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Autore: Giada_wx    28/01/2019    1 recensioni
Niente rabbia, niente tristezza. Non me ne importava nulla che i miei diciotto anni di vita fossero ridotti a dieci inutili scatole. Mi chiedevo se fosse normale, o quando era stato il momento esatto in cui avevo smesso di lottare e avevo iniziato a sopportare. Poi l'immagine di quella stanza buia e umida tornava, il dolore lancinante che avevo provato al ventre si fece così vivido da dover trattenere un urlo. E mi servirono da risposta.
«Dov'eri finita, Ashlie? »
«Dove sapevo che non mi avresti trovata. »
☀ ☀
"Quello che abbiamo sofferto in passato ha molto a che fare con ciò che siamo oggi."
Qualunque analogia con fatti, luoghi o persone reali, esistenti o esistite, è del tutto casuale. Il carattere dei personaggi famosi descritto in questa storia non coincide con la realtà.
Questa fan fiction è un'opera di fantasia.
Tutti i diritti riservati.
Copyright © 2018 di Giada_wx
[La medesima storia è in corso anche su Wattpad, postata sempre dalla sottoscritta sotto il nome di Giada_Me.]
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il buio intenso, la luna in cielo e la quiete attorno.
Solo noi, in mezzo a tanta erba e nient'altro, oltre le stelle che illuminano la città che si estende al di sotto di questa collina. 
Un posto silenzioso, dove la solitudine non la senti per quanto assurdo possa sembrare. Il vento tra i capelli, le mani in grembo e la pelle fredda. 
Luke è seduto accanto a me, tiene le gambe affusolate distese in avanti, le mani sull'erba umida per reggersi, lo sguardo perso nelle luci della città e un'espressione serena in viso.
Si volta a guardarmi ed io distolgo lo sguardo. 
«Perché sei sempre così trattenuta? Di cosa hai paura?» Me lo chiede gentilmente, un tono di voce che non ha nessuna pretesa. Io inclino la testa verso l'alto, lo sguardo al cielo e i pensieri rivolti alle mille cose che temo. 
«Non mi trattengo, sono quello che mostro » mento. «E non ho paura di nulla », mento ancora, questa volta una bugia molto più grossa della prima. 
Luke si lascia andare qualcosa che sembra essere tra uno sbuffo e una risata, poi lascia la sua comoda posizione e si volta verso di me con l'intero corpo, incrociando le gambe. 
Mi volto a guardarlo e lui mi incita a fare lo stesso. 
«Forza, voltati », sorride ed io controvoglia faccio quel che mi ha detto. Sento l'erba umida strapparsi sotto il tessuto dei jeans mentre mi muovo, ma non mi da fastidio. 
Adesso siamo uno di fronte all'altra, faccia a faccia, senza nessuna via di scampo.
«Guardati intorno Ashlie, cosa vedi? » mi invita ed io lo faccio sul serio. Alberi, piante, stelle, la luna, il cielo. Nient'altro. 
«Esattamente quello che vedi tu », dico infine. 
«Vuoi sapere quello che vedo io? » Mi chiede, ma non aspetta davvero una mia risposta. «Vedo un posto bellissimo, dove i pensieri arrivano prima della solitudine. Vedo una bellissima città che si prostra ai nostri piedi e vedo una ragazza che ha paura di mostrarsi per quello che è e di mille altre cose.»
I suoi occhi sono fissi nei miei e non riesco a muovermi, non riesco ad interrompere il contatto e non riesco a tenermi lontana dalle sue parole che mi attanagliano in una stretta morsa.
«Non mi conosci » affermo convinta, ma non serve a spezzarlo, quella luce nei suoi occhi resta lo stesso. 
«Vorrei poterlo fare » sussurra. «Raccontami qualcosa di te, ancora, come quella sera. »
«A quanto pare l'ho già fatto, perché ripeterlo? » 
«Perché vorrei che lo facessi così, in modo cosciente e non stordita da qualche alcolico. Voglio che mi parli per tua volontà e non per quella di qualche shottino » dice, più convinto di prima. Finalmente interrompo quel contatto visivo, respiro di nuovo e cerco di mantenermi lucida. 
«Quella sera, cosa ti ho detto? » Cerco di mantenere un tono distaccato, per non far trasparire nessuna nota di disgusto che provo nei confronti di una me totalmente incosciente e senza controllo. 
«Mi hai detto che non sai perché sei qui », inizia. La sua voce è calma e chiara, come una sorta di tranquillante per la mia mente e io la lascio entrare, perché ho bisogno di restare calma. Ho bisogno di restare me. «Che l'università non è più quello che vuoi. Mi hai detto che hai paura del buio, che l'inverno e l'autunno sono le tue stagioni preferite e che ti piacciono le rose. Poi ne hai raccolta una, bianca, e me l'hai messa tra i capelli, sopra l'orecchio », Luke viene interrotto da una risata involontaria ed io invece sento la vergogna sopraffarmi.
«L'ho fatto davvero? » Spero quasi che mi dica di no, che mi sta prendendo in giro e che in realtà quella sera io non abbia fatto niente di tutto ciò, ma ovviamente non lo fa. Annuisce e cerca di soffocare un'altra risata. 
«Cos'altro ti ho detto? » 
«Hai voluto vedere i miei tatuaggi » afferma, stringendo le labbra per reprimere un'altra risata al solo pensiero. «Mi hai praticamente strappato di dosso la camicia e hai cominciato a chiedermi il significato di ognuno di essi.»
«Perché me lo hai lasciato fare!? » Sento le guance andare a fuoco e ringrazio il fatto che ci sia il buio a tenerle nascoste.
«Eri piuttosto ostinata », sorride. «E poi non mi dispiaceva.» 
«C'è altro? » Sollevo gli occhi al cielo perché adesso non ho più il coraggio necessario per poterlo guardare negli occhi. 
«Parlavi di una certa Brinley », dice e in un attimo mi dimentico dei tatuaggi, della camicia, della mia disinibizione. Quel nome ora è l'unica cosa che conta. 
Sento il sangue defluire da ogni singola parte del corpo e concentrarsi nella testa, che inizia a pulsare dolorosamente. Sento una stretta allo stomaco e non oso muovere le mani perché so che tremerebbero a vista d'occhio. 
«Cosa ho detto a riguardo? » La mia voce risuona brusca e decisa e Luke finge di non notarlo. Resta calmo, non fa traspire niente.
«Non troppo, solo che forse è meglio se non è rimasta qui », solleva le spalle ma non smette di fissarmi.
Rilascio andare un sospiro, forse un po' tremolante, ma non m'importa. Va bene così. Che Brinley è un argomento che vale troppo per essere messo dentro un monologo di un'ubriaca. 
A questo punto di saperne ne ho abbastanza, mi volto nuovamente verso la città con le ginocchia al petto e il mento sopra le braccia.
«Ash » mi chiama, ma non mi volto. «Non devi darmi nessuna spiegazione a riguardo, se non ti va. »
«Certo che non devo », rispondo bruscamente e sento sia giusto averlo fatto. Ho lasciato varcare una porta pericolosa per me, e anche per lui. Bisogna che io rimetta a posto le cose, che ristabilisca l'equilibrio e che rompa qualsiasi cosa si sia erroneamente creata in quest'ultimi istanti. 
Lo sento sospirare e poi muoversi, ma non mi volto. Immagino si stia preparando per andare via e tornare ognuno alla propria vita. Vedo la sua figura fermarsi davanti a me, mi guarda dall'alto ed io ricambio dal basso. 
Sembra ancora più alto, da qui. Sto per alzarmi quando invece lui si abbassa. 
Ha entrambe le ginocchia sull'erba, le mani lungo i fianchi e lo sguardo fisso su di me. 
Lo guardo in attesa di una spiegazione che non arriva e mi sento a disagio, perché mi trovo di fronte a qualcuno che non riesco a capire, di cui non riesco a prevedere le mosse né i pensieri e questo mi spaventa. 
Porta le mani sulla sua giacca di pelle nera e la apre, poi porta le dita sui bottoni della sua camicia bianca e inizia a sbottonarla. Bottone per bottone, con una lentezza disarmante. 
«Cosa diavolo stai facendo? » Gli chiedo, guardando le sue mani muoversi delicatamente, senza alcuna fretta.
«Sta' un minuto zitta, Ashlie », accompagna l'ordine con un sorriso che lo fa sembrare meno tale. Io mi zittisco presa alla sprovvista, mentre sento la confusione irradiarsi nella mia mente. 
Arriva all'ultimo bottone e la camicia cede mostrando la parte centrale del suo torace. Sposta il lembo sinistro della camicia lasciando in bella vista i pettorali e finalmente capisco. In alto a sinistra c'è il tatuaggio ancora fresco, coperto dalla pellicola trasparente. 
«Lo vedi? » Mi chiede ed io semplicemente non rispondo perché non riesco a capire oltre quel che vedo.
Lo imito alzandomi sulle ginocchia. Resta comunque più alto di me, ma così posso vedere meglio il tatuaggio.
Una rosa. Una semplice rosa. 
«È una tua idea » sussurra, sento il suo respiro sulla fronte ma non mi allontano. 
«Mia? » Gli chiedo. Porto una mano all'altezza del petto come se non avessi più il comando di essa, però mi fermo.
«Sono passate ore sufficienti, puoi toccare se vuoi » afferma deciso, prendendomi la mano e accompagnandola sul suo petto. Inizio a tracciare i bordi del fiore e inizialmente lo sento trattenere il respiro, forse perché la pelle è ancora sensibile, e allora smetto.
«Continua » sussurra, spostandomi i capelli dietro una spalla. «Vuoi sapere cosa mi hai detto? » 
Annuisco, ma senza sollevare lo sguardo.
«Dopo aver posato la rosa tra i miei capelli, non hai fatto altro che toccarla e tracciare il suo contorno con le dita, proprio come hai fatto con i miei tatuaggi, e poi mi hai detto che mi rappresentava. Che avrei dovuto tatuarlo, proprio qui sul petto. » 
«Che ti rappresenta? In che senso? »
«Non lo so », ride. «Mi hai detto che me lo avresti spiegato un'altra volta.»
«Temo dovrai aspettare perché non so cosa intendessi » affermo, distolgo lo sguardo dal tatuaggio e lo porto sul suo viso. Lo vedo sorridere e solo ora mi accorgo di quanto siamo vicini. Tento di frapporre un po' di distanza, ma lui me lo nega cingendomi la vita con un braccio. 
«C'è una cosa che non mi hai detto quella sera » afferma ed io spero invece che sia più di una. «Quel ragazzo dell'altra sera, state insieme? »
Dylan. 
«No, non stiamo insieme » rispondo senza esitazione, perché è così. Non c'è niente che ci lega oltre un passato che entrambi vogliamo dimenticare. 
«No? » Me lo chiede ancora, come per avere la certezza che quel che ha visto non è quel che crede ed io nego ancora.
In un attimo la presa sulla mia vita si fa più salda, spinge il mio corpo contro il suo ed istintivamente poso una mano sul suo petto per mantenere l'equilibrio. La sua pelle è liscia e calda, in netto contrasto con la mia, perennemente fredda. 
Fisso i miei occhi nei suoi e lui è già lì, a catturare ogni tratto del mio viso, anche quelli che da sempre vorrei cancellare. Lui è qui e sembra fissarmi così intensamente, come a volerli imprimere indelebilmente nella sua mente. 
Posa l'altra mano sul mio viso, anch'essa calda e grande. Mi accarezza il viso con il pollice e prima che io possa dire qualsiasi cosa, le sue labbra premono contro le mie. 
Labbra contro labbra, petto contro petto. 
Un bacio lento, paziente e interminabile. 
Muove le labbra sulle mie con estrema calma, in modo quasi straziante, e mi ritrovo a chiederne di più e in fretta. 
«No, non così », si allontana quel tanto che basta da poter incrociare il mio sguardo ed io mi sento una stupida. Sento l'imbarazzo sorgere ma lui lo smorza subito, stampandomi un veloce bacio a stampo sulle labbra. Poi un altro ancora. E un altro, questa volta più lungo e deciso.
«Impareremo a conoscerci, piano. Ci insegneremo a farlo a vicenda, Ash, senza fretta. »

   
 
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