team che comprendeva solo quattro umani: Xerosic, Malva, Essentia e lui stesso. Il primo gli era stato necessario per ricostruire l'Arma Suprema, ma se i suoi piani fossero andati a buon fine, se ne sarebbe sbarazzato in nel breve lasso di tempo che separava l'attivazione dall'esplosione. Le altre due erano le sue femmine riproduttrici, una consenziente e l'altra no.
Quando aveva lavorato per Lysandre, ma solo all'ultimo, aveva intuito la gravità dei suoi problemi mentali. Per questo, nonostante il fascino intellettuale e il timore reverenziale che quell'uomo esercitava su di lui, Xerosic non era riuscito a seguirlo fino in fondo. Per questo aveva sabotato la bomba. Era sollevato all'idea che Lysandre non avesse vissuto abbastanza per scoprirlo.
E adesso, non sapeva se provare orrore o pena per una mente così disturbata.
Si rivolse ai suoi rapitori. Neppure loro avevano le rotelle a posto. «Voi... voi siete umani?».
Gli rispose di nuovo il ragazzo dai capelli blu. Indicò se stesso e la presunta fidanzatina. «Noi due sì. Lei...». E fece un cenno verso Miss Granito. «...non lo sappiamo» mentì. «Non ce lo dice. Ma non ha paura di niente e non invecchia di un giorno. Il che potrebbe anche essere una bella fortuna».
«E' il silicone e la vita in ozio» protestò Mars con una buona dose di invidia.





 
 
Notte

Mina si era arruolata nel Team Skull.
Per adeguarsi allo stile della squadra si era tagliata e tinta di rosa i capelli. In attesa di diventare operativa, lasciava graffiti sui muri e ritoccava i tatuaggi dei fratelli Skull. Guzma l'aveva presa subito in simpatia. Aveva visto un riflesso della sua storia personale nell'ingiustizia subita dalla ragazza. Per la prima volta in vita sua, Mina si sentiva finalmente accettata. Nessuno la guardava dall'alto in basso o le faceva le prediche sulla sua tossicodipendenza.
Stava sfogliando una rivista quando il suo Grandull, un Folletto simile a un bulldog rosa dalla mandibola pronunciata e le lunghe zanne, cominciò a ringhiare sommessamente contro la porta.
Qualcuno bussò e gli occhi del cane parvero ardere di un fuoco infernale. Il suo muso era spaventoso, Mina non l'aveva mai visto così arrabbiato.
Aveva un taglierino in tasca e si preparò ad usarlo. «Chi è?» domandò.
La porta si aprì appena ed entrò un Meowth nella Forma di Alola. Era un gatto di Tipo Buio, era normale che non piacesse a un cane Folletto.
Ma Granbull non si lasciò distrarre: fissava insistentemente il legno della porta, se la sua collera fosse stata fuoco l'avrebbe ridotta in cenere.
Una recluta Skull, una coetanea di Mina, fece capolino senza azzardarsi ad entrare. Come tutte le altre aveva il viso semi-coperto, i capelli tinti di rosa e le lenti a contatto dello stesso colore. Ma i suoi erano gli occhi più belli che la pittrice avesse mai visto, o almeno i più penetranti nella loro bellezza. Occhi da odalisca, materiale per un quadro.
«Sei tu che ripassi i tatuaggi?» domandò la Recluta. Poi tirò su col naso ed estrasse un fazzoletto dalla tasca. «Scusa...» fece.
Si scoprì il viso bruno e delicato e si soffiò il naso. Tirò su ancora e ripeté la domanda: «I tatuaggi li rilassi tu?».
Granbull le mostrava minaccioso i lunghi canini inferiori e ringhiava. Sicuramente aveva riconosciuto l'odore della cocaina che una così si portava dietro, e pensava che lei volesse pagare la sua padrona con una dose. La moretta doveva essersi bruciata il cervello a forza di mandarlo su di giri. Lo sguardo penetrante, Mina se l'era sicuramente sognato mentre pensava di ricominciare a dipingere. Perché quella ragazza era del tutto rincoglionita senza la sua polvere magica.
«Sì, li ripasso io. Quale ti devo fare?».
«Prima ritira Granbull. Io odio i cani. E... lo vedi? La cosa è reciproca».
«Non bisogna fidarsi di chi non piace ai cani...» replicò sospettosa la Specialista Folletto.
«Ma poveri gatti!».
Il suo Meowth Aloliano invece era tranquillo come un pascià, aspettava solo che qualcuno gli desse da mangiare. Granbull non ce l'aveva con lui ed era un esemplare obbediente e tranquillo, cattivo soltanto all'apparenza. Quindi nella sconosciuta doveva esserci qualcosa di molto sbagliato.
«Chi sei? Cosa vuoi?» domandò Mina. Stringeva forte il taglierino nascosto nella tasca dei pantaloncini bianchi.
«Senti, biondina: facciamo che torno un'altra volta».
Chiuse la porta e lasciò dentro il Meowth selvatico lì dov'era.
La collera di Granbull sbollì.




 
*




Nelle notti di plenilunio, Solgaleo non riusciva né a restare chiuso nella sfera, né a dormire. La Lunala di nome Nebby, l'unica femmina della sua specie in quell'Universo, era troppo lontana. Nonostante i suoi sforzi di stabilire un contatto mentale con lei, Solgaleo non percepiva altro che il rumore di fondo dei sogni e dei pensieri altrui. Materiale di scarso interesse. Stava perdendo la speranza quando qualcosa perturbò i suoi sensi. C'era un'altra Lunala in giro, più giovane e più vicina di quella Nebby. La sua mente aveva qualcosa di strano, era fin troppo ampia e cupa e strutturata. Eppure, lui era sicuro che appartenesse a una giovane femmina.
Il Figlio del Sole si alzò e ruggì nella speranza che la nuova arrivata lo sentisse. In risposta percepì solo un sincero stupore. Non aveva avuto fortuna: nonostante la luna piena e l'età fertile, la femmina non era interessata. Era già madre e forse stava cacciando per i suoi cuccioli. Cuccioli che un altro maschio avrebbe cercato e ucciso pur di ottenere le sue attenzioni. Ma lui non era come i suoi simili dell'Ultra Universo. Lui si considerava “civilizzato”. Si accucciò di nuovo e restò in dormiveglia seguendo con la mente la creatura che si allontanava in volo. Suo malgrado ne perse le tracce.




 
*




Valerie si stava abituando a vivere da sola. La villa a Malie era troppo grande per lei, perciò Hapu le aveva affittato un bilocale nella piccola Isola di Poni. Era una sistemazone più pratica, visto che la ragazza avrebbe lavorato coi Folletti di quell'isola. Ma la sua vita non filava perfettamente liscia: da quando aveva convissuto con la Campionessa di Kalòs, sonnambula e più inquieta di un puledro, la Reginetta delle Fate aveva disimparato a dormire bene. Quella notte si era svegliata e aveva deciso di sgranocchiare qualcosa prima di riaddormentarsi.
Si stava dirigendo al frigorifero, quando un miagolio attirò la sua attenzione. Sulla finestra, oltre i vetri chiusi, c'era un gatto bianco con la coda folta e gli occhi rossi. Non era un Pokémon, ma nella testa della ragazza scattò qualcosa e per lei fu perfettamente normale trovarlo lì. «Oh... micio!» fece. Aprì le ante e lo prese in braccio. «Ciao, micio...! Vuoi mangiare?».
Il gatto cominciò a fare le fusa. Valerie lo posò a terra per cercare una ciotola e il cibo Pokémon. L'ospite se ne andò con la coda alta verso il salotto.
Prima che Valerie avesse riempito la ciotola, sentì crollare le tende.
«Micia!» urlò disperata.
Si precipitò nell'altra stanza con le mani nei capelli e vide qualcosa di inaspettato: una ragazza si stava avvolgendo il corpo con la tenda bianca, bianca come i suoi foltissimi capelli.
«Bonsoir, Valerie» la salutò. «Ti ringrazio per avermi invitata in casa. La notte è troppo fredda, per me».
«Sei una fata?».
«Sì, il mio nome è Luna. Non dire a nessuno che sono venuta qui. Gli uomini sono crudeli, brucerebbero la casa se sapessero che ci sono entrata».
Valerie si portò le mani alla bocca. Non poteva far bruciare la bella casetta di Hapu. «Oh, no...!».






 
Giorno

Sird si svegliò più tardi del solito. Non aveva niente da fare, quindi poteva darsi alla bella vita.
«Ben svegliata, cara Sird».
Quella voce la fece quasi cadere giù dal letto. Apparteneva a un uomo che sperava di non vedere più. Palestrato e curato oltre la soglia del patologico, narcisista fino alla punta della barba e delle unghie corte, aveva i capelli di un biondo rosso naturale e gli occhi azzurri.
Sird lo credeva morto, morto e insepolto. Non era preparata a ritrovarselo in camera da letto.
«Roba da matti!» si lamentò. «E tu... come sei sopravvissuto?!».
Lui si strinse nelle spalle. Era in piedi in un angolo, nell'angolo vicino alla finestra. «Immagino che sia la mia buona stella».
«Dannazione, tornate su come funghi! Che cosa vuoi?».
«Dov'è Diantha?».
«Non lo so».
«Bugiarda».
«Ascoltami bene, te lo spiego per l'ultima volta: la Didì ha chiuso con te. Tu per lei sei uno stalker. Fattene una ragione e lasciala in pace».
«Non si tratta più di questo. So che non siete ai ferri corti come volete far sembrare. E so che siete state voi a portare via le cellule di Zygarde da Kalòs. Lei le ha raccolte e tu le hai portate qui perché non fossero attratte dalle altre. Il vostro piano lasciava troppo al caso, devo dirtelo. Ma sapevate che con un Leggendario parziale, mi sarebbe successo qualcosa».
«Oh, non pensare così male! Speravamo che non si formasse e basta! Il problema non eri tu, il problema era la tua bomba».
«Eravamo due facce dello stesso problema. Ho ragione, Stella?».
Sird rabbrividì. «Non chiamarmi Stella». Quel nome la faceva sentire vulnerabile. «Chi ti ha detto...?».
Il rosso la interruppe: «Ho sentito che sei diventata un ventilatore. Ma la tua orrenda parrucca... quelle sono le pale di un generatore elettrico ad energia eolica. Hai sbagliato costume o hai una crisi di identità?».
«Eh...?!». La donna si batté una mano sul viso e scosse il capo. «Come sei sss... sta zitto! Tu... tu, con quella barba rossa e quei capelli, sembri un folletto irlandese! Leprechaun! Brutto figlio di una Pyroar...!».
«Aspra come un limone. Cercavo solo di aiutarti, mia povera vipera».
Continuava a prenderla in giro. Sird si rialzò dal letto, andò a prendere un paio di cose dai cassetti e uscì in corridoio senza considerarlo ulteriormente.
«Lysandre... Ly-San-Dre...» scandì mentre si chiudeva nel bagno. «Sembra un codice per l'LSD. Scommetto che gli arcobaleni te li porti in tasca. Ora io ti do le pentole ma non i coperchi, e l'oro ce lo metti tu».
Lui si appoggiò al muro vicino alla porta chiusa. «Non ho arcobaleni e non voglio altre pentole da parte tua, Comandante Mercurius».





 



BUONGIORNO ragazzi. Non ci sarà una sola settimana in cui riuscirò a rispettare la regola del giovedì che comunque fino a ieri mi ero ri-dimenticata.
Allora... avvertimento: chi ha letto il manga magari ci si ritroverà un pochino qui, chi non l'ha letto sappia che questa roba è una reinterpretazione, come sempre. Ma comunque, gli eventi nel manga sono un po' diversi da quelli dei giochi.

 
   
 
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