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Autore: ToscaSam    29/01/2019    2 recensioni
La solita storia di una ragazza che si iscrive all'università e incontra dei ragazzi.
Più o meno.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IX
 
Non poteva essere vero, si diceva Tullia, avvolta nelle coperte, stretta come se fossero le spire di un pitone. Non poteva trovarsi in quella situazione.
Il giorno prima si era decisa a telefonare a sua madre e a informarla vagamente della situazione. Le disse che stava uscendo con un ragazzo e che le aveva chiesto di passare il Natale insieme.
Sua madre l'aveva presa bene, come si può prendere una notizia così leggera.
Tullia non ce l'aveva fatta a metterla al corrente della verità. Non avrebbe mai trovato il coraggio di ammettere che si era cacciata in una situazione soffocante, piena di parenti, di nipoti e di obblighi.
Per chissà quale ragione, Tullia si sforzò di educare Paolo ad essere un bravo fidanzato. Una mattina si svegliò presto, fece il giro di tantissimi bar e comperò un croissant con la marmellata di arance. Si posizionò davanti all'ingresso della facoltà di lingue, in attesa di Paolo e quando lo vide arrivare gli rivolse un gran sorriso.
« Tullia! Che ci fai qui?»
Lei continuò a sorridere:
« Guarda un po' cosa ti ho portato»
gli offrì il sacchetto di carta e lui lo studiò.
« Cos'è?»
« Una brioche con marmellata di arance».
Lui sorrise e la scartò. Con le dita iniziò a staccarne grossi pezzi, che mangiava molto velocemente. Finì il croissant fissando Tullia negli occhi.
« Scusami, ora ho lezione» disse. Entrò nel palazzo e non aggiunse altro.
Tullia rimase sconcertata. Quel comportamento violava qualunque buona maniera. In che universo non si dice nemmeno “grazie”, se la tua fidanzata ti porta una brioche speciale per te?
Sempre più delusa e immusonita, Tullia raggiunse le sue lezioni e cercò di non pensarci più.
Quella sera stessa, Paolo le scrisse se aveva voglia di andare a casa sua. Intendeva l'appartamento dove abitava durante la settimana, a Pisa. Tullia non c'era mai stata, così accettò l'invito.
Quando arrivò il momento, si vestì con cura e uscì di casa. Il luogo era piuttosto lontano, ma il percorso semplicissimo: dalla stazione ferroviaria bastava percorrere la lunga via Corridoni e poi continuare fino a via Emilia. Tullia si chiese se Paolo l'avrebbe riaccompagnata a casa, dopo. I suoi amici l'avrebbero fatto e chiunque tenesse a lei non l'avrebbe rimandata da sola per una strada così lunga e buia.
Anche l'andata fu abbastanza spaventosa, a dire il vero: erano le otto di sera e l'oscurità era già calata da un pezzo. Per fortuna c'erano ancora molte persone in giro e Tullia si sentì più o meno al sicuro. Quando raggiunse via Emilia, però, il paesaggio era deserto. Regnava un silenzio spettrale, attutito solo da lontani schiamazzi di clacson e ambulanze.
Tullia trovò la palazzina con il numero giusto e non poté trattenersi dal tirare un sospiro di sollievo. Era la prima volta che si sentiva così contenta di vedere Paolo.
Suonò al citofono. Le rispose una voce gracchiante e sconosciuta.
« Chi è?»
« Sono Tullia»
« Chi?»
« Ehm … la ragazza di Paolo»
Dopo un secondo di attesa, ci fu un bzz elettrico e uno scatto sonoro. Il portone si era aperto.
Tullia si ritrovò in un ingresso ampio, piastrellato come una scacchiera bianca e nera. Si ricordò di quando era andata a prendere il caffè a casa di Rocco e a quanto si era agitata durante l'ascesa all'appartamento. Come era stata sciocca. Rocco non l'avrebbe mai messa a disagio. Voleva semplicemente prendere un caffè e ovviamente passare del tempo con lei, niente di più.
Anche queste scale erano buie, ma più larghe e più inquietanti. Ad ogni pianerottolo c'erano piedistalli con sopra sculture orrende in marmo: un carlino, un'auto d'epoca, una scarpa col tacco che fungeva anche da vaso per una pianta grassa. Sembrava l'antro di una vecchia signora rimasta arenata negli anni settanta.
Paolo l'aspettava sulla soglia del suo appartamento, in ciabatte, incredulo che Tullia si fosse fatta tutte le scale al buio.
« Potevi accendermi la luce» ribatté lei a disagio.
« Gli interruttori sono dovunque, Tullia!» la rimproverò Paolo.
La casa di Paolo era piccola e disordinata. Ci abitavano in due, lui e un certo Tommaso, un individuo unticcio che si presentò armato di un barattolo di cetriolini sottaceto.
« Piacere» disse offrendo la mano con cui aveva pescato il molliccio cetriolino verde e se l'era infilato in bocca.
Tullia fu costretta a stringerla, sentendo il contatto freddo e umido della punta di quelle dita.
Paolo la presentò brevemente, poi la condusse in camera: era ampia ma spoglia, con un triste lettino sulla destra e una scrivania carica di dispense sulla sinistra, sotto l'unica piccola finestra.
Tullia si tolse il giacchetto e la borsa, poggiandole sulla sedia della scrivania.
« Che ti va di fare?» chiese.
Paolo l'afferrò e la baciò a lungo. Una cosa stranissima. Tullia ne fu lusingata, ma dopo un po' si annoiò di quel risucchio teatrale, così si allontanò. Raggiunse il comodino in finto legno vicino al letto e scorse un vecchissimo lettore CD.
« Esistono sempre?» disse a mo' di scherzo.
« È lì da un sacco di tempo, l'avrò usato una volta da quando me l'hanno regalato»
« Che musica ascolti? Sai che una volta ho frequentato lezioni di canto?» disse lei, raggiante, ricordandosi di quando aveva seguito le lezioni pomeridiane di canto al liceo.
« Non ascolto niente di preciso. Mi piacciono le canzoni che escono d'estate, quelle che si ballano»
« Ah»
« Ti sei mai esibita, quando cantavi?»
« A scuola mai. Facevano una festa a fine anno ma mi sono sempre vergognata. Una volta però ho cantato al mio paese. C'era un saggio di musica e mancava una persona che potesse accompagnare un ragazzino che suonava la chitarra»
« Cosa cantasti?»
« Bocca di Rosa»
« Mai sentita»
Tullia si sentì di nuovo come dopo il Conte Ugolino. Temendo di essere troppo spocchiosa, rispose con cortesia:
« È una canzone molto famosa di Fabrizio De André. Sai, gli accordi sono piuttosto facili e ai saggi la fanno spesso».
Paolo alzò gli occhi al cielo: « Oddio, non dirmi che ti piace De André. Tutte quelle lagne! E poi a me piace quando una persona canta. Non so come spiegartelo, ma lui è come se parlasse, come se facesse rap».
Tullia non riuscì a pensare a una risposta per un'affermazione del genere, così stette zitta.
Paolo, forse felice di aver avuto la meglio in quel dibattito, si sedette sul letto e la invitò a fare altrettanto.
« Ti va di guardare qualcosa alla TV?»
« Volentieri!» esclamò Tullia.
In un angolo della camera c'era l'armadio a muro. Paolo aprì a colpo sicuro un'anta e ne estrasse un vecchio televisore a tubo catodico. Lo poggiò sul comodino, lo agganciò a tutti i cavi, poi l'accese.
« Non lo tengo sempre attaccato, sennò mi viene voglia di accenderlo» si giustificò.
Rimasero seduti scomodamente sul letto a scorrere un canale dopo l'altro, finché non si fermarono su un documentario.
Sullo schermo cominciarono a muoversi piccoli leprotti marroncini. Saltellavano, poi si accovacciavano attorno alla mamma.
Paolo mise un braccio attorno alle spalle di Tullia, poi con la mano scese fino a toccarle il seno. Tullia si sentì gelare ma non si mosse.
La mano di Paolo si aprì, le sue dita si schiusero e si allargarono, per afferrarla il più possibile.
I leprotti si stavano allontanando dalla mamma e pian piano la camera cominciò ad inquadrare un rapace, nel cielo.
Paolo fece scendere la mano sotto il colletto, sotto il reggiseno e toccò la carne nuda di Tullia.
Con un brivido di ribrezzo e terrore, Tullia capì che quel documentario parlava di predatori. Non riuscì a chiudere gli occhi in tempo per vedere il primo dei leprotti ucciso dal rapace, però schizzò lontana, gemendo, tappandosi la vista con le mani.
Paolo si ritrasse.
« Ma che c'è?» chiese stizzito.
Tullia teneva gli occhi chiusi e tremava.
« Ti prego, cambia canale»
« Perché?»
« Perché mi fa senso! Ecco perché!»
« È una cosa naturale! È normale che gli animali si uccidano»
« Si, ma non riesco a guardarlo! Mi da fastidio! Mi fa stare male! Per favore!»
« La natura va così! Smettila di essere infantile».
Paolo si rifiutò di cambiare canale e Tullia passò il resto del tempo con le mani sugli occhi, da cui iniziarono a scendere incontenibili rivoli di lacrime.
Paolo non si mosse. Rimase fermo nella sua convinzione di guardare il documentario. La voce narrante raccontava nel dettaglio quello che stava accadendo ai poveri leprotti e Tullia non riusciva a smettere di piangere.
Quando fu finito, Paolo spense la TV, la staccò e la ripose nell'armadio.
Tullia era ancora tremante, in lacrime e con le mani serrate sugli occhi.
Paolo ritornò verso il letto, ma prima dette un giro alla serratura della porta.
Raggiunse Tullia, le sciolse le mani dagli occhi e la spinse verso il materasso. Le si sdraiò sopra e cominciò a baciarla con foga, con la stessa teatralità di prima.
Tullia era stordita, le girava la testa, si sentiva ferita e fuori di sé.
Paolo infilò una mano dentro i suoi pantaloni e scivolò subito sotto le mutande. Cominciò a toccarla, con invadenza, a tastare ogni centimetro di quello che fino a quel momento era stato un luogo segreto di Tullia.
Lei non ce la fece più. Schizzò su, in lacrime e spinse Paolo lontano da sé. Si avvicinò alla sedia, riprese le sue cose, si vestì e si avviò alla porta.
« Tullia! Che c'è? Perché non vuoi?»
« Non me la sento»
« Perché?»
« Non lo so»
« Ok»
« Cosa “ok”?»
« La prossima volta, allora».
Aprì la porta a Tullia ma non l'accompagnò all'ingresso. Lei gridò un “ciao” al coinquilino dei cetriolini, si aprì la porta e se la richiuse alle spalle. Non trovò l'interruttore per la luce delle scale. Paolo non si era scomodato ad accenderla per lei, né si era offerto di riaccompagnarla a casa.
Tullia arrivò a casa in uno stato pietoso: sconfortata, confusa, con un'infinita voglia di piangere.
Quel fine settimana fu come i precedenti: Paolo l'accompagnò a casa sua, la portò alla messa, la invitò al pranzo con parenti. I bambini la chiamavano zia, la madre le parlava di come si allevano i figli e di quanto fossero belli i matrimoni in chiesa.
Poi furono di nuovo a Pisa, in macchina sotto casa di Tullia e Paolo ricominciò l'attacco furioso di baci.
Toccò il seno e le parti intime di Tullia con foga. Le prese una mano e la condusse sulla curva rigida del pene sotto i pantaloni, poi gliela mosse. Tullia rimase immobile e lui le spostò ritmicamente la mano con più insistenza.
Ad un certo punto, Tullia si sottrasse a tutto questo. Aprì lo sportello e fuggì verso casa.
Da quel momento non passò giorno in cui Paolo non cercasse il contatto fisico. La invitò tutte le sere e Tullia andò da lui, senza riuscire a dirsi perché.
Lui la sdraiava sul letto, le prendeva una mano e se la poggiava sui pantaloni. Costringeva la mano di Tullia a muoversi su e giù, lungo quella protuberanza calda e dura, mentre lui, con l'altra mano, le esplorava le nudità.
Una volta Tullia scoprì con orrore che si era sbottonato. Le prese la mano e se la ficcò dentro le mutande, mettendola in contatto per la prima volta con il suo pene, viscido, rigido, caldo. Tullia era terrorizzata.
Paolo teneva la mano di Tullia in contatto col pene e con l'altra si aiutò a far uscire tutto quanto dall'involucro delle mutande. Tullia non aveva mai visto dal vivo un pene eretto e ne fu molto impaurita.
Paolo le schiuse le dita e gliele risistemò attorcigliate attorno all'erezione, poi le chiese di frizionarlo, su e giù.
« No, ti prego»
« Perché no?»
« Perché questa cosa mi fa sentire una … una specie di troia»
« Ma non è vero! Sono cose che si fanno»
« Io non l'ho mai fatto»
« Perché non vuoi fare l'amore con me?»
« Non lo so! Non sono pronta»
« Ma io ti amo».
Tullia rimase a bocca aperta.
« Cosa?»
« Ti amo»
ripeté lui con voce solenne, con gli occhi sporgenti, le sopracciglia folte e le labbra umide.
« Me lo puoi dire anche tu?» chiese, poi.
Tullia rimase zitta. Si sentì in trappola.
Paolo le si avvicinò e la baciò con foga, poi riemerse e chiese di nuovo:
« Tullia, dimmi che mi ami»
« Ehm ... Ti amo»
disse lei, sentendosi una creatura meschina e orribile.
Ogni sera si ripeteva sempre il solito teatrino: Paolo la invitava a casa e lei si sottraeva alle sue proposte. Iniziò a diventare sempre più insistente ed esplicito. Le chiedeva di continuo perché non volesse fare l'amore e lei non aveva una risposta. Si imbronciava e la mandava via. Il giorno dopo rimaneva stizzito tutto il tempo, finché non la invitava di nuovo a casa e tutto procedeva uguale, di giorno in giorno.
  
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