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Autore: Urban BlackWolf    27/01/2019    5 recensioni
Spaccati di vita quotidiana in casa Kaiou/Tenou
Legato alla trilogia: "l'atto piu' grande-Il viaggio di una sirena-La vita che ho scelto"
1- Quattro ante per due
2- Apologia felis
3- Sliding doors
4- La prima di mille notti
5- Il cosplay di Haruka
6- Elona Gay
7- La dissacrante ironia della mia donna
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Sliding doors

 

Legato ai racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

La vita che ho scelto”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

Ciau. In molte mi hanno chiesto se fosse stato possibile avere lo spaccato del primo incontro tra Haruka e Michiru nella ff l’atto più grande. In effetti l’ho sempre solo accennato, perciò credo che a questo punto meriti un capitolo tutto suo. Sperando che vi piaccia, vi auguro buonissima lettura.

 

 

 

 

Dal suo finestrino i sobborghi di Berna le sembravano quasi una cartolina. Quell’anno la neve pareva non voler finire mai. Alternanze di sole e nuvole cariche di quella che per lei era la cosa più fantastica che la natura avesse mai creato; quella coltre bianca dove poteva far scivolare le lamine dei suoi sci diventando un tutt’uno con il vento stesso. Una sensazione paragonabile solo alle sue corse in moto. Ma quel fine settimana era intenzionata a passarlo tra palazzi barocchi e cultura, perché c’era una temporanea alla quale proprio non voleva rinunciare ed anche se le inenarrabili congiunture astronomiche negative iniziate dalla prima mattina avrebbero fatto desistere chiunque, Haruka Tenou sarebbe stata più tenace e testarda della sfiga stessa.

Sistemandosi meglio sulla poltrona del diretto che era stata costretta per forza di cose a prendere, ripensò alla sua povera auto bloccata in officina a causa della rottura improvvisa della trasmissione. Nulla di grave, l’avrebbe personalmente sostituita, ma non aveva tempo, perciò sta di fatto che per arrivare nella Capitale, aveva dovuto piegarsi alle pur eccellenti ferrovie svizzere e lei non amava per natura lasciare ad altri il compito di scorrazzarla in giro.

Che gran rottura, pensò passando energicamente i palmi delle mani sui pantaloni di flanella mentre la voce dell’interfono annunciava ai viaggiatori l’imminente arrivo alla stazione centrale.

Il tempo per coprire quei centocinquanta chilometri erano stati noiosi da morire. Se non impegnata in cose per lei interessanti, Haruka faceva una gran fatica a rimanere per troppo tempo seduta, perciò aveva cercato di ovviare alla mancanza di un buon libro concentrandosi nel leggere dal suo Iphone notizie utili sui quadri che avrebbe visto da li a breve, flirtando di tanto in tanto con un paio di ragazze sedute due file avanti a lei che con molta probabilità, non avevano assolutamente capito quanto lei fosse una donna dalla testa ai piedi.

“Avrei dovuto portarmi un passatempo.” Borbottò sommessamente mentre si alzava per prendere cappotto e sciarpa.

ma le piaceva viaggiare leggera, così per comodità preferiva mettersi tutto nelle tasche lasciando a casa il superfluo.

Arrivata in stazione e salutate con un accattivante sorrisetto le due ragazze, scese controllando l’ora su uno dei grandi orologi digitali posti proprio all’inizio dei binari. Puntualitâ impeccabile, come da buon copione elvetico.

Dunque, se non ho capito male dovrei trovare il primo dei due tram che devo prendere proprio davanti all'entrata principale, si disse iniziando ad allacciarsi il cappotto. Faceva un freddo assurdo per il periodo.

E così fu. Bello, pulito, veloce. Nulla da dire. La linea rossa la portò al randevu con la verde in meno di venti minuti. Ma qui le cose iniziarono a complicarsi. E non poco. Galeotto il ghiaccio e lo spirito da educato cavalier servente che la bionda aveva sempre avuto sin da ragazzina.

Per aiutare una signora abbastanza in là con gli anni a riaversi dopo lo spavento per una brutta scivolata, Haruka assistette dalle vetrate del caffè dove avevano trovato riparo, ad una quantità imbarazzante di corse perse. E più l’anziana ritrovava la baldanza di coriacea bernese doc e più lei s’incupiva chiedendosi a quale divinità avesse fatto torto per meritarsi tutto quello. Di questo passo non arriverò mai, pensava e via gran sorrisi alla donna che nel frattempo si stava scaldando al fumo di un corroborante te caldo.

“Siete stato molto gentile signore, ma non c’è bisogno che aspettiate l’arrivo di mio nipote.”

“Si figuri. Non è nulla.” E per tutto il tempo non le rimase che clissare sul suo essere donna.

Sciarpa premuta al collo, cappotto militare, pantaloni non certo dal taglio frivolo ed il gioco era fatto. Anche se l’avessero guardata distrattamente, in estate il seno bene o male aiutava la gente a capire, ma d’inverno e con quelle temperature...

Ma ad Haruka poco importava, anzi, passare per un giovane uomo era la via più semplice per evitare gli scoccianti approcci maschili. Bella di viso ed estremamente proporzionata, era solita attirare alcuni tipi di uomini che, capite o sapute le sue tendenze saffiche, provavano in tutti i modi a convincerla che non l’essersi mai addentrata nell’altra metà del cielo, fosse sia uno spreco che un peccato mortale. Quanta arroganza.

“A… eccolo!” Esplose ad un certo punto la signora alzando il braccio per attirare l’attenzione di un bel ragazzo bruno colpito dai primi fiocchi che stavano riprendendo a cadere dal cielo bianco.

Ricevuti i dovuti ringraziamenti di rito, Haruka schizzò verso la fermata prendendo al volo l’ennesimo tram per il Museo d’Arte non potendo immaginare che anche se iniziata maluccio, ben presto quell’Odissea si sarebbe trasformata in uno dei viaggi più importanti di tutta la sua vita.

 

 

La sveglia non aveva suonato facendole saltare a piè pari la colazione. Il soffione della doccia aveva ripreso a perdere tornando a stuzzicarle i nervi. Infine, una volta avuto il coraggio di uscire al freddo e l’aver scoperto di non avere nella borsa un ombrello, le due colleghe con le quali avrebbe dovuto pranzare, avevano disdetto quando lei era già a metà strada ed ora a Michiru Kaiou non rimanevano che poche alternative; o sedersi da sola in un bistrò, cosa che francamente la deprimeva, o tornarsene a casa gettando al vento gran parte della giornata. Idea di gran lunga più odiosa.

Chiudendo il laconico messaggio inviatole, alzò il viso alla neve. E si che con quel tempo orribile si era forzata per rotolare fuori dal suo monolocale fatto di cose belle raccolte in anni di viaggi e dove ora non vedeva l’ora di recuperare le ore di sonno perse a causa di un lavoro parecchio complicato. Pur se bernese, doveva ammettere di non amare i colori lividi dell’inverno, né le basse temperature. Il suo corpo, ma soprattutto la sua anima, bramavano il mare, il sole e le coste bagnate dalla risacca. Gli odori e le sfumature pastello della sua città non avevano su di lei alcun ascendente se non per gli stili architettonici e gli affreschi dei suoi palazzi, vero punto d’orgoglio di una Berna comunque da sempre internazionale. Forse la causa di quel suo lieve senso di non appartenenza stava nel fatto che per assecondare il lavoro dei suoi genitori non era potuta crescere in Svizzera, o forse per colpa della sua ultima relazione sentimentale, interrottasi bruscamente quasi tre anni prima, ma sta di fatto che nella sua città natale, Michiru non aveva legami affettivi solidi. Orfana di padre e con una madre violinista praticamente sempre in turnè, a Berna le rimanevano si e no un paio di amicizie e questo non aiutava la guarigione delle sue sottilissime radici.

Sospirando una densa nuvola di vapore, guardò la strada pronta per attraversare quando una macchina un po’ troppo vicina al marciapiedi, passò ad andatura sostenuta schizzandole di nevischio fangoso il bordo del cappotto.

Arretrando prontamente con un balzello, si guardò allargando un poco le braccia. “O, ma andiamo!”

Si, decisamente quella non era una buona giornata! Stringendo nervosamente labbra e cinghia della borsa puntò al bar più vicino masticando amaro. Qualunque cosa avesse deciso di fare non sarebbe certo andata in giro conciata in quel modo. Entrata nel locale, ordinato un caffè e chiesto dove fosse la toilette, cercò di porre rimedio al guazzabuglio e convintissima che quella fosse la giornata più sfortunata dell’anno, decise di tornarsene a casa prima che la sua sfida alla sorte avesse potuto portare esiti peggiori.

Questa cosa è ridicola! Sono due ore che giro a vuoto, pensò sorridendo forzatamente all’addetto della cassa prima di pagare la sua consumazione ed uscire. Michiru non era una donna che amava perdere tempo, non cincischiava avendo insito un pragmatismo invidiabile e se decideva che avrebbe fatto una cosa, il non riuscire la portava alla nevrosi. Così, con un diavolo per capello, si diresse verso una delle fermate della linea verde cittadina.

“Avrei anche potuto portarmi un ombrello, furba che sono!” Si schernì avvertendo fiocchi gelidi sul viso.

Cinque minuti dopo vide arrivare lentamente la vettura ed estraendo dal portafogli la tessera ferroviaria, attese con svizzera compostezza il suo fermarsi e l’apertura. Salì seguita da un altro paio di persone ed obliterato, si scelse un posticino singolo accanto ad uno degli snodi da dove avrebbe potuto godersi il centro in tutta la sua fiabesca atmosfera invernale. Passò svariato tempo e diverse fermate prima che si accorgesse di lui. Un ragazzo bellissimo, dritto in piedi a circa tre metri da lei, con la destra saldamente arpionata ad un palo e la sinistra che stringeva una brossure, concentratissimo nella lettura tanto dall’essere completamente avulso dal vociare degli altri passeggeri.

Nell’istante esatto nel quale riuscì a metterlo a fuoco, Michiru avvertì nel petto una scossa, la gola chiudersi di colpo, gli occhi spalancarsi e le guance andarle a fuoco. Distogliendo lo sguardo ebbe la certezza di essere arrossita e questo la destabilizzò ancora di più. Non pensò, non riuscì a farlo, strinse solamente la borsetta che aveva dimenticato sulle gambe cercando d’inalare ossigeno. Non era certo una novellina, aveva passato i trenta già da un po’ e il mondo lo conosceva bene, come conosceva l’amore, l’attrazione, il desiderio, la passione, ma quell’effetto choc, quel sentirsi improvvisamente stravolta da una semplice immagine non l’aveva mai provato.

Forzata da una curiosità dilagante, tornò a guardare in direzione del ragazzo iniziando ad osservarlo e più il suo occhio esercitato da anni di studi artistici indugiava su di lui, più ne era colpita. Così poté apprezzarne l’altezza, non spropositata, ma importante, il colore dei capelli, di un biondo quasi zecchino, il naso dritto, le orecchie piccole, i lineamenti delicati, estremamente delicati e quando il ragazzo alzò un poco il mento per controllare il tabellone della tratta, a Michiru balenò l’idea che potesse trattarsi di una donna. Le dita troppo affusolate. Le ciglia troppo lunghe. Lo sguardo troppo dolce.

 

 

Cazzo, cazzo, cazzassimo, stai a vedere che mi sono persa! Questi palazzi sembrano tutti uguali! Dannazione! Rendendo gli occhi simili a due fessure, Haruka comparò mentalmente le fermate del tabellone con quelle riportate sul retro della piantina disegnata sulla brossure del museo. Imbecille che sono! Devo averlo passato! Eppure dovrebbe essere bello grosso! Ma guarda che situazione di merda!

Sbuffando iniziò ad agitarsi. Non conosceva per niente Berna, c’era stata si e no tre volte e la neve non la stava aiutando rendendo tutto piatto ed omogeneo. Avrebbe potuto chiedere all’autista o ad un passeggero, ma era pur sempre Haruka Tenou e la cosa non era minimamente presa in considerazione, l’avessero arrestata per vagabondaggio. Poi, d’un tratto, dopo una lunga curva ed uno stridere di freni, comparve un massiccio edificio a due piani in stile classico, bugnato sotto, semi colonne sopra e alla bionda tornò il buonumore.

Eccoti qui grandissima carogna! Ed esplodendo un sorriso entusiasta, premendo il campanello di fermata saltò praticamente giù dal tram.

A passo svelto si diresse verso l’entrata del Kunstmuseum, dove un enorme cartellone annunciava una temporanea dal titolo il Futurismo e la velocità. Sfregandosi le mani eccitata come una ragazzina, oltrepassò la soglia per dirigersi alla cassa. Bagni, Bookshop, bar, sale, Haruka sapeva pianificare i suoi divertimenti al pari di un lavoro e quando ebbe tutto sott’occhio, partì alla scoperta delle prime opere.

 

 

Venti minuti ed era ancora li, in piedi di fronte all’entrata del museo a gelarsi le ossa e a chiedersi cosa diavolo le fosse saltato in mente. L’aveva seguita! Aveva spento la razionalità, il controllo e non appena la bionda era corsa fuori dalla vettura lei aveva fatto altrettanto non rendendosi neanche conto di farlo. Una cosa solo sapeva Michiru Kaiou; che non poteva lasciarla scappare. L’aveva vista guardarsi intorno confusa con l’aria corrucciata e vagamente preoccupata di chi non trova più un punto di riferimento, aveva stirato le labbra a quel fare spavaldo polverizzato man mano che le fermate passavano e la certezza di essersi persa montava, provando quasi tenerezza in quella caparbia ostinazione di dovercela fare da sola.

Ferma come un fuso intuendo di avere una profonda ruga in mezzo alla fronte, Michiru scosse la testa incredula. Sei impazzita! Comportarsi in questo modo è sciocco e volgare. Sei una Kaiou! Ma il panico di vedere quella donna allontanarsi, la consapevolezza che non l’avrebbe più rivista, l’avevano spinta al fare di un’adolescente ed ora era li, sguardo al cartellone pubblicitario mani sul grembo, a bagnarsi sotto la neve.

E per cosa? Cosa pensava di poter ottenere!

“Ormai la stupidaggine l’ho fatta. Tanto vale entrare. Comunque vada avrò visto una bella mostra.” Disse alzando leggermente le spalle protette dal suo cappotto avana e così mosse i primi passi verso la vetrata d'ingresso.

Mantenendo la calma chiese un biglietto alla cassa, oltrepassò il punto ristoro ed entrò nella prima sala stupendosi della poca affluenza nonostante fosse un fine settimana. Il tempo orribile di oggi, si disse iniziando ad osservare le prime opere, artisti italiani per lo più, ed anche se non poteva certo dire che quella fosse la sua corrente preferita, apprezzò lo stesso i colori e le forme dinamiche che inondavano l’ambiente. Leggendo le varie didascalie rise di se stessa e della paura che aveva di guardarsi intorno.

Così camminando compostamente lasciò che il suono cadenzato dei suoi passi rimbombasse per l’ambiente oltrepassando la prima sala per entrare nella seconda e proprio alla sua sinistra, voltata di spalle verso un pannello di plexiglass dov’erano esposte alcune opere, trovò lei che mani serrate ai reni se ne stava inchiodata tra un Balla ed un Depero. E a quell’immagine, a quelle spalle, a quei capelli corti un poco arruffati dall'umidità, Kaiou sentì l’adrenalina esploderle ai lati della fronte, lo stomaco infuocarsi e contorcersi allo stesso tempo, la salivazione sparire e la mascella serrarsi automaticamente fin quasi al tremore. Di nuovo.

Puntando lo sguardo al pavimento questa volta si diede dell’idiota. No, decisamente non era da lei comportarsi così e provare cose simili per una perfetta estranea.

Michi, ma che cosa ti sta succedendo! Alzando di scatto il viso sfidò se stessa in quello che per i suoi poveri nervi stava diventando un gioco al massacro e avvicinandosi alla sconosciuta l’affiancò sfoderando una sicurezza inimmaginabile fino a cinque secondi prima.

 

 

“Fichissimi!” Disse sommessamente con un sibilo ammirato.

Lo sapeva dalle recensioni che quella temporanea era una bomba, ma non avrebbe mai creduto che fosse tanto bella, tanto perfetta per lei. Dovrei sceglierne uno per il poster che vorrei, anzi, prima dovrei terminare la mostra e solo dopo decidere quale comprare. Certo… chi mi direbbe qualcosa se mi facessi un bel regalo e me li portassi a casa tutti e due?

Respirando distorse la bocca pensando al suo angusto bilocale ed al casino cosmico che regnava già così, senza che ci fossero altre cianfrusaglie tra i piedi.

Continuando ad osservare rapita le sfumature blu di Depero e quelle molto più calde di Balla, non si accorse di un’altra persona fermatasi accanto a lei se non quando un buon odore di mare unito al senso di disagio per essere sfacciatamente fissata, presero il sopravvento costringendola a voltarsi un poco. Guardando alla sua sinistra incrociò lo sguardo cobalto di una bellissima donna apparsa dal nulla, tanto che dovette fare proprio una faccia strana perché con un “mi permetto, ma credo che lei sia più un tipo da Balla” l’altra ruppe immediatamente il silenzio della sala colpendo ed affondando la corazzata Tenou in men che non si dica.

Dio se è bella, pensò la bionda travolta dall’intensità e dalla cromia di quelle iridi.

“A si? - Esordì sorniona mentre la sconosciuta muoveva leggermente la testa in segno d’assenso. - Io credo invece che sceglierò Depero... in omaggio ai suoi splendidi occhi.”

Stupita da quello sfrontato complimento, Michiru si fece forte della sua femminilità accettando la partita e rispondendo per le rime abbandonò completamente le paure che l’avevano guidata in quel folle pedinamento. “ Ben gentile, ma io sono sempre più convinta che lei sia un tipo da Balla.”

Apparentemente per nulla colpita, Kaiou si vide costretta ad ammettere quanto quella bionda fosse non soltanto affascinante, ma anche sapiente. Si vedeva, si toccava con mano quanta coscienza avesse di quel potenziale avuto in dote dalla natura e quanto avesse imparato a servirsene. Non le sfuggì infatti il suo calzarsi le mani nelle tasche di un cappotto che sembrava fatto su misura per lei, il metter su una postura rilassata, ma estremamente sicura, il sovrastarla con la statura dandole però spazio e lo schiudersi in un sorriso guascone di quelle labbra leggermente arrossate dal freddo in un misto d’innocenza e malizia.

“Non è da molto che è entrata alla mostra." Affermò Haruka guardando le leggere tracce di neve che ancora aveva la sconosciuta sulla spalla.

“ In effetti…”

“Ho dunque qualche altro minuto per convincerla della mia buona fede. Piancere, Haruka Tenou.” E le porse la destra.

“Piacere mio, Michiru Kaiou.” Rispose all’invito non prima di essersi tolta il guanto.

Un brivido, una scintilla, una folgore d’anima, questo provarono entrambe al contatto deciso dei palmi, tanto che stupendosi, continuarono a fissarsi azzerando tutto il resto.

 

 

“E così vivi a Bellinzona.”

“Lo so, non è Berna, ma la trovo più adatta alle mie esigenze.”

Abbandonato subito il lei per passare ad un più informale e volendo intimo tu, le due avevano proseguito la visita insieme, iniziando lentamente a scoprirsi, a svelarsi grazie a piccole concessioni di due caratteri a loro modo molto schivi. Non si erano fermate a parlare in un angolo, ma avevano sostato compostamente davanti ad ogni opera, lasciando spazio agli artisti così come alla voglia che avevano di conoscersi. Delicatamente. Senza fretta. Così Haruka aveva saputo che l’altra lavorava nel campo artistico, così come Michiru aveva capito come gli studi ingegneristici della bionda un giorno avrebbero potuto portarla a realizzare uno dei suoi più grandi sogni, ovvero lavorare per una casa automobilistica.

“E quali sarebbero le tue esigenze?”

Sedute ad un tavolino del punto ristoro provando piacere l’una dell’altra senza neanche domandarsi il perché si trovassero in quello stato di grazia, avevano deciso che fin quando il tempo non fosse migliorato, avrebbero atteso al caldo e davanti ad una buona consumazione, l’orario del treno che avrebbe riportato Tenou a casa.

“Il lavoro. Le bellezze naturali. L’insofferenza che da sempre ho per i posti troppo affollati.” Sincera alzò le spalle facendo ridere l’altra.

“Insofferenza per le persone?!” Chiese Michiru portandosi astutamente l’aperitivo alle labbra per assaggiarne un po’.

“Sarà che sono nata e cresciuta in una piccola cittadina di provincia, ma non amo le metropoli. Troppo caotiche e piene di gente per un tipo come me. E tu? Ti sei mai allontanata da qui?”

O si che si era allontanata e di svariati chilometri e per così tanto tempo che alle volte le sembrava di essere un’estranea in patria. “Diciamo che la domanda più corretta dovrebbe essere da quanto sono rientrata in Svizzera.” Un altro sorriso prima di spiegarle del lavoro di diplomatico del padre e del talento musicale della madre.

“A però! Allora sei una international woman.” Se ne uscì Tenou sinceramente ammirata tornando a farla divertire.

Sembra ancora più bella quando ride, pensò la bionda inondando le orecchie di quel suono.

“Diciamo che…, si, credo sia la definizione più appropriata che abbia mai ricevuto per il mio girovagare.”

Diverse, diversissime, sia fisicamente; una bionda, alta, spavalda ed un poco rozza, l’altra di statura media, castano chiara, composta come un felino, elegante. Una, international, l’altra restia ad allontanarsi dalla sua terra. Una riflessiva, l’altra irruenta e spesso per questo circondata da un mare di guai. Ma entrambe alla ricerca della metà del cuore sottratto loro alla nascita dal fato che rende tutti gli uomini soli fino al ritrovamento di quell’unico, piccolo, fragile componente di se.

“E dimmi, hai avuto modo di vedere qualche altra mostra sui futuristi? Magari in altri paesi?”

“In realtà… no. Ammetto che sia una corrente artistica molto interessante, ma preferisco l’arte fiamminga.”

Haruka ne fu sorpresa. “A me invece piace molto. La trovo calzante con quello che sono e che faccio.”

“La pilota?”

“Te l’ho già detto, mi piacerebbe, ma per adesso sono solo un meccanico qualunque. Non so se ti sia mai capitato di andare talmente veloce da sembrare di riuscire a fonderti con il vento, ma è questo quello che provo quando inforco una sella. E’ una sensazione pazzesca. Senti il cuore galopparti nel petto, la pelle del viso bruciare, l’adrenalina ribollirti dentro. - Presa dall’entusiasmo si rese conto di aver parlato più del dovuto. - Ma ti sto annoiando. Non credo tu sia una donna da moto.”

“Esatto, ma… potrei diventarlo.”

“E come?!”

“Se ne valesse la pena.”

Un sorrisetto sghembo e la bionda tornò a guardarle quella piccola frezza color acqua marina già notata in precedenza, semi nascosta sul lato destro della sua tempia. “Ed è in una delle terre dove hai vissuto che ti sei fatta fare questa?” Allungando due dita la sfiorò leggermente.

Abbassando la mano che stava sorreggendo il flute, Michiru distolse per una frazione di secondo lo sguardo facendole intuire di avere osato un po’ troppo.

Ritirando immediatamente la mano Haruka si morse il labbro. “Non sono affari miei. Perdonami.”

“No! Non ce n’è motivo. E’ solo… un promemoria.”

Già, un promemoria, per ricordarle, se ce ne fosse stato bisogno, di vivere sempre in pienezza la sua vita e tutto quello che il mondo ha da offrire, in particolar modo gli amori e gli affetti più cari. Alla morte del padre, avvenuta anni prima, Michiru si era resa conto che quello shock non l’aveva solamente maturata, ma le aveva lasciato una sorta di ricordo fisico imbiancandole una ciocca di capelli. Così aveva deciso di tingersela del colore del mare, elemento che adorava e che sentiva suo.

“Come un tatuaggio.”

“Esattamente. Come un tatuaggio, con il vantaggio però di potermene liberare quando più mi aggrada.” Nuovamente quella risata leggera, mai fuori posto, forse solo un tantino controllata e che ogni volta che esplodeva prendeva a vibrare nel petto di Haruka come la più armonica delle risonanze.

“Dimmi Tenou, sincerità per sincerità… , tu hai un promemoria?” Chiese Michiru tornando a guardare quel colore così compatto, denso, che faceva degli occhi di quella bionda un’arma micidiale al pari dei suoi.

“Questo non posso dirtelo Kaiou.”

“O Dio! E cosa potrebbe mai essere?! Un tatuaggio in qualche posto … compromettente?”

Serrando le labbra in una smorfia di finta disapprovazione l’altra le porse il piattino con gli stuzzichini per cercare di cambiare discorso. “Vuoi mangiarci su?”

Di contro, poggiando il mento nell’incavo della mano, Michiru le mostrò il calice colorato a tinte rosa. “Ho preso un analcolico... se vuoi intendere qualcosa.”

“Stavo scherzando. E' che non hai mangiato niente.

“Tranquilla, va bene così. Poi non credo sia molto importante ciò che si fa, ma… con chi lo si fa. Non trovi?”

Haruka raccolse l’esca lanciatale rispondendo con un timbro particolarmente basso. “Sono pienamente d’accordo.”

“Allora… me lo dici?”

“Accidenti! Non sei solita mollare l’osso... vedo.”

“Difficile.” Una voce soffice come il cotone.

“Mmmm. Va bene, te lo dico, ma non giudicarmi troppo severamente. - Indicando la gamba destra proseguì sporgendosi verso di lei. - Ho una piccola cicatrice sulla caviglia. Nulla di trascendentale se non fosse che me la sono fatta a tredici anni… in moto.”

“In moto?!”

“Già.”

”A tredici anni?!”

Allora Haruka scosse fieramente la testa in un assenso più che convinto.

”Ma era una mini moto.”

”No no. Una da Trial.”

”Santo cielo, un cucciolo volante.”

”Hei! Cucciolo si, ma anche allora ero parecchio tosta.”

E al vedere la bionda puntarsi il pollice al petto in una posa compiaciuta, Kaiou tornò a ridere. “E che promemoria sarebbe?!”

Poggiando le spalle allo schienale della sedia l’altra mosse in aria la mano con non curanza. “Mai scommettere di saper saltare un fosso dopo aver bevuto mezza birra e soprattutto mai farlo sapere alla propria madre se non si vogliono danni peggiori. Non ho mai capito se me le diede per la paura di aver saputo che sua figlia giocherellava con una moto o per il semplice fatto di aver soffiato una birra.”

“Credo per entrambe. Però, sapevi andare in moto già da bambina!” Una considerazione immediatamente smentita.

“In realtà non tanto da poter saltare ed in più in quelle condizioni. Figuriamoci, non avevo mai assaggiato un goccio d’alcol, perciò il risultato era praticamente scontato. Comunque non pensavo che avrei perso.”

“Non sei solita farlo?”

“Cosa, perdere? A parte la stupidaggine che feci allora, no, non mi capita spesso.”

Michiru iniziò allora a toccarsi le labbra con un pollice. “Interessante. Sei dunque una vincente.”

Alla bionda non sfuggì il gesto e ne godette. “In genere ottengo sempre quello che voglio.”

“Tranne nelle sfide sotto rallentamento etilico.” Sfotté bonariamente a quella frase che non conteneva ne conferme, ne smentite.

Poggiando gli avambracci al marmo del tavolo l’altra iniziò a sfregarsi le mani. “Ti do il punto.”

“Ben gentile. - Ricambiò Kaiou lasciando poi che lo sguardo cadesse al polso dove l’orologio non concedeva loro altro tempo. - Accidenti, a che ora hai detto di avere il treno?”

“Alle diciotto. Si… credo sia il caso che mi avvii.”

Fecero per alzarsi all’unisono quando posandole una mano sul braccio Haruka la bloccò. - Lascia. Faccio io. - E s’infilò il cappotto.

“Ma… sei nella mia città e perciò mia ospite.”

“Permettimi lo stesso. Vuol dire che la prossima volta toccherà a te offrirmi un aperitivo.” E zittendola con un occhiolino si diresse sicura alla cassa.

Ne sarei felice, pensò Kaiou mentre l’osservava fare la fila e l’idea di doversene privare così presto iniziava a roderla dal di dentro. Prese allora dalla borsa il cellulare compiendo l’ennesimo gesto irrazionale della giornata; ovvero scattarle una foto di nascosto. Non le importava di avere passato i trenta, di essere matura, così come non le importava che il suo leggero flirtare potesse essere scoperto, anzi in realtà ci sperava.

Prendendo il resto, la bionda ringraziò il cassiere avvertendo nuovamente quell’odore di mare provenire dalle sue spalle. “Sei pronta?” Chiese per poi voltarsi.

“Come?”

“Il tuo profumo… E’ molto buono. Ti dona.” E gli occhi di Haruka ebbero il potere di penetrarla ancora una volta.

Non guardarmi così, pregò porgendole il poster che aveva comprato al Bookshop. “Ti ringrazio. Tieni, il tuo Depero.” E vedendosi aprire la porta, uscirono dalla caffetteria iniziando a camminare verso l’uscita. Lentamente, molto lentamente.

Fuori buio e gelo le riportarono drasticamente alla realtà. Berna, i suoni del traffico, il via vai dei tram, la gente che frenetica aveva ripreso a camminare dopo la fine della nevicata, i primi spazzaneve già in funzione. Attraversando si ritrovarono alla fermata con un peso enorme addosso.

“Eccoci qui.” Disse Haruka infilandosi le mani nelle tasche.

“Vuoi che ti accompagni alla stazione?”

Certo che avrebbe voluto, avrebbe fatto di tutto per strappare qualche altro minuto in sua compagnia, ma non con il buio e con quel freddo. “Ti ringrazio Michiru, ma non ti disturbare. Non mi perderò vedrai.”

“Sicura?” E fece una faccia buffa tanto che l’altra scoppiò a ridere.

“Parola d’onore e poi non vorrei che non vedendoti tornare… qualcuno si preoccupasse.” Lanciò sul tavolo.

Era tutto il pomeriggio che avrebbe voluto farle quella domanda, chiederle se avesse il cuore impegnato. Aveva capito di non esserle indifferente, ma doveva sapere se poteva esserci un dopo o sarebbe finito tutto li; davanti ad una palina della linea verde di una delle tratte tranviarie di Berna.

Michiru scosse la testa. “Nessuno.”

“O… Allora vorrei che mi facessi una cortesia. - Tirando fuori dalla tasca interna del cappotto una penna, le prese il polso destro sfilandole il guanto per spostarle poi delicatamente la manica. - Mi avvertiresti quando sarai arrivata sana e salva alla tua magione?” Ed iniziò a scriverle sulla pelle.

Ridacchiando per il solletico, il gesto e la gioia, Kaiou alzò le sopracciglia inclinando la testa da un lato. “Hai sempre una penna a portata di mano?”

“Sono un tipo molto previdente. Ho anche un coltellino multiuso se lo voi sapere.”

“Svizzero?”

“Naturalmente.” Rispose giocosa non lasciando però subito quel calore. Lo tenne per se permettendosi di accarezzarla un poco con il pollice per poi tornare a fissarle gli occhi.

“Così fino a quando non laverai via il mio numero, penserai un po’ a questa imbrattatrice seriale conosciuta in un freddissimo pomeriggio bernese.”

A Michiru tremarono le gambe. “Lo avrei fatto comunque.”

“Davvero?”

“Si.” Soffiò mentre sopraggiungeva il tram ed Haruka le faceva scivolare la mano nella sua. Era così dannatamente difficile lasciarla andare.

“Allora, arrivederci Dottoressa Kaiou.”

“Arrivederci Ingegner Tenou. Mi raccomando… dritta a casa.”

La bionda stirò le labbra, si sforzò di allargare il palmo per abbandonare quel calore, lo alzò al gelo per richiamare l’attenzione dell’autista ed attese che le porte si aprissero. Michiru la vide salire per poi voltarsi e farle un ultimo saluto. In quel momento si sentì sola da morire.

 

 

Guardando la sua immagine riflessa nel vetro del finestrino, Haruka sbuffò ripensando a tutta quell’interminabile giornata. La serie negativa di coincidenze che l’avevano portata ad accumulare ritardi su ritardi le aveva donato l’incontro con una donna speciale, una perla rara. Il suo sguardo dolce condito da una leggera vena di tristezza, era stato in grado d’irretire un cuore da sempre autosufficiente, tanto da farle pensare che sarebbe stato bellissimo avere Michiru nella sua vita. Non le era mai accaduto di considerarsi una donna a metà, un essere incompleto, perché Haruka Tenou era una corazzata, una combattente, un falco solitario che sapeva benissimo provvedere ai suoi bisogni, di qualunque natura essi fossero. Non le mancava niente tranne l’affetto di una famiglia, un amore che la completasse, la scaldasse nei giorni gelidi come quello, la spronasse, la pungolasse, le andasse contro, ed era bastato il calore emanato dal palmo di quella donna per mettere in discussione tutto il suo stile di vita.

Notando solo in quel momento il contrasto stridente tra la luce dei led del vagone con il nero pece del panorama esterno, Haruka provò tristezza per quel distacco. Bianco e nero. Positivo e negativo. Inferno e Paradiso. Possibile che la linea di demarcazione fosse tanto netta? Che bastasse un incontro casuale per cambiare tutto? E se la trasmissione della sua auto non avesse ceduto? Se non si fosse fermata ad aiutare quella signora? O semplicemente, a più largo spettro, non avesse mai deciso di sfidare le intemperie per andare a vedere quella temporanea?

Portandosi la destra al viso respirò cercando il profumo di lei. Leggerissimo, quasi del tutto perso. Porca miseria, Kaiou, pensò mentre il cellulare le vibrava nella tasca.

Prendendolo al volo avvertì ansia.

-Arrivata sana e salva. Grazie ancora per questo piacevolissimo pomeriggio. Sei una persona bellissima. Hai saputo darmi tanto calore pur non conoscendomi affatto. Michiru.-

Haruka digrignò i denti. Un nodo alla gola forte come un maglio. Mai, mai aveva provato tutta quell’agitazione per una donna. Mai! Ne per il suo primo amore, in realtà una violenta infatuazione per una ragazza di poco più grande che a sedici anni le aveva portato in dote l’esperienza che come adolescente ancora non aveva, ne per le avventure consumate all’ombra di un’estate o quelle di una sera di solitudini. Mai. Mai quella tensione nella voce che aveva cercato di controllare per tutto il pomeriggio, mai quella costante nausea smorzata solo dall’alcol di un aperitivo, mai quelle deflagranti botte d’adrenalina ad ogni suo sguardo. Haruka Tenou era stata ingabbiata in qualcosa di più grande di lei e ne era pienamente cosciente. Inalando un grosso boccone d’aria si sistemò meglio sul sedile iniziando a digitare.

 

 

Michiru notò il cellulare illuminarsi e vibrare sul comodino di vetro vicino al divano. Sapeva già chi fosse. Non mancava mai di avvisarla quando stava sulla strada verso casa, soprattutto quando fuori era buio ed il tempo tendeva al brutto come in quella sera. Alle volte era solo uno squillo, altre un messaggio, altre ancora una serie di emoticon senza capo ne coda.

Posando sul granito della penisola il piatto di carne preparato per cena, andò a vedere. E si, un messaggio vocale. “Sto arrivando amore. Ho appena imboccato l’ultima salita. Ho una fame da lupi! Cibooo.”

Scuotendo la testa sorrise, ma non rispose per evitare di distrarla mentre era alla guida. Si concentrò invece sulla legna incandescente del camino. Prendendo l’ennesimo ciocco dal contenitore lo posò accortamente sul fuoco sistemando meglio un alamaro. Ipnotizzata dallo sprigionasi di nuove fiamme si accovacciò qualche secondo. Come era calda la loro casa di Bellinzona e come si sentiva protetta tra quelle mura. Niente a che vedere con l’appartamento che fino a cinque anni prima aveva occupato a Berna. Michiru ricordava perfettamente la velata sensazione di solitudine che l’accoglieva ogni qual volta faceva ritorno. Freddo. Sia che si trovasse in inverno che in estate. Vuoto d’anima. Era andata avanti per anni non curandosene, facendo finta di non avvertire nulla di diverso che un comodo e bene arredato contenitore per i suoi ricordi, i quadri e i libri collezionati in anni di viaggi. Ma poi era accaduto qualcosa, il destino o chi per lui le aveva donato un sole splendente al quale affidarsi e di colpo non era stata più sola. Improvvisamente la pelle e il cuore erano stati scaldati da due forti braccia che l’avevano desiderata prima e resa completa poi.

Alzandosi guardò sul ripiano una serie di foto incorniciate prendendone una; quella alla quale teneva di più, che non dimenticava mai di portare con se quando per lavoro era costretta a star lontano più di qualche giorno. Le aveva dato forza nei momenti bui, accendendole il cuore quando il suo sguardo si posava sull’immagine di quella bella donna alta, bionda, nell’atto di saldare una consumazione nel punto ristoro di un museo di Berna.

La chiave nella toppa girò e lei quasi non se ne accorse. La sentì entrare rimuginando qualcosa riferito alla pioggia che aveva preso a cadere già dalle prime ore del pomeriggio.

“Che tempaccio. Speravo nevicasse un po’, invece niente! Michi ci sei?!”

“Si Ruka, sono qui.” Rispose non staccando gli occhi dalla foto.

Era passato un lustro da quel giorno, da quell’incontro, da quel messaggio. Cinque anni nei quali le loro vite si erano fuse in una.

Sei una persona bellissima. Hai saputo darmi tanto calore pur non conoscendomi affatto. Non appena il pollice aveva premuto sul tasto d'invio ed il messaggio era partito, Michiru era stata attanagliata dalla paura di essersi esposta troppo, ma realmente Haruka era riuscita a darle tanto e la cosa l’aveva scossa a tal punto da infonderle il coraggio di gettarsi senza rete di sicurezza. Ed era stato un salto che avevano finito per fare in due. Dopo qualche minuto la bionda le aveva risposto ed improvvisamente quel monolocale non era stato più freddo, ne solitario.

-Tu sei bellissima… da mozzare il fiato e mi piacerebbe rivederti ancora. Questa volta però… da me.-

“Sfacciata.” Disse sentendo le braccia di Haruka avvolgerla da dietro.

“Che ho fatto questa volta?”

“Hai la coda di paglia, Tenou?”

“Ho imparato che con te è sempre meglio mettere le mani avanti.” Sfotté ridacchiandole nel collo provocandole un brivido.

“Stavo ripensando a quel giorno. Sono quasi cinque anni.” Mostrandole la cornice si accoccolò tra quel tepore.

“Già, l’anniversario del nostro primo incontro è vicino. Hai in mente qualcosa?”

“Potresti sorprendermi.”

“Mmmm… ci risiamo. Lo sai che in queste cose sono una zappa!”

“Non è vero. Sei solo pigra.” Voltando la testa la guardò di soppiatto.

“Come pigra?!”

“I primi tempi eri sempre sul pezzo…”

“Con un po’ d’impegno so ancora come farti tremare le gambe Kaiou.” Le sibilò maliziosa nell’orecchio.

“A si? - Girandosi nell’abbraccio alzò il mento stuzzicandola. - Sentiamo dunque.”

Sei tremenda, pensò Haruka serrando le labbra. Qualche secondo per pensarci su poi vergognandosi un po’ rilasciò un pesantissimo sospiro.

“Sai… certe volte… quando sono in macchina e sto tornando da te, o guardo l’ora seduta in qualche caffè aspettando di vederti comparire da un momento all’altro nel tuo incedere leggero, dopo un periodo di lavoro particolarmente stressante dove non siamo riuscite a vederci se non in orari assurdi, quando la sera entri in camera assonnata nel tuo pigiamone felpato, o la mattina, mentre sei ai fornelli intenta a preparare la colazione, di schiena, canticchiando, quando indossi un vestito per un’uscita speciale e sei abbagliante o ti guardo dormirmi accanto, nel nostro letto, serena come una bambina, bè… in quei momenti sento di amarti come il primo giorno, come quando mi moriva il fiato nella gola ad ogni tuo sguardo. Riesci ad emozionarmi, a stupirmi proprio come cinque anni fa, a farmi sentire la donna più felice e completa della terra e non credo proprio di aver fatto qualcosa per meritarmi tutto questo, ma ringrazio il cielo per avermi concesso tanto."

Prendendo fiato si rese conto di aver detto tutto in apnea. Sfiorandole il viso con un dito le sorrise dolcemente aspettando una reazione.

“Allora? Sono stata sufficientemente chiara?”

“Si.” Soffiò l’altra chiudendo gli occhi al tocco di quella carezza.

“Dunque questa pigra bionda è riuscita ancora a farti tremare le gambe…”

“Sss… si.”

“Bene… Perché ci ho messo un quarto d’ora di macchina per pensarla… e molto di più per impararla a memoria.” Se ne uscì soddisfatta.

Spalancando gli occhi Michiru le mollò una manata sulla spalla arretrando. “O… sei impossibile! Per te è sempre tutto una sfida!” E ripose la cornice sulla mensola del caminetto.

“Ed io che ci casco ancora! Muoviti che la cena è pronta.” Disse andando veloce verso la penisola continuando a borbottare come una vecchia comare.

Rimasta in piedi davanti alla bocca del camino, l’altra ghignò mettendosi le mani nelle tasche dei jeans. Era così facile coglierla in castagna quando riusciva ad aprirle il cuore come aveva appena fatto, così immensamente gratificante vederla ancora arrossire dopo tanto tempo. Michiru adorava sentirsi dire certe frasi, ma sapeva anche quanto non fosse da lei esporsi tanto, quanto fosse timida e quanto cercasse di eludere con lo scherzo l’enorme pudore che provava ogni volta che le diceva di amarla.

“So che fai del tuo meglio per essere romantica ed è per questo che non ti farò restare senza cena! Ma bada Tenou… dovrai sforzarti molto più di così per il nostro anniversario. Chiaro?” Minacciò con l’indice mimandole poi di avvicinarsi per aiutarla ai fornelli.

Stringendosi nelle spalle ed iniziando a tirarsi su le maniche del maglione, la bionda accettò la sfida e con uno dei suoi soliti sorrisetti andò verso la compagna pronta a rendersi utile. A pochi centimetri la costrinse a darle il viso con un dito sotto al mento.

“Dai che si raffredda tutto.” Cercò di opporsi Michiru ancora un po’ irritata.

“Amore…”

“Che c’è!?” Chiese sentendo la fronte di Haruka poggiarsi alla sua.

“Senza di te non sarei niente.” Sospirò prima di prenderle le labbra in un profondissimo bacio.

 

 

Note: Ciau, spero che questa one-shot vi sia piaciuta. Questa volta niente cose buffe, solo tanto sentimento e non essendo da me, spero di non aver combinato un casino. Comunque sono qui a vostra disposizione. Se qualcuna avesse il desiderio o la curiosità di approfondire una o più parti delle mie ff, fatemelo sapere. Anche in privato. Mi piacerebbe interagire con voi.

Per adesso un salutone e a presto!

   
 
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