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Autore: tonksnape    18/07/2009    6 recensioni
Seconda parte di una fic scritta poco prima dell'uscita del settimo libro, basandosi sulle anticipazioni. La prima parte è di qualche mese fa. Buona lettura.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Perché devo sorvegliarlo proprio io?

Fine dei giochi

 

1.

Tonks prese la bottiglia d’acqua dal tavolo e la fece sparire nella enorme borsa che aveva a tracolla.

Era sul punto di uscire da Grimmauld Place da quasi mezz’ora e continuava a dimenticare qualcosa.

Si era fermata per due volte nella sua camera da letto per cercare una maglia di cotone da portare con sé e poi i fazzoletti da naso che aveva lasciato vicino al letto.

In corridoio si era ricordata della finestra che aveva lasciata aperta in bagno ed era tornata sui suoi passi per chiuderla. Poi si era ricordata che poteva usare la bacchetta e nel prenderla aveva sbattuto il gomito contro il muro.

In cucina, dopo la colazione, aveva urtato contro la sedia e si era rovesciata la borsa con tutto quello che aveva all’interno.

Si era chinata a raccogliere tutte le sue cianfrusaglie borbottando una litania di parolacce contro se stessa.

Nelle ultime settimane le era difficile mantenere la concentrazione. I suoi pensieri sembravano nascere dal nulla e avere come unico scopo il tormento del suo cuore.

Si fermò a lato del tavolo della cucina, sospirando. Era così complicata la sua vita…

Ripensò, concentrandosi, a tutti i passi che doveva compiere in quella giornata.

  • Passare da Moody e consegnargli il materiale che Remus aveva terminato di scrivere la sera prima riguardante le informazioni dategli da uno dei suoi infiltrati alla Gringott;
  • Evitare, assolutamente, di bere qualcosa con Moody per non incorrere in effetti collaterali;
  • Assumere le sembianze di una donna delle pulizie, secondo le informazioni date da Percy Weasley;
  • Entrare al Ministero, andare all’ufficio di Arthur e prelevare tutte le carte elencate nel foglietto che aveva nascosto nella borsa;
  • Uscire indenne dal Ministero;
  • Ritornare alla Tana e consegnare tutto ad Arthur;
  • Evitare nel modo più assoluto di pensare a Severus Piton.

Chiuse gli occhi, insultandosi silenziosamente per la propria assurda testardaggine nel voler pensare che Severus Piton fosse ancora vivo, che potesse ritornare da lei una volta che Voldemort fosse sconfitto.

Il messaggio che Severus aveva lasciato a Remus era chiaro, preciso, definitivo, come colui che lo aveva scritto.

Lo stesso Remus era stato molto chiaro con lei. Severus Piton aveva lasciato precise disposizioni affinché il suo biglietto di addio le venisse consegnato dopo che si fossero interrotti i contatti tra lui e Remus. Remus aveva atteso qualche giorno in più per essere sicuro di non infliggerle inutile dolore.

Eppure lei continuava a sperare che non fosse morto. Che fosse solo una strategia di Severus per evitare di finire al cospetto dell’Oscuro Signore e rispondere dell’accusa di tradimento. Il suo corpo non era mai stato trovato.

Scuotendo la testa, Tonks diede un pugno alla tavola davanti a lei. In meno di dieci secondi aveva già trasgredito la regola più importante di tutto il suo elenco.

Non doveva pensare a Severus Piton. Mai. Aveva un cuore da proteggere il più a lungo possibile.

La guerra stava finendo. Tutti lo sentivano. C’era un odore nell’aria fatto di idee, parole, sospetti, percezioni. Un odore che portava con sé stanchezza e desiderio di portare a termine quello che era iniziato ad Hogwarts con la morte di Silente. Voldemort doveva morire.

Risoluta e decisa, Tonks si incamminò fuori della cucina, evitando di un soffio un basso tavolino con sopra dei libri e, lungo il corridoio, un attaccapanni.

Uscendo accostò silenziosa la porta e si incamminò per le strade di una Londra grigia e fumosa, stringendosi addosso la maglia per proteggersi dalle folate di vento.

Sei sempre così bella…

Bella e triste…

 

Lungo la strada si concentrò sul piano deciso con Remus.

Non era impossibile penetrare al Ministero, anche se c’erano spie dei Mangiamorte in ogni ufficio. Tu-Sai-Chi non riteneva il Ministero un punto strategico, da controllare, ma solo un ottimo ricettore di informazioni. Aveva dunque deciso di metter alcuni dei suoi uomini all’interno per controllare e impaurire i funzionari e per raccogliere notizie relative alle decisioni future del Ministero stesso.

In questo modo il Ministero risultava formalmente libero di agire: nessuno all’interno si dichiarava apertamente seguace del Signore Oscuro, ma per paura molti parlavano direttamente con i suoi scagnozzi con l’idea di garantirsi protezione e sostegno.

Le azioni del Ministero, nell’ultimo anno, avevano provocato un senso di sfiducia e di insofferenza tali che erano ben pochi a credere che fosse ancora un organo di governo. Il Ministro era reso debole da una squadra di ministri incapaci.

L’Ordine della Fenice, sostenendo in quei mesi apertamente il Ministero, era diventato, in via non ufficiale, il suo braccio operativo.

In realtà non c’erano contatti tra il Ministro e Remus Lupin, che guidava l’organizzazione dalla morte di Silente, ma il Ministero sosteneva, pubblicamente, ogni azione dell’Ordine stesso, assumendosene indirettamente il merito.

Con sfacciata incoerenza dimostrava ferma condanna quando una azione dell’Ordine non raggiungeva i risultati sperati o, peggio, provocava involontariamente danni a maghi e babbani innocenti.

Questo continuo alternarsi di voltafaccia aveva reso il Ministero fragile e poco credibile agli occhi della gente.

La fonte di informazione più cercata dai maghi negli ultimi mesi non era la Gazzetta del Profeta, oramai schierata apertamente con il Ministero, ma un foglietto divulgativo che Fred e George Weasley si erano presi il compito di pubblicare ogni tre-quattro giorni con l’aiuto di Lee Jordan. Riuscivano ad avere informazioni anche da Hogwarts grazie a ad un gruppetto di studenti guidati da Dean Thomas.

Tonks prese dalla borsa l’ultima edizione.

Era stampato su un normale foglio. Da un lato c’erano i commenti politici di Remus, Moody, Arthur e Minerva che si alternavano nella stesura di feroci attacchi al Signore Oscuro e al Ministero. Erano firmati con pseudonimi, ma chi conosceva gli autori riusciva a distinguerne lo stile. L’uso di parolacce poteva essere solo di Moody, il tono sarcastico di Remus, le metafore di Minerva, la neutralità di Arthur.

Sulla stessa facciata c’erano le informazioni relative agli scontri e alle vittorie o sconfitte dell’Ordine.

Venivano segnalati tutti gli scontri tra maghi seguaci di Silente e Harry Potter e i Mangiamorte, con particolare attenzione nel ricordare coloro che perdevano la vita.

Sull’altra facciata c’erano notizie più leggere, compreso un messaggio che Harry Potter faceva avere regolarmente e che manteneva viva l’attenzione su quanto stava facendo insieme a Ron Weasley, Hermione Granger e Ginny Weasley.

Erano partiti mesi prima per una missione voluta da Silente e sostenuta da Remus Lupin.

Tonks era tentata di leggerlo nuovamente, ma doveva fare attenzione. Doveva assicurasi di non essere seguita e mancavano comunque pochi passi per arrivare al punto prescelto per Smaterializzarsi.

Lo Spioscopio che aveva in tasca non segnalava la presenza di intrusi vicino a lei.

Si disse che sapeva a memoria tutto il contenuto di quell’edizione e accartocciò la carta tra le mani. Al primo cestino la buttò dentro.

Dopo pochi passi si dissolse nel nulla.

Nuove informazioni.

Devo contattare Remus a questo punto

e capire  quello che è meglio fare per l’Ordine.

Quanto mi manchi…

 

“Moody, lo sai che non posso!” sbottò infastidita Tonks, scuotendo la testa e la massa di capelli blu indomiti che la caratterizzavano quel giorno.

“Quanta rigidità,” brontolò Malocchio, scolandosi il bicchierino di gin che aveva in mano. L’altra mano arrivò decisa allo scaffale alla sua sinistra e ci depositò sopra l’intera bottiglia quasi piena.

La stanza era il regno del disordine. Un disordine che persino lei trovava rivoltante. Tutta la casa di Moody era disordine.

“Cosa devi fare oggi, fanciulla?” le chiese l’uomo lasciandosi crollare su una sedia. Indossava una logora tuta da Auror, rattoppata con stemmi di vario tipo.

Era sempre lo stesso Moody, stazzonato, poco curato e brontolone, ma Tonks non perdeva di vista il suo occhio scaltro e guardingo che scannerizzava ogni angolo della sua casa e ogni sua espressione.

“Entrare al Ministero e rubare degli appunti per Arthur,” gli rispose, imbronciata.

Moody scoppiò a ridere.

“Beh?” gli chiese lei, inalberandosi.

“Direi che hai trovato la vera anima di un Auror…” continuò a sghignazzare Malocchio. Si diede una manata sul ginocchio, piegandosi in avanti, quasi contro il tavolo. “Proprio il lavoro per te! Travestirsi e rubare!” E riprese a ridere.

I capelli di Tonks raggiunsero un pericoloso color arancio carico.

“Tengo a precisare,” sibilò irata, “che non ho scelto io di rubarlo, caro il mio professore! E se quel bagaglio di segatura che hai in testa, ti togliesse almeno l’umidità che logora le rotelline che ci sono in mezzo, ti ricorderesti che io,” aggiunse infilandosi quasi l’indice nello sterno, “sono il miglior braccio operativo dell’Ordine!” terminò urlandogli contro.

Malocchio si asciugò le lacrime che gli bagnavano gli occhi e  si controllò.

“Lo so, ragazza, lo so. Ti ho addestrata io, dopotutto,” le ricordò. “Cosa conti di fare?”

“Oh, beh,” balbettò lei, passandosi le mani sopra i jeans, “pensavo di diventare una ignorabile signora delle pulizie. Molto grigia, insignificante… capelli stopposi, vestiti ordinari… Armarmi di secchio e straccio e andare a sistemare l’ufficio di Arthur lamentandomi dell’artrite.”

“Cerca di non diventare troppo visibile, non esagerare.” Lo disse con l’indice della mano alzato che puntava dritto al naso di Tonks.

Lei rispose con una smorfia.

“Cosa dico a Remus di questo?” gli chiese indicando il plico di pergamena che gli aveva consegnato. Non ne conosceva il contenuto, ma immaginava che fossero informazioni avute con l’inganno che Moody doveva mettere a confronto con tante altre, già ricevute, per analizzare somiglianze e differenze, cercando di dare forma al piano elaborato da Voldemort con maggiore chiarezza possibile.

Moody lanciò un’occhiata ai fogli. Rimase in silenzio, pensieroso per alcuni secondi.

“Credo che gli manderò io un messaggio. Meglio essere diretti nelle comunicazioni. Si rischiano meno intercettazioni.”

Non guardò Tonks, ma la ragazza sapeva che quelle parole non erano segno di sfiducia verso di lei.

I Mangiamorte avevano raccolto molte informazioni dell’Ordine nei mesi precedenti intercettando le missive inviate via gufo, nonostante le protezioni magiche. All’inizio era un controllo ben congegnato, che non lasciava traccia sulle pergamene e aveva richiesto alcune settimane per essere svelato, da parte di Moody.

Da allora il sistema di comunicazione all’interno dell’Ordine era stato blindato con incantesimi e sistemi di crittografia tali da rendere le intercettazioni quasi nulle. I Patronus venivano utilizzati per comunicazioni di urgenza. I Mangiamorte erano diventati prima più temerari e ora decisamente sconsiderati tanto che lasciavano esplicita traccia del loro passaggio: le lettere arrivavano aperte o parzialmente rovinate. In questo modo però l’Ordine sapeva quali notizie erano arrivate al nemico e poteva modificarle.

La mancanza di notizie era uno dei motivi per cui i Mangiamorte sferravano meno attacchi e non sempre ben centrati sull’obbiettivo desiderato.

C’era stato, nell’ultima settimana, un attacco contro una casa in periferia a Londra che risultava essere una delle sedi dell’Ordine dalle quali partivano le missive. In realtà era la casa di una vecchia zia di Severus Piton, morta da anni. La distruzione dell’edificio era stata parziale, ma era comunque disabitato.

“Dannazione!” si insultò Tonks sottovoce. Aveva di nuovo pensato a Severus. “Dannazione!”

“Non è così facile non pensarci. Datti del tempo.”

Tonks alzò lo sguardo verso Moody. La stava guardando a sua volta con un’espressione che poteva essere di paterna dolcezza.

“Scusa?” gli chiese perplessa.

“Non fartene una colpa di pensare ancora spesso a Severus.” Tonks spalancò gli occhi per la sorpresa.

A parte Remus, Molly, Arthur e Minerva nessuno era a conoscenza di quello che era successo tra lei e Severus durante i pochi giorni che avevano trascorso insieme mentre lui era prigioniero dell’Ordine.

Moody fece una smorfia che era indice di un sorriso.

“Riconosco i segni Tonks. E l’unico uomo al quale sei stata vicina ultimamente e che non c’è più è proprio lui.”

Tonks si sentì bruciare per l’imbarazzo.

“Non dovresti obbligarti a non pensare a lui… è quello che stai facendo immagino, giusto?” le chiese guardandola. “Non pensarci non lo rende lontano, aumenta solo il tuo strazio.”

Tonks abbassò lo sguardo. Si sentiva molto esposta in quel momento, come se i suoi sentimenti e le emozioni fossero drappi colorati che sventolavano sotto gli occhi del professore. Decisamente imbarazzante. Irritante.

“Volevo che sapessi cosa ne penso. Preparati per andare al Ministero adesso.”

Tonks borbottò un saluto e gli fece un cenno con la mano, lieta di poter scappare da quello sguardo così penetrante.

Uscì da casa di Moody e si incamminò verso il Ministero. Un po’ di sole le avrebbe fatto bene.

 

Finalmente sei uscita…

Hai fretta?

No. Sei arrabbiata…

Chissà perché.

 

La notte stava calando e alla Tana le luci erano accese sia al piano terra sia in qualche camera da letto. Mentre Ron e Hermione raccoglievano alcune cose da portare con loro, al pianterreno Molly stava terminando di cucinare per la sua famiglia, almeno quella che ancora poteva vivere in quella casa e per alcuni amici.

Oltre a lei e al marito sarebbero rientrati Charlie e i gemelli. Percy sarebbe rimasto a Londra e Bill era con la moglie, nella loro casa. Ron e Hermione avrebbero raggiunto Ginny e Harry in pochi minuti.

Arthur era con Remus e sarebbero arrivati insieme. Era attesa anche Tonks.

Il bussare perentorio alla porta fece sobbalzare Molly, intenta a controllare le verdure.

“Aspetta ad aprire, mamma. Ce ne andiamo noi.”

Ron le si avvicinò parlando per darle un bacio su una guancia. Non li aveva sentiti scendere le scale.

“Meglio che non ci veda nessuno oltre a te,” aggiunse sorridendole.

“Arrivederci signora Weasley,” le sorrise Hermione dandole un bacio.

“Salutate Ginny e Harry per me,” rispose lei con un accenno di lacrime agli occhi.

Il figlio le sorrise, prendendo Hermione per mano e portandosi nel caminetto. In pochi secondi erano spariti.

Molly si asciugò le mani sul canovaccio che aveva appeso alla vita, mentre bussavano una seconda volta.

“Chi è?” chiese ad alta voce.

“Charlie. E quella rompiscatole di Tonks!” si sentì dire con voce profonda da dietro la porta. Molly riconobbe la voce del figlio, quel suo trascinare le parole impercettibilmente.

Guardò lo stesso attraverso lo spioncino. Vide il volto segnato del figlio e i suoi lunghi capelli biondo rossicci. Dietro c’era il volto imbronciato di Tonks.

“Buonasera ragazzi!” li accolse aprendo la porta con un sorriso e un abbraccio per ciascuno dei due.

“Tuo figlio manca di gentilezza,” le disse Tonks con un sorriso. “Dovrebbe stare meno tempo con i draghi.”

“Bla, bla, bla,” ghignò Charlie togliendosi il mantello e lanciandolo verso una poltrona.

“Ho fame!” annunciò Tonks a tutti e due, battendo le mani.

Molly le allungò immediatamente un biscotto.

“Sei un tesoro,” la ringraziò addentandolo.

“Come mai hai aspettato ad aprirci mamma?” chiese Charlie.

“C’erano Ron e Hermione ed era più sicuro che andassero via,” spiegò.

Entrambi i giovani si girarono a guardarla.

“Come stanno?” chiese Charlie, con una strana apprensione.

“Tutti e quattro bene, per fortuna.” Molly riprese a governare la cucina. “Apparecchiate,” chiese loro.

“Oh, lo fa Charlie, per scusarsi della battuta di prima,” disse Tonks andando vicino a lei.

Mentre l’amico organizzava i tavoli, tovaglie, piatti, bicchieri e posate Tonks si acciambellò sopra un ripiano della cucina, libero da pentole e vassoi, con un pezzo di biscotto in mano.

“Molly…”

La signora Wealsey si girò a guardarla.

“Si vede quello che provo per Severus, secondo te?” chiese Tonks sottovoce. Ci aveva pensato per tutto il giorno, anche mentre, armata di scopa e straccio per i pavimenti, entrava nell’ufficio di Arthur, con i capelli grigi che le scendevano sugli occhi.

Molly le fece un sorriso triste.

“Sì, tesoro mio. Da come non ne parli, da come diventi tesa.” Rimase in silenzio a guardarla.

“Oggi ero da Moody e lui mi ha detto che non dovrei ostinarmi a non volerlo ricordare,” le spiegò con le lacrime agli occhi. “Ma non ne ho mai parlato con lui di quello che è successo. E nessuno di voi lo farebbe.”

Si guardò intorno. Charlie stava facendo svolazzare i tovaglioli e i bicchieri.

“Charlie, non giocare con le stoviglie!” gli disse Molly, con tono molto materno.

“Va bene, mamma!” rispose Charlie con tono infantile, senza per altro fermarsi.

“Moody ti consoce meglio di chiunque, Ninphadora. Sa riconoscere quello che provi da come ti muovi… chiaramente ha immaginato qualcosa.” Molly le accarezzò un braccio, sorridendole.

Tonks ricambiò con un sorriso tremante.

Se non ci fosse stato Charlie si sarebbe gettata tra le braccia dell’amica e avrebbe pianto. Ma doveva trattenersi e aspettare di tornare a casa dalla madre, dopo la cena. Allora si sarebbe sfogata tra le sue braccia.

 

Era più di un mese che si costringeva a non pensare a lui eppure non ci riusciva mai. Era un filo sottile che l’avvolgeva come un bozzolo. Si sentiva stritolare dalla forza del suo stesso sentimento.

Si era innamorata di Severus Piton prima ancora di capire che le piaceva. Si era innamorata di lui quando lo aveva visto sconfitto, indebolito, fragile e brutto. Si era innamorata della sua tenacia, della sua determinazione, della sua coerenza. Del suo corpo angoloso e così poco sensuale.

L’aria fresca che le pizzicava il volto, le stava anche asciugando le lacrime.

“Ninphadora?” Il braccio della madre le circondò le spalle e Tonks vi si appoggiò in silenzio, singhiozzando.

“Passerà, mamma?” chiese tremando.

“Oh, tesoro…” La abbracciò. “Faremo il possibile perché non sia così doloroso…” le rispose con sincerità.

No, no, no…

Piccola, no…

 

 

Due giorni dopo erano nuovamente tutti a Grimmauld Place. Remus aveva convocato un incontro che tutti sapevano essere risolutivo per le sorti dello scontro.

I membri dell’Ordine della Fenice si erano seduti in cerchio, attorno al tavolo della cucina. La maggior parte era riuscita a trovare una sedia girando per la casa, mentre altri si erano assicurati un posto a sedere usando mobili e tavoli.

Alla riunione era presente anche Harry, per la prima volta da mesi.

Tonks lo aveva salutato poco prima, felice di poterlo riabbracciare. Il giovane mago era dimagrito e stanco. Si vedevano i segni della fatica di quel periodo, non solo nelle occhiaie o nei vestiti troppo ampi, ma anche nella tensione con la quale si muoveva nella stanza, nella tristezza con la quale leggeva l’elenco dei morti negli ultimi scontri.

Sorrideva a tutti coloro che lo saltavano, sinceramente lieto di rivederli. Aveva abbracciato Molly e Arthur con vigore. Poi si era chiuso nella triste lettura di quell’elenco, sordo ad altri commenti.

Erano arrivati con lui anche Ron, Hermione  e Ginny. Come Harry avevano tutti l’aspetto di chi dormiva male da mesi e portava sulle spalle tensione e dolore. Tonks guardava Ron e Hermione seduti l’una in braccio all’altro, silenziosi e così vicini. Le mani erano appoggiate leggere sul corpo dell’altro, quasi casualmente, ma c’era una familiarità, un’intimità in quei semplici gesti che rese Tonks ancora più triste.

Ginny era vicina a Harry, forse non lo sfiorava neppure, ma lui ogni tanto si girava a guardarla ed erano gli unici momenti nei quali gli occhi del ragazzo accennavano ad un sorriso. Lei era assorta nella lettura dello stesso giornale, guardandolo da sopra le sue spalle e sembrava non accorgersi di quegli sguardi.

Quando Remus prese la parola, lo fece battendo le mani per attirare l’attenzione di tutti. Anche Harry lasciò il foglio e lo guardò.

“Bene, direi che siamo tutti e possiamo cominciare. Siamo arrivati alla fine, amici!” Remus era visibilmente euforico. Gli occhi luccicavano e le mani non stavano ferme. “Harry?” disse lasciandogli la parola.

“Grazie. Silente come sapete mi aveva lasciato un compito da svolgere, come vi avevo detto mesi fa. Qualcosa che ha coinvolto Ron, Hermione e Ginny. Lo abbiamo portato a termine due giorni fa.” Ci fu un piccolo applauso spontaneo dalla sala. Harry alzò la mano per fermarlo. “Non significa che abbiamo raggiunto una vittoria, ma solo che il terreno è pronto per provare a prendercela. Abbiamo cercato di togliere di mezzo tutto quello che permetteva a Voldemort di avere più potere di qualsiasi altro mago. Tranne Silente. Che ci aveva chiesto di arrivare fino a qui. Abbiamo trovato e eliminato ogni elemento, tranne uno. Quello dovrò affrontarlo io, in uno scontro diretto.” Una sensazione di gelo scese nella stanza. Harry rimase in silenzio, scambiando delle occhiate con gli altri amici. Ron si alzò in piedi, lasciando la sedia a Hermione. Tutti si girarono a guardarlo, sorpresi che potesse prendere lui il posto di Harry e non Hermione.

“Abbiamo ancora qualche vantaggio di cui Voi Sapete Chi non è a conoscenza e lo utilizzeremo all’ultimo momento, se sarà necessario,” disse Ron guardando tutti i presenti. “Harry ha bisogno di noi contro i Mangiamorte e contro Voldemort, per sostenerlo.”

Tonks si meravigliò per quel cambio di prospettiva. Ron si era messo all’interno dell’Ordine della Fenice, non più a fianco di Harry.

“Harry deve agire da solo?” chiese prima di potersi controllare. Tutti si girarono a guardarla.

“Sì,” rispose Harry. “Contro di lui sarò solo. Devo essere solo. Avrò un alleato in ognuno di voi mentre mi lascerete libero di agire contro Voldemort senza dovermi preoccupare di altri.”

Harry si guardò intorno, incrociando lo sguardo di tutti.

“Abbiamo tutti intenzione di esserci, Potter!” rispose sicuro Malocchio. Qualcuno, compreso Remus, sorrise. “Dove intendi incontrarlo? Dove si trova l’ultima cosa che cerca? Perché devi essere solo tu?”

“L’ultima cosa che cerca sono io, Malocchio,” disse Harry. Tonks sentì il cuore saltarle un battito e accadde anche alla maggior parte degli altri. Persino Remus si mostrò sorpreso e preoccupato.

“Harry…” esclamò Molly allungando un braccio verso di lui, come a volerlo fermare.

Harry le sorrise con mestizia. “Non posso sottrarmi, signora Weasley. Non posso scegliere,” le rispose. Tonks percepì il lieve tremore della voce.

“Ne sei certo?” chiese Remus.

Harry annuì. “Fidatevi,” gli rispose con un’espressione rassegnata in volto. “Non ci sono alternative.”

Rimase un silenzio sospeso nella stanza. Tutti avrebbero voluto esprimere le loro obiezioni, ma c’era una consapevolezza, seppur fragile, che fosse proprio quello lo scenario dello scontro finale.

“Di cosa hai bisogno?” chiese Bill, con tono tranquillo. Se quello era, quello sarebbe stato.

“Di organizzare un attacco frontale, di sapere quanti saremo e scegliere quello che per noi è il luogo migliore per scontrarsi. Di fare un piano tutti insieme.”

“Siamo troppi per fare una cosa del genere,” osservò correttamente Arthur. “Se ci mettiamo tutti a parlare di tutto rischiamo di non finire mai la discussione. Direi che potremmo definire il luogo tutti insieme, per vedere dove ci sentiamo più sicuri e poi Remus deciderà a chi affidare i diversi compiti.”

Arthur si girò verso Remus quasi a chiedere conferma. Remus fece un piccolo cenno di assenso.

“Opinioni sul luogo?” chiese a tutti.

“Non esteso e ben controllabile. Chiuso o molto limitato. Nessuna città grande o luogo affollato. Dove ci siano pochi o nessun Babbano da mettere in salvo.” Tonks aveva parlato velocemente, dando voce alla sua competenza di Auror. Era appollaiata su un tavolo, con una gamba piegata sulla quale appoggiava il mento. Cercava di non guardare Ron e Hermione per non sentire ancora di più la mancanza di un uomo vicino a lei. Pensare ad altro era una salvezza.

“L’ho cresciuta bene,” commentò Malocchio con soddisfazione. Tutti ridacchiarono.

Tonks si sentì arrossire.

“Hogsmaede?” propose Hetta Miles, un’Auror di poco più grande di lei.

“Simile, secondo me,” le rispose. Avevano lavorato poche volte insieme, sempre molto bene.

“Forse troppo vicina a Hogwarts…” continuò Hetta pensieroso, guardando direttamente Tonks. “Si rischia che volutamente la spostino verso la scuola.”

“Troppo simbolica,” aggiunse Tonks.

“Un paesino perso nella campagna inglese, isolato. Che abbia un significato simbolico, altrimenti non avrebbe senso.” Hetta scuoteva leggermente la testa come faceva sempre quando stava ragionando ad alta voce. Tonks la ascoltava con attenzione. Nessuna delle due parve accorgersi degli altri, che silenziosi le ascoltavano ragionare sulle diverse opportunità.

“Ho cresciuto bene anche te,” sentenziò ancora Moody.

Dopo un attimo di silenzio Charlie si intromise dicendo, “Cerchiamo di eliminare i luoghi più simbolici trovando le giuste motivazioni. Hogwarts?” chiese guardandosi attorno.

Piano piano ciascuno espresse la propria opinione sottolineando vantaggi e svantaggi delle diverse proposte.

Hermione si prese il compito, con Ginny, di segnare tutto quello che veniva detto.

La discussione proseguì per oltre due ore durante le quali vennero eliminate Hogwarts e i suoi dintorni, Hogsemade, la Tana, Privet Drive, Diagon Alley e alcuni piccoli paesini dove avevano vissuto i principali appartenenti all’Ordine. Fu Hetta a proporre la soluzione finale.

“Godric’s Hallow,” disse semplicemente nel silenzio generale. “Inizio e fine. Paese piccolo, pochi abitanti, pochissimi babbani da mettere in salvo. Isolato da altri luoghi importanti. Più che simbolico.”

“E attraente per Voldemort con l’idea della rivincita,” concluse Remus guardandola e poi osservando gli altri.

In poco più di mezz’ora venne definito il luogo e il momento. Una settimana più tardi, al sorgere dell’estate.

“Come possiamo costringere Voldemort ad andare dove vogliamo noi?” chiese Tonks.

“Verrà a cercare me…” affermò Harry con voce tranquilla. “È importante fargli sapere dove sono e lui verrà.”

Tonks sentì il cuore stringersi come in una morsa. Erano parole pesanti da ascoltare. E le ricordavano ancora di più la forza di Severus nell’essere fedele alla sua missione, al suo impegno per Silente. Severus era morto per questo. Sospirò. Non le era possibile stare senza il suo ricordo, almeno non ancora. Sentendo parlare Remus si riscosse.

Remus stava affidando una serie di compiti sia logistici e strategici all’interno del gruppo sia di sopralluogo e informazione a tutti i simpatizzanti.

Contavano di ritrovarsi in poco meno di un centinaio di persone  a fronte di una sessantina di Mangiamorte conosciuti e operanti.

Ma c’era Voldemort e Harry era molto giovane.

 

All’interno della sede dell’Ordine i cinque giorni successivi furono di fermento se non di attività frenetica.

Le informazioni su Godric’s Hallow arrivarono meno di quarantotto ore dopo la riunione con una analisi dettagliata del territorio e un piano di evacuazione per maghi e babbani. Percy e Bill avevano lavorato con altre cinque persone con molta precisione e arguzia.

La strutturazione dei compiti in battaglia passò per le mani di Kingsley che riuscì anche a guidare i gemelli, facendo emergere la loro fantasia.

Tonks si fece prendere dall’analisi dell’avversario. Insieme a Hetta e altri giovani Auror, fuorusciti dai gruppi ufficiali del Ministero, raccolsero le informazioni più recenti sulla situazione dei Mangiamorte.

Per farlo Tonks passò parecchio tempo al Ministero, nella sua veste di signora delle pulizie.

Continuava a sentirsi osservata, ma non era riuscita ad individuare nessuno che la seguisse, pur usando tutte le tecniche che conosceva per dissimulare incantesimi di travestimento.

Solo il giorno prima aveva tenuto d’occhio per un po’ un vecchio dai capelli bianchi che girava per il Ministero con dei fogli in mano alla ricerca di qualcuno che ascoltasse i suoi problemi. Aveva un modo di fare così scorbutico che nessuno veniva mosso a compassione nei suoi confronti e creava non poca irritazione. Anche in lei che non era coinvolta. Poi se n’era andato sbuffando e brontolando, anche se aveva ottenuto quello che desiderava.

Tonks era impegnata in quel momento ad ascoltare un dialogo tra due simpatizzanti dei Mangiamorte, nascosta dietro una finestra da pulire e non lo vide uscire.

Vorrei solo poterti guardare…

Parlare forse…

 

Il giorno prestabilito Harry ritornò con Ron e Hermione a Godric’s Hallow e attese che Voldemort comprendesse le sue intenzioni, grazie anche alle poche frasi lasciate cadere casualmente da Kingsley durante una discussione concitata con un Auror al Ministero per un problema di turni di lavoro incompatibili con i suoi impegni nell’Ordine.

Due giorni dopo ci furono i primi avvistamenti dei Mangiamorte nella zona.

 

Tonks sedeva con Hetta in cima ad una collinetta dalla quale si vedeva la casa semidistrutta della famiglia Potter. Potevano vedere metà del paese. Al lato opposto, nelle stesse condizioni, c’erano Charlie e un altro Auror.

Era quasi mattina e sedevano lì da poco meno di otto ore.

Erano state in silenzio per buona parte della notte. Nessuna delle due parlava molto e si capivano comunque al volo.

“Tonks,” si sentì chiamare. Si riscosse da un leggero torpore che la stava pervadendo, girandosi verso la collega.

“Si?”

“Credi che ne usciremo vive?” le chiese Hetta. Senza tono di paura.

“Credo che Harry possa farcela. E ho intenzione di uscirne viva,” le rispose sicura. Ci aveva pensato a lungo in quei pochi giorni, come aveva fatto in tutti quei mesi. Si fidava del piccolo mago. Era determinato, a volte azzardato, fedele all’impegno. Un po’ testa calda come lei, ma del resto era giovane.

“C’è qualcosa o qualcuno che ti costringe a sopravvivere?” le chiese Hetta, sempre guardando davanti a sé.

Tonks rimase in silenzio. Non aveva confidenza con lei, ma mentirle o sminuirsi ai suoi occhi le sembrava una mancanza di rispetto.

“No.”

Hetta si girò a guardarla.

“Sei cambiata dopo il periodo con Piton,” osservò semplicemente. “Non ti avevo mai visto così coinvolta prima. Accade veramente, allora?”

Tonks si inalberò. Tutti sembravano capire quello che era successo, tutti la vedevano cambiata. Ma nessuno ne parlava con lei. Naturalmente li avrebbe mandati tutti a quel paese in malo modo se lo avessero fatto, ma l’idea che fossero consapevoli del suo dolore e non ne parlassero con lei la irritava.

“Essermi innamorata di un nemico è affare mio!” sbottò. Strinse le braccia attorno alle ginocchia e guardò ostinatamente davanti a sé.

“Cosa?” le chiese Hetta. Meravigliata dal suo silenzio aggiunse, “Perché lo hai definito un nemico? E cosa c’entra Piton?”

Tonks si girò verso di lei interdetta.

“Cosa mi hai chiesto?”

“Se davvero si può perdere la testa per un uomo, completamente.” Hetta la guardò in attesa di una risposta.

“Oh!” Tonks scosse la testa, come a scusarsi. “Sì,” ammise con un sospiro. “Non te ne rendi conto fino a quando non ci sei dentro. Almeno io.”

“Anche se è tanto più grande di te?”

“Non è quello il problema…” osservò Tonks. Non capiva dove stava portando il discorso Hetta. Non la stava neppure più guardando. Era rivolta verso il paese ai suoi piedi.

Tonks inclinò la testa e sorrise.

“Almeno non era quello il mio problema,” disse quasi a se stessa. “Di chi sei innamorata, Hetta?” le chiese a voce alta.

La collega si girò di scatto verso di lei, con l’aria di chi è stata colta in flagrante.

Sorrise imbarazzata.

“Scusami. Parlo di me e tu stai malissimo, immagino. Non voleva aprire ferite recenti.”

“Andiamo Hetta!” Le sorrise. “Mi faccio male da sola ogni momento, pensandoci. Parlare con te è piacevole, invece.”

“Bah… in realtà è una stupidaggine, solo che in questo momento mi sembra fondamentale avere una persona dalla quale tornare. Ma questa persona non lo sa che voglio tornare per lei…” si strinse le spalle sconsolata. “E io non so bene che cosa provo, a dire il vero…” aggiunse con sincerità.

“Nome e cognome, signorina Miles!” la canzonò Tonks, puntandole contro la bacchetta.

Hetta le diede un colpetto per abbassarla ridendo.

“Non prendermi in giro o peggio non fare cupido!” le chiese.

“Promesso!” disse Tonks alzando la mano destra.

“Lupin.”

“Lupin Remus?” chiese Tonks meravigliata.

“Ne conosci altri?” le chiese con tono canzonatorio.

Tonks si grattò un orecchio. “Sai che gli sono molto amica e che lo ritengo un uomo meraviglioso, ma Remus è… un lupo mannaro, lo sai vero?” le chiese con aria preoccupata.

“Oh… per quello…” sbottò Hetta facendo un gesto con la mano come per scacciare una mosca.

“Oh, allora…” commentò Tonks ridacchiando. “Un lupo mannaro tu e un traditore doppiogiochista io… due vecchietti ingrigiti e debolucci…”

Hetta scoppiò a ridere.

Piccola ingrata!

Vecchietti…

 

Meno di mezz’ora dopo ci fu l’attacco.


 

  
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