Perché devo sorvegliarlo proprio io?
Fine dei giochi
1.
Tonks prese la bottiglia
d’acqua dal tavolo e la fece sparire nella enorme borsa che aveva a
tracolla.
Era sul punto di uscire da
Grimmauld Place da quasi mezz’ora e continuava a dimenticare
qualcosa.
Si era fermata per due volte
nella sua camera da letto per cercare una maglia di cotone da portare con sé e
poi i fazzoletti da naso che aveva lasciato vicino al
letto.
In corridoio si era ricordata
della finestra che aveva lasciata aperta in bagno ed era tornata sui suoi passi
per chiuderla. Poi si era ricordata che poteva usare la bacchetta e nel
prenderla aveva sbattuto il gomito contro il muro.
In cucina, dopo la colazione,
aveva urtato contro la sedia e si era rovesciata la borsa con tutto quello che
aveva all’interno.
Si era chinata a raccogliere
tutte le sue cianfrusaglie borbottando una litania di parolacce contro se
stessa.
Nelle ultime settimane le era
difficile mantenere la concentrazione. I suoi pensieri sembravano nascere dal
nulla e avere come unico scopo il tormento del suo
cuore.
Si fermò a lato del tavolo
della cucina, sospirando. Era così complicata la sua
vita…
Ripensò, concentrandosi, a
tutti i passi che doveva compiere in quella
giornata.
-
Passare da Moody e consegnargli il materiale che Remus aveva terminato di scrivere la sera prima riguardante le informazioni dategli da uno dei suoi infiltrati alla Gringott;
-
Evitare, assolutamente, di bere qualcosa con Moody per non incorrere in effetti collaterali;
-
Assumere le sembianze di una donna delle pulizie, secondo le informazioni date da Percy Weasley;
-
Entrare al Ministero, andare all’ufficio di Arthur e prelevare tutte le carte elencate nel foglietto che aveva nascosto nella borsa;
-
Uscire indenne dal Ministero;
-
Ritornare alla Tana e consegnare tutto ad Arthur;
-
Evitare nel modo più assoluto di pensare a Severus Piton.
Chiuse gli occhi,
insultandosi silenziosamente per la propria assurda testardaggine nel voler
pensare che Severus Piton fosse ancora vivo, che potesse ritornare da lei una
volta che Voldemort fosse sconfitto.
Il messaggio che Severus
aveva lasciato a Remus era chiaro, preciso, definitivo, come colui che lo aveva
scritto.
Lo stesso Remus era stato
molto chiaro con lei. Severus Piton aveva lasciato precise disposizioni affinché
il suo biglietto di addio le venisse consegnato dopo che si fossero interrotti i
contatti tra lui e Remus. Remus aveva atteso qualche giorno in più per essere
sicuro di non infliggerle inutile dolore.
Eppure lei continuava a
sperare che non fosse morto. Che fosse solo una strategia di Severus per evitare
di finire al cospetto dell’Oscuro Signore e rispondere dell’accusa di
tradimento. Il suo corpo non era mai stato trovato.
Scuotendo la testa, Tonks
diede un pugno alla tavola davanti a lei. In meno di dieci secondi aveva già
trasgredito la regola più importante di tutto il suo
elenco.
Non doveva pensare a Severus
Piton. Mai. Aveva un cuore da proteggere il più a lungo
possibile.
La guerra stava finendo.
Tutti lo sentivano. C’era un odore nell’aria fatto di idee, parole, sospetti,
percezioni. Un odore che portava con sé stanchezza e desiderio di portare a
termine quello che era iniziato ad Hogwarts con la morte di Silente. Voldemort
doveva morire.
Risoluta e decisa, Tonks si
incamminò fuori della cucina, evitando di un soffio un basso tavolino con sopra
dei libri e, lungo il corridoio, un attaccapanni.
Uscendo accostò silenziosa la
porta e si incamminò per le strade di una Londra grigia e fumosa, stringendosi
addosso la maglia per proteggersi dalle folate di
vento.
Sei sempre così
bella…
Bella e
triste…
Lungo la strada si concentrò
sul piano deciso con Remus.
Non era impossibile penetrare
al Ministero, anche se c’erano spie dei Mangiamorte in ogni ufficio. Tu-Sai-Chi
non riteneva il Ministero un punto strategico, da controllare, ma solo un ottimo
ricettore di informazioni. Aveva dunque deciso di metter alcuni dei suoi uomini
all’interno per controllare e impaurire i funzionari e per raccogliere notizie
relative alle decisioni future del Ministero
stesso.
In questo modo il Ministero
risultava formalmente libero di agire: nessuno all’interno si dichiarava
apertamente seguace del Signore Oscuro, ma per paura molti parlavano
direttamente con i suoi scagnozzi con l’idea di garantirsi protezione e
sostegno.
Le azioni del Ministero,
nell’ultimo anno, avevano provocato un senso di sfiducia e di insofferenza tali
che erano ben pochi a credere che fosse ancora un organo di governo. Il Ministro
era reso debole da una squadra di ministri incapaci.
L’Ordine della Fenice,
sostenendo in quei mesi apertamente il Ministero, era diventato, in via non
ufficiale, il suo braccio operativo.
In realtà non c’erano
contatti tra il Ministro e Remus Lupin, che guidava l’organizzazione dalla morte
di Silente, ma il Ministero sosteneva, pubblicamente, ogni azione dell’Ordine
stesso, assumendosene indirettamente il merito.
Con sfacciata incoerenza
dimostrava ferma condanna quando una azione dell’Ordine non raggiungeva i
risultati sperati o, peggio, provocava involontariamente danni a maghi e babbani
innocenti.
Questo continuo alternarsi di
voltafaccia aveva reso il Ministero fragile e poco credibile agli occhi della
gente.
La fonte di informazione più
cercata dai maghi negli ultimi mesi non era
Tonks prese dalla borsa
l’ultima edizione.
Era stampato su un normale
foglio. Da un lato c’erano i commenti politici di Remus, Moody, Arthur e Minerva
che si alternavano nella stesura di feroci attacchi al Signore Oscuro e al
Ministero. Erano firmati con pseudonimi, ma chi conosceva gli autori riusciva a
distinguerne lo stile. L’uso di parolacce poteva essere solo di Moody, il tono
sarcastico di Remus, le metafore di Minerva, la neutralità di
Arthur.
Sulla stessa facciata c’erano
le informazioni relative agli scontri e alle vittorie o sconfitte
dell’Ordine.
Venivano segnalati tutti gli
scontri tra maghi seguaci di Silente e Harry Potter e i Mangiamorte, con
particolare attenzione nel ricordare coloro che perdevano la
vita.
Sull’altra facciata c’erano
notizie più leggere, compreso un messaggio che Harry Potter faceva avere
regolarmente e che manteneva viva l’attenzione su quanto stava facendo insieme a
Ron Weasley, Hermione Granger e Ginny Weasley.
Erano partiti mesi prima per
una missione voluta da Silente e sostenuta da Remus
Lupin.
Tonks era tentata di leggerlo
nuovamente, ma doveva fare attenzione. Doveva assicurasi di non essere seguita e
mancavano comunque pochi passi per arrivare al punto prescelto per
Smaterializzarsi.
Lo Spioscopio che aveva in
tasca non segnalava la presenza di intrusi vicino a
lei.
Si disse che sapeva a memoria
tutto il contenuto di quell’edizione e accartocciò la carta tra le mani. Al
primo cestino la buttò dentro.
Dopo pochi passi si dissolse
nel nulla.
Nuove
informazioni.
Devo contattare Remus a
questo punto
e capire quello che è meglio fare per
l’Ordine.
Quanto mi
manchi…
“Moody, lo sai che non
posso!” sbottò infastidita Tonks, scuotendo la testa e la massa di capelli blu
indomiti che la caratterizzavano quel giorno.
“Quanta rigidità,” brontolò
Malocchio, scolandosi il bicchierino di gin che aveva in mano. L’altra mano
arrivò decisa allo scaffale alla sua sinistra e ci depositò sopra l’intera
bottiglia quasi piena.
La stanza era il regno del
disordine. Un disordine che persino lei trovava rivoltante. Tutta la casa di
Moody era disordine.
“Cosa devi fare oggi,
fanciulla?” le chiese l’uomo lasciandosi crollare su una sedia. Indossava una
logora tuta da Auror, rattoppata con stemmi di vario
tipo.
Era sempre lo stesso Moody,
stazzonato, poco curato e brontolone, ma Tonks non perdeva di vista il suo
occhio scaltro e guardingo che scannerizzava ogni angolo della sua casa e ogni
sua espressione.
“Entrare al Ministero e
rubare degli appunti per Arthur,” gli rispose,
imbronciata.
Moody scoppiò a
ridere.
“Beh?” gli chiese lei,
inalberandosi.
“Direi che hai trovato la
vera anima di un Auror…” continuò a sghignazzare Malocchio. Si diede una manata
sul ginocchio, piegandosi in avanti, quasi contro il tavolo. “Proprio il lavoro
per te! Travestirsi e rubare!” E riprese a ridere.
I capelli di Tonks
raggiunsero un pericoloso color arancio carico.
“Tengo a precisare,” sibilò
irata, “che non ho scelto io di rubarlo, caro il mio professore! E se quel
bagaglio di segatura che hai in testa, ti togliesse almeno l’umidità che logora
le rotelline che ci sono in mezzo, ti ricorderesti che io,” aggiunse infilandosi
quasi l’indice nello sterno, “sono il miglior braccio operativo dell’Ordine!”
terminò urlandogli contro.
Malocchio si asciugò le
lacrime che gli bagnavano gli occhi e
si controllò.
“Lo so, ragazza, lo so. Ti ho
addestrata io, dopotutto,” le ricordò. “Cosa conti di
fare?”
“Oh, beh,” balbettò lei,
passandosi le mani sopra i jeans, “pensavo di diventare una ignorabile signora
delle pulizie. Molto grigia, insignificante… capelli stopposi, vestiti ordinari…
Armarmi di secchio e straccio e andare a sistemare l’ufficio di Arthur
lamentandomi dell’artrite.”
“Cerca di non diventare
troppo visibile, non esagerare.” Lo disse con l’indice della mano alzato che
puntava dritto al naso di Tonks.
Lei rispose con una
smorfia.
“Cosa dico a Remus di
questo?” gli chiese indicando il plico di pergamena che gli aveva consegnato.
Non ne conosceva il contenuto, ma immaginava che fossero informazioni avute con
l’inganno che Moody doveva mettere a confronto con tante altre, già ricevute,
per analizzare somiglianze e differenze, cercando di dare forma al piano
elaborato da Voldemort con maggiore chiarezza
possibile.
Moody lanciò un’occhiata ai
fogli. Rimase in silenzio, pensieroso per alcuni
secondi.
“Credo che gli manderò io un
messaggio. Meglio essere diretti nelle comunicazioni. Si rischiano meno
intercettazioni.”
Non guardò Tonks, ma la
ragazza sapeva che quelle parole non erano segno di sfiducia verso di
lei.
I Mangiamorte avevano
raccolto molte informazioni dell’Ordine nei mesi precedenti intercettando le
missive inviate via gufo, nonostante le protezioni magiche. All’inizio era un
controllo ben congegnato, che non lasciava traccia sulle pergamene e aveva
richiesto alcune settimane per essere svelato, da parte di
Moody.
Da allora il sistema di
comunicazione all’interno dell’Ordine era stato blindato con incantesimi e
sistemi di crittografia tali da rendere le intercettazioni quasi nulle. I
Patronus venivano utilizzati per comunicazioni di urgenza. I Mangiamorte erano
diventati prima più temerari e ora decisamente sconsiderati tanto che lasciavano
esplicita traccia del loro passaggio: le lettere arrivavano aperte o
parzialmente rovinate. In questo modo però l’Ordine sapeva quali notizie erano
arrivate al nemico e poteva modificarle.
La mancanza di notizie era
uno dei motivi per cui i Mangiamorte sferravano meno attacchi e non sempre ben
centrati sull’obbiettivo desiderato.
C’era stato, nell’ultima
settimana, un attacco contro una casa in periferia a Londra che risultava essere
una delle sedi dell’Ordine dalle quali partivano le missive. In realtà era la
casa di una vecchia zia di Severus Piton, morta da anni. La distruzione
dell’edificio era stata parziale, ma era comunque
disabitato.
“Dannazione!” si insultò
Tonks sottovoce. Aveva di nuovo pensato a Severus.
“Dannazione!”
“Non è così facile non
pensarci. Datti del tempo.”
Tonks alzò lo sguardo verso
Moody. La stava guardando a sua volta con un’espressione che poteva essere di
paterna dolcezza.
“Scusa?” gli chiese
perplessa.
“Non fartene una colpa di
pensare ancora spesso a Severus.” Tonks spalancò gli occhi per la
sorpresa.
A parte Remus, Molly, Arthur
e Minerva nessuno era a conoscenza di quello che era successo tra lei e Severus
durante i pochi giorni che avevano trascorso insieme mentre lui era prigioniero
dell’Ordine.
Moody fece una smorfia che
era indice di un sorriso.
“Riconosco i segni Tonks. E
l’unico uomo al quale sei stata vicina ultimamente e che non c’è più è proprio
lui.”
Tonks si sentì bruciare per
l’imbarazzo.
“Non dovresti obbligarti a
non pensare a lui… è quello che stai facendo immagino, giusto?” le chiese
guardandola. “Non pensarci non lo rende lontano, aumenta solo il tuo
strazio.”
Tonks abbassò lo sguardo. Si
sentiva molto esposta in quel momento, come se i suoi sentimenti e le emozioni
fossero drappi colorati che sventolavano sotto gli occhi del professore.
Decisamente imbarazzante. Irritante.
“Volevo che sapessi cosa ne
penso. Preparati per andare al Ministero adesso.”
Tonks borbottò un saluto e
gli fece un cenno con la mano, lieta di poter scappare da quello sguardo così
penetrante.
Uscì da casa di Moody e si
incamminò verso il Ministero. Un po’ di sole le avrebbe fatto
bene.
Finalmente sei
uscita…
Hai
fretta?
No. Sei
arrabbiata…
Chissà
perché.
La notte stava calando e alla
Tana le luci erano accese sia al piano terra sia in qualche camera da letto.
Mentre Ron e Hermione raccoglievano alcune cose da portare con loro, al
pianterreno Molly stava terminando di cucinare per la sua famiglia, almeno
quella che ancora poteva vivere in quella casa e per alcuni
amici.
Oltre a lei e al marito
sarebbero rientrati Charlie e i gemelli. Percy sarebbe rimasto a Londra e Bill
era con la moglie, nella loro casa. Ron e Hermione avrebbero raggiunto Ginny e
Harry in pochi minuti.
Arthur era con Remus e
sarebbero arrivati insieme. Era attesa anche Tonks.
Il bussare perentorio alla
porta fece sobbalzare Molly, intenta a controllare le
verdure.
“Aspetta ad aprire, mamma. Ce
ne andiamo noi.”
Ron le si avvicinò parlando
per darle un bacio su una guancia. Non li aveva sentiti scendere le
scale.
“Meglio che non ci veda
nessuno oltre a te,” aggiunse sorridendole.
“Arrivederci signora
Weasley,” le sorrise Hermione dandole un bacio.
“Salutate Ginny e Harry per
me,” rispose lei con un accenno di lacrime agli
occhi.
Il figlio le sorrise,
prendendo Hermione per mano e portandosi nel caminetto. In pochi secondi erano
spariti.
Molly si asciugò le mani sul
canovaccio che aveva appeso alla vita, mentre bussavano una seconda
volta.
“Chi è?” chiese ad alta
voce.
“Charlie. E quella
rompiscatole di Tonks!” si sentì dire con voce profonda da dietro la porta.
Molly riconobbe la voce del figlio, quel suo trascinare le parole
impercettibilmente.
Guardò lo stesso attraverso
lo spioncino. Vide il volto segnato del figlio e i suoi lunghi capelli biondo
rossicci. Dietro c’era il volto imbronciato di
Tonks.
“Buonasera ragazzi!” li
accolse aprendo la porta con un sorriso e un abbraccio per ciascuno dei
due.
“Tuo figlio manca di
gentilezza,” le disse Tonks con un sorriso. “Dovrebbe stare meno tempo con i
draghi.”
“Bla, bla, bla,” ghignò
Charlie togliendosi il mantello e lanciandolo verso una
poltrona.
“Ho fame!” annunciò Tonks a
tutti e due, battendo le mani.
Molly le allungò
immediatamente un biscotto.
“Sei un tesoro,” la ringraziò
addentandolo.
“Come mai hai aspettato ad
aprirci mamma?” chiese Charlie.
“C’erano Ron e Hermione ed
era più sicuro che andassero via,” spiegò.
Entrambi i giovani si
girarono a guardarla.
“Come stanno?” chiese
Charlie, con una strana apprensione.
“Tutti e quattro bene, per
fortuna.” Molly riprese a governare la cucina. “Apparecchiate,” chiese
loro.
“Oh, lo fa Charlie, per
scusarsi della battuta di prima,” disse Tonks andando vicino a
lei.
Mentre l’amico organizzava i
tavoli, tovaglie, piatti, bicchieri e posate Tonks si acciambellò sopra un
ripiano della cucina, libero da pentole e vassoi, con un pezzo di biscotto in
mano.
“Molly…”
La signora Wealsey si girò a
guardarla.
“Si vede quello che provo per
Severus, secondo te?” chiese Tonks sottovoce. Ci aveva pensato per tutto il
giorno, anche mentre, armata di scopa e straccio per i pavimenti, entrava
nell’ufficio di Arthur, con i capelli grigi che le scendevano sugli
occhi.
Molly le fece un sorriso
triste.
“Sì, tesoro mio. Da come non
ne parli, da come diventi tesa.” Rimase in silenzio a
guardarla.
“Oggi ero da Moody e lui mi
ha detto che non dovrei ostinarmi a non volerlo ricordare,” le spiegò con le
lacrime agli occhi. “Ma non ne ho mai parlato con lui di quello che è successo.
E nessuno di voi lo farebbe.”
Si guardò intorno. Charlie
stava facendo svolazzare i tovaglioli e i
bicchieri.
“Charlie, non giocare con le
stoviglie!” gli disse Molly, con tono molto
materno.
“Va bene, mamma!” rispose
Charlie con tono infantile, senza per altro
fermarsi.
“Moody ti consoce meglio di
chiunque, Ninphadora. Sa riconoscere quello che provi da come ti muovi…
chiaramente ha immaginato qualcosa.” Molly le accarezzò un braccio,
sorridendole.
Tonks ricambiò con un sorriso
tremante.
Se non ci fosse stato Charlie
si sarebbe gettata tra le braccia dell’amica e avrebbe pianto. Ma doveva
trattenersi e aspettare di tornare a casa dalla madre, dopo la cena. Allora si
sarebbe sfogata tra le sue braccia.
Era più di un mese che si
costringeva a non pensare a lui eppure non ci riusciva mai. Era un filo sottile
che l’avvolgeva come un bozzolo. Si sentiva stritolare dalla forza del suo
stesso sentimento.
Si era innamorata di Severus
Piton prima ancora di capire che le piaceva. Si era innamorata di lui quando lo
aveva visto sconfitto, indebolito, fragile e brutto. Si era innamorata della sua
tenacia, della sua determinazione, della sua coerenza. Del suo corpo angoloso e
così poco sensuale.
L’aria fresca che le
pizzicava il volto, le stava anche asciugando le
lacrime.
“Ninphadora?” Il braccio
della madre le circondò le spalle e Tonks vi si appoggiò in silenzio,
singhiozzando.
“Passerà, mamma?” chiese
tremando.
“Oh, tesoro…” La abbracciò.
“Faremo il possibile perché non sia così doloroso…” le rispose con
sincerità.
No, no,
no…
Piccola,
no…
Due giorni dopo erano
nuovamente tutti a Grimmauld Place. Remus aveva convocato un incontro che tutti
sapevano essere risolutivo per le sorti dello
scontro.
I membri dell’Ordine della
Fenice si erano seduti in cerchio, attorno al tavolo della cucina. La maggior
parte era riuscita a trovare una sedia girando per la casa, mentre altri si
erano assicurati un posto a sedere usando mobili e
tavoli.
Alla riunione era presente
anche Harry, per la prima volta da mesi.
Tonks lo aveva salutato poco
prima, felice di poterlo riabbracciare. Il giovane mago era dimagrito e stanco.
Si vedevano i segni della fatica di quel periodo, non solo nelle occhiaie o nei
vestiti troppo ampi, ma anche nella tensione con la quale si muoveva nella
stanza, nella tristezza con la quale leggeva l’elenco dei morti negli ultimi
scontri.
Sorrideva a tutti coloro che
lo saltavano, sinceramente lieto di rivederli. Aveva abbracciato Molly e Arthur
con vigore. Poi si era chiuso nella triste lettura di quell’elenco, sordo ad
altri commenti.
Erano arrivati con lui anche
Ron, Hermione e Ginny. Come Harry
avevano tutti l’aspetto di chi dormiva male da mesi e portava sulle spalle
tensione e dolore. Tonks guardava Ron e Hermione seduti l’una in braccio
all’altro, silenziosi e così vicini. Le mani erano appoggiate leggere sul corpo
dell’altro, quasi casualmente, ma c’era una familiarità, un’intimità in quei
semplici gesti che rese Tonks ancora più triste.
Ginny era vicina a Harry,
forse non lo sfiorava neppure, ma lui ogni tanto si girava a guardarla ed erano
gli unici momenti nei quali gli occhi del ragazzo accennavano ad un sorriso. Lei
era assorta nella lettura dello stesso giornale, guardandolo da sopra le sue
spalle e sembrava non accorgersi di quegli sguardi.
Quando Remus prese la parola,
lo fece battendo le mani per attirare l’attenzione di tutti. Anche Harry lasciò
il foglio e lo guardò.
“Bene, direi che siamo tutti
e possiamo cominciare. Siamo arrivati alla fine, amici!” Remus era visibilmente
euforico. Gli occhi luccicavano e le mani non stavano ferme. “Harry?” disse
lasciandogli la parola.
“Grazie. Silente come sapete
mi aveva lasciato un compito da svolgere, come vi avevo detto mesi fa. Qualcosa
che ha coinvolto Ron, Hermione e Ginny. Lo abbiamo portato a termine due giorni
fa.” Ci fu un piccolo applauso spontaneo dalla sala. Harry alzò la mano per
fermarlo. “Non significa che abbiamo raggiunto una vittoria, ma solo che il
terreno è pronto per provare a prendercela. Abbiamo cercato di togliere di mezzo
tutto quello che permetteva a Voldemort di avere più potere di qualsiasi altro
mago. Tranne Silente. Che ci aveva chiesto di arrivare fino a qui. Abbiamo
trovato e eliminato ogni elemento, tranne uno. Quello dovrò affrontarlo io, in
uno scontro diretto.” Una sensazione di gelo scese nella stanza. Harry rimase in
silenzio, scambiando delle occhiate con gli altri amici. Ron si alzò in piedi,
lasciando la sedia a Hermione. Tutti si girarono a guardarlo, sorpresi che
potesse prendere lui il posto di Harry e non
Hermione.
“Abbiamo ancora qualche
vantaggio di cui Voi Sapete Chi non è a conoscenza e lo utilizzeremo all’ultimo
momento, se sarà necessario,” disse Ron guardando tutti i presenti. “Harry ha
bisogno di noi contro i Mangiamorte e contro Voldemort, per
sostenerlo.”
Tonks si meravigliò per quel
cambio di prospettiva. Ron si era messo all’interno dell’Ordine della Fenice,
non più a fianco di Harry.
“Harry deve agire da solo?”
chiese prima di potersi controllare. Tutti si girarono a
guardarla.
“Sì,” rispose Harry. “Contro
di lui sarò solo. Devo essere solo. Avrò un alleato in ognuno di voi mentre mi
lascerete libero di agire contro Voldemort senza dovermi preoccupare di
altri.”
Harry si guardò intorno,
incrociando lo sguardo di tutti.
“Abbiamo tutti intenzione di
esserci, Potter!” rispose sicuro Malocchio. Qualcuno, compreso Remus, sorrise.
“Dove intendi incontrarlo? Dove si trova l’ultima cosa che cerca? Perché devi
essere solo tu?”
“L’ultima cosa che cerca sono
io, Malocchio,” disse Harry. Tonks sentì il cuore saltarle un battito e accadde
anche alla maggior parte degli altri. Persino Remus si mostrò sorpreso e
preoccupato.
“Harry…” esclamò Molly
allungando un braccio verso di lui, come a volerlo
fermare.
Harry le sorrise con
mestizia. “Non posso sottrarmi, signora Weasley. Non posso scegliere,” le
rispose. Tonks percepì il lieve tremore della voce.
“Ne sei certo?” chiese
Remus.
Harry annuì. “Fidatevi,” gli
rispose con un’espressione rassegnata in volto. “Non ci sono
alternative.”
Rimase un silenzio sospeso
nella stanza. Tutti avrebbero voluto esprimere le loro obiezioni, ma c’era una
consapevolezza, seppur fragile, che fosse proprio quello lo scenario dello
scontro finale.
“Di cosa hai bisogno?” chiese
Bill, con tono tranquillo. Se quello era, quello sarebbe
stato.
“Di organizzare un attacco
frontale, di sapere quanti saremo e scegliere quello che per noi è il luogo
migliore per scontrarsi. Di fare un piano tutti
insieme.”
“Siamo troppi per fare una
cosa del genere,” osservò correttamente Arthur. “Se ci mettiamo tutti a parlare
di tutto rischiamo di non finire mai la discussione. Direi che potremmo definire
il luogo tutti insieme, per vedere dove ci sentiamo più sicuri e poi Remus
deciderà a chi affidare i diversi compiti.”
Arthur si girò verso Remus
quasi a chiedere conferma. Remus fece un piccolo cenno di
assenso.
“Opinioni sul luogo?” chiese
a tutti.
“Non esteso e ben
controllabile. Chiuso o molto limitato. Nessuna città grande o luogo affollato.
Dove ci siano pochi o nessun Babbano da mettere in salvo.” Tonks aveva parlato
velocemente, dando voce alla sua competenza di Auror. Era appollaiata su un
tavolo, con una gamba piegata sulla quale appoggiava il mento. Cercava di non
guardare Ron e Hermione per non sentire ancora di più la mancanza di un uomo
vicino a lei. Pensare ad altro era una salvezza.
“L’ho cresciuta bene,”
commentò Malocchio con soddisfazione. Tutti
ridacchiarono.
Tonks si sentì
arrossire.
“Hogsmaede?” propose Hetta
Miles, un’Auror di poco più grande di lei.
“Simile, secondo me,” le
rispose. Avevano lavorato poche volte insieme, sempre molto
bene.
“Forse troppo vicina a
Hogwarts…” continuò Hetta pensieroso, guardando direttamente Tonks. “Si rischia
che volutamente la spostino verso la scuola.”
“Troppo simbolica,” aggiunse
Tonks.
“Un paesino perso nella
campagna inglese, isolato. Che abbia un significato simbolico, altrimenti non
avrebbe senso.” Hetta scuoteva leggermente la testa come faceva sempre quando
stava ragionando ad alta voce. Tonks la ascoltava con attenzione. Nessuna delle
due parve accorgersi degli altri, che silenziosi le ascoltavano ragionare sulle
diverse opportunità.
“Ho cresciuto bene anche te,”
sentenziò ancora Moody.
Dopo un attimo di silenzio
Charlie si intromise dicendo, “Cerchiamo di eliminare i luoghi più simbolici
trovando le giuste motivazioni. Hogwarts?” chiese guardandosi
attorno.
Piano piano ciascuno espresse
la propria opinione sottolineando vantaggi e svantaggi delle diverse
proposte.
Hermione si prese il compito,
con Ginny, di segnare tutto quello che veniva
detto.
La discussione proseguì per
oltre due ore durante le quali vennero eliminate Hogwarts e i suoi dintorni,
Hogsemade,
“Godric’s Hallow,” disse
semplicemente nel silenzio generale. “Inizio e fine. Paese piccolo, pochi
abitanti, pochissimi babbani da mettere in salvo. Isolato da altri luoghi
importanti. Più che simbolico.”
“E attraente per Voldemort
con l’idea della rivincita,” concluse Remus guardandola e poi osservando gli
altri.
In poco più di mezz’ora venne
definito il luogo e il momento. Una settimana più tardi, al sorgere
dell’estate.
“Come possiamo costringere
Voldemort ad andare dove vogliamo noi?” chiese
Tonks.
“Verrà a cercare me…” affermò
Harry con voce tranquilla. “È importante fargli sapere dove sono e lui
verrà.”
Tonks sentì il cuore
stringersi come in una morsa. Erano parole pesanti da ascoltare. E le
ricordavano ancora di più la forza di Severus nell’essere fedele alla sua
missione, al suo impegno per Silente. Severus era morto per questo. Sospirò. Non
le era possibile stare senza il suo ricordo, almeno non ancora. Sentendo parlare
Remus si riscosse.
Remus stava affidando una
serie di compiti sia logistici e strategici all’interno del gruppo sia di
sopralluogo e informazione a tutti i simpatizzanti.
Contavano di ritrovarsi in
poco meno di un centinaio di persone
a fronte di una sessantina di Mangiamorte conosciuti e
operanti.
Ma c’era Voldemort e Harry
era molto giovane.
All’interno della sede
dell’Ordine i cinque giorni successivi furono di fermento se non di attività
frenetica.
Le informazioni su Godric’s
Hallow arrivarono meno di quarantotto ore dopo la riunione con una analisi
dettagliata del territorio e un piano di evacuazione per maghi e babbani. Percy
e Bill avevano lavorato con altre cinque persone con molta precisione e
arguzia.
La strutturazione dei compiti
in battaglia passò per le mani di Kingsley che riuscì anche a guidare i gemelli,
facendo emergere la loro fantasia.
Tonks si fece prendere
dall’analisi dell’avversario. Insieme a Hetta e altri giovani Auror, fuorusciti
dai gruppi ufficiali del Ministero, raccolsero le informazioni più recenti sulla
situazione dei Mangiamorte.
Per farlo Tonks passò
parecchio tempo al Ministero, nella sua veste di signora delle pulizie.
Continuava a sentirsi
osservata, ma non era riuscita ad individuare nessuno che la seguisse, pur
usando tutte le tecniche che conosceva per dissimulare incantesimi di
travestimento.
Solo il giorno prima aveva
tenuto d’occhio per un po’ un vecchio dai capelli bianchi che girava per il
Ministero con dei fogli in mano alla ricerca di qualcuno che ascoltasse i suoi
problemi. Aveva un modo di fare così scorbutico che nessuno veniva mosso a
compassione nei suoi confronti e creava non poca irritazione. Anche in lei che
non era coinvolta. Poi se n’era andato sbuffando e brontolando, anche se aveva
ottenuto quello che desiderava.
Tonks era impegnata in quel
momento ad ascoltare un dialogo tra due simpatizzanti dei Mangiamorte, nascosta
dietro una finestra da pulire e non lo vide uscire.
Vorrei solo poterti
guardare…
Parlare
forse…
Il giorno prestabilito Harry
ritornò con Ron e Hermione a Godric’s Hallow e attese che Voldemort comprendesse
le sue intenzioni, grazie anche alle poche frasi lasciate cadere casualmente da
Kingsley durante una discussione concitata con un Auror al Ministero per un
problema di turni di lavoro incompatibili con i suoi impegni
nell’Ordine.
Due giorni dopo ci furono i
primi avvistamenti dei Mangiamorte nella zona.
Tonks sedeva con Hetta in
cima ad una collinetta dalla quale si vedeva la casa semidistrutta della
famiglia Potter. Potevano vedere metà del paese. Al lato opposto, nelle stesse
condizioni, c’erano Charlie e un altro Auror.
Era quasi mattina e sedevano
lì da poco meno di otto ore.
Erano state in silenzio per
buona parte della notte. Nessuna delle due parlava molto e si capivano comunque
al volo.
“Tonks,” si sentì chiamare.
Si riscosse da un leggero torpore che la stava pervadendo, girandosi verso la
collega.
“Si?”
“Credi che ne usciremo vive?”
le chiese Hetta. Senza tono di paura.
“Credo che Harry possa
farcela. E ho intenzione di uscirne viva,” le rispose sicura. Ci aveva pensato a
lungo in quei pochi giorni, come aveva fatto in tutti quei mesi. Si fidava del
piccolo mago. Era determinato, a volte azzardato, fedele all’impegno. Un po’
testa calda come lei, ma del resto era giovane.
“C’è qualcosa o qualcuno che
ti costringe a sopravvivere?” le chiese Hetta, sempre guardando davanti a
sé.
Tonks rimase in silenzio. Non
aveva confidenza con lei, ma mentirle o sminuirsi ai suoi occhi le sembrava una
mancanza di rispetto.
“No.”
Hetta si girò a
guardarla.
“Sei cambiata dopo il periodo
con Piton,” osservò semplicemente. “Non ti avevo mai visto così coinvolta prima.
Accade veramente, allora?”
Tonks si inalberò. Tutti
sembravano capire quello che era successo, tutti la vedevano cambiata. Ma
nessuno ne parlava con lei. Naturalmente li avrebbe mandati tutti a quel paese
in malo modo se lo avessero fatto, ma l’idea che fossero consapevoli del suo
dolore e non ne parlassero con lei la irritava.
“Essermi innamorata di un
nemico è affare mio!” sbottò. Strinse le braccia attorno alle ginocchia e guardò
ostinatamente davanti a sé.
“Cosa?” le chiese Hetta.
Meravigliata dal suo silenzio aggiunse, “Perché lo hai definito un nemico? E
cosa c’entra Piton?”
Tonks si girò verso di lei
interdetta.
“Cosa mi hai
chiesto?”
“Se davvero si può perdere la
testa per un uomo, completamente.” Hetta la guardò in attesa di una
risposta.
“Oh!” Tonks scosse la testa,
come a scusarsi. “Sì,” ammise con un sospiro. “Non te ne rendi conto fino a
quando non ci sei dentro. Almeno io.”
“Anche se è tanto più grande
di te?”
“Non è quello il problema…”
osservò Tonks. Non capiva dove stava portando il discorso Hetta. Non la stava
neppure più guardando. Era rivolta verso il paese ai suoi
piedi.
Tonks inclinò la testa e
sorrise.
“Almeno non era quello il mio
problema,” disse quasi a se stessa. “Di chi sei innamorata, Hetta?” le chiese a
voce alta.
La collega si girò di scatto
verso di lei, con l’aria di chi è stata colta in
flagrante.
Sorrise
imbarazzata.
“Scusami. Parlo di me e tu
stai malissimo, immagino. Non voleva aprire ferite
recenti.”
“Andiamo Hetta!” Le sorrise.
“Mi faccio male da sola ogni momento, pensandoci. Parlare con te è piacevole,
invece.”
“Bah… in realtà è una
stupidaggine, solo che in questo momento mi sembra fondamentale avere una
persona dalla quale tornare. Ma questa persona non lo sa che voglio tornare per
lei…” si strinse le spalle sconsolata. “E io non so bene che cosa provo, a dire
il vero…” aggiunse con sincerità.
“Nome e cognome, signorina
Miles!” la canzonò Tonks, puntandole contro la
bacchetta.
Hetta le diede un colpetto
per abbassarla ridendo.
“Non prendermi in giro o
peggio non fare cupido!” le chiese.
“Promesso!” disse Tonks
alzando la mano destra.
“Lupin.”
“Lupin Remus?” chiese Tonks
meravigliata.
“Ne conosci altri?” le chiese
con tono canzonatorio.
Tonks si grattò un orecchio.
“Sai che gli sono molto amica e che lo ritengo un uomo meraviglioso, ma Remus è…
un lupo mannaro, lo sai vero?” le chiese con aria
preoccupata.
“Oh… per quello…” sbottò
Hetta facendo un gesto con la mano come per scacciare una
mosca.
“Oh, allora…” commentò Tonks
ridacchiando. “Un lupo mannaro tu e un traditore doppiogiochista io… due
vecchietti ingrigiti e debolucci…”
Hetta scoppiò a
ridere.
Piccola
ingrata!
Vecchietti…
Meno di mezz’ora dopo ci fu
l’attacco.