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Autore: The Custodian ofthe Doors    30/01/2019    7 recensioni
[ AU!Police| Seguito di Una pista che scotta| II| Detective!Alec| PoliceOfficer!Simon| SemiCriminal!Magnus| AlecSimonMagnus!squad]
Alexander Lightwood è un Tenente della Omicidi di New York City a capo di una squadra a dir poco particolare e se un tempo era famoso per la sua pazienza e la sua calma imperturbabile, oltre che per la sua sfortuna, ora lo è anche per aver risolto il grande Caso Circle a trent'anni dalla sua archiviazione.
Ma i problemi non sono finiti e non arrivano mai da soli.
Dopo il ritrovamento del quaderno del Circolo di Asmodeus vecchi mostri sacri della criminalità risorgono dalle loro ceneri, attirati dalla consapevolezza che il proprio nome risulti su quelle pagine assieme a tutti i loro segreti più grandi.
New York apre il sipario e mette in scena, per l'ultima volta, l'ennesimo atto di uno spettacolo che in troppi temevano di rivedere, in cui troppi saranno costretti a recitare di nuovo o per la prima volta.
I demoni stanno tornando, crimine e giustizia saranno ancora costretti a combattere assieme questa battaglia che nasconde più di quanto non possano credere.
La chiamata è stata fatta e nessuno potrà ignorarla.
Che gli piaccia o meno.
Genere: Azione, Commedia, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Simon Lewis, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo XI
La scatola dei ricordi.

 

 

Il suono secco del metallo che scattava al suo posto risuonò nell'aria come aveva già fatto diverse volte.
Camille controllò che il caricatore fosse ben inserito e fece scattare la sicura su e giù, sincerandosi che anche quella fosse al suo posto. Ripose la pistola nera e lucida nella fondina dal motivo a trapunta, sull'incrocio di ogni cucitura una minuscola perla bianca brillava, le due “C” intrecciate di Chanel rispecchiavano le luci della stanza arredata con gusto ed eleganza un po' troppo sfarzosa per molti.

Assicurò la cinghia attorno alle spalle e in vita, passando le dita sotto la spessa e resistente pelle nera che le abbracciava i seni ed andava ad incrociarsi sulla pancia. La maglia di un tetro grigio-azzurro le stava ben aderente addosso, il tessuto spesso era quasi grezzo al tatto, ma andava bene, così come andava bene la sua pesantezza. Non erano riusciti a convincerla a mettersi un giubbotto antiproiettile ma quella maglia in fibre rinforzate era stata un compromesso che Camille non aveva di certo schifato.
Sui pantaloni neri, all'altezza delle cosce, erano strette due fasce che reggevano i caricatori di riserva, si sentiva come un soldato che stava per partire per la guerra, ma in fondo non era tanto lontana dalla verità, quel giorno
erano di scorta a Saint Cloud e al suo delicato “tesoro”, dovevano essere armati sino ai denti e pronti a tutto.
Mise il piede sul bordo del tavolino di cristallo, senza preoccuparsi di romperlo o di graffiarlo, stringendo di nuovo i lacci e le fibbie dei suoi scarponi con la punta di metallo e mettendoci sopra il pantalone a forza. Le mancava solo che si slacciassero quei dannati fiocchi e che lei cadesse come una poppante nel mezzo della festa. Perché Camille stava dando per scontato che quei schifosi bastardi avrebbero messo loro i bastoni tra le ruote e che ci sarebbe stato da menar le mani.
Controllato il vestiario fu il turno della treccia alta che poco prima Louanne le aveva fatto, una pettinatura stretta e marziale che forse si scontrava troppo con la sua solita aria da bambolina ma che era risultata la più comoda ed adatta.
Era davanti allo specchio quando con la coda dell'occhio scorse un movimento al limitare del suo campo visivo. Poco dopo l'immagine di Pierre apparve chiara alle sue spalle.
Il ragazzo la guardò dritta negli occhi attraverso il riflesso perfetto di quella lastra immacolata.

<< Sei sicura di farcela?>> le chiese solo.
Camille storse il naso. << Ho fatto di peggio, non saranno un paio di proiettili volanti sparati da quei bastardi a farmi fuori.>> gli rispose con decisione.
Il ragazzo annuì passandosi una mano tra i capelli. << Hai ragione, ma sai che mi preoccupo sempre, tra te e Rafael prima o poi mi manderete al creatore.>> le sorrise mesto.
Il suo volto pareva illuminarsi ogni volta che le labbra si tiravano in quella curva dolce e rosea, Pierre era probabilmente una di quelle rarissime persone che sorridevano sempre per davvero, un sorriso che arrivava agli occhi e non poteva reputarsi falso. Anche quando era macchiato dalla preoccupazione come in quel momento.
Quell'affermazione però lasciò Camille insoddisfatta. << Ti preoccupi per lui?>> domandò quindi con una nota indispettita nella voce.
Ma Pierre non si fece trovare impreparato e fece un passo avanti per posarle le mani sulle spalle ed avvicinare il proprio volto a quello della ragazza. Strusciò con la punta del naso contro la sua tempia e poi gliela baciò.

<< Il y n'a pas besoin de faire ainsi, tu sai que tu es ma préférée, tu sais que je t'aime. Tu es et sera toujours tu mon amour unique.>>











 

La luce che filtrava in quel momento dalle finestre mezze chiuse indicava che il Sole era ancora alto nel cielo, ma i pomeriggi inverali erano così mutevoli e corti che il detective non si sarebbe stupito di veder quelle lame chiare sporcarsi presto di toni caldi per poi scurire nella notte prematura di ogni singolo giorno di quella stagione.
Alec distolse lo sguardo dal riverbero che si rifletteva dal vetro sino alla sua postazione al tavolo e ridiede completa attenzione ai moduli davanti a lui.
Verbali. Erano due giorni che non faceva altro che leggere verbali su verbali provenienti da anni passati e neanche tanto amati. Alle volte si domandava perché si fosse fatto così male da solo, prendendo proprio quella fascia, ma poi si ricordava a chi altri sarebbe potuta capitare e sospirava affranto. Teoria del male minore, una sua cara, carissima amica di vecchia data, quasi un primo amore adolescenziale. O infantile visto che fin dalla più tenera età Alexander si era ritrovato a scegliere se cadere e sbucciarsi un ginocchio fosse meglio che far cader Jace e far sbucciare un ginocchio a lui. Jace avrebbe fatto quella faccia costipata di quando voleva piangere ma si voleva anche mostrare forte, avrebbe rifiutato di farsi mettere un cerotto perché lui era grande ormai, avrebbe gonfiato le guance e si sarebbe strappato le pellicine delle labbra. Senza contare che avrebbe dovuto spiegare a mamma che il fratellino si era messo a correre anche quando lei gli aveva ripetuto più volte che non poteva farlo. Se invece fosse caduto lui si sarebbe pulito la ferita, c'avrebbe messo sopra un cerotto e poi si sarebbe chiuso nel suo bel mutismo da dolore come faceva sempre, terminando il tutto dicendo banalmente alla mamma che era inciampato. A lui avrebbe creduto. Questo era un male minore.
Il Dottor Lawson preferiva chiamarlo “spirito di sacrificio” o “propensione al masochismo protettivo”, una frase che suonava malissimo a suo dire, ma andava bene comunque, presupponeva.
Perciò lui era un masochista con tendenze potenzialmente pericolose. Perché più andava da quello psichiatra e più la sua situazione pareva peggiorare? Ad ogni seduta scopriva un modo nuovo e peggiore per chiamare i suoi problemi, era davvero incredibile.
Strinse la presa attorno alla penna ed appuntò un paio di nomi sul blocco notes che aveva di fianco, gettando una rapida occhiata a Simon per controllare a che punto stesse con l'inserimento dei dati già elaborati da quegli altri due imbecilli.
Jonathan e Magnus, neanche a dirlo, non avevano perso tempo in quei giorni ed erano riusciti a dimostrare quali grandissimi coglioni fossero entrambi a suon di battute, insulti velati – e neanche così tanto da parte di Magnus, Alec doveva ammettere che Jonathan era molto più fine sotto questo punto di vista, ma cosa ci poteva fare?- rivangare passate esperienze e azioni dell'altro e, non per ultimo, un magnifico tiro di carte di panini finito con Alexander che prendeva entrambi per il bavero della giacca e li buttava fuori dalla sala. Uno rispedito al suo piano e l'altro a gestire il locale che si lamentava di trascurare troppo.
E pensare che aveva lavorato in situazioni decisamente peggiori, ma Morgenstern e Bane messi assieme erano peggio di una mandria di bambini dell'asilo e lui aveva Izzy e Jace a casa, sapeva di cosa stava parlando.
I due per ora erano stati “congedati” per un paio di giorni, giusto per far schiarire le idee ad entrambi. Alec sosteneva che fossero come alimenti dannosi per un intollerante: se li si assumeva in modo continuo portavano solo problemi, ma assunti ogni tanto a piccole dosi potevano essere tollerati dall'organismo senza andare in saturazione. Simon gli aveva dato completamente ragione.
Lo stesso Simon che in quel momento si tirò indietro con la schiena e si tolse gli occhiali, massaggiandosi con delicatezza gli occhi.

<< Ci sono talmente tanti nomi, date ed eventi da controllare che ormai sono sicuro che l'Antidroga non se ne sia voluta occupare solo perché gli avrebbe dato troppe rogne. Questa non è una dimostrazione di fiducia bello, questo è “scaricare le rogne ai novellini”.>>
<< Io non sono un novellino.>> disse piatto Alec continuando il suo elenco.
Simon fece una smorfia. << Ma la tua squadra è nuova.>>
<< Sì, ma né io né Jonathan siamo novellini. Tecnicamente non lo sei neanche tu visto che hai passato quasi cinque anni qui in Dipartimento.>>
<< Mi stai dicendo che l'unico pivello qui è Magnus?>> domandò sorridendo divertito.
Alec annuì. << Lui su tutto il fronte e tu per questa sezione.>>
<< Oh, andiamo! Avevi appena detto che non lo ero!>>
<< Che non lo eri “tecnicamente”. Impara ad ascoltare la gente, Lewis.>> l'angolo destro delle sue labbra si alzò un poco, ma Simon era alla sua sinistra ed il profilo coprì quel piccolo accenno di divertimento.
Quando Alec si rese conto che l'altro non sarebbe tornato subito al lavoro sospirò e chiuse la penna con uno scatto. Si voltò verso di lui girando sulla sedia e fissò gli occhi sullo schermo.
<< Che hai trovato per ora?>> chiese cercando di farlo distrarre un poco, seppur parlando sempre di cose utili.
Simon sospirò. << Da questi dati pare che New York City sia un covo di drogati.>>
<< Non è tanto distante dalla realtà come cosa, ma ci sono città, contee intere e anche Stati messi peggio di noi.>>
<< Uhg, rassicurante Alec, davvero tanto.>> storse il naso disgustato.
<< Continua.>> fu la risposta imperativa dell'altro.
<< Allora: ci sono moltissimi luoghi della città che sono da sempre zone di spaccio, famose alla polizia locale. Non si riesce mai a liberarle del tutto. Qui dalle parti del Queens, guarda, ci sono delle gang che tengono i loro traffici.>> indicò una mappa con il dito e poi cambiò pagina. Alec scosse la testa.

<< Non credo sia quello che interessa a noi, si sono susseguite molte gang diverse da quelle parti, il confine con i ponti per il Bronks non è mai un bel luogo, là i capi cambiano perché vengono uccisi da chi vuole prendere il loro posto, non perché la polizia li ha incastrati dopo anni di indagini.>>
<< Cosa vuoi di preciso? Cosa devo cercare?>>
Il moro ci pensò su un attimo, posando lo sguardo su quella lista infinita e su quelle che Simon già aveva inserito nel suo database temporaneo.
<< I parametri sono sempre gli stessi: luoghi in cui sappiamo si riuniscano molti esponenti della criminalità organizzata ma che non vengono quasi mai presi. Credo ci serva come minimo uno stacco di cinque, sei anni. Se quella gente è davvero furba come crediamo, se sono davvero una sotto-rete urbana che si modifica con il tempo ma che non è collegata in modo “vitale” alle altre, allora non possiamo aspettarci che i vertici cambino troppo spesso.>>
<< Certo, >> concordò Simon ricominciando a battere sulla tastiera del portatile, << se dietro c'è una grande e precisa organizzazione, dei patti e degli accordi, significa che chi comanda deve essere sempre lo stesso o troppo spesso ci si ritroverebbe a rivedere le regole di non belligeranza.>>
<< Esatto. Mettiamo anche in conto che oltre questo gruppo ce ne saranno altre decine scollegate, che magari non hanno niente a che fare con la nostra rete o che addirittura ne sono nemici.>>
<< Quindi luoghi comuni, associazioni che non cambiano troppo spesso. Quando cade un capo ne spunta subito un altro ed il sistema si modifica per correggere la falla. Elimino le gang?>>
<< Sì, non è l'organizzazione che cerchiamo no, è comunque una gerarchia ma molto più sofisticata.>>
<< Come Las Vegas? Tutti i casinò si fanno gli affari loro e quelli più potenti non si vanno a rompere le scatole a vicenda ma si aiutano invece a far affondare i nuovi arrivati o quelli ormai troppo vecchi per combattere?>>
Alec lo guardò accigliato e poi annuì. << Questo non l'avevamo messo in conto.>>
<< Cosa?>> chiese Simon distratto continuando a correggere l'algoritmo di base del suo programma. Era ancora sperimentale ma i ragazzi del Laboratorio Informatico lo stavano aiutando tantissimo a farlo funzionare, chissà che un giorno non sarebbe diventato il più utilizzato del dipartimento.
<< La fedeltà che queste persone possono avere le une verso le altre.>> rispose secco Alec alzandosi. << È davvero un punto fondamentale, ben fatto Lewis.>>
Il ragazzo si girò a guardarlo senza capire, alzando un sopracciglio. << Ma io non ho detto nulla...>>
<< Ancora meglio, di solito hai buone idee quando non ci pensi.>>
Simon lo guardò oltraggiato. << Mi hai appena insultato?>>
<< Stai anche diventando più ricettivo.>> notò a mala pena Alec. Si piegò verso il monitor e poi indicò la zona di Brooklin che, a ben vedere, entrambi conoscevano più che bene. << Questa zona in arancio, è un punto caldo?>>
<< Non solo mi hai insultato, hai anche fatto del sarcasmo e ora una battuta stupida!>> disse sempre più stupito, ignorando cosa contenessero i confini aranciati di quella mappa.
Lo scappellotto che si beccò subito dopo era del tutto giustificato.
<< Ho solo associato il colore ad un pericolo più altro, idiota. Allora? Hai usato colori a caso o più è caldo più c'è attività nella zona?>> insistette lui senza scomporsi minimamente.
Simon si massaggiò la testa indolenzito. << Ha un senso, sì, ho seguito le gradazioni termiche.>>
<< Bene.>>
<< Bene?>> chiese curioso guardando Alec affaccendarsi per la stanza alla ricerca del cappotto.
<< Bene.>> ripeté lui. << Prendi la tua roba e copriti bene, andiamo a vedere.>>
<< Cosa?>>
<< Ti stai rincretinendo lì davanti, andiamo a fare un po' di lavoro sul campo prima che quegli altri due deficienti tornino e ci rovinino tutto.>>
<< Andiamo solo noi? Aspetta, e tutti questi altri documenti? Dobbiamo inserire un botto di altri fattori!>> cercò di fermarlo prendendo in mano tutti gli altri fascicoli ed alzandoli verso di lui come a voler sottolineare la cosa.
Alec neanche lo degnò di uno sguardo. << Sì Lewis, andiamo solo noi, dobbiamo sfruttare questo attimo di pausa prima che quei due tornino. Il lavoro di una squadra è più rapido perché ci si divide i compiti, questo significa che non saremo mai tutti e quattro assieme se non in questa stanza, sarà davvero difficile aver bisogno delle abilità di tutti contemporaneamente. Ci divideremo in coppie e spero tu sia ben consapevole del fatto che non ci capiterà più di star soli noi due. Ti devo insegnare quello che so il prima possibile.>>
Simon batté le palpebre ed annuì mesto riposando i fogli sul piano. << Suona molto romantico come lo hai detto, sappilo. Non staremo più soli noi due… sì, decisamente romantico. Perché non staremo più assieme? Le coppie saranno fisse?>>
<< Di solito funziona così, ci si affianca al compagno di squadra che ci bilanci meglio, ma la nostra non è una formazione definitiva, al termine del Caso Jonathan tornerà alla OCCB. Nel frattempo faremo a turni, capiterai con Magnus o Jonathan, dipenderà dall'occasione.>>
<< Sì, ma perché non con te?>> insistette chiudendo il pc ed infilandolo nello zaino. Alec già lo aspettava sulla soglia, la mano sulla maniglia, impaziente che l'altro si muovesse.
Il moro alzò un sopracciglio, la sua espressione ricordò a Simon le occhiate sprezzanti, infastidite e quasi schifate che il giovane rifilava a lui e Clary i primi tempi. Decisamente di disapprovazione.
<< Vuoi forse che metta in coppia assieme Morgenstern e Bane? Davvero? >> disse sarcastico.
<< Oh, già, non sarebbe un bell'affare, a questo non avevo pensato.>> asserì involtandosi nella sciarpa ed abbottonandosi bene il cappotto.
<< Questo perché tu non pensi mai, Lewis.>>
<< Ehi! Ma se mi hai appena detto che quando non penso ho le idee migliori!>>
<< Le idee, non i ragionamenti, quelli per farli devi per forza pensare. Hai preso i guanti?>> chiese poi estemporaneo.
Simon alzò gli occhi al cielo sbuffando.
<< Sì, papà.>>
Il secondo scappellotto della giornata se lo meritava tanto quanto il primo.

 

 


Le strade a quell'ora del pomeriggio erano sempre un po' trafficate. I ragazzi che uscivano da scuola, gli uffici che chiudevano, la gente che si affrettava per le strade tra compere e commissioni. La loro meta si trovava a Prospect Heights, non era un brutto quartiere, di quelli dove ci si aspetterebbe di trovare criminali di ogni genere, ma la vicinanza al Prospect Park e anche alla costa era sicuramente un buon motivo per far affari da quelle parti, c'erano molti posti in cui ci si sarebbe potuti nascondere.
Alec scese dalla macchina accompagnando la portiera e fulminando con lo sguardo Simon che invece la lanciò con poca grazia.
<< Te la fai a piedi sino al Dipartimento se sbatti di nuovo la portiera in quel modo.>> lo minacciò.
Simon sorrise dispiaciuto. << Beh, sarebbe magnanimo da parte tua, la fermata della metro non è tanto lontana.>>
<< Ti toglierei tutti i documenti, il portafoglio e la carta per la metro prima.>>
<< Questo è crudele, io te lo dico.>> il ragazzo storse in naso ma si affrettò a seguire il collega che marciava sicuro verso il lato opposto della strada. << Sei sicuro che sia qui?>>
<< Sei sicuro delle indicazioni che mi hai dato?>> gli chiese Alec facendo una smorfia infastidita.
Non attese neanche la sua risposta, voltò a destra ed attraversò la strada, diretto verso un vicolo che si apriva tra i palazzi della sponda opposta.
<< Non capisco.>> ricominciò il più giovane. << Sono tutte belle case, non sembra proprio un quartiere malfamato in cui spacciare con tranquillità.>>
Alec gli diede ragione con un cenno della testa, infilandosi per un attimo nel vicoletto solo per costatare che fosse cieco e desse sul muro di una palazzina.
Non c'erano case popolari, erano tutte piccole casette a schiera, condomini da tre, quattro famiglie, i più grandi avevano a mala pena quattro piani e le macchine parcheggiate sui marciapiedi erano tutte in buone condizioni, auto normali, alcune più costose delle altre ma mai in grande contrasto: non c'era l'auto di lusso del capo e quelle scassate dei tirapiedi, che si fossero sbagliati? Non era possibile, la mappa redatta dai dati dei ragazzi segnava la zona come arancione, quindi con continuo ed elevato movimento.
Si gettò un'occhiata alle spalle, si stavano allontanando dal parco, forse si sarebbero dovuti inoltrare lì, ma anche quel luogo Alec lo sapeva relativamente tranquillo, conosceva abbastanza quella zona, c'era un Ospedale Pediatrico, ci avevano portato Max quando era piccolo.
Qualcosa non gli quadrava, si fermò e fece cenno a Simon di far lo stesso, avvicinandosi ad un muretto basso e poggiandoci la mano sopra.
<< Prendi il pc.>> disse secco.
Simon annuì e fece come richiesto, prendendo subito la mappa della zona ancora evidenziata in arancio.
<< Perché proprio Carroll St?>>
Il ragazzo batté sulla tastiera ed ottenne subito la lista dei dati inseriti, una lunga stringa di dati in blu sullo sfondo nero. << Oh.>> disse allora.
<< “Oh” cosa?>>
<< Metà anni '80, qualche palazzina indietro c'era la casa di uno spacciatore, di un capo a dirla tutta. Ci fu un blitz e la SWAT e l'Antidroga entrarono in casa sua trovando tutta la sua scorta pronta alla vendita, era un intero edificio pieno, ce ne erano chili e chili ad ogni piano.>> spiegò girandosi verso l'alt e ritirando la testa tra le spalle sotto lo sguardo gelido di Alec. << Forse dovevo controllare prima invece di dirti di venire qui e basta.>>
<< Forse?>>
<< Dovevo e basta.>>
<< Impara questa cosa Lewis, prendila come una regola d'oro: informati sempre perfettamente sul luogo che stai andando a visitare, devi saperne tutto. Oggi stiamo solo seguendo una pista, domani potremmo dover fermare un omicidio o salvare una vita e l'essere arrivati a Carroll Streat invece che alla strada successiva potrebbe costarci caro.>> disse freddo il moro. << Non importa se le informazioni le hai elaborate tu o meno, un nostro errore è nostro e basta. Sono stato chiaro?>>
<< Chiarissimo.>> soffiò via Simon con un filo di voce, mortificato da un errore così grossolano.
<< Controllo meglio?>> chiese piano.
Alec espirò tutta l'aria nei polmoni, le labbra strette in una linea piatta. << Zona di spaccio odierna, non di vent'anni fa. Azzardati a dirmi che vent'anni fa non erano gli anni '80 e ti do un pugno.>>
Troncato sul nascere Simon abbozzò un sorriso incerto. << Stai diventando violento, lo sai sì?>>
<< Lo sono sempre stato, non te ne sei mai accorto semplicemente perché non passavi tutto questo tempo con me.>>
<< Già, fa un po' strano in effetti… però devo imparare dal migliore, no?>>
<< Non arruffianarti, Lewis, guarda cosa dobbiamo fare e poi facciamolo. E ricordati questa regola.>>
Simon sospirò ma annuì, almeno una mezza battuta gliel'aveva fatta. << Ultimamente ti piace inventare regole su regole, vero? Magnus se ne lamenta in continuazione, le sue sono le stesse mie?>> chiese curioso mentre restringeva la ricerca inserendo i parametri temporali.
La risposta che ebbe indietro un un sarcastico grugnito.
<< Cosa?>>
<< No, non sono assolutamente le stesse. Lui attualmente ne ha cinque.>>
<< E perché non sono le stesse? Non fai favoritismi, vero? Oddio, no, aspetta, se i favoritismi sono verso di me va bene, ma voglio anche sapere che regole ha Mags. Io ho quella del “controlla tutto dieci volte prima di darmi un'informazione”- >>
<< Prima di dare a chiunque un'informazione, si deve essere sempre sicuri di ciò che si dice agli altri.>>
<< E Mags non deve farlo?>>
<< No che non deve, ti sembro così stupido da dare a lui il compito di indirizzare altri agenti verso una meta?>>
Simon annuì. << Concesso, concesso. Quindi lui che deve fare? No, perché non vorrei che poi a me quelle regole le rifili dopo, posso impararle fin da subito e non fare quegli errori.>>
Alec sospirò e gli fece cenno con la testa di sbrigarsi, infilando le mani nel giaccone e poggiandosi con la schiena al muretto. << Credimi, non c'è possibilità.>>
<< Nessuna nessuna?>> indagò il ragazzo voltandosi verso l'amico.
L'altro si strinse nelle spalle. << A meno che tu ed io, soprattutto io, non ci scoliamo due tre bottiglie di rum, o forse anche qualcosa di più, non c'è pericolo che le stesse regole andranno applicate anche a te.>> disse con una tranquillità invidiabile.
<< Perché? Eddai Alec, lo sai che sono una curioso come una bertuccia, non dirmi le cose a metà!>>
Lo vide roteare gli occhi verso l'alto e poi scuotere piano la testa. << Hai intenzione di saltarmi addosso e passare una notte di sesso sfrenato con me?>>
La domanda fu detta con così tanta semplicità ed in modo così inaspettato che Simon rimase con le mani infreddolite bloccate a pochi centimetri dalla tastiera, gli occhi sgranati puntati in quelli azzurri e totalmente a proprio agio di Alec.
Deglutì a vuoto, facendo scorrere lo sguardo sulla figura del compagno e poi riportò l'attenzione al suo volto. Scosse lentamente la testa boccheggiando come un pesce.
<< Hai intenzione di farti sbattere contro un muro e poi su un letto?>> chiese ancora Alec e Simon, di nuovo, scosse la testa.
<< Hai intenzione di attentare alla mia persona in modo fisico o verbale?>>
<< I…no… >>
<< Allora non ti servono quelle regole.>>
Ci fu un attimo di silenzio, Alec si voltò verso la strada, studiando le macchine che vi passavano pigre.
<< Hai dato a Magnus delle regole sul sesso? Cioè, che gli limitino tutti gli “attacchi” su quel fronte?>>
<< Sì.>>
<< Aspetta: è così che voi due avete risolto! Con delle stupide regole su come comportarsi? DIO! Alec! Credevo che vi sareste saltati addosso e- >>
<< Sono un suo superiore, così come per te, perciò ti dico di star zitto e lavorare, i miei problemi privati li gestisco come mi pare e piace e non sono tuo interesse.>> gli disse spiccio.
<< Sì che lo sono! Siete miei amici e lavoriamo assieme!>>
<< Proprio per questo abbiamo deciso che non tirerà mai in ballo i nostri trascorsi, non mi chiamerà con nomi imbarazzanti, potrà andare a letto con chi gli pare e nel frattempo noi ci conosceremo poco a poco come la gente normale. Contento? Ora lavora, dove dobbiamo andare?>>
<< Può farsela con chi gli pare? Ma Alec, Magnus va con cani e porci! Potrebbe rimanere invischiato in una relazione di qualunque tipo e non volerci rinunciare e così direbbe automaticamente no a te!>>
<< Complimenti Lewis, con una frase sei riuscito a dare del prostituto a Magnus, del facile e volubile e a dire che una possibile relazione “normale” con me non vale come una di puro sesso, grazie.>> Allungò una mano e gli chiuse di scatto il pc, schiacciandogli quasi le dita. << Lascia perdere la nostra vita privata, se proprio vuoi farmi questa filippica lo farai fuori dagli orari di lavoro. Ecco, sei stato accontentato, ora hai una regola come Magnus: non si parla di fatti privati durante l'orario di servizio, regola numero uno.>>
Gli diede le spalle e continuò a camminare nella direzione in cui, lo sapeva, prima o poi avrebbe incontrato la Settima strada. << E potevi farmi parcheggiare a metà strada, la Carroll copre sette isolati solo a Brooklin!>> grugnì ad alta voce.
Simon si affrettò a rimettere il pc nello zaino e a seguire il ragazzo. << Prendiamo la macchia?>>
<< No, ora te la fai a piedi.>>
<< Ehi! Sono allenato io, ti ricordo che andavo a correre tutte le mattine, non sono io quello che potrebbe risentirne.>>
Solo dopo che l'ebbe detto Simon si rese conto di quanto fosse stata crudele come affermazione. Alec lo fulminò e arricciò in naso in quel modo inquietante che gli tirava su il labbro e gli scopriva i denti. << Se hai appena insinuato che io non sia ancora in grado di reggere i ritmi normali a cui è sottoposto un qualunque agente di polizia, che non mi sia ancora ripreso, ti conviene correre Lewis, perché ho di nuovo la pistola e come sempre il brutto vizio di sparare in testa alla gente.>>
Mortificato, ancora, il ragazzo abbassò la testa. << N-no io- >> sospirò. << Scusa, non ne sto facendo una giusta oggi.>> disse abbattuto.
Di fianco a lui Alec alzò di nuovo gli occhi al cielo: okay, Simon era un cretino ma lui sapeva sopportare decisamente di peggio e poi averlo attorno triste e sconsolato gli dava il nervosismo.

Che è proprio una cosa che mi manca e di cui ho bisogno, no?

<< Hai individuato la zona?>> disse allora per cambiare argomento, sperando che almeno quello l'avesse fatto e non dovesse di nuovo riprenderlo. E lui che credeva che quell'esplorazione sarebbe stata tranquilla con solo Simon al seguito.
L'altro fece un cenno d'assenso. << Sì, ma è dopo la Settima, potevamo decisamente prendere la macchina.>>
<< Se qualcuno l'avesse visto prima, già.>>
Simon sbuffò gonfiando le guance come un bambino ed Alec finse di non guardarlo, continuarono a camminare fino a quando il primo non riconobbe una strada che, da ragazzino, aveva percorso fin troppe volte con il suo vecchio camioncino scassato.
Strizzò gli occhi e si mise una mano sulla fronte, neanche dovesse schermarsi da qualche luce troppo forte, poi sorrise e allungò una mano per afferrare la manica del giaccone dell'altro.
<< Alec!>> chiamò improvvisamente allegro.
<< Mh?>> chiese lui con poco trasporto.
<< Guarda dove siamo! Te lo ricordi?>> diede le spalle alla strada e allargò le braccia come a voler sottolineare qualcosa, forse l'ovvio per lui.
Alec si limitò alla sua solita faccia inespressiva. << No.>>
L'altro si sgonfiò appena. << Eddai! Pensaci, dove siamo?>>
<< Non cominciare.>>
<< Forza! È facile!>>
Grugnì. << A Brooklin.>>
<< E cosa c'è qui vicino?>>
<< Casa di Clary vicino al parco. Casa tua a qualche isolato di distanza. La St. Xavier's più avanti, verso Gowanus. Continuo?>> fece quello scocciato.
<< Sì, sì, hai ragione su tutti i fronti, ma ti sei dimenticato una cosa!>> indicò dietro di sé. << Il Java!>>
Alec lo guardò male. << Dimmi che non stai per farmi una citazione su Star Wars.>> lo minacciò velatamente, senza riuscire però ad intaccare la sua gioia.
<< No, no! Andiamo amico! Era il locale dove suonavo di tanto in tanto con i ragazzi della band!>>
<< Intendi quella che non ha mai trovato un nome?>>
<< Sì!>>
<< Quella di cui non ho mai visto neanche una performance?>> alzò un sopracciglio e Simon realizzò che no, in effetti Alec non era mai andato a vederlo suonare, non erano ancora così amici al tempo e lui aveva ben altro a cui pensare in quel periodo.
Fece una smorfia. << Diamine Alec, perché non sei mai venuto a vederci?>> chiese ugualmente risentito.
<< Perché avevo gli affari miei e non eravamo ancora amici?>> rispose lui infatti.
Simon sorrise. << “Ancora”, hai detto la parola giusta, ma ora invece siamo amiconi!>>
<< Non ci provare Lewis- >> cercò di difendersi Alexander allontanandosi un poco, ma l'altro l'afferrò per il braccio e se lo tirò vicino.
<< Quindi ora posso farti vedere le registrazioni!>
<< Non credo proprio.>>
<< Devi anche vedere il Java però! È il locale dove Clary e Jace si sono baciati la prima volta.>>
<< Non mi interessa.>>
<< E poi ci vanno tantissimi ragazzi! Magari il proprietario sa qualcosa!>>
Il moro soppesò quelle parole. << Te la sei tenuta come ultima possibilità per convincermi.>> disse sicuro torcendo il naso.
Simon annuì e allora Alec non poté che dirgli di sì.
<< Ma ti avverto, Lewis: hai già fatto danni oggi, il semplice fatto che questo sia il tuo vecchio quartiere e che tu non ti sia reso minimamente conto di dove mi stessi portando non gioca a tuo favore, vedi di non far altre cavolate.>>
La mano del castano scattò alla fronte come gli avevano insegnato in accademia e sorrise raggiante.
<< Sissignore!>>
<< E non chiamarmi così, dannazione!>>
<< Capitano? Capo? Signore? Tenente? Signore Capitano Capo Tenente?>>
<< Toglimi una curiosità.>>
<< Dimmi!>>
<< Riusciresti a parlare anche senza tutti i denti in bocca?>>
<< Ehm… sinceramente non lo so… >>
<< Bene, vediamo di non scoprirlo oggi allora.>>

 

 










A quell'ora del pomeriggio il locale era vuoto e l'unico fermento veniva dai camerieri e dai baristi che iniziavano a preparare tutto l'occorrente per quella sera.
Era da un po' che Magnus non si occupava pienamente del suo bambino, come lo chiamava lui, c'era stato quel momento in cui se ne era andato dal dipartimento, che malgrado fosse molto vicino gli pareva tanto lontano, e poi niente, era ricominciata la solita routine.
Da quanto tempo era che non si sedeva sulla sua pedana rialzata ad osservare il marasma di persone che si contorceva a tempo di musica sulla pista? Da quanto non faceva lui stesso un ordine di qualche liquore? E da quanto tempo era che non si occupava più degli “affari di famiglia”?
Questa era la cosa che più lo sorprendeva: Magnus aveva aspettato letteralmente una vita per poter entrare in gioco e seguire le orme di suo padre, per dimostrargli di essere anche lui all'altezza delle aspettative, della posta, e poi? Poi aveva incontrato un bel moro alto una pertica e si era perso.
E non solo la sua altezza poteva essere paragonata a quello…
Con un sorriso sornione Magnus affondò nella poltrona di vimini che aveva tanto voluto, presa direttamente dal set de “la famiglia Addams”. Aveva sempre avuto un debole per Morticia, specie quando la vedeva seduta lì, bella e letale, nera ed elegante. Ah, era stata una dei suoi tanti amori adolescenziali e non solo.
Alzò le gambe per poggiarle sul tavolino e gettò un'occhiata alla poltrona vicino alla sua. Era vuota ovviamente, Malcom era in giro per la città a farsi gli affari suoi e Catarina era di turno al pronto soccorso, non c'era nessuno dei suoi amici che potesse occuparla e fargli un po' di compagnia, specialmente in quel momento.
Anche se si era dimenticato della “retta via” per un po', divertendosi a giocare al poliziotto, Magnus non aveva mai smesso di tendere un'orecchia verso il chiacchiericcio costante che saliva dal suo mondo, rimanendo aggiornato sulle novità e di quei tempi ce ne erano state molte, fin troppe ad essere onesti.
La prima cosa lampante, che non aveva necessitato di spiegazioni, era stato il ritorno dei corvi di Tim. Aveva passato tutta la sua vita a bordo di quelle vetture nere e lucide, girando per la città come li aveva visti girare in quei giorni. C'era stato un momento in cui vedere una macchina di lusso passare per New York City non aveva significato più niente se non la ricchezza del suo proprietario, Magnus sapeva riconoscere un corvo quando ne vedeva uno e sapeva che quelle vetture non erano ciò che lui credeva. Giusto un paio di settimane prima però una Mercedes color inchiostro aveva attraversato la strada all'incrocio con l'Ottava, i finestrini neri come la carrozzeria non gli avevano lasciato alcun dubbio: Timothy aveva rimesso in strada i suoi destrieri e questo poteva solo significare che stesse preparando il terreno per il ritorno di suo padre.
Era arrivata dopo la notizia che Edom House era stata riaperta e allora Magnus, se si era prima ostinato a dirsi che non era così, che Asmodeus l'avrebbe avvistato se fosse tornato in patria, non aveva avuto più dubbi. Ma chi diamine aveva riaperto casa sua?
Quella villa troppo perfetta persino per la Grande Mela era rimasta chiusa per anni, durante i quali solo Timothy stesso e la servitù vi entravano per tenerla a lucido e funzionante. Non si sapeva mai quando suo padre potesse decidere di tornare e tutto doveva essere al meglio, sempre.
Magnus aveva smesso d'andarci ben presto, se in un primo momento rientrare tra quelle mura gli aveva permesso di non sentire la mancanza della sua famiglia dopo un po' gli aveva cominciato solo a dar il nervoso, a ricordargli che era stato lasciato indietro, tecnicamente, per mandare avanti l'impero dei Bane ma che suddetto impero non era mai stato davvero nelle sue mani. Tutto il resto crollava e rimaneva solo la grande verità che un non più adolescente, ma comunque giovane, Magnus si era ritrovato a vivere: era solo.
Inizialmente aveva accettato la cosa, se il capo doveva scappare qualcuno doveva rimanere a comandare ma Asmodeus non gli aveva mai veramente passato il testimone e Magnus non era stato davvero mai utile per il suo scopo.
Detto così pareva terribile ed un po' lo era. Forse lui c'aveva messo del suo, con la sua melodrammaticità e tutte quelle cose lì, forse non aveva mai voluto ascoltare davvero suo padre e le sue motivazioni, ma questo non cambiava che, proprio come un bambino, Magnus si fosse sentito tradito da una promessa fatta sin dalla più tenera età.

<< Un giorno tutto questo sarà tuo.>>
<< Come Simba?>>
<< Sì, all'incirca mostriciattolo.>>

Non era stato suo, non lo era neanche per sbaglio. Altro che Simba, non aveva neanche Scar in mezzo ai piedi, lui, ma direttamente Mufasa redivivo e mai morto.
Sbuffò.
Prima i corvi, poi casa, sapeva che la chiamata era giunta a tutto il Clan, sapeva che ormai mancavano poche persone lì nella city, ma ciò che ancora non capiva era perché suo padre stesse sollevando tutto quel polverone. Non voleva neanche immaginare quanta gente avesse coinvolto, perché fare “la chiamata” proprio in quel momento, senza nessun motivo, senza nessun avviso.
Che fosse successo qualcosa che non sapeva?
Un altro sbuffo, sarcastico questa volta, scappò dalle labbra dell'uomo.
Lui non sapeva mai tutto, glielo aveva dimostrato Camille quattro notti prima quando gli aveva raccontato cosa fosse successo quel giorno di primavera di una vita fa.
Se ci ripensava gli veniva ancora la nausea. Magnus si tirò a sedere in modo composto portandosi una mano alla bocca dello stomaco. Non voleva ricordare le facce dei suoi amici, non voleva ricordare un Raphael in lacrime ed una Camille urlante. Non voleva ricordare il mutismo di Saint Cloud e neanche la faccia impassibile di suo padre quando gli aveva comunicato che il Clan si era scontrato contro il Branco e che c'erano state delle vittime.
In un primo momento non aveva capito perché Asmodeus l'avesse avvertito, l'unico motivo possibile per quell'interessamento sarebbe stata la morte di qualcuno che lui conosceva e Magnus davvero non voleva pensarci. I suoi timori erano stati tutti per Camille, che quella mattina l'aveva salutato vestita di scuro, in modo che eventuali macchie di sangue non fossero ben visibili. Poi aveva pensato a Raphael, a quel coglione con cui litigava sempre ma a cui voleva fin troppo bene.
Quando suo padre gli aveva detto che non si trattava di nessuno dei due aveva allora temuto per i Chen, per qualche altro amico, per Alexei anche. Non gli era passato neanche per l'anticamera del cervello che tra i caduti vi fosse Pierre. Non poteva essere, nessuno avrebbe mai voluto ucciderlo, lo amavano tutti, persino quelli del Branco volevano sempre far affari con lui perché gli piaceva.
Eppure era stato il suo il corpo che aveva visto steso nella sala autopsie del Clan. Era la sua Camille quella piegata sul corpo freddo del biondo, che si disperava come mai l'aveva vista fare.

Come mai aveva fatto neanche per lui.

Se in un primo momento una fitta d'invidia l'aveva preso dritto al petto poi aveva realizzato quanto stupido e sterile fosse quel sentimento. L'aveva realizzato davanti al lutto del Clan, di Saint Cloud che carezzava impotente la testa del ragazzo, come se lui potesse ancora sentire quel tocco.
Chiuse gli occhi e cercò di scacciare via quei ricordi. C'aveva messo molto per non vederseli comparire davanti ogni notte, ogni volta che si addormentava o quando ripensava a Camille. Ora tutta quella storia invece stava riportando a galla ricordi e ferite dolorose, fin troppo per tutti quanti avrebbe aggiunto.
Si ributtò indietro con la schiena e alzò gli occhi verso il soffitto. Le luci erano tutte accese e Magnus si beo per un attimo della cecità che gli dava fissare quei faretti. Macchie chiare gli distorsero la visuale, come una pellicola bruciata. Si concentrò solo su quello, lasciando la mente libera di vagare.
Cosa stava succedendo? Perché suo padre aveva messo su quello spettacolo? Perché non gli diceva mai niente?
Anche se cercava di negarlo questo era ciò che più lo feriva: suo padre non gli diceva mai niente e se lo faceva non era mai tutto.
Come quando l'aveva mandato dall'altra parte della città proprio il giorno dell'incontro tra il Clan ed il Branco.
Proprio come quando gli aveva detto che avrebbe lasciato a lui il titolo ma non gli aveva ceduto lo scettro.
Esattamente com'era successo quando sua madre si era ammalata.
Sempre silenzi, sempre mezze verità, parole non dette, dette sottovoce in modo che parte di quelle lettere si perdesse e lui non capisse mai fino in fondo.
Alle volte si domandava perché avesse passato tutta la vita a dirgli che un giorno avrebbe preso il suo posto, a crescerlo come un vero Bane, quando poi era evidente che non volesse avere un successore.
Quelli erano i momenti in cui Ragnor gli mancava di più, quando i suoi problemi, tutte quelle parole sussurrate, gli gravavano troppo sulle spalle e l'unica cosa di cui aveva bisogno era un volto amico che gli posasse una mano sul braccio e gli dicesse che avrebbero superato tutto, assieme. Come mai suo padre gli aveva insegnato a fare.
I momenti in cui gli mancava di più il sorriso dolce di sua madre che gli ripeteva di non prendersela, che Asmodeus era fatto così.

<< Non devi arrabbiarti od offenderti, tesoro. Tuo padre ti ama tanto quanto ti amo io, solo che abbiamo modi diversi di dimostrartelo.>>
<< Mi mente! Mi dice che potrò scegliere come fare e poi scopro che ha già programmato tutto! Non gliene frega niente di ciò che voglio io!>>
<< Non è vero, non pensare questo di lui è solo… tuo padre non ha avuto un'infanzia felice Magnus, vuole solo che la tua lo sia, cerca solo di far il meglio per te… >>
<< E allora che mi lasciasse vivere!>>
<< Non ci riesce. Lui vorrebbe darti tutto ciò che desideri ma non ce la fa a cedere il posto, a rallentare il passo. Questo è un suo grandissimo difetto, lo fa con tutti, vede la cosa che reputa più giusta e conveniente e la sceglie anche se magari gli altri non la vedono allo stesso modo. Lui si fida di te, vorrebbe davvero lasciarti tutto ciò che ha, ma ha lottato talmente tanto per arrivare dov'è ora da diventare restio ad abbandonare il trono.>>
<< Ma allora non mi illudesse! Tu lo difendi, lo giustifichi, apri gli occhi mamma, è solo un grandissimo egoista!>>
<< Amore mio… >> disse la donna carezzandogli il viso con dolcezza. << Non sono dei grandissimi egoisti tutti coloro che amano?>>

Non lo sapeva, non sapeva come sua madre potesse aver visto questo in lui, una persona che vorrebbe sol il meglio per gli altri quando a Magnus era chiarissimo che in realtà Asmodeus volesse il meglio -tutto­- per sé.
L'ampia sala da ballo del Pandemonium non gli era mai parsa così vuota e desolata, abbandonata da tutti, dalla vita fremente e gioiosa che l'animava di solito.
Adesso il suo locale era la perfetta trasposizione del suo animo: vuoto e solo.
Con un sorriso amaro Magnus si rese conto che abbandonare quel suo mondo oscuro era stato così facile per lui perché non ci si era mai sentito davvero a suo agio, non aveva mai avuto modo di adattarcisi come lui preferiva ma solo come suo padre credeva fosse meglio. Non era mai stato davvero suo quel mondo e ora, quando qualcuno aveva aperto uno spiraglio nella coltre nera per portare un po' di giustizia legale in quel luogo, lui ci si era aggrappato con forza e si era issato verso quella frattura.
Ilsottomondo sarebbe sempre rimasta casa sua, quella che gli aveva dato i natali e riempito infanzia ed adolescenza, ma forse il figlio del Principe dei Demoni, che da tempo Principe non era più ma vero e proprio Re, non era fatto per restare al buio, doveva uscire fuori alla luce e risplendere come era giusto facesse.
Magnus era il demone del rimpianto e della nostalgia, non si era mia reso conto però di essere anche come la natura, come il verde florido e ruggente delle sue iridi: necessitava del sole per vivere.
Il telefono vibrò e apparve l'immagine di Simon ed Alec ad una scrivania intenti a mangiare biscotti, il nome dell'ex tecnico che lampeggiava allegro.
Magnus sorrise: magari invece del calore cocente ed accecante della stella maggiore sarebbe fiorito sotto i raggi gentili e pallidi della luna e sotto la scia frizzante e viva di una stella cometa.

 


 













Il Java Jones non era cambiato molto da quando Simon aveva smesso di andarci tutti i pomeriggi della sua vita.
Da piccolo era il suo luogo preferito per far colazione e merenda, per studiare un po' in compagnia e non nel silenzio di casa sua.
I primi anni erano sua madre o Jocelyn a portare lui e Clary al Java, poi era toccato a Rebecca e Jonathan, che per un motivo a lui completamente ignoto erano sempre andati d'accordo e che anche quelle volte lo erano nel dire che non gli andava di portarsi i fratellini dietro quando andavano al locale con gli amici.
Avevano dovuto aspettare i tredici anni per poter arrivare a piedi da soli al Java, dove comunque l'avrebbero raggiunti i fratelli o i genitori, ma era stata comunque una grande conquista.
A rivedere quelle pareti aranciate, i mattoni a vista e le lampade di metallo che pendevano dal soffitto Simon si sentì riportato indietro nel tempo, un senso di nostalgia dolce l'avvolse mentre poggiava la mano sulla spalliera di una sedia. Neanche l'arredamento era cambiato ed il piccolo palchetto all'angolo della sala aveva le solite tende rosse e spesse attraverso cui lui e i ragazzi avevano sbirciato tante volte.
Respirando a pieni polmoni quell'aria calda e profumata Simon si avviò con passo deciso verso il bancone, gettando a mala pena uno sguardo indietro per controllare che Alec l'avesse seguito.
Il moro osservava con fare attento il locale, forse perché era la prima volta che ci metteva piede dentro, di solito rimaneva fuori, in macchina, ad aspettare che Jace e Izzy avessero salutato tutti per poterli riportare a casa. A ben vedere Simon non avrebbe saputo dire quanto volte avesse sentito i due Lightwood dire che era proprio ora d'andare perché il fratello maggiore li aspettava fuori. Anche quando Jace stesso ebbe preso la patente era Alec che andava a prenderli e li riportava a casa. Una volta forse aveva riportato anche loro, silenzioso e cupo come un autista stanco all'ultima corsa del suo turno.
Quando erano dei ragazzini Alec gli aveva sempre incuto una certa paura: lo vedeva attraverso il finestrino della macchina scura ed elegante di Maryse, con i guanti con le mezze dita stretti attorno al volante ed il cappuccio della felpa calato in testa. Non li degnava di uno sguardo, non si girava neanche a controllare quando i fratelli sarebbero usciti dal locale o se ad aprire la portiera erano stati loro o qualche malintenzionato. Ad oggi sapeva che probabilmente già all'ora sarebbe stato in grado di staccare la testa a morsi a chiunque gli fosse capitato a tiro, ma a quel tempo era solo fermamente convinto che quel ragazzo dal volto ignoto fosse così spaventoso e facesse così tanta paura che persino i criminali ci pensavano due volte prima di attaccarlo.
In effetti doveva essere una somma delle due cose.
Gli ci erano voluti un paio d'anni per incontrare davvero Alec, quando si era ritrovato davanti quel ragazzo esageratamente alto, completamente vestito di nero con il volto imperturbabile. L'aveva associato ad uno Slenderman quella volta e vedere un essere del genere in quel collegio medievale e gotico non gli era risultato minimamente difficile. Certo, poi si era mosso come un dannato ninja e aveva fatto scappare a gambe levate i due cretini che stavano importunando lui e Clary guadagnandosi il rispetto, la gratitudine e l'ammirazione di entrambi, ma quando avevano avuto modo di conoscerlo davvero Simon si era ripetuto che la sua prima impressione fosse più che giusta: quel ragazzo faceva paura, poteva staccarti una mano a morsi ed era decisamente uno Selnderman della malora. Oh, e riusciva a sputar fuori frasi così taglienti, acide e fatali che Jace ed Isabelle a confronto erano dilettanti, dilettanti.
Il loro rapporto era andato solidificandosi, o creandosi ad esser onesti, con il tempo. Ora Simon poteva dire con certezza di essere un suo grande amico, e che il ragazzo lo fosse per lui, ma vederlo muoversi in quel modo per un locale che un tempo Simon aveva paragonato alla stregua di casa sua gli fece ricordare fin troppo bene che il bel rapporto che aveva con Alec non era sempre esistito, che c'era stato un periodo in cui lui e Clary non era mal sopportati ma direttamente odiati dal poliziotto.

<< Io e i ragazzi abbiamo suonato qui per caso la prima volta. Una band aveva lasciato i suoi strumenti perché non avevano spazio dove metterli e noi abbiamo detto al barista che sapevamo suonare. Lui ha detto che non ci credeva e ci ha sfidati a prendere in mano chitarra e bacchette e fargli sentire qualcosa. Banalmente, Smell Like Teen Spirit. Fu un successone.>>
Alec annuì senza guardarlo. << Ripetizione degli stessi accordi, voci strascicata e urla sul ritornello. Non penso che Kurt si sia rivoltato nella tomba ma neanche che abbia apprezzato.>>
<< Ehi! Eravamo bravi! E poi era la canzone del mio anno!>>
<< Dio Simon, non ricordarmi che è passato così tanto tempo… >> borbottò lui sedendosi ad uno dei tavolini attaccati al muro.
Simon alzò un sopracciglio. << Perché, vuoi farmi credere che te la ricordi?>>
Alec alzò gli occhi al cielo mentre si toglieva il giaccone per poggiarlo vicino a lui sulla seduta del divanetto. <> domandò senza troppa enfasi.
<< Mi stai davvero dicendo che ti ricordi le cose successe quando avevi, quanto? Quattro anni?>>
<< Ho una buona memoria. Chi è il capo del locale? É qui?>> Alec stroncò subito sul nascere qualunque tipo di domanda su cos'altro ricordasse o meno e volse lo sguardo sulla zona circostante.
Non c'era gran confusione ma i tavoli erano per la maggior parte pieni ed i due camerieri di quel pomeriggio si affaccendavano da un tavolo all'altro sorridendo cordiali e sbuffando di spalle a quei clienti troppo fastidiosi o pretenziosi.
Il detective alzò la mano per far cenno ad uno di loro ed un ragazzetto di forse diciotto anni, con i capelli castani e corti ed una spruzzata di lentiggini sul volto si avvicinò veloce.
<< Salve, ben venuti al Java Jones, volete qualcosa da bere o siete qui per mangiare?>> chiese educato.
Simon si mise sull'attenti e domandò cosa ci fosse di buono da mangiare ed il cameriere iniziò ad elencare tutte le torte ed i panini che avevano.
Lasciandoli alle loro chiacchiere su cosa fosse più buono tra un club sandwich alle melanzane ed uno con il prosciutto – e Alec non aveva nulla contro le melanzane, ma era ovvio che un toast a tre piani con formaggio filante battesse a mani basse un panino con verdure grigliate- il moro ricominciò ad esaminare il locale, riportando alla mente le descrizioni che i suoi fratelli, allora adolescenti, gli facevano di quel posto, di dove si sedessero di solito, di cosa ordinassero e di come fosse buona la birra anche se Alec non si fidava di quei due quando si parlava di birra, non ne capivano nulla, erano più da superalcolici shakerati con scenici movimenti entro ad un ambiente nero illuminato la luci stroboscopiche.
Il tavolino prediletto doveva essere quello che faceva angolo dalla parte opposta alla loro, quello con la spalliera alta ed imbottita dove, se non ricordava male, Jace aveva baciato Clary. Sì, perché purtroppo per lui si era dovuto subire anche quel racconto, dettagliatissimo poi, di come fosse stato bravo a cogliere il momento giusto, di come l'avesse inchiodata contro lo schienale e bla bla bla.
L'unica cosa che riuscì a pensare all'epoca era che, per sua fortuna, aveva superato quel momento buio della sua vita e che aveva qualcuno che gli voleva bene al proprio fianco. Se solo Jace avesse deciso di provarci con Clary due anni prima probabilmente Alec avrebbe passato la sera a fumare come una ciminiera se non a vomitarsi l'anima.
Distolse ugualmente lo sguardo da quel tavolo, ora occupato da un gruppetto di ragazzi del liceo, e la sua attenzione andò al bancone dove stava lavorando un giovane di media altezza, i capelli scuri erano tenuti corti, un ciuffo un po' più lungo sulla fronte come una frangia leggera e scomposta. Aveva gli occhi nocciola ed un sorriso gentile in volto, ma si vedeva che non doveva aver passato bei momenti, la sua pelle era cosparsa di piccole macchioline più scure, che potevano essere cicatrici dell'acne così come potevano essere i residui di una qualche dipendenza.
A vederlo così, magro ma non magrissimo, con la felpa larga che gli cadeva un po' sulle spalle, Alec avrebbe detto con certezza che quell'uomo non avesse avuto problemi né con il fumo né con l'alcol. Era un ex drogato ed il detective sperò tantissimo in quell' “ex” che la sua mente gli aveva suggerito in automatico.
Si alzò dal tavolo chiedendo scusa e ordinando per sé un cappuccino. Con la stessa sicurezza che prima aveva avuto Simon si avvicinò al bancone, abbozzando un sorriso un po' incerto.
<< Salve.>> disse con un tono abbastanza alto da farsi sentire dal barista.
Lo vide drizzare un poco la schiena e votarsi di colpo, come se avesse riconosciuto la voce che l'aveva chiamato.
L'uomo lo guardò con gli occhi sgranati e poi si aprì in un sorriso ampio e sincero.
<< Alec! Il detective Alec se non sbaglio. È davvero un piacere rivederti amico, come va?>>
Jacke Montgomery era una vecchia conoscenza di Alec, anche se dire così non era propriamente corretto. Di certo quel giovane lo ricordava anche Catarina visto che era stato commediante nel loro primo incontro al Downtown, quando era caracollato nella sala d'attesa nel pieno di un principio di overdose. Alec aveva aiutato le infermiere a soccorrerlo e a prestargli le prime cure, era rimasto in attesa che gli facessero la lavanda gastrica e che si svegliasse perché se ne sentiva responsabile: lui l'aveva sorretto e messo sulla barella, gli aveva tenuto la mano mentre lo portavano in una delle sale, doveva sapere come stesse, se poteva chiamare qualcuno per stargli vicino.
Alla fine della giornata l'aveva lasciato con sua madre che si era profusa in mille ringraziamenti e si era fatto promettere che sarebbe andato in un centro per la disintossicazione. Poi era successo quello che era successo e tutte le sue promesse di controllare che effettivamente un Jacke Montogomery fosse entrato in terapia in una delle tante strutture della Grande Mela erano andate a farsi benedire.
Rivederselo davanti un po' dimagrito e provato ma non più pallido come la morte e reduce di una dose troppo massiccia gli fece tirare un sospiro di sollievo.
<< Jacke, giusto? Dovrei essere io a chiedere a te come va, ti trovo bene.>> glielo disse con sincerità e vide l'altro annuire.
<< Sono nove mesi che sono pulito, è stato difficile ma dopo quella volta sono venuti i miei fratelli a prendermi di peso e portarmi in un clinica. Non mi hanno mollato un attimo ma ora ho il gettone, ne ho un bel po' ad essere onesti!>> si frugò nella tasca dei pantaloni e ne tirò fuori un gettone da poker su cui c'era un trenta disegnato sopra.
Quello era il simbolo materiale di tutti coloro che avevano una dipendenza e che erano riusciti a resistere per trenta giorni senza cadervi. Alec ricambiò quel sorriso orgoglioso con uno più delicato ma quasi fiero.
<< Ne sono davvero contento, specie per te. Non vivi meglio ora?>> gli chiese scontato facendo ridere l'altro.
<< Sappi che questa è la stessa domanda che mi fa mia madre!>>
Alec arrossì, senza riuscir a mantenere quella facciata seria e distinta che di solito lo caratterizzava, borbottando qualcosa che suonava molto come un commento sul fatto che con tutta la gente di cui doveva prendersi cura lui ogni giorno forse aveva preso un po' i modi di una madre.
Jacke in ogni caso si poggiò al bancone continuando a sorridere. << Ma dimmi, cosa ti porta qui? Non mi pare che tu fossi di queste parti e sono sicuro di non averti mai visto prima al Java.>>
Alec annuì. << Sto facendo delle indagini, sono in servizio tecnicamente ma una pausa caffè non la si nega a nessuno, specie a chi non è abituato a questi ritmi.>> e così dicendo accennò a Simon, ora seduto solo al tavolo a smanettare sul pc.
<< Hai un nuovo compagno di squadra? Ho letto qualcosa sulla storia del Vice Commissario, era collegato ad un giro di malaffare uscito fuori con la morte di un ricettatore, era il tuo caso vero? Non ho visto tue foto sui giornali ma credo che non ci siano molti Detective Alexander Lightwood al Distretto.>>
Un altro cenno con il capo. << Era il mio caso, sì.>>
<< Beh, è stato chiuso nel migliore dei modi ma a te non è andata troppo bene.>>
<< “Non troppo bene” è un eufemismo, ma sono cose che vanno messe in conto quando si sceglie questa professione.>> si strinse nelle spalle e fece un cenno con il capo al cameriere che aveva preso la sua ordinazione e che ora la reggeva su un vassoio assieme ad un'altra tazza fumante ed un panino al formaggio.
<< Glielo lascio qui o lo porto al tavolo?>> chiese il ragazzetto vedendolo intento a parlare con il barista.
<< Lascia pure a me, Pet, ci penso io. Tu stai un attimo qui?>> disse Jacke prendendo il vassoio e cedendo il suo posto al banco.
Si avviarono assieme al tavolo e Simon alzò subito la testa, accigliandosi ma salutando comunque l'uomo.
<< Lui è Simon Lewis, il mio collega. Questo invece è Jacke, una mia vecchia conoscenza.>>
<< Salve… >> disse Simon tentennante.
Jacke gli sorrise. << Hai una faccia famigliare sai? Sei venuto altre volte qui?>>
Il ragazzo annuì. << Sì, sono di queste parti, da ragazzino venivo qui a suonare con la mia band.>>
<< Allora ti avrò visto sicuramente sul palco, come si chiamava la band?>>
<< Dipende dal periodo.>> disse serafico Alec prendendo il suo cappuccino e zuccherandolo con attenzione.
Jacke alzò un sopracciglio senza capire e Simon si affrettò a spiegare. << Non abbiamo mai trovato un nome definitivo, lo cambiavamo in continuazione.>> ammise un po' imbarazzato.
L'altro parve però illuminarsi a quella risposta e batté le mani come se si fosse ricordato di qualcosa di importante. << Ma certo! Eravate i… Zombies Lord? No, no, aspetta, i Blood- no, Hungry Panda?>>
Simon sospirò ancora più imbarazzato. << Tutti e tre a dir il vero… C'è stato un periodo in cui il nostro front man era fissato con i panda, non abbiamo mai capito il perché.>>
<< Era il tipo che infilava “lombi” in ogni singola poesia che scriveva? Avevamo anche la serata per i poeti amatoriali qui, poi si è un po' persa quando il proprietario del locale si è ammalato, era lui che l'aveva istituita.>> disse Jacke rivolgendosi ad Alec.
Lui annuì così come Simon. << Sì, avevo sentito che non stesse bene.>>
<< Ormai sono un paio d'anni che è morto, ma era vecchio, aveva ottantatré anni. Adesso il Java è del figlio, Vinc, io andavo a scuola con il nipote, David, lo si vedeva spesso qui.>>
<< Sì, sì, era il ragazzo che ci aiutava sempre a mettere a posto luci ed acustica.>>
<< Esatto. Certo, è un bel salto da aspirante rock star a poliziotto.>> notò l'uomo sedendosi a capotavola.
Simon si strinse nelle spalle. << A dirla tutta ho fatto l'università prima, sono laureato in informatica. Poi sono stato preso al Dipartimento e da quest'anno sono alla Omicidi con Alec.>>
<< Wow, decisamente un grande passo. È un peccato però, secondo me avreste potuto anche sfondare un giorno, se aveste trovato il giusto produttore, eravate bravi. Credo che Maureen abbia ancora la registrazione di qualche canzone, forse quella sui guerrieri beati o sui beati guerrieri.>>
Alec alzò lo sguardo verso Simon, lo fissò per un attimo e poi disse: << Non ti azzardare a farmela sentire. Nega. Tu non hai mai fatto musica che io potrò ascoltare.>>
Jacke scoppiò a ridere e poi si alzò, << Se non ti dispiace vorrei andarla a chiamare, credo abbia avuto una mezza cotta per il vostro bassista al tempo.>> Non lasciò loro neanche il tempo di rispondere, si diresse verso la porta sul retro che dava sulla cucina e lì sparì.
Simon era diventato paonazzo, Alec lo guardò scocciato. << Fammi indovinare: eri tu il bassista?>> Il ragazzo annuì e poi affondò il volto nel panino, prendendone un morso un po' troppo grande nella speranza di soffocare sul posto e non dover parlare con una ragazza che un tempo, quando era più nerd e sfigato di quanto non lo fosse in quel momento, aveva avuto una cotta per lui.
<< Fio chfe imbfaraffo… >> masticò a forza.
Il collega non batté ciglio. << Ricomponiti rock star, sta arrivando una ragazza bionda e quasi imbarazzata quanto te. >>
Simon si voltò di scatto, trovandosi davanti quella che doveva essere Maureen.
Doveva avere all'incirca ventidue anni, forse qualcosa di più, i capelli lunghi fino alle spalle, biondo cenere, gli occhi scuri e le ciglia lunghe. La pelle rosea ed il naso leggermente all'insù la facevano sembrare un piccolo cerbiatto, le orecchie un poco sporgenti la rendevano ancora più indifesa e dolce di quanto non apparisse grazie alla sua figura minuta, stretta in un maglioncino viola che le copriva le mani e le cadeva morbido sui fianchi.
Sorrise impacciata e si voltò verso Jacke con gli occhi sbarrati, borbottando un tenue “ Idiota, era lui il bassista”.
L'uomo rise divertito. << Beh? Non era il tuo sogno quello di conoscere uno dei… ?>>
<< Dì un nome a caso, tanto va bene comunque.>> sussurrò Alec tornando a bere ma lanciando uno sguardo alla ragazza.
Aveva le guance arrossate e gli occhi lucidi ma se il suo volto era così emozionato il corpo diceva invece che era in guardia, quasi in ansia. Cosa c'era che la preoccupava? Fece vagare lo sguardo sul suo collega e poi sul tavolo, dando mentalmente dell'idiota a Simon quando vide il suo distintivo mal nascosto dentro lo zaino aperto.
Era logico che una ragazzetta che viveva in un quartiere abbastanza tranquillo si facesse venire qualche scrupolo nel vedere due poliziotti, in borghese poi, nel locale in cui, evidentemente, lavorava. Questo gli fece tornare in mente il modo in cui Simon l'aveva convinto ad una visita.
Alzò la testa verso Jacke e lui lo guardò curioso.<< Ti spiace se ti faccio qualche domanda su questo quartiere? Possiamo parlare in privato?>> chiese poi con più delicatezza. Doveva chiedergli dove fossero i luoghi principali d'incontro di spacciatori in quella zona e magari chiederglielo davanti ad una collega non era proprio il massimo, magari neanche sapeva della sua dipendenza.
Lui lo guardò accigliato. << Certo, certo, ma Maureen è proprio di queste parti, io abito verso il confine con il Queens, vengo qui solo per lavorare.>>
<< È successo qualcosa?>> chiese preoccupata la ragazza.
Simon scosse la testa. << Stiamo solo indagando su- >> si bloccò e cercò lo sguardo di Alec, lui sospirò.
<< Siamo della sezione Omicidi, stiamo cercando informazioni sulla nostra vittima e viste le sue attitudini stiamo controllando varie zone della città in cerca di qualche riscontro.>> disse diplomatico.
<< Un omicidio? Non è successo qui spero… >> fece Maureen rabbrividendo.
Alec scosse la testa, << Sempre a Brooklin ma sulla costa, il corpo è stato ritrovato vicino alla zona portuale.>>
<< Ci vanno i drogati lì.>> la voce di Jacke giunse bassa ma decisa, guardò Alec dritto negli occhi e annuì. << Maureen sa, possiamo parlarne anche con lei davanti.>>
La bionda lo guardò stringendo le labbra e poggiandogli una mano sul braccio per fargli forza.
<< Vado a fare prendere un po' di caffè, va bene?>> gli chiese con gentilezza.
Lui le sorrise. << Perfetto, grazie.>>


Da quelle parti il nome di Potter - << Come Harry? Il maghetto?>>, << Sì, ma non ha avuto la sua stessa fortuna.>>, << O un vecchio saggio barbuto che lo aiutasse.>>, << Va bene, finiamola con le citazioni.>>- non era mai uscito. La zona limitrofa a quella portuale era da sempre stata un covo di delinquenza per ovvi motivi: navi merci che arrivavano da ogni pare del mondo, specie dal golfo e dall'Europa, grandi magazzini in cui stipare ogni genere d'oggetto, gente fin troppo alla mano e sottopagata, bisognosa di denaro e quindi facilmente corruttibile. C'erano i marinai e gli scaricatori che lavoravano lì da una vita ma c'era anche tanto via vai, gente che lavorava una stagione e poi cercava fortuna altrove.
Il parco invece era un punto debole solo la notte, la mattina ed il pomeriggio era pieno di persone che facevano joking e di bambini, c'era un ospedale pediatrico vicino, c'erano delle case storiche, le scuole, solo che come ogni parco quando calava la sera cominciavano ad esserci troppe ombre dietro cui nascondersi, ma questo era comune purtroppo.
Se c'erano mai stati edifici dove era risaputo vi fossero criminali o associazioni a delinquere loro due non lo sapevano, Maureen aveva a mala pena ventitré anni, lavorava al Java e sognava d'aprir una pasticceria un giorno, Jacke voleva solo rimanere pulito e vivere una vita piena e libera, non essere più schiavo di una pasticca o di una siringa.
<< In ogni caso ho ancora molti amici in quei giri, posso chiedere se conoscono questo Potter e se l'hanno mai visto in giro.>>
<< Non potei mai chiederti una cosa del genere, rischierei di mandarti a cercare informazioni tra persone ancora dipendenti e sapere di più su Potter in questo modo non vale i tuoi nove mesi pulito.>> disse serio Alec scuotendo la testa.
<< Ma posso chiedere in consultorio. Alla chiesa dove vado per le sedute c'è gente che sta a contatto con i drogati tutti i giorni, ci sono gli sponsor, i terapisti. C'è gente che ci prova a rimanere pulito ma non ce la fa e quindi torna un giorno dicendo che c'è ricascato, che è andato di nuovo dal suo spacciatore o dall'amico che ha la roba. Non mi andrei ad infilare in situazioni pericolose, chiederei solo in giro se qualcuno conosce quel ragazzo perché è morto e non riescono a trovare nessuno, potrebbe funzionare?>> propose convinto l'uomo.
La faccia di Alec era impassibile, Maureen continuava a mescolare il suo caffè e solo Simon parve prendere seriamente in considerazione l'opzione.
<< Potrebbe funzionare, gli daremo una foto, magari potrebbe non dire che è morto ma che è scomparso e lo stanno cercando.>>
<< La notizia della sua morte è già trapelata, i suoi amici lo sanno, non credo che quello che i ragazzi hanno arrestato abbia evitato di dirlo a qualcuno. Se dovesse incontrare malauguratamente qualcuno che sa della morte di Potter e che ha qualcosa da nascondere Jacke potrebbe finire male. Quella gente non ci mette molto a decidere se ucciderti o meno.>> fissò Montgomery dritto negli occhi << Non sono persone a cui piacciono gli informatori, a nessuno piacciono e so di cosa sto parlando. Non permetterò che un civile completamente scollegato dalla situazione rischi così tanto. Grazie per l'offerta ma no, sapere dove comprava la roba Potter non ci serve così tanto da rischiare la tua vita, ormai è morto e l'unica cosa che dobbiamo fare è dargli giustizia.>>
L'uomo annuì, forse un poco sconfortato, come se ci tenesse a dar una mano ad Alec, << Va bene, ma posso sempre chiedere ai responsabili? Potrebbe esserti utile?>>
Alec scosse la testa. << Puoi darmi i nomi dei consultori più frequentati, di quelli più malfamati e di qualche responsabile di cui ti fidi, ma non parlarci tu. Sono serio Jacke, non hai nulla a che fare con queste persone, non immischiarti in un gioco più grande di te solo per aiutarmi, non hai nulla di cui sdebitarti.>>
Gli occhi blu del detective trafissero quelli scuri dell'altro che abbozzò una smorfia, colto nel segno.
<< Tu hai aiutato me.>>
<< Ti ho solo portato su una barella e fatto compagnia sino all'arrivo dei tuoi parenti, non sono andato in giro a rischiare la vita.>>
<< Sì, ma vorrei ugualmente aiutarti, dev'esserci un modo per- >>
<< Rimanere pulito, darmi i nomi che possono essermi utili e rimanere al sicuro. Il modo migliore per aiutare un detective della omicidi è non far sì che abbia altro lavoro da fare.>> disse serio e secco, stroncandolo sul colpo.
Se Montgomery ne fu ferito non lo diede a vedere, ma annuì e s'alzò per andare a prendere carta e penna.
Maureen lo guardò andar via e sospirò pesantemente. << Grazie per averlo dissuaso. Non vorrei che ci ricadesse.>> ammise a voce bassa.
<< Non succederà, te lo assicuro.>>
<< Ma perché vi interessa tanto sapere dove comprava la droga questo tipo? Pensate che sia stato il suo spacciatore ad ucciderlo?>> chiese guardinga.
Alec scosse la testa. << Abbiamo già un sospettato ma una buona indagine deve prendere in considerazione tutte le possibilità. Se poi durante le nostre ricerche troveremo anche uno spacciatore ed il suo giro di clienti e fornitori allora sarà solo di guadagnato.>>
Il Tenente continuò a rispondere in modo educato alle domande preoccupate della ragazza e Simon lo fissò quasi a bocca aperta.
Da che lo conosceva Alec era sempre stato uno che diceva la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità, giurando su bibbia e bandiera americana e amen. Stupidamente non aveva mai considerato che ai sospettati, ai testimoni e chicchessia non si poteva mai dire tutto, alle volte non si poteva dire niente, specie la sopracitata verità. Eppure sentir Alec mentire con così tanta semplicità, omettere e modificare l'ordine o la realtà degli eventi lo lasciò comunque un po' interdetto: se era così bravo a farlo durante il lavoro, chi gli diceva che non lo fosse anche nella vita privata?
Jace e Izzy avevano sempre detto che il fratello non sapeva mentire, che gli si leggeva in faccia quando stava dicendo una bugia, con quell'espressione costipata che faceva, ma ora Simon credeva che neanche loro lo conoscessero abbastanza bene. O forse Alec mentiva in modo diverso sul lavoro e in privato, non lo sapeva. Di certo i ragazzi lo conoscevano bene ma… come un fulmine a ciel sereno Simon si ricordò del periodo in cui aveva cominciato a vedere più spesso il ragazzo, quando era un insopportabile musone che freddava tutti con quello sguardo di ghiaccio e di disprezzo, che pareva quasi schifato di averti vicino, che stesse facendo quello sforzo immane solo per i fratelli. E invece in quel momento era un groviglio di sentimenti negativi e dolorosi di cui lui e Clary erano stati messi a parte solo perché i Lightwood avevano deciso di spiegargli cosa fosse successo a Natale, perché il fratello maggiore e la madre non si parlavano più.
Tutti quei pensieri erano decisamente fuori tema e lo stavano facendo distrarre dal punto principale. Non si era neanche reso conto che Jacke era tornato con la lista di nomi ed uno sguardo fin troppo dispiaciuto. Maureen gli aveva strofinato una mano sulla schiena, cercando di consolarlo in qualche modo.
Simon li fissò allontanarsi, notando di sfuggita Alec lasciare i soldi sul tavolo e afferrare il foglietto.
Si rivestirono con calma e salutarono i due senza avvicinarsi.
Quella situazione, quella giornata, gli parve improvvisamente surreale, come se qualcosa non andasse bene, se mancasse un pezzo o fosse messo al posto sbagliato. Si voltò più di una volta a fissare la porta del Java Jones che lentamente perdeva le sue scritte e diventava solo un'immagine sfocata prima d'esser coperta dal palazzo dietro cui svoltarono.
Il volto di Alec era funereo, come la maschera mortuaria di un guerriero dell'antichità.
Betté le palpebre e abbassò la testa, c'era qualcosa di sbagliato in tutto, qualcosa che gli sfuggiva. Ma cosa?




 













Accavallò le gambe cercando più stabilità ed un minimo di comodità sulla seduta alta dello sgabello di metallo lucido. L'acrilico del cuscino strideva ad ogni minimo movimento e cambio di pressione, ma ormai era talmente tanto abituata a sentire quel rumore che neanche ci faceva più caso.
Tenne stretto nella mano destra il telefonino mentre la sinistra volava alla bocca, l'unghia corta e colorata a battere sui denti incisivi.
Sotto i suoi occhi le pagine e i nomi scorrevano veloci, uno dopo l'altro, senza neanche dar l'opportunità di capirne il senso. A lei non serviva più, ormai sapeva quando fermarsi, riusciva a leggere qualcosa anche in mezzo a quell'infinita cascata di lettere e colori.
Alzò il dito dallo schermo e sospirò quando vide ciò che le interessava. Cliccò velocemente sulla casella dei messaggi e scrisse quanto doveva prima di chiudere il tutto, scendere dallo sgabello scomodo e mettersi l'oggetto in tasca. Forse avrebbe fatto prima a tenerlo in mano vista la velocità con cui ottenne risposta, che in ogni caso non la stupì per niente.
L'incontro era stato fissato tra due giorni, lo sapeva perfettamente e non poteva rimandarlo solo perché uno dei suoi uccellini le aveva comunicato che qualcuno stava cercando informazione su un tipo che un tempo aveva lavorato per loro, i suoi colleghi le avrebbero detto di sbrigarsela al più presto o di farlo fare ai suoi tirapiedi ed in effetti così avrebbe fatto di solito ma non quella volta: non erano strozzini o gente a cui il suo ex dipendente doveva dei soldi, era stata la polizia in persona ad andare a bussare alla porta di casa sua, alla sua Brooklin.
La donna guardò la finestra dell'ampia sala e gettò il telefono sul divano senza neanche controllare di averlo centrato, lo sapeva per certo, lei non sbagliava mai mira.
Si avviò a grandi passi verso l'appendi abiti e prese la lunga giacca di pelle opaca che vi era posta sopra, infilandola con gesti secchi ed allacciando la cinta scura in automatico.
Imboccò l'uscita senza voltarsi indietro neanche una volta.
Lo schermo del telefono s'illuminò mostrando le anteprime delle conversazioni. Sopra all'avviso della batteria mezza scarica c'era l'ultimo messaggio ricevuto.

 

Ovviamente, io so sempre tutto, cherie.”












 

La stanza non era ariosa: decine e decine di file di scaffali di metallo erano allineati perfettamente gli uni agli altri, alti sino al soffitto ed inchiodati a terra da bulloni grandi come tappi di bottiglia.
L'aria era stantia, le luci erano tubi biancastri che mostravano segni d'annerimento come le scatole metalliche in cui erano riposti, dall'entrata se ne potevano vedere alcuni, pochi, sfarfallare ormai sul punto di rompersi o di staccarsi dal supporto che li collegava alla rete elettrica.
Su ogni scaffale erano riposti scatoloni di cartone grezzo su cui erano stampati dei riquadri bianchi scritti con pennarelli e penne di vario genere, ma mani diverse tra loro ed epoche vicine e lontane.
All'entrata, vicino alla rete, al gabbiotto degli agenti di sicurezza, erano posti grandi banchi vecchi ma puliti, di un grigio scolorito che non aiutavano a capire se fosse anch'esso metallo o una formica ormai macchiata dal tempo. Sul tavolo posto a circa sei metri dall'entrata vi erano una giacca ed una cartellina marrone chiaro, nel corridoio dirimpettaio a quel piano due figure alte controllavano una sponda per uno alla ricerca di qualcosa di preciso.

<< Non posso credere che sia già stata messa via.>> sbuffò Jonathan accucciandosi sulle ginocchia per controllare la seconda fila. << E non voglio neanche credere che siano già riusciti a farla sparire.>>
<< L'omicidio è avvenuto due settimane fa e la conclusione è stata decisamente veloce. >>
<< Sì, ma questo non vuol dire che debba già esser finita non si sa dove. Chi l'ha consegnata? Scommetto Lewis, lo sia che inverte il sei ed il nove? Potrebbe aver sbagliato tranquillamente data.>>
Alec sospirò, << Non ti chiederò perché sai questo di Simon- >>
<< Perché mia madre e Luke fanno schifo a matematica e toccava a me correggere i compiti di quel cretino e di Clary.>> disse ignorando palesemente le sue parole.
<< Ma sì, lo so. Sbagliò a prendere la candeline per i diciannove anni di Jace.>>
<< Ed è stato lui a portare la scatola delle prove qui.>>
<< Ed è stato lui a portare la scatola delle prove qui, sì.>>
<< Avremmo dovuto esaminarla prima.>> gli fece notare.
<< Scusa Morgenstern, ero troppo impegnato a dividere te e Magnus che vi lanciavate il cibo.>> fece sarcastico il moro passando alla fila successiva.
<< Ha cominciato lui con quella dannata carta, stava mangiando dei biscotti al cioccolato, hai una vaga idea di come sia diventato il fascicolo che stavo leggendo?>> gli chiese retorico.
<< Probabilmente come il mio visto che ero seduto affianco a te.>> sospirò. << Senti, non dovete essere amici, ma almeno cercate di collaborare, di non rallentarci. Non lavorerete mai assieme, di questo puoi star sicuro, ma quando sarete costretti a coesistere nella stessa stanza, cerca di trattenerti, dimostra chi è il poliziotto tra i due.>>
Jonathan si voltò a guardarlo con un sopracciglio alzato. << Dio… si vede proprio che sei fratello maggiore, queste sono le classiche stronzate sul “sii superiore, tu sei il più grande e bla bla bla” che ti sparano i genitori per farti smettere di litigare con i tuoi fratelli.>>
Alec annuì. << Esatto, vedi di accontentarti di questo e di darmi retta o finisci a fare un appostamento con lui e se uno dei due dovesse morire non sarà colpa mia.>>
<< Morirebbe lui.>> specificò supponente l'altro.
<< Sarebbe comunque una vittoria per l'inquinamento acustico mondiale, indipendentemente da chi morirebbe.>> rispose laconico.
L'altro alzò gli occhi al cielo e si poggiò con la schiena alla mobile. << Cosa c'era nella scatola?>>
<< Quella del ritrovamento del corpo? Nulla ovviamente, solo brandelli di tessuto e scartoffie.>>
<< E allora perché la cerchiamo?>>
<< Perché dobbiamo avere tutte le prove in mano. Se ti stai annoiando puoi andare a cercare quella dell'arresto del suo amico.>> si frugò nelle tasche dei pantaloni e ne estrasse un foglietto piegato con attenzione. << Settore F, 55-894- 02. 01- 15- 16. Hai una buona memoria o ti serve scritto?>>
Jonathan gli diede le spalle e si incamminò verso il settore indicato. << Buona memoria, ci sono stato anche io in volante a prendere le targhe al volo. In ogni caso siamo solo noi due, quindi se grido mi senti.>>
Alec alzò una mano come in un cenno d'assenso, anche se il compagno non poteva vederlo, e tolse un paio di scatole per controllare quelle che vi erano dietro.
Gli ci vollero una ventina di minuti e le ultime tre cifre del codice dell'altra scatola ripetuti ad alta voce a Jonathan che si ostinava a chiedergli “sicuro che è 94?” prima che entrambi si ritrovassero sul bancone iniziale, cartella firme alla mano e buona pazienza per iniziare a cercare tra le prove.
La scatola dell'omicidio di Potter era leggera e la maggior parte dei documenti al suo interno riportavano rinvii alla banca dati, all'archivio, al caso di scomparsa e alla più che voluminosa cartella di Starkweater, con annessa autorizzazione per esser consultata. Quella di Jonathan invece fu decisamente più fruttuosa e lì costrinse a tornare indietro a prendere anche le altre.

<< Ci sono dei mobili in deposito, ma sembrano puliti.>>
<< Possiamo mandarci Bane a guardare, il suo amico si intendeva di cose d'arte no?>>
<< Dubito che una cassettiera economica interessasse a Ragnor Fell.>> gli fece notare Alec in modo distratto.
<< No, ma scommetto che entrambi sapevano come modificare un mobile o dove cercare scomparti segreti. Non era un indagine molto importante, avranno aperto i cassetti e basta, non credi?>>
Alec annuì. << Tentar non nuoce. Trovato nulla?>>
<< A parte lo schifo? No. Tu?>>
<< Stessa cosa.>>
Il Tenente prese una serie di fogli di quaderno tenuti assieme con una graffetta e cominciò a sfogliarli, controllando attentamente che non vi fosse niente di sospetto.
Jonathan rimise nella scatola tutte le cose esaminate e la richiuse, afferrandola per le maniglie e tirandola su di peso.
<< Odio i drogati, mai una volta che si lasciassero scritto qualcosa di utile dietro, neanche un dannato appunto su quando devono vedere lo spacciatore e tutto questo per cosa? Una dose, scappare dalla realtà e vendere l'anima al diavolo per una vita di malessere e continua astinenza. Come si può vivere in questo modo?>> parlò con tono quasi disgustato, rivolgendosi ad Alec e a nessuno, ma il moro si voltò ugualmente a guardarlo con espressione seria.
<< C'è chi ci capita per errore, chi è così stupido da farlo perché lo dicono gli amici, chi lo fa per superare qualcosa o chi è costretto a prendere un farmaco e poi non riesce più a smettere. Si chiama “dipendenza” proprio per questo motivo, perché poi la tua vita dipende da quella sostanza.>>
<< Fa schifo lo stesso.>>
<< Non credi che sia un po' come fumare? Anche quella è una dipendenza.>> gli fece notare.
<< Sì, ma il fumo te lo vende lo Stato, c'è un mercato dietro, è difficile smettere perché te lo fanno vedere ovunque. La droga no. Quanto devi cadere in basso per affidare tutta la tua vita ad una sostanza che ti illude solo per un po' di non aver più problemi? Mi disgusta solo pensarci.>> Scosse la testa con una smorfia schifata e poi si voltò. << Vado a posare questa roba e prendere le ultime scatole.>>
Alec lo vide andare via, lo sguardo perso nel vuoto, a fissare la sua immagine senza guardarla veramente, senza aver nulla da rispondere davvero.
Già: quanto dovevi cadere in basso per diventare dipendente da qualcosa?

<< Non così tanto, purtroppo… >>

 
















Jonathan poggiò con mala grazia la scatola a terra e prese una delle tre che non avevano ancora esaminato. La tirò sino al bordo del ripiano ed aprì il coperchio per controllare che dentro vi fosse effettivamente qualcosa di utile o se avrebbe passato altri trenta minuti a paragonare liste, verbali e cianfrusaglia inutile. Scostò meglio in coperchio quando vide una scatoletta argentata con su impresso qualcosa: che fosse il simbolo della droga che vendeva? O forse del suo capo.
Afferrò quello che pareva un porta pastiglie e l'aprì premendo sul bottone centrale mezzo rotto.
Niente, tra i vari comparti non c'era niente, il disegno intravisto non era altro che un'ammaccatura.
Masticò una mazza imprecazione e sospirò stanco. Sapeva che Lightwood aveva chiesto a lui d'accompagnarlo a rivedere le prove perché era quello con più esperienza, ma in quel momento avrebbe tanto voluto cedere il suo posto a Lewis o magari a Bane. Ma avrebbero fatto solo più danni che altro, quindi gli toccava far valere la sua anzianità e beccarsi anche il lavoro tedioso come quello.
Ributtò la scatola di metallo dentro a quella di cartone, gettandovi anche un'occhiata quando vide qualcosa cadere a causa dell'urto. Un dado da gioco imbustato, un barattolo di vetro da prove con dentro quelli che parevano denti – e che Jonathan non aveva la minima intenzione di toccare- ed un paio di fogli scappati da una cartellina mal piegata. Tirò fuori i fogli per rimetterli in ordine, battendone il taglio inferiore sul bordo della scaffalatura, quando un fogliettino più piccolo scappò via, scivolando sul pavimento ed infilandosi sotto al ripiano della parete opposta.
Jonathan alzò di nuovo gli occhi al cielo, tendendoli fissi e minacciosi verso il soffitto di cemento.
<< Non sono un santo, ma infamate piccole così sono peggio di quelle grandi. Già lavoro con Bane, ma la vuoi dare una po' di tregua? Direi che quest'anno in quanto a Karma mi sono rimesso in paro, no?>> borbottò gettando i fogli sul piano e accucciandosi a terra per riprendere il foglio. Che poi, era solo un quadrato di carta, che male avrebbe fatto a lasciarlo lì? Magari era il biglietto da visita di qualche club, o i punti di qualche scatola. Si stava anche sporcando i pantaloni così, pensò inginocchiato sul pavimento con il braccio infilato sotto al mobile.
Toccò alla cieca il piano sporco e polveroso finché non sentì l'angolo ruvido di un cartoncino di carta. Esultò mentalmente e lo tirò fuori trascinandolo, storcendo la bocca quando si rese conto d'aver raccolto tutto il sudiciume che si era depositato sul terreno in quegli anni.
Si tirò su spolverandosi i pantaloni e poi cercando di pulire il quadrato di carta addosso alla rastrelliera, arrendendosi poi a doverlo fare con le dita.
Stava già maledicendo tutto quello che poteva venirgli in mente quando la sua mano si bloccò, così come i suoi occhi verdi fissi sul cartoncino, cupi come la boscaglia di notte.
Sul ritaglio di carta, spessa, ruvida, di un viola pesante e cupo, era stampata in rilievo, nera come l'inchiostro, una rosa mezza chiusa, perfettamente liscia ed in contrasto con la grana della carta. Non vi erano foglie, solo un singolo ramo curvato ad onda che nascondeva parte delle sue spine dietro ad un petalo più aperto.
Non vi era nient'altro. Non un nome, non una dicitura, un numero, un simbolo riconoscibile. Non era un locale, non era un'agenzia. Non era niente. Non era niente per chiunque avrebbe trovato quel pezzetto di carta ma non per lui.
Chiudendo la mano a pungo Jonathan chiuse anche gli occhi, ritrovandosi a ringraziare lo stesso cielo contro cui si era appena lamentato per aver fatto sì che trovasse quella cosa lì, da solo e non davanti ad Alexander.

Perché lo so, lo so che si sarebbe subito reso conto di qualcosa.

Riaprì gli occhi, una luce decisa traspariva dal suo sguardo.
Mise la scatola già controllata al suo posto e prese quella mezza aperta, mettendosela sotto braccio e marciando verso il tavolo dove l'attendeva il collega.
Alec non alzò la testa, china sulla lista degli oggetti ritrovati, ma lo sentì perfettamente arrivare.

<< Cominciavo a pensare che ti fossi perso. Credo di aver sentito un paio d'imprecazioni, che hai fatto?>> chiese senza davvero molto interesse.
Jonathan poggiò la scatola e prese la sua giacca. << Mi è quasi caduta una prova.>>
Solo a quel punto l'altro lo guardò. << Dove vai?>> chiese inizialmente, poi osservò meglio la sua espressione e si fece più serio. << Hai trovato qualcosa?>>
<< Che cazzo Lightwood, ma cos'hai? Il radar? Dio, se questa è tutta colpa dei tuoi fratelli sono davvero felice di averne una sola e di essere cresciuto quasi come un figlio unico.>>
<< Evita di fare ironia. Che hai trovato?>> domandò posando la penna e girandosi verso di lui con il busto.
Jonathan gonfiò i polmoni, quasi dovesse prendere coraggio per parlare.
<< Ho trovato qualcosa ma non so ancora cosa.>> ammise.
<< Cosa?>>
<< Non voglio creare aspettative ne metter ansia a nessuno. Controllerò e poi ti dirò, sto andando ora.>>
Alexander aggrottò le sopracciglia e fece per parlare, ma l'altro lo bloccò subito.
<< So che è chiedere tanto ma- fidati di me, solo questo.>>
Vi fu un attimo di silenzio tra di loro, poi il Tenente annuì.
<< Mi fido, portami dei risultati Morgenstern, nel bene o nel male.>> disse con voce ferma ed autoritaria.
Un ghignò divertito si aprì sul volto del detective della Crimine Organizzato, che sbuffò una risata nasale e scosse un poco la testa, facendosi scivolare sulla fronte i capelli fini e bianchi della frangia.
<< Sissignor Capitano.>> fece eseguendo un perfetto saluto militare.
Alec alzò un sopracciglio. << L'ho detto a Lewis e lo ripeto a te: non dirò “non ti ho sentito bene.”>> disse incrociando le braccia al petto.
Ignorando come sempre il commento dell'altro Morgenstern sogghignò più apertamente e ripeté a voce più alta e canzonatoria << SISSIGNOR CAPITANO!>> prima di pararsi con la mano dal pacchetto di filtri che il moro gli aveva lanciato in faccia.
<< Che fai? Tiri le prove?>> domandò raccogliendo l'oggetto e rilanciandolo.
<< Il prossimo sarà il portacenere di coccio se non sparisci dalla mia vista entro dieci secondi netti e non mi porti delle nuove.>>
<< Certo, tutto io devo fare, mi pare giusto.>> si lamentò dandogli le spalle e avviandosi verso l'uscita. << Firmi anche per me, vero Lightwood?>>
<< Sono io il capo, devo farlo per forza Morgenstern.>>
Jonathan gli sorrise divertito, se quel taglio strafottente che gli si apriva sul volto poteva esser reputato un sorriso. Ad Alec il novanta percento delle volte gli faceva venire solo una gran voglia di picchiarlo sino a fargli saltare tutti i denti, ma purtroppo era lui il più grande – e il più maturo anche- lì dentro.
<< E non fare danni! Se ci sono problemi chiamami. Chiama me! Non Simon!>>
<< Sono stronzo Lightwood, non stupido.>> gli urlò di rimando il biondo, ormai oltre il blocco e già a metà del corridoio che portava al Deposito Prove.
Alec lo osservò sparire dietro l'angolo e poi sospirò, poggiandosi con la schiena alla spalliera della sedia e massaggiandosi le tempie.
<< Meno male che almeno lo sa.>>












 

L'aereo di linea si fermò sulla pista con la stessa delicatezza con cui la donna si ritrovò a sospirare.
Camille osservò l'ambiente circostante senza troppo interesse, gli occhi chiari che vagavano placidi da un punto all'altro senza soffermarsi su nulla.
Attese che il portellone venisse aperto, la scala allineata e che i primi passeggeri comparissero sulla soglia dell'aereo.
Stretta nel suo cappotto cammello la bionda batté il piede a terra, la scarpa laccata color carne quasi scivolò sul piano liscio ma lei non ci fece caso. Si domandò piuttosto perché di tutti i voli che avrebbe potuto prendere Saint Cloud avesse deciso proprio per un banalissimo volo di linea. Aveva a disposizione Jet privati e compagnie degli emiri, tutto, eppure preferiva volare con la gente comune.

Come se chi di dovere non sapesse ugualmente quali sono i suoi spostamenti.

Non le interessava neanche quello alla fin fine, non le interessava nulla, rivedere quell'uomo dopo tutto quel tempo non era poi una delle cose che aspettava di più. Non che lo odiasse, sia ben chiaro, solo… le riportava alla mente brutti ricordi, le faceva dubitare anche delle sue stesse parole perché effettivamente, un poco forse, Camille l'aveva odiato e lo odiava ancora.
C'era stato un tempo in cui aveva adorato quell'uomo, lo Zio Cloud era stato il suo preferito, era stato l'uomo che le aveva permesso di arrivare in America e di farlo da sola, sul suo bell'aereo privato certo, ma senza la presenza opprimente dei suoi genitori o di troppe guardie. Solo un agente di scorta, il personale del jet e nulla di più. A lui Camille doveva la sua prima boccata di aria fresca ma era anche verso che, di controparte, era anche il responsabile di tutto ciò che era successo dopo proprio per lo stesso motivo per cui era anche il suo benefattore: Era stato Saint Cloud a convivere i sui a farla volare lì, era stato lui a dire a suo padre che “era un buon momento per farle conoscere l'ambiente”. Era stato lui a scegliere i ruoli di tutti, a dare ad ognuno di loro la propria posizione in quel palazzo di cristallo che più che una piramide pareva un castello pieno di torri e dislivelli.
Con la freddezza e la logica a Camille non c'era voluto molto per capire, razionalmente, che l'uomo non era stato il colpevole ed il fautore di tutti i suoi mali, ma era la parte emotiva quella che dava problemi, quella con cui non ci si poteva discutere.
La presenza alta e imponente di Louis le si palesò vicino con la furtività che la donna aveva sempre apprezzato in lui. Le sorrise con cortesia e l'avvisò che Saint Cloud era arrivato, che si stava già dirigendo verso l'auto.
Non se ne era accorta, troppo persa a fissare tutto e nulla, interessata ad ogni cosa e niente.
Annuì e lo seguì con aria quasi annoiata, quella classica dei ragazzini che non vogliono andare a salutare l'ospite appena arrivato ma che sono costretti a farlo, qualcosa che Camille credeva di essersi scrollata da dosso da molto tempo. Evidentemente certe cose non cambiavano mai.

<< Aspetta in macchina, vuoi un momento?>> gli chiese con la sua voce fredda e bassa.
Camille sospirò. << No, i cerotti vanno tolti con decisione o la pelle tirerà di più.>>
L'altro annuì. << Direttive?>>
<< Come sempre, Louis. Controlla che non ci siano intoppi e soprattutto tieni d'occhio tutte le macchine nere che vedi.>> disse secca incamminandosi verso l'uscita. Il suono dei suoi tacchi era assorbito dal vociare dell'aeroporto e quasi si domandò per quale diamine di motivo l'avesse fatta aspettare dentro la sala d'attesa quando invece di raggiungerla lì era andato direttamente alla macchina.
<< Sospetti dei Corvi?>> domandò Louis ma lei lo sentì a mala pena, fermandosi di colpo e voltandosi per guardarlo.
<< C'è l'autista?>>
<< Ovviamente.>>
<< È ancora in macchina?>> incalzò.
<< Sa come deve comportarsi, deve rimanere al suo posto, pronto per ogni evenienza.>> annuì.
Camille sogghigno. << Mandagli un messaggio, voglio sapere cosa sta facendo mio zio.>>
Louis la guardò accigliato ma non espresse in altro modo il suo stupore per quella richiesta. Erano anni che lavorava con Camille, da quando era ancora lì in America, ormai sapeva come si comportava, come pensava ed agiva e non gli fu troppo difficile capire cosa le passasse per la mente.
<< Pensi che stia contattando lui?>> domandò invece.
Uno sbuffo divertito ed un'occhiata complice. << Ha voluto che mi allontanassi dalla macchina, per quanto ne so potrebbe anche aver nascosto semplicemente una valigia più in fondo rispetto alle altre, ma mai dire mai.>>
Louis estrasse il telefono dalla tasca della giacca e digitò velocemente un messaggio conciso e breve.
<< Ci riferirà.>>
<< Perfetto, non diamogli più tempo di quanto non gliene abbiamo già concesso.>>

 

 














 

Simon infilò la chiave nella toppa della porta proprio nel momento in cui suonò il telefono. Clary, che se ne stava poggiata al muro con le mani occupate dai cartoni della pizza, alzò un sopracciglio come a volergli chiedere chi fosse a quell'ora.
Era passato a prenderla alla sede della L.E. dopo aver staccato dal lavoro, da quando l'amica era stata risucchiata nel vortice della nuova casa, ricerca di appartamenti, di possibili arredi e quant'altro, con la complicazione del nuovo lavoro, si erano visti sempre di meno. Poi era arrivato il Caso congiunto e allora le cose erano diventate ancora più difficili. Passare una serata assieme, solo loro due, come non facevano da tempo, era proprio ciò che serviva ad entrambi.

<< Sarà mamma, si sarà scordata di dirmi qualcosa, poi la richiamo.>> disse semplicemente tirandosi su lo zaino con un colpo di spalla prima che scivolasse a terra e riversasse lì tutto il suo contenuto.
Clary gli sorrise. << Non ti sei ancora imparata a chiuderlo quello zaino, eh?>>
<< E non imparerò mai a quest'età ormai. Sto invecchiando Clary, ormai sono quasi vicino ai primi capelli bianchi.>> fece melodrammatico, senza riuscire a nascondere il piccolo sorriso che gli era fiorito in volto.
La ragazza rise. << Certo, vecchissimo!>>
<< Ehi! Ho un quarto di secolo!>>
<< Anche io se è per questo, mi stai dicendo che sono vecchia?>> lo sfidò staccandosi dal muro e sporgendosi in avanti, minacciosa neanche un quarto di quello che voleva sembrare.
Simon si strinse nelle spalle. << Attenta Clary Fray, con i capelli rossi si vede subito se ce né uno bianco, io comincerei a cercare una tinta adatta.>> girò la chiave e spinse la porta, lasciando entrare l'altra che alzò il naso al soffitto e marciò indignata nel salotto per poi dirigersi in cucina.
<< Fingerò di non averti sentito.>>
<< Dovresti dirlo anche a Jace, rischia anche lui ma almeno essendo biondo si nota di meno. Ehi! Magari diventi come tuo fratello, ti immagini bianca-bianca?>>
Dalla cucina arrivò uno sbuffo sarcastico. << Giuro che se aggiungi un'altra parola faccio cadere la pizza su Chewbecca.>>
<< Poi ci litighi tu con Maya perché il tappeto ha una macchia?>> le domandò da lontano posando zaino e cappotto in camera.
La risposta che ebbe gli arrivò attutita e non la comprese, ma doveva essere qualcosa come “le spiegherò il perché e mi darà ragione”, quindi non si pose il problema di chiederle di ripetersi.
Andò a lavarsi le mani e quando tornò in salone Clary aveva già portato tutto e si era accomodata sul divano, prendendo possesso del telecomando e della TV.
Simon già sapeva che si sarebbero ritrovati a vedere per l'ennesima volta qualche film che conoscevano a memoria per poterlo criticare a piacimento e ripetere le battute assieme agli attori, gli veniva da sorridere solo al pensiero: una serata tranquilla, vecchio stile, come non ne passavano da troppo tempo. Era esattamente ciò che ci voleva.
Quello e un po' di sane chiacchiere da migliori amici.

<< Quindi mi stai dicendo che si sono messi a lanciarsi le carte?>> chiese Clary mandando giù l'ultimo sorso di birra.
Simon annuì. << Ad onor del vero ha cominciato Magnus, ma lo sai com'è fatto Jonathan, le cose non te le manda a dire e non si tira indietro se gli imbratti i documenti di briciole.>>
<< Già, ti ricordi quando ci ha buttato i compiti di matematica nel trita rifiuti perché avevamo poggiato le coppe del gelato sui suoi appunti di storia e glieli avevamo macchiati?>>
<< Diamine se non me lo ricordo! Abbiamo dovuto rifare tutto da capo! È stato crudele, neanche ci ha aiutati a rifarli!>>
<< Jon è così, dente per dente, fino all'osso.>> disse Clary scrollando le spalle. << Quindi come se la sta cavando a lavoro? Se glielo chiedo io mi dice “tutto bene” e non aggiunge altro. Se chiedo a Luke mi dice la stessa cosa ma… va davvero “tutto bene”?>> domandò poi con una nota d'apprensione nella voce.
Simon poteva capirla perfettamente: tra lui e Jonathan non c'era mai stato tutto questo grande amore, sapeva che il ragazzo l'aveva sopportato per una vita solo perché era il miglior amico della sua sorellina e che più che altro non era propriamente affetto quello che legava lui ed il primo dei fratelli Morgenstern. Jonathan era una persona particolare, forse perché a differenza di Clary lui era cresciuto con una madre e due
padri, forse perché aveva sempre sentito la mancanza di Valentine -malgrado fosse un mostro e tutto- e non aveva neanche mai accettato sino in fondo la presenza di Luke al fianco di sua madre, al posto di suo padre vicino a Clary. Rimaneva il fatto che fin da piccolo Jonathan aveva dimostrato “affetto” e “amicizia” per pochissime persone. Certo: era sempre stato circondato da amici a scuola e fuori, bello, popolare, ricco, affascinante e in grado di menar le mani come un qualunque teppistello all'evenienza per poi fare il volto da bravo bambino con adulti ed insegnanti, ma di amicizie vere Simon non sapeva quante se ne era portato dietro, se se ne era portate dietro. Jonathan aveva questo strano modo di dimostrare che ti voleva bene, o quanto meno che teneva a te: invece di abbracciarti, di dirti chiaramente quanto valessi per lui, di fartelo capire, se rientravi nelle sue grazie tu diventavi sua proprietà. Simon questa cosa l'aveva imparata ben presto, quando un biondino di circa sette anni aveva cominciato a lanciargli palle di neve in faccia o a calciargli il pallone addosso quando vedeva che Clary gli dedicava troppe attenzioni. Era sempre lei il motivo scatenante di ogni azione di Jonathan, non sopportava che sua sorella avesse occhi per qualcuno che non fosse lui e questo lo portava ad attaccare, ad annientare, chiunque si mettesse tra lui e lo sguardo adorante che la sorellina gli rivolgeva ogni giorno. Simon era malauguratamente una della barriere più comuni e quindi sempre obbiettivo del ragazzino. A conti fatti aveva capito cosa fosse il “bullismo” grazie alle magnifiche pallonate di Jonathan Christopher Morgenstern e alla sua gelosia per la sorella.
La cosa che più l'aveva sorpreso era stata però un'altra a cui non aveva fatto caso troppo presto e che ad esser sinceri era stata Rebecca a fargli notare. A parte il fatto che il ragazzino non lo maltrattasse mai troppo in presenza di sua sorella – piccolo stronzo furbo- Jonathan tendeva a diventare vagamente aggressivo ed intimidatorio se erano altri ad accanirsi su di lui. Era stato uno shock rendersene conto ma alla fine aveva capito: Jonathan dimostrava così quanto ci tenesse a te, insultandosi, facendoti capire che lui poteva distruggerti, che ti aveva in pungo, che ti conosceva meglio di chiunque altro, umiliandoti per farti capire che lui ti era superiore, ma arrabbiandosi in modo spaventoso se erano altri a far lo stesso.
Jonathan era un'incognita grandissima, era un controsenso vivente e Simon, così come Clary e come tutti gli altri, sapeva che non era una cosa positiva, che molti dei suoi comportamenti erano sbagliati, che sfioravano il malato forse, ma non voleva essere così drastico. In ogni caso sapeva che era particolare, che “era fatto così” e malgrado ciò non lo giustificasse minimamente per tutte le volte che l'aveva fatto volare a terra facendogli rompere gli occhiali Simon non poteva non tenere in conto anche tutte le volte in cui il ragazzo si era palesato alto e minaccioso contro quei ragazzini che lo tormentavano. Poteva ancora sentire la sua voce ringhiare un bassoNon vi azzardate a toccarlo, Lewis è mio”.
Un brivido d'inquietudine lo scosse a quel ricordo. Jonathan reputava lui, come tutte le altre persone della sua vita, di sua proprietà, un contorto ragionamento che lo portava a dire che lui poteva far di tutto a quelle persone – perché erano sue- ma che gli altri non dovevano neanche pensarci.
Gli venne naturale contrapporlo ad un'altra persone, che sorprendentemente faceva un ragionamento simile ma inverso: nessuno poteva toccare le persone che amava, nessuno poteva amarle perché già lo faceva lui.
Contorti, controversi, e controsensi. L'elenco delle parole non aveva molto senso forse, non era grammaticalmente corretto ma suonava bene e rendeva l'idea di quanto quelle due persone così diverse, come giorno e notte, vivessero la propria vita su una linea di condotta personale e personalissima: solo che Jonathan, con tutti i suoi atteggiamenti decisamente non “giusti” - il ché era un eufemismo- rendeva anche il solo contatto con lui del tutto spiacevole. Il ragazzo era come una pianta carnivora: sembrava bellissima e ti invogliava a toccarla, ma appena di poggiavi sulla parte rosea e carnosa della sua bocca stringeva i denti e ti azzannava senza pietà, avvelenandoti e rendendoti per sempre una sua preda.
L'altro invece era una pianta grassa: lo vedevi da lontano che non ti conveniva toccarlo, che non voleva essere toccato, che ti avrebbe ferito con spine grandi e acuminate. Non aveva bisogno di molta acqua, poteva sopportare temperature cocenti come solo le mattine del deserto potevano essere ed il freddo gelido che imperversava la notte, ma se avevi la pazienza di avvicinarti poco alla volta, con cautela, avresti assistito alla fioritura dei boccioli più incantevoli e grandi. Solo per un giorno, certo, ma sarebbero rimasti per sempre nei tuoi ricordi.
In quel momento, tutti quei pensieri che si stavano affollando veloci nella sua mente gli diedero quasi le vertigini, troppe considerazioni e troppi ricordi che si collegavano per fili sottili gli uni agli altri. Simon sorrise a Clary, che ancora lo fissava in attesa di una risposa, imponendosi di non vedere quanto Jonathan e Alec camminassero sul filo dello stesso precipizio, solo sporti verso baratri diversi, ma di tranquillizzare il più possibile l'amica. Renderla partecipe della somiglianza appena vista tra suo fratello ed un amico che, lo sapevano entrambi, per quanto fosse magnifico non era proprio il miglior modello di superamento felice dei traumi non gli pareva una cosa molto producente.
Cosa si diceva in quei casi? Perché non facevano dei corsi a scuola per arginare la logorrea mentale ed i flussi di coscienza e rimanere concentrati sull'argomento?

<< Se ti preoccupa che i suoi colleghi possano dire o fare qualcosa… >> iniziò titubante.
<< È esattamente quello di cui mi preoccupo.>>
<< Non siamo più a scuola, Clary.>>
<< Disse quello che finché non ha portato un detective pluripremiato al poligono è stato brutalmente preso in giro da dei mocciosi che si credevano più fighi di lui.>> lo fulminò con lo sguardo.
<< Sai com'è fatto tuo fratello, non permette a nessuno di mettergli i piedi in testa.>> provò ancora.
<< Non mi stai dicendo come lo trattano.>> gli fece notare innervosita.
<< Come sempre Clary, come sempre. Non lo so, non sono mai salito da lui da quando sono arrivato alla Omicidi, non so dirtelo. Posso invece dirti che da noi nessuno gli dice niente.>> le sorrise rassicurante.
Clary sbuffò e incrociò le braccia al petto. << Certo che no, c'è Alec che guarda tutti male. Dopo quello che è successo- >> si bloccò un attimo e poi sospirò << dopo quello che è successo con Valentine avranno paura che a farlo arrabbiare potrebbe sparar a tutti loro.>> terminò amareggiata, forse per il pensiero a quello che per la biologia era suo padre o forse per l'idea che la gente doveva essersi fatta del loro amico.
<< Nessuno pensa che Alec sia pericoloso.>> disse piano passandole un braccio attorno alle spalle e tirandosela contro. << Credo che abbiano molta più paura che il Capo Blackthorn s'incazzi perché hanno fatto saltare i nervi ad un neo Tenente che altro.>>
Clary annuì. << Quindi me lo sta trattando bene?>>
Simon sorrise alla sua amica: forse non si somigliavano molto fisicamente e caratterialmente, forse erano cresciuti assieme ma divisi, ma c'erano delle cose che Jonathan e Clarissa avevano come fotocopiate nel loro DNA. Che fosse l'arcata sopraccigliare, il sarcasmo cattivo e spietato che tiravano fuori quando erano messi con le spalle al muro, quell'ardore di spirito che non permetteva mai loro di smettere di provare o quello strano e contorto senso di protezione che avevano l'uno verso l'altra.
Perché anche la sua piccola e rossa amica era peculiare come il fratello, pronta a lasciar volare libera una persona certo, ma tenendola d'occhio, cercando di non abbandonarla, andando ad intromettersi poi anche contro la sua volontà per salvare la situazione.
Forse neanche se ne rendeva conto eppure lo faceva spesso, lo diceva spesso: quella è mia madre. Quello è mio fratello. Sei il mio migliore amico. Me lo sta trattando bene?
Simon si trovò di nuovo a paragonare uno dei due fratelli Morgenstern-Fray ad uno dei Lightwood. Gli tornò in mente la volta in cui Jace e Jonathan avevano fatto a pugni non sapendo che l'uno fosse il ragazzo e l'altro il fratello di Clary. Quando era arrivato Alec e li aveva divisi di peso, lanciando Jace a terra alle spalle e tirando uno spintone ben ponderato a Jonathan senza però fargli male, permettendo così ai docenti di trascinarli in direzione, Clary aveva iniziato una sequela infinita di domande come “Me lo fate vedere? È mio fratello. Ho il diritto di vedere come sta. Dovete farmelo vedere”, mentre Izzy si era limitata a chiedere “Come è conciato? Ce la fa a camminare o è ridotto troppo male?”. Era un paragone stupido, poteva capire che la mora fosse abituata a quelle situazioni e che al suo fianco avesse la presenza silenziosa ma rassicurante di Alec, eppure… eppure il timore che Clary aveva per Jonathan e che Jonathan aveva per Clary era quasi-

morboso.

Non voleva pensarlo, ma lo pensò.
Strinse un po' di più la ragazza e gli poggiò la guancia sulla testa.
Aver il continuo terrore di essere divisi dal proprio fratello doveva essere una cosa terribile, non sapeva come si sarebbe comportato lui se Rebecca, durante la loro infanzia, avesse passato la maggior parte del tempo a far avanti indietro da un'altra casa, da una vita che non condividevano e che non avrebbero mai potuto condividere.
Forse era quello il problema di tutto, forse era la paura di non vederlo tornare a casa, di perdere quel pezzo fondamentale della sua famiglia che mai avrebbe potuto tradirla. Perché Jocelyn e Lucian l'amavano come solo dei genitori sapevano fare, ma come Clary sapeva bene come purtroppo anche lui sapeva bene- spesso i genitori, mamma e papà, non rimanevano sempre vicino a te, spesso dovevano o decidevano di abbandonarti per tanti di quei motivi che gli sarebbe servita una vita per elencarli tutti, dai più seri ai più futili.
Ma Backy non l'aveva mai abbandonato finché non era stata sicura che ci fosse qualcun altro a prendersi cura di lui Alec, i ragazzi- e Clary, così come Jonathan, non avrebbe mai abbandonato il fratello se non avesse saputo che era al sicuro, che nessuno poteva fargli del male.

Ancora.

<< È Alec.>> disse solo.
Clary annuì. << Sai che Jon ha accettato di andare dallo psicologo dopo aver parlato con lui?>>
<< Di che ti stupisci? Riesce a far ragionare Jace e Izzy, tiene a bada Magnus, può convincere anche l'America ad eleggerlo come prossimo Presidente.>> sorrise cercando di alleggerire la tensione.
Anche lei lo fece. << Parli da amico o parla quella cotta latente che ti porti dietro da una vita?>> lo provocò girandosi nel suo abbraccio per pungolargli i fianchi.
Simon si ritrasse con un dignitosissimo urletto sorpreso, cercando di afferrare le mani piccole e veloci dell'amica.
<< La mia non è una cotta! È un'ossessione come ne avevo per Batman!>>
<< Questo non depone a tuo favore.>> gli fece notare mentre lui riusciva finalmente a bloccarle i polsi e le soffiava in faccia per dispetto. << A proposito di Magnus! Lui e Alec hanno risolto o si stanno ancora girando attorno come due cani?>>
<< Secondo me sono più gatti furastici.>>
<< Sì, come ti pare. Allora? Alec lo tiene ancora lontano? Jace dice che ha un mucchio di motivazioni valide dalla sua ma che quando ne hanno parlato ha comunque asserito che fossero un botto di cazzate per farlo smuovere.>> insistette Clary.
<< Diciamo che hanno chiarito, a modo loro. Alec gli ha messo delle regole tipo, tra cui una che riguarda contatto fisico e allusioni sessuali- >>
<< Come se Magnus potesse evitarle.>>
<< e poi ricominceranno tutto da capo. Letteralmente. Tipo che ripartono da prima della Casa Sicura.>>
Clary inarcò un sopracciglio. << Perché? Cos'è successo alla casa sicura?>> poi si bloccò. << Oddio. No. Non me lo dire! Allora non è un santo!>> saltò su facendo cadere le due bottiglie di birra vuote e continuando a saltellare sul poso. << LO SAPEVO! AAAAH! GRANDE ALEC!>>
Simon la guardò nel panico, incapace di arginare quel tornato rosso. Cosa poteva fare? Farle promettere di non dire mai ad Alec che l'aveva scoperto se no l'avrebbe ucciso? Di non dirlo neanche a Jace se no l'avrebbe detto ad Alec e allora l'avrebbe ucciso? Di non dirlo- Dio santissimo non voglia!- a Izzy se no l'avrebbe detto a Jace che poi l'avrebbe detto ad Alec che poi l'avrebbe ucciso?
Oddio, in tutti gli scenari moriva sempre e lo faceva sempre in malo modo e per mano di un Alexander incazzato nero.
Deglutì. Cosa poteva fare?
Mise su la sua miglior faccia contrita, non che in quel momento dovesse sforzarsi tanto, e pregò che qualcuno là su gliela mandasse buona per una volta.
<< Clary, Clary, ti prego, abbassa la voce. Non dirlo a nessuno. Se Alec scopre che sai che si sono baciati- >>
<< Baciati?>> La ragazza smise di saltare e si voltò di colpo verso di lui.
Interiormente Simon tirò un sospiro di sollievo e si appuntò di ringraziare Magnus e pure Alec stesso per quell'amabile lezione che gli avevano dato: non dire cazzate, non sei capace. Ometti, ometti sempre, non è mentire è solo non dire le cose completamente. Ometti.
Omettere aiuta sempre.
<< Solo baciati?>> chiese delusa.

Scusa Clary, questo è un segreto che probabilmente dovrò portarmi nella tomba.

Non prestò troppa attenzione a quello che l'amica stava dicendo, le sue lamentele sul fatto che neanche Alexander Lightwood potesse essere un monaco buddista – e Simon si astené dal dirle che i monaci non erano poi tutto questo esempio di purezza e simili ma che anzi, facevano anche di peggio- limitandosi a sorriderle e guardarla raccogliere le bottiglie e marciare verso la cucina, continuando a borbottare come una pentola.
<< Non mi porti più notizie emozionanti!>>
<< E tu passi troppo tempo con Jace! Alec ha ragione è una pettegola!>>
Sorrise e si chinò per prendere i cartoni della pizza quando vide il telefono abbandonato sul tappeto e si ricordò della telefonata.
Dannazione, se era sua madre chi l'avrebbe sentita? Erano quasi le undici e mezza, non era il caso di richiamarla in quel momento.
Sospirò, prese il telefono e andò in cucina, dandosi il cambio con l'amica che tornò in salone per buttarsi di peso sul divano e continuare la sua eterna lamentela.
Simon piegò i cartoni e li buttò nel secchio, poggiandosi poi con la schiena al ripiano dei fornelli e sbloccando il telefono.
Con sua grande sorpresa non fu il numero di sua madre a comparire tra le notifiche ma un numero sconosciuto che gli aveva lasciato un paio di messaggi. Aggrottò le sopracciglia e aprì la chat.
Un sorriso stupido e lievemente imbarazzato si aprì sul suo volto mentre scorreva quelle poche frasi, senza accorgersi che Clary era tornata da lui non sentendolo rispondere alle sue domande.

<< Sim? Tutto- oh.>>
A quello il ragazzo alzò lo sguardo incontrando gli occhi vispi e complici di Clary.
Dannata rossa, lo sapeva che gli bastava guardarlo in faccia per capire cosa pensava.
Clary incrociò le braccia la petto e sorrise maliziosa. << C'è niente di nuovo che dovresti dirmi?>>
<< Non era mamma la telefono.>> sorrise di rimando.
<< Questo l'avevo capito.>> sciolse la posa e scivolando scalza sul pavimento vecchio si avvicinò all'amico e lo prese per un polso. << Quindi? Chi ti chiama?>>
Simon si lasciò riportare in sala da pranzo senza opporre resistenza e senza riuscire a togliersi quel sorriso stupido dalla faccia. Guardò la giovane che aspettava paziente ed emozionata e si voltò meglio verso di lei per spiegarle tutto.
Clary lanciò un gridolino entusiasta, comprendendo i movimenti dell'altro e classificandoli come la preparazione ad un racconto abbastanza lungo, articolato e sicuramente frammentato da pensieri e sensazioni amplificate all'inverosimile, tra una risata ed una battuta stupida, proprio come facevano da piccoli, proprio come quella volta in cui aveva avuto il coraggio di chiedere un appuntamento ad Izzy e la sera era andato a dormire da lei per raccontarle cos'era successo.
Jace diceva che erano lui, Iz e suo padre il grande Triunvirato del gossip, ma anche lei e Simon non scherzavano se si parlava delle loro esperienze.
Senza contare che rivedere quel sorriso, quell'espressione imbarazzata ma felice sul volto del suo miglior amico le metteva addosso una felicità riflessa che forse non avrebbe dovuto provare o che forse era giusto e lecito che provasse. Non sapeva quale delle due opzioni fosse quella giusta ma non le importava davvero saperlo, le bastava veder Simon felice per esserlo anche lei, almeno un po'.

<< Te lo ricordi il Java, sì?>>
<< E chi se lo scorda!>> rispose lei annuendo con vigore, i ricci che le rimbalzavano sul volto e sulle spalle. << Dobbiamo tornarci un giorno di questi.>>
Anche Simon annuì. << Beh, pare che anche il Java non si sia dimenticato di noi, o per lo meno non si è dimenticato di me e dei ragazzi.>>
<< Non dirmi che c'è ancora qualche pazzo che si ricorda nei NinjaStereoDuck!>>
<< Più dei Panda a dir il vero, ma sì, c'è qualcuno… >>
<< Una ragazza?>> indovinò subito Clary.>>
<< Anche. Il barista all'inizio che poi è andato a chiamare una ragazza che lavora lì e che a quanto pare ci seguiva e che, beh… >>
<< Beh?>>
<< … a quanto dice lui aveva una cotta per il bassista… >> disse con voce falsamente vaga.
Clary scoppiò a ridere, intermezzando urletti divertiti ed eccitati, sporgendosi verso l'amico al suon di: << Adesso devi raccontarmi tutto!>>
Simon rise con lei, posò il telefono ripromettendosi di rispondere il giorno seguente a Maureen e dirle che sarebbe andato volentieri a prendere un caffè con lei.
Certo, magari prima avrebbe chiesto ad Alec se non era tipo illegale perché lei li aveva comunque “aiutati” in un certo senso, ma era più una conferma a ciò che sapeva già che cercava e Simon sapeva che avrebbe potuto andar a prendere tutti i caffè che voleva con quella ragazza.
Così, tra un'interruzione e l'altra, tra qualche vecchio aneddoto e domande su quanto fosse cambiato il locale, su come fosse questa Maureen, quando Jordan e Maya tornarono a casa, quasi alle tre di mattina, trovarono i due amici addormentati sul divano, la TV ormai in sten-by e le bottiglie di birra vuote ancora sul tavolo della cucina.
Jordan sorrise a quella vista e fece cenno a Maya di andare avanti.

<< Vado a prendere una coperta.>> mormorò la ragazza camminando in punta di piedi.
Il fidanzato annuì. << E io mando un messaggio a Luke e gli dico che la sua bambina dorme da noi.>>
Anche nel buio del corridoio Jordan riuscì a vedere il sorrisetto diverto di Maya mentre scuoteva la testa rassegnata.
<< Perché non abbiamo ancora una casa nostra ma già due bambini a carico?>> gli domandò flebile nel silenzio della casa.
Jordan si strinse nelle spalle inviando il messaggio e bloccando il telefono. << Per far pratica? Te l'ho mai detto che voglio tantissimi bambini? Anche adottati eh, non mi crea nessun problema, anzi. Però ne voglio tanti. Una cucciolata intera!>> sorrise andandole incontro mentre lei sistemava la coperta su due addormentati.
Maya scosse di nuovo la testa. << Sì, ma poi ci passi tu la notte in piedi, papà orso.>>

<< No, non orso, mi vedo più come un lupo. Che dici?>>
Con uno sbuffo sarcastico gli diede una spintarella e tornò verso la loro camera.
<< Basta che mi fai dormire e non ululi alla luna.>>
Jordan si trattenne a mala pena dallo scoppiare a ridere. Lanciò un ultimo sguardo agli amici e sorrise mesto nel vederli così rilassati e tranquilli, non riuscendo però a trattenersi dal posare una carezza affettuosa sulla testa di Simon, sporgendosi poi per togliergli gli occhiali e metterli al sicuro sul tavolo.
<< Beh, direi che non me la cavo male dopotutto, no? >>

Il sorriso pacifico che Simon gli restituì, nel sonno, valse più di qualunque assenso.

















 

Con le mani immerse nel cappotto scuro e lungo Jonathan rimase a fissare l'edificio degli anni settanta che si stagliava davanti a lui.
La strada non era vuota, c'erano delle macchine che passavano di tanto in tanto, qualcuno che usciva dal portone e se ne andava, qualcuno che entrava, ma non si poteva dire che ci fosse proprio vita.
Pareva una via come tutte le altre, alcune finestre delle case limitrofe erano accese, segno che qualche ritardatario era ancora impegnato nei propri affari o qualche sonnambulo non riusciva a dormire. Alle quattro di mattina, con tutta sincerità, sarebbe piaciuto anche a lui infilarsi sotto le coperte e di certo non c'avrebbe messo molto a sprofondare in un sonno dettato dalla stanchezza di quei giorni, ma purtroppo per lui da quando aveva trovato quel quadrato di carta non aveva fatto altro che rimbalzare da un angolo all'altro della città, rincorrendo informatori o amici che gli dovevano un favore, così come gente che sapeva qualcosa e che lui poteva facilmente convincere a parlare.
Alla fine era arrivato lì, davanti a quel palazzo apparentemente anonimo ma che Jonathan sapeva nascondere più segreti di quanto non desse a vedere.
Tirò fuori dalla tasca il cartoncino e lo fissò alla poca luce che gli giungeva, lì fermo vicino al muro, lontano dai coni di luce dei lampioni.
Non disse una parola, non lasciò neanche che il fiato caldo si spandesse nell'aria con una nuvola sbiadita.

 

A quanto apre il suo debito con il karma non era stato ripagato, non a sufficienza, ed il destino aveva deciso che per lui fosse arrivato il momento di scoperchiare definitivamente il suo Vaso di Pandora e dopo quello che aveva passato nell'anno precedente Jonathan era più che convinto di non essere ancora pronto per farlo, che fosse presto, troppo presto.

Ma forse, fosse stato per lui, il momento giusto non sarebbe mai arrivato.

 

 

Tra le dita fredde ed ossute, bianche come i suoi capelli, su un cartoncino viola pesto, la rosa nera lo fissava in silenzio.



































   
 
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