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Autore: blackjessamine    30/01/2019    7 recensioni
Essere una strega di diciassette anni costretta a trascorrere gran parte delle proprie vacanze estive in un sobborgo babbano può essere estremamente pericoloso.
Ad esempio, si può correre il rischio di annoiarsi terribilmente.
La noia, poi, può avere il discutibile effetto collaterale di spingere una seria e irreprensibile studentessa ad accettare di incontrare un giocatore di Quidditch scapestrato e privo della minima serietà.
O di quando Lily Evans si ritrovò a partecipare ad un non-appuntamento con un ragazzo assolutamente non-affascinante, parlando di cose inconfutabilmente non-divertenti, per poi tornare a casa con lo stomaco pieno di non-farfalle.
(Terza classificata al contest "Keep calm e... Fatemi amare la vostra OTP!" indetto da eleCorti; prima classificata al contest "Giuro solennemente di non avere buone intenzioni!" indetto da amicadeilibri sul forum di EFP; partecipante al contest "Un fiore per tante eroine", indetto da NevilleLuna sul forum di EFP)
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'Her eyes are as green as a fresh pickeld toad'
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Primo amore e altri affanni




 


Quando la cameriera, una donna energica e dal sorriso gioviale, chiese alla ragazza se volesse ordinare qualcos'altro, la giovane gettò un'occhiata irritata al piccolo orologio dal cinturino consunto che portava al polso. La ragazza sembrò esitare, come sul punto di rifiutare, ma poi, con un'espressione risoluta e un po' piccata, ordinò un frullato.
Lily aspettò che la cameriera rientrasse nel locale prima di tornare a concentrarsi sul foglio che aveva davanti. Un frullato, si sarebbe concessa il tempo di un maledetto frullato prima di allontanarsi verso la fermata dell'autobus e tornarsene a casa senza nemmeno guardarsi indietro. Quantomeno, pensò, aveva passato abbastanza tempo lontano da casa da non suscitare le innocenti e curiose domande da parte di sua madre e quelle decisamente più insinuanti di Petunia. Le erano già bastate le battute sgradevoli che le aveva lanciato dietro quando si era diretta a passo svelto alla fermata dell'autobus, non aveva certo voglia di sentire Petunia sibilare: “Lo vedi che sei davvero stramba? Non ti vogliono nemmeno quei pazzi dei tuoi compagni di scuola!”
Accavallò le gambe di scatto, allontanando con una mano una mosca che le ronzava fastidiosamente vicino al viso e rilesse per l'ultima volta lo schema che aveva sotto gli occhi: sapeva benissimo che si trattava di un lavoro perfettamente inutile, perché fino a quando non fossero arrivati sull'Espresso per Hogwarts e non avessero ricevuto indicazioni più precise dai loro Direttori era impossibile pensare di programmare qualsiasi attività dei Prefetti, ma aveva preparato quello schema comunque. Anzi, l'aveva dapprima preparato pasticciando distrattamente il retro di uno scontrino, poi lo aveva riportato in maniera più ordinata su un foglio bianco e infine lo aveva copiato con attenzione su un foglio a quadretti, perdendo un ulteriore quarto d'ora abbondante per colorare i vari nomi di rosso, verde, giallo e blu.
Lily era sempre stata una ragazza precisa, soprattutto per quanto riguardava l'organizzazione dello studio e la scuola in generale, ma mai la sua precisione era arrivata a quei livelli di follia. Soprattutto quando si trattava di un lavoro che lei sapeva benissimo essere perfettamente inutile.
La verità era che Lily Evans, nel fiore dei suoi diciassette anni, era arrivata a detestare l'estate. Oh, non che fosse così secchiona da non sapersi godere le vacanze, quello no. Non era nemmeno colpa della sua famiglia - d'accordo, Petunia negli ultimi tempi era diventata sempre più scontrosa e cattiva, ma quello poteva sopportarlo - che durante l'anno scolastico le mancava terribilmente e con cui adorava passare del tempo. Era solo che, dopo la prima settimana di festeggiamenti e di cene in famiglia e serate a base di film sul divano con i suoi genitori, l'entusiasmo iniziale calava sempre, e tutti in casa tornavano alle proprie abitudini.
E Lily, che lo volessero o meno, non rientrava più fra quelle abitudini.
Suo padre usciva per andare a lavorare la mattina presto e rientrava tardi, stanco e annoiato. Petunia aveva trovato un impiego part-time come aiuto bibliotecaria – un lavoro che detestava – alla mattina, nel pomeriggio vedeva le sue amiche dell'università e la sera usciva con il suo nuovo fidanzato. Sua madre si svegliava, metteva in ordine la casa, svolgeva qualche commissione e poi spariva, inglobata da una delle tante associazioni di quartiere a cui donava le sue preziose ore.
E Lily rimaneva sola.
Per un po' di anni aveva cercato di mantenere i rapporti con le sue amiche di quando era bambina, ma col passare delle estati i rapporti si erano fatti sempre più cordiali e di facciata: del resto, sapeva benissimo che non era facile essere amiche di una ragazzina strana che durante l'anno spariva in un collegio di cui non parlava mai, se non in termini vaghi, e di cui non voleva nemmeno dare l'indirizzo per mandare qualche lettera ogni tanto. Quando era stata un po' più grande, poi, aveva iniziato ad invitare Esther Lloyd, la sua compagna di dormitorio e migliore amica, a passare una settimana “alla babbana” a casa sua, a luglio, mentre ad agosto aveva preso l'abitudine di passare almeno un weekend dai Lloyd, e questo aveva sempre contribuito a movimentare le vacanze, a spezzare la monotonia e a regalarle dei momenti luminosi a cui pensare nelle settimane più noiose. Certo, fino a due estati prima c'erano anche state le passeggiate fino a Spinner's End, gli infiniti pomeriggi trascorsi a fare i compiti e a chiacchierare per ore di tutto quello che le passava per la mente, i pic-nic improvvisati con panini e Coca-Cola lungo il fiume... ma non voleva pensare a questo, non ora. Era già di umore abbastanza cupo senza ricominciare a tormentarsi sulla fine dell'amicizia con Sev, e sulla strada orribile su cui lui sembrava ormai ben avviato.
Quell'anno non c'erano più state compagne delle elementari da incontrare almeno per un gelato, perché queste avevano accampato scuse su scuse senza mai accettare i suoi inviti, e Lily non era così stupida e disperata da rincorrere a tutti i costi un rapporto che non esisteva più. I Lloyd avrebbero trascorso due mesi in Canada, per il matrimonio del primogenito che ormai viveva oltreoceano da cinque anni, studiando le proprietà degli alberi da bacchetta delle foreste, dunque avrebbe rivisto Esther soltanto il primo di settembre.
Lily aveva dunque terminato i compiti scolastici entro le prime tre settimane di vacanza, aveva impiegato la quarta per svolgere degli approfondimenti e pianificare il ripasso di fine agosto, ma alla fine anche lo studio le era venuto a noia. Sapeva che avrebbe incontrato Angelica Jones e Winifred Crouch il 23 di agosto a Diagon Alley, e contava febbrilmente i giorni che la separavano da quell'appuntamento, nonostante Angelica e Winifred non fossero esattamente le compagne di scuola con le quali preferisse passare il suo tempo.
Nel frattempo, trascorreva i pomeriggi facendo avanti e indietro dalla biblioteca – stava bene attenta ad evitare i turni di Petunia -, la sera leggeva fino a quando gli occhi le facevano male, e a quel punto prendeva piuma e inchiostro e iniziava a scrivere. Scriveva lettere infinite a Esther, che rispondeva con un considerevole ritardo; scriveva ad Angelica e Winifred; scriveva a Mary, che quell'estate era tutta presa dal suo nuovo ragazzo e le accordava giusto un briciolo di attenzione; correva anche il rischio di scrivere a Remus, pur sapendo che le possibilità di trovarsi qualcosa di disgustoso infilato fra una pergamena e l'altra erano molto elevate: dopo sei anni, Sirius Black sembrava ancora trovare divertente imbrattare la corrispondenza altrui con il succo dei Fagioli Soporosi, esattamente come un bambino del primo anno.

Tutta questa noia e mancanza di contatto umano con qualcuno che avesse la sua età dovevano essere la causa di quel principio di follia che l'aveva portata a perdere tre quarti d'ora del suo tempo davanti ad una spremuta e poi ad un frullato al Betty's Corner, guadagnandosi più di un'occhiata curiosa da parte della cameriera. Doveva saperlo che si trattava di una pessima idea sotto ogni punto di vista, anzi, lo sapeva, dunque non capiva perché se la stesse prendendo così tanto. Che cosa si aspettava, esattamente? Che lui si sarebbe improvvisamente trasformato in un ragazzo galante, intelligente, simpatico e puntuale, e che le avrebbe regalato un meraviglioso pomeriggio di risate e conversazioni brillanti? Non aveva nemmeno risposto alla lettera in cui lei gli dava appuntamento - be', quello decisamente non era un appuntamento: sarebbe stato meglio dire che gli comunicava, in tono pratico e un po' esasperato, che se davvero ci teneva ad essere pronto per il nuovo ruolo che Silente e la McGrannitt, sicuramente ubriachi marci di Whiskey Incendiario, gli avevano affidato, l'avrebbe potuta trovare quella domenica pomeriggio al Betty's Corner, nella piazza principale di Cokeworth, e lei gli avrebbe spiegato un pochino che cosa ci si aspettava da lui.
Era stata una stupida, una grande, una grandissima stupida ad aspettarsi qualcosa di diverso da quell'appuntamento che non era un appuntamento. Esther non avrebbe mai dovuto saperne niente, o l'avrebbe presa in giro fino a convincerla ad annegarsi in un calderone di Distillato della Pace.
Quando ebbe bevuto anche l'ultimo sorso di frullato, cacciò con rabbia in borsa lo schema con i nomi di tutti i Prefetti e i Capiscuola senza preoccuparsi che non si sciupasse, e fece un cenno alla cameriera, che le si avvicinò con un sorriso comprensivo.
“Sei a posto, cara?”
Lily gettò un ultimo sguardo alla pensilina degli autobus che arrivavano puntuali ogni quarto d'ora, scaricando solo pochi passeggeri distratti e accaldati: Cokeworth non era certo una meta turistica molto gettonata.
“Sì, sono a posto, grazie. Mi può fare il conto, per piacere?”
Be', per lo meno non aveva passato l'ennesima domenica pomeriggio chiusa in casa a rileggere il manuale di Pozioni Avanzate. Magari avrebbe potuto fare un giro in cento, prima di riprendere l'autobus che l'avrebbe riportata a casa: avrebbe potuto perdere un po' di tempo nel negozio di dischi, ma non aveva molti risparmi da parte, e la cosa l'avrebbe solamente frustrata.
La cameriera tornò con il conto, e mentre restituiva a Lily il resto, indicò con un cenno il posto che era rimasto vuoto al suo tavolino:
“Non sono affari miei, ma ho avuto anche io la tua età: la prossima volta, non perdere nemmeno tempo con una seconda ordinazione. Se qualcuno ti fa aspettare oltre il primo caffè, significa che non ti merita.”
Lily, suo malgrado, si sentì arrossire come un pomodoro: era così palese che ci fosse rimasta male per aver aspettato quasi un'ora come l'ultima delle cretine un idiota che nemmeno aveva risposto alla sua lettera? Del resto, la cameriera aveva frainteso: ci era rimasta male, sì, ma non perché ci teneva a passare del tempo con lui, ma solo perché sperava davvero di poter passare una domenica pomeriggio con qualcuno della sua età, qualcuno che non l'avrebbe presa per una psicopatica se si fosse lasciata scappare un'invocazione alla barba di Merlino.
“Non è... è solo che... devo andare...”, riuscì a balbettare, gettandosi la tracolla della borsa sulla spalla e alzandosi in piedi in tutta fretta, rischiando di far cadere la sedia. La cameriera le rivolse un sospiro mezzo esasperato e mezzo divertito, quando improvvisamente giunse un grido a interrompere la calma pigra di quella domenica d'agosto.
“Evans! Ehi, Evans, scusami! Ho sbagliato autobus, e poi c'era qualcosa che non andava con il mio biglietto, e mi hanno fatto la multa, mi hanno buttato giù e ho dovuto aspettare quello dopo. Sono un inferno, questi aggeggi babbani!”
James Potter, più spettinato che mai e con il viso arrossato per la corsa, comparve sulla soglia del Betty's Corner, facendo voltare i pochi avventori presenti.
Lily, improvvisamente conscia dell'irritazione che la pervadeva, strinse con uno scatto le braccia al petto, sollevando un sopracciglio in direzione del ragazzo. Stava per rispondergli in maniera piccata, quando la cameriera, che aveva osservato la scena con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra, si rivolse di nuovo a Lily:
“Santo cielo, ragazza, ti facevo più sveglia. Uno che ti fa aspettare un'ora perché non sa nemmeno farsi il biglietto dell'autobus non è nemmeno da prendere in considerazione, per quanto possa essere carino.”
A questo punto Lily, vedendo l'espressione mortificata di James, scoppiò a ridere. In effetti, non aveva pensato nemmeno per un secondo che James si sarebbe potuto trovare in difficoltà con i mezzi di trasporto babbano. Non che l'idea di vedere James Potter in difficoltà con qualcosa le dispiacesse particolarmente... Mise a tacere con un gesto brusco la vocina in fondo alla sua mente – così simile all'accento scozzese di Esther – che stava iniziando a sibilare che sì, abbronzato e vestito con noncuranza alla babbana era effettivamente piuttosto carino. Ma ci erano già passate per quella fase, no? Lo scorso anno Esther l'aveva convinta ad ammettere che sì, James Potter poteva essere considerato carino – mai quanto John Pasteur, comunque – ma questo non significava assolutamente niente.
Niente.
Proprio niente di niente.
Salutò con un sorriso la cameriera invadente, sorpassò James e iniziò a percorrere la via che portava al centro della cittadina. Si accorse subito che il ragazzo la stava seguendo, ma per un attimo decise di ignorarlo.
“Evans, dai, scusami! Non ti volevo fare aspettare un'ora, davvero! Remus mi ha spiegato tre volte cosa dovevo fare, e fino alla parte del treno è andato tutto liscio, sono stati gli autobus a confondermi! E dire che secondo i miei calcoli sarei dovuto arrivare con mezz'ora d'anticipo!”
Lily si fermò di colpo, cercando di trattenere una risata. A ben guardare, non era tutta colpa di James, sarebbe stato crudele fargliela pesare così tanto. Ma sarebbe stato anche divertente.
“D'accordo, basta, facciamola finita. Io non ne posso più di stare seduta al tavolino di un bar, andiamo a cercare una panchina per fare quello che dobbiamo fare.”
Vedendo il ghigno sul viso del ragazzo, Lily si pentì subito della sua scelta lessicale.
“Agli ordini, Evans. Ricordami di preciso che cosa dovremmo fare io e te su una panchina? Perché se vuoi qualche suggerimento, io ce l'ho, eh.”
Lily decise di non raccogliere la provocazione – non se voleva riuscire a parlare almeno dieci minuti dei compiti di un Caposcuola prima di affatturare James Potter e trasfigurarlo in un tappeto elastico al centro del parco – e si avviò a passo rapido verso il piccolo fazzoletto di verde al centro della cittadina.

I due camminarono per un po' in un silenzio vagamente imbarazzato, con grande stupore di Lily: non era facile vedere James Potter tenere la bocca chiusa per più di cinque minuti, ma in effetti qui si trovava fuori dal suo territorio. Nessuno lo conosceva, non c'erano i suoi amici a spalleggiarlo e ad aspettarsi qualcosa da lui, e non c'erano sguardi ammirati. Sarebbe stato interessante vedere come si sarebbe comportato da solo, in un ambiente in cui non sapeva muoversi. Interessante per puro amore della conoscenza, ovviamente, non perché a Lily interessasse davvero qualcosa di James Potter.
E comunque, ubriachi o no, Silente e la McGrannitt avevano decretato che Lily avrebbe dovuto passare un buon numero di ore a pattugliare i corridoi e aiutare gli studenti più piccoli proprio in compagnia di James, e questa era sicuramente un'altra situazione del tutto aliena a James Potter, quindi conoscere il comportamento del nemico in un ambiente nuovo e ostile le sarebbe sicuramente tornato utile.
Raggiunsero il centro del parco – d’accordo, chiamarlo parco sarebbe stata decisamente un grosso complimento: sporco fazzoletto verde era decisamente un nome più appropriato – e Lily indicò una delle panchine dall'aria più solida.
I due si sedettero, mantenendo una certa distanza tra di loro, e James, schiarendosi la voce, esordì:
“Allora, Evans, dimmi tutto: sono pronto a carpire tutti i tuoi segreti per diventare un Caposcuola perfetto.”
Lily lo guardò scettica, e chiese:
“Innanzitutto, come sta Remus? Immagino si aspettasse che sarebbe stato lui, il nuovo Caposcuola.”
James arrossì un po', ma dissimulò subito il suo imbarazzo.
“Be', ce lo aspettavamo tutti, in effetti, e anche se non lo ammetterà mai credo che sotto sotto ci sperasse. Di certo se lo sarebbe meritato di più.”
Disse quest'ultima frase con una sincerità sconcertante: non c'era traccia di gelosia o risentimento, era semplicemente la verità. Lily lo osservò, incuriosita, poi tornò a guardare la sgangherata giostrina che cigolava sotto le spinte di due bambini, qualche metro più in là. La verità era che, nonostante la sorpresa, Lily non era stata del tutto spiazzata dalla scelta di Silente e della McGrannitt. Certo, Remus sarebbe stato la scelta più logica e sensata, e sarebbe stato sicuramente un ottimo Caposcuola, però James Potter, nonostante si impegnasse tantissimo per sembrarlo, non era del tutto un idiota: era un ragazzo molto intelligente, e quando si applicava riusciva tranquillamente a prendere ottimi voti senza troppi sforzi – e nell'ultimo anno aveva decisamente preso a impegnarsi di più. E poi, inutile negarlo, nel corso del sesto anno era cambiato, e non solo per quanto riguardava il suo rendimento scolastico: aveva smussato certi atteggiamenti da bulletto arrogante, aveva smesso di dare per scontato che l'intera scuola fosse interessata a quello che lui diceva e pensava, ed era diventato decisamente più maturo. E anche simpatico, e quasi piacevole, almeno quando era da solo.
Non che Lily sarebbe mai stata disposta ad ammettere una cosa del genere davanti a lui o a qualunque altro essere umano, questo era ovvio.
“Comunque, quando ho fatto vedere la lettera a mia madre, prima ancora di complimentarsi anche lei ha chiesto di Remus. Dev'essere una congiura.”
Lily rise sommessamente, immaginando la scena.
“E i tuoi? Esistono i Caposcuola anche fra i babbani, no?”
James aveva parlato con tono curioso, senza la minima traccia di disprezzo nei confronti dei suoi genitori. Ultimamente Lily era diventata attentissima a cogliere queste sfumature sulle labbra della gente: era impossibile negare la nascita di un sentimento di odio nei confronti dei Nati Babbani, e così, per non rischiare di dire qualcosa di fraintendibile, la gente spesso aveva smesso di fare qualsiasi riferimento alle origini babbane di alcuni di loro. Evitavano l'argomento, distoglievano lo sguardo, facevano finta di niente. Lily capiva che non c'era cattiveria in questo atteggiamento, ma lo trovava comunque deprimente e discriminatorio. Fu grata quindi a James per la naturalezza con cui aveva chiesto dei suoi genitori.
“Be', sì, in un certo senso, diciamo. I miei sono stati contenti, ovviamente, siamo anche andati al ristorante per festeggiare.”
Lily si rabbuiò un pochino al pensiero di quella sera, e a come Petunia si era rifiutata di andare con loro, lanciandole epiteti che difficilmente avrebbe dimenticato.
“Ho chiesto qualcosa che non dovevo chiedere? Scusami!”
James doveva aver frainteso la sua aria cupa, e Lily, presa da chissà quale istinto, si ritrovò a raccontare di come Petunia aveva detto che si rifiutava di festeggiare l'incoronazione di sua sorella a Regina degli Strambi in una scuola di pazzi furiosi. Dopo episodi di quel genere, Lily cercava sempre di chiarire le cose con sua sorella, ma quella volta si era stancata. Aveva risposto a tono, pentendosene subito, ma non le aveva mai chiesto scusa.
“Ma che figlia di...”
“Petunia è figlia di mia madre, James.”
Il ragazzo arrossì fino alla radice dei capelli, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso sudato.
“Oh... Oh! Scusami, ovviamente non intendevo che...”
Lily scoppiò a ridere, beandosi del suo imbarazzo.
“Lo so, avevo capito, tranquillo.”
Lily iniziò quindi a spiegargli brevemente i compiti di un Caposcuola e quelli dei Prefetti - la cui attività loro avrebbero dovuto organizzare - ma ben presto la conversazione prese strade diverse, e i due si ritrovarono a chiacchierare allegramente della scuola, dei loro compagni e dei professori, e di quello che avrebbero voluto fare una volta usciti da Hogwarts.
Lily era turbata: si stava divertendo. Si stava divertendo davvero, e non solo perché, dopo un mese di segregazione in casa, finalmente passava del tempo con un compagno di scuola, ma si stava divertendo perché James era divertente. Era divertente e brillante, ma non nel modo artificioso e un po' arrogante che assumeva quando c'era qualche compagno di scuola a guardarlo. Certo, qualche volta assumeva qualche posa da galletto sicuro di sé, ma era, appunto, una posa, uno scherzo, e ne era consapevole lui stesso.
Perché doveva mortificarsi a quel modo, quando era in compagnia d'altri? Se fosse sempre stato così, come si stava mostrando in quell'afoso pomeriggio di inizio agosto, forse lo avrebbe considerato con uno sguardo diverso. Insomma, ormai erano su quella panchina da circa un'ora, e nemmeno una volta Lily aveva sentito l'impulso di schiantarlo o trasfigurare la sua carnagione in un bel verde brillante. Quasi le sembrò di risentire nella testa la voce di Esther:
“Dai, Lily, secondo me ora potresti anche uscirci, almeno una volta! Guarda che ho visto benissimo che quando Lumacorno vi ha messi a lavorare assieme sul Distillato della Morte Vivente avete passato tutta l'ora a parlare e a ridacchiare!"
Ma, ovviamente, l'essere diventato improvvisamente un briciolo più maturo e intelligente non significava certo che Lily ci sarebbe uscita assieme. Anche perché, dopo lo scorso San Valentino, James aveva smesso del tutto di insistere, e l'aveva lasciata in pace, fatta salva qualche battutina che però sembrava più a beneficio dei suoi amici e di eventuali compagni di classe, che suo. Lily immaginava che quello facesse parte del processo di maturazione, anche se, doveva ammettere, una piccola, minuscola parte di lei aveva cominciato a sentire la mancanza del suo vano insistere. Forse perché l'ultima volta che le aveva chiesto un appuntamento lo aveva fatto quando erano soli, senza fare battute e tenendo lo sguardo basso...
Lily cercò di scacciare questi pensieri, ma una sottile, insinuante vocina – decisamente, quella non era la voce della sua coscienza: era la voce di Esther! – le sussurrò che alla fine con James Potter ci era uscita, ci stava uscendo proprio ora.
No, era una cosa diversa: questo non era un appuntamento. Pochi giorni dopo aver ricevuto la lettera e la spilla da Caposcuola, aveva ricevuto una lettera da Remus, in fondo alla quale James aveva aggiunto una postilla di suo pugno:
“Congratulazioni, Evans, ma non avevamo alcun dubbio. Ora ti toccherà parlarmi almeno un paio di volte alla settimana, mi dispiace per te! Remus si rifiuta di spiegarmi come funziona tutta questa menata di Prefetti, ronde, sistema di punti e sorveglianza, quindi se prima o poi tu volessi regalarmi un'ora del tuo tempo e spiegarmi cosa devo fare con questa bella spilletta, io e tutta la scuola te ne saremmo immensamente grati.
J.P.”
Lily aveva alzato gli occhi al soffitto, ma poi, in preda alla noia, ed evidentemente un colpo di calore che doveva aver danneggiato per un attimo le sue preziose sinapsi, aveva strappato la pergamena che avanzava dalla brutta copia del suo saggio di Aritmanzia e aveva scritto a James, dicendogli che se davvero era interessato ad essere un Caposcuola decente, lei avrebbe potuto dargli un paio di dritte, e l'avrebbe trovata quella domenica alle tre al Betty's Corner, Cokeworth.
Lui non aveva mai risposto a quel biglietto, ma era venuto. Con un'ora di ritardo, ma era arrivato.
Dunque era solo un incontro in preparazione della loro futura attività scolastica, non era un appuntamento.
“Ho sempre pensato che dopo aver preso i M.A.G.O. avrei provato a fare qualche provino per una qualche squadra professionistica, ma ora non ne sono più così sicuro.”
Lily lo guardò, incuriosita: era convinta che a James non interessasse altro oltre al Quidditch, ma era evidente che lo conoscesse pochissimo.
“Potter, dopo un solo anno da Capitano stai già perdendo il tuo smalto?”
James sorrise, pulendosi gli occhiali con l'orlo della maglietta.
“Scordatelo, Evans. Se quest'anno riesco a trovare un sostituto decente a Bennett, Grifondoro sarà imbattibile.”
Lily scosse la testa: se c'era una cosa che proprio non era mai riuscita a comprendere del mondo magico, era questa passione smisurata per un gioco così assurdo: insomma, tutti che si affannavano a svolazzare in giro, segnare punti e rischiare di ammazzarsi con i bolidi, quando l'unica cosa davvero importante era prendere una stupida pallina dorata.
“E come mai allora non vuoi tentare una carriera da professionista? Hai paura che le orde di fan ti toglierebbero il sonno?”
James scosse la testa, questa volta serio.
“No, è solo che... insomma, per carità, il Quidditch è una gran figata e tutto, e fa star bene la gente, ma non è che proprio sia la cosa che fa la differenza per migliorare il mondo.”
Davanti al silenzio attento di Lily, James continuò:
“Non so, non dico di aver le capacità per migliorare le cose, però visto quello che si legge ogni giorno sul Profeta mi sembra che ci siano cose più utili da fare, piuttosto che rincorrere un boccino.”
Lily annuì lentamente: era palese che la situazione politica stesse velocemente precipitando, e che il Ministero fosse molto lontano dal risolvere la questione. Lei stessa si era chiesta come sarebbero state le cose tra un anno, quando lei si sarebbe diplomata. Se davvero avrebbe avuto ancora tutte le strade aperte, o se il suo sangue impuro, sporco, marcio l'avrebbe indicata come una freccia luminosa, rendendola un facile bersaglio per quel branco di esaltati che si proponevano di dare la caccia ed eliminare fisicamente tutti quelli come lei. E allora, si diceva, forse avrebbe dovuto mettere da parte le sue ambizioni - oh, le sarebbe piaciuto tanto cedere alle insistenze di Lumacorno, e accettare i suoi suggerimenti per proseguire una carriera nel campo della pozionificazione! – e fare tutto quello che era nelle sue capacità per aiutare chi cercava di rendere il mondo un posto migliore.
“Hai già in mente qualcosa di preciso?”
James si strinse nelle spalle, senza guardarla in viso.
“No. Be', forse sì, ma direi che è un progetto un po' ambizioso. Voglio dire, fra gli Auror prendono solo i migliori, e dovrei mettermi sotto molto di più...”
Lily sorrise. Be', in effetti diventare un Auror era un progetto molto ambizioso, ma già lo scorso anno James era molto migliorato, a scuola. Non che la scuola fosse la vita reale, quello era ovvio. Quanto a lei... no, Lily era abbastanza certa di non essere tagliata per quel tipo di carriera. Forse qualcosa di ministeriale, magari in qualche ufficio per la relazione con i babbani, in modo da poter cambiare dall'interno del Ministero la percezione dei babbani e dei nati babbani. Ma no, nemmeno quello sembrava abbastanza, non quando la gente moriva agli angoli delle strade. Lily si strofinò la fronte, cercando di scacciare tutta quella preoccupazione. Durante i lunghi pomeriggi passati in solitudine, quell'estate, aveva più volte avuto modo di riflettere sull'argomento, senza riuscire ad arrivare ad alcun risultato concreto. Si era ripromessa di parlarne con la McGrannitt: era certa che la professoressa avrebbe saputo aiutarla a fare chiarezza su quali fossero i suoi talenti e come avrebbe potuto impiegarli al meglio.
“E tu, Evans? Hai già le idee chiare, scommetto. Io ti vedrei bene come Guaritrice.”
Lily scoppiò a ridere, anche se, in effetti, prima dei G.U.F.O. lei aveva letto e riletto decine di volte l'opuscolo del San Mungo. No, decisamente era una strada troppo impegnativa, non era certa di volersi imbarcare in un'impresa del genere. E poi, anche se non l'avrebbe mai confessato a James Potter, il sangue le faceva ribrezzo. Lavorare però nei laboratori del San Mungo, magari in quelli dove si faceva ricerca, sperimentando nuove pozioni per le malattie più complesse, be', quello sarebbe stato un sogno.
“A dire il vero, non lo so. Vedrò in base ai risultati dei M.A.G.O. quali strade mi resteranno aperte.”
James roteò gli occhi, alzandoli al cielo con gesto plateale, come a dire che non avrebbe fatto fatica ad ottenere tutti i risultati che voleva, ma Lily lasciò perdere.
“A dire il vero, più che l'Auror a volte penso che potrei anche fare il papà a tempo pieno. Vorrei una dozzina di bambini, e la mamma sarebbe quella responsabile della coppia, andrebbe a lavorare e quelle cose lì, mentre io starei con i bambini, li farei giocare, li porterei a volare tutti i giorni, li porterei al parco, e tutte le altre mamme mi adorerebbero e invidierebbero mia moglie, perché sarei il padre più figo della zona.”
Lily scoppiò in una risata fragorosa: l'ultima cosa che si aspettava guardando James Potter era immaginarselo circondato da marmocchi con i suoi stessi capelli spettinati.
“Sei proprio un idiota!”
James si strinse nelle spalle, fissando un punto lontano.
“Immagino di sì. Voglio dire, non credo troverei mai una strega tanto pazza da rischiare di trasmettere i miei bellissimi geni a un bambino innocente, no?”
Sì, decisamente una donna doveva essere pazza per pensare di fare un figlio con una persona come James Potter.

Improvvisamente, Lily ebbe un'idea: guardò James, che stava raccontando qualcosa di buffo a proposito di un vecchio zio sordo, e lo interruppe:
“James, hai voglia di vedere un aggeggio babbano? Ti assicuro che è molto meglio degli autobus.”
James annuì, un po' incerto dal brusco cambiamento di Lily, e la ragazza aggiunse:
“Diciamo che è il nostro modo di volare senza usare le scope.”
Questo sembrò convincere del tutto James, che si alzò di scatto dalla panchina, affiancandosi a Lily.
Lily iniziò a camminare a passo svelto verso il lato opposto del parco, sperando che quello che cercava ci fosse ancora: non ci andava più da anni, ma ricordava che quando lei e Petunia erano piccole loro padre le portava in città almeno un paio di domeniche ogni estate, e quella era una tappa fissa.
Lily si voltò appena verso James, che torreggiava allampanato al suo fianco. Possibile che fosse cresciuto ancora, in un solo mese di vacanze estive? O forse le sembrava tanto più alto solo perché in realtà non erano mai stati così vicini: camminando, le loro braccia potevano quasi sfiorarsi. Lily ebbe un mezzo sussulto, e si affrettò a porre un po' di distanza fra lei e James.
Dopo qualche minuto, finalmente svoltarono dietro una piccola collinetta artificiale, e si trovarono davanti a quello che Lily cercava: una ruota panoramica, con i raggi dipinti di un rosso sgargiante e i cestelli gialli che dondolavano pigramente nella brezza. La Lily bambina se la ricordava molto più grande, e dovevano averla ridipinta di recente, perché sembrava nuova. Sul cestello più alto si vedeva una giovane donna con un bambino, che salutava un uomo - il padre, forse? - che era rimasto a terra. Più in basso c'erano una coppia di ragazzi poco più giovani di lei e James, che sembravano piuttosto impegnati a stabilire il record per il bacio più lungo e ininterrotto di tutta la Gran Bretagna.
James la guardò, confuso.
“Si chiama ruota panoramica. Dall'alto si vede, per l'appunto, il panorama, anche se qui non è che ci sia molto da vedere. Quando ero piccola ci venivo spesso, e la adoravo, perché dall'alto si riesce a vedere il quartiere dove vivo.”
Lily fece qualche passo verso la casetta di legno che vendeva i biglietti, ma si fermò quando si rese conto che James non la stava seguendo.
“Che c'è?”
Lui osservo dubbioso la ruota che aveva ricominciato a girare lentamente, per poi tornare a fissare la sua attenzione su Lily.
“Ci vuoi salire?
Lily inarcò un sopracciglio, grattandosi la punta del naso.
“Se ti va.”
James guardò di nuovo i grossi raggi rossi, e chiese:
“Ma è sicura? Immagino non ci siano Incantesimi Frenacaduta né altre norme di sicurezza.”
Lily scoppiò a ridere.
“Certo che è sicura, ci mandano i bambini!” si voltò a passi rapidi, e dopo un attimo aggiunse, con fare malizioso: “Che c'è, hai paura, Capitano Potter?”
A quel punto James si riscosse, passandosi una mano fra le ciocche di capelli spettinati e raddrizzando le spalle.
“Certo che no, chiedevo solo per sapere come funziona la roba babbana”, borbottò, nel tentativo di darsi un tono.
La superò a grandi passi, parandosi davanti alla cassa e chiedendo due biglietti. Lily lo raggiunse in tempo per aiutarlo a contare i soldi babbani, e a litigare bonariamente, perché non voleva assolutamente farsi offrire il biglietto.
Aspettando il loro turno per salire, James voltò la schiena alla ruota panoramica, appoggiando con noncuranza i gomiti alla recinzione metallica, e si voltò a sorridere a Lily.
“E così i babbani passano le loro domeniche a guardarsi intorno su un cerchio per panorami?”
“Si chiama ruota panoramica” lo corresse pazientemente Lily.
“Che cosa cambia? Il significato è quello, no?”
Lily scosse la testa, anche se dovette ammettere che James in un certo senso aveva ragione.
“Ehi, Evans, lo sai che stai bene così, senza l'uniforme?”
Lily arrossì lievemente, improvvisamente consapevole dell'orlo del vestito fresco che le sfiorava le ginocchia scoperte. James non l'aveva detto con tono malizioso, ma con un sorriso che sembrava sincero, guardandola negli occhi. Lily lo ringraziò, sostenendo il suo sguardo: non gli avrebbe dato la soddisfazione di arrossire ulteriormente, si disse. La solita vocina fastidiosamente simile a quella di Esther esultò: Visto? Hai fatto bene a metterti il vestito, invece dei soliti jeans!. Aveva scelto il vestito solo perché quell'estate faceva estremamente caldo, non certo per impressionare James Potter. E si era cambiata due volte prima di uscire solo perché non aveva preso un briciolo di sole, quell'estate, e con la canottiera bianca sembrava un fantasma. Ed era cresciuta molto nel corso dell'ultimo anno, e il vestito azzurro le andava decisamente troppo corto. Il fatto che il vestito rosso che alla fine si era messa le segnasse particolarmente bene i fianchi o facesse risaltare il colore dei suoi occhi non c'entrava nulla, assolutamente nulla.
E se anche alla fine avesse scelto quel vestito perché le stava meglio, lo aveva fatto per sé, perché ogni tanto si meritava si sentirsi un po' più carina del solito, e non certo perché sperava di piacere a lui.
A Lily fu risparmiata la fatica di trovare qualcosa da dire che distogliesse l'attenzione da quello stupido vestito quando l'addetto alle corse aprì il cancelletto e fece loro cenno di avvicinarsi al cestello più basso. Lily vi salì abilmente, mentre James fu più lento e sospettoso.
Quando, con un brontolio e un dondolio la ruota si mise in moto, James afferrò di scatto il parapetto, guardando Lily con gli occhi spalancati.
“Sei certissima che sia normale che faccia tutto questo rumore?”
Lily annuì, sorridendo.
“Certissima. Fidati.”
James allora si appoggiò allo schienale, e cominciò a guardarsi intorno, incuriosito. Il panorama, come aveva preannunciato Lily, non era un granché: da una parte c'era la città, con i suoi tetti bassi e le case ravvicinate, mente tutto attorno la campagna brulla era interrotta ogni tanto da qualche industria o da un gruppo di case dall'aria monotona, ma la familiarità che quella vista evocava bastò a riempire di serenità Lily.
Quando si fu abituato ai movimenti a scatti e ai rumori, James si rilassò del tutto.
“Certo che sono furbi, questi babbani. I sedili sono sicuramente più comodi di un manico di scopa.”
Lily si accorse troppo tardi di essersi seduta dal lato sbagliato per osservare la sua casa, ma non importava: quando giunsero al punto più alto, si sporse verso James, allungando il braccio e indicando una sottile striscia argentata che spiccava sul paesaggio brullo.
“Lo vedi quel fiume e quel gruppo di case, poco lontano dalla ciminiera? Ecco, io abito lì.” James si sporse a sua volta, curioso, e con un gesto quasi istintivo allungò il braccio destro a circondarle le spalle.
Lily trattenne il fiato, ma si rese conto che la sensazione del braccio di lui attorno alle sue spalle non era poi così spiacevole. Del resto, era un tocco leggero, e lui l'aveva compiuto con apparente naturalezza, senza voler insistere, senza attirarla troppo verso di sé. Non si guardarono né parlarono per il resto del tragitto del piccolo cestello giallo, ma rimasero immobili uno accanto all'altra, entrambi assorti in agitate riflessioni sul pomeriggio appena trascorso assieme.
Quando giunsero a terra, l'aria stava cambiando: si muoveva una leggera brezza, che fece rabbrividire Lily nel suo vestito sbracciato, e la luce aveva iniziato a farsi più dorata, preannunciando l'arrivo del tramonto.
Scambiandosi poche parole, i due si avviarono di nuovo verso la fermata dell'autobus - anche se James dichiarò solennemente che avrebbe trovato un vicolo appartato e avrebbe chiamato il Nottetempo, perché si rifiutava di imbarcarsi di nuovo in un viaggio simile a quello dell'andata.
Lily gettò una rapida occhiata all'orologio, e annunciò che il suo autobus sarebbe arrivato entro cinque minuti.
“Ci metti tanto a tornare a casa?” chiese James, osservando curioso le automobili sfrecciare lungo la via.
“Oh, no, solo un quarto d'ora.”
“Bene, almeno non devi rientrare col buio.”
Lily sorrise, pensando che una strega con la bacchetta a portata di mano correva ben pochi rischi nel mondo babbano, ma rimase in silenzio.
Dopo un attimo di esitazione, James aggiunse:
“Lily, grazie per oggi.”
Aveva parlato a voce bassa, e non c'era nemmeno la minima traccia di ironia o della sfacciataggine dietro cui si nascondeva di solito.
“Figurati, era per la mia incolumità e per la sanità mentale e fisica del resto di Hogwarts, no?”
James annuì, scuotendo la testa, e aggiunse:
“Sì, grazie anche per le dritte da Caposcuola.”
Non c'era bisogno che aggiungesse a che altro si stava riferendo, e così Lily si ritrovò a dire, senza nemmeno rifletterci:
“Grazie a te. Non l'avrei mai detto, ma sono stata bene, oggi.”
Nel momento in cui lo disse, si sentì il sangue affiorare alle gote, realizzando che si trattava della verità. Aveva passato il pomeriggio con James Potter, ed era stata bene.
“Non è che me lo ripeti con davanti tre Strillettere e le mandi a Sirius, Remus e Peter?”
Lily rise, dandogli uno spintone scherzoso.
“Non allargarti troppo, Potter: era pur sempre un incontro di natura scolastica.”
“Mmh. Certo, Evans, come preferisci tu” si chinò verso di lei, e con voce esageratamente seducente aggiunse: “lo sai che a qualsiasi ora tu sentissi il bisogno di un incontro di natura scolastica ad Hogwarts, il mio letto è quello a destra della porta.”
"Sei veramente un idiota!"
Lily fece per colpirlo di nuovo, ma questa volta James fu più veloce, e le bloccò la mano.
“Evans, Evans, che c'è, devo toglierti dei punti prima ancora dell'inizio della scuola? Sai che ora posso farlo, vero?”
Lily scoppiò a ridere, liberandosi in un attimo dalla sua stretta. Aveva visto il suo autobus avvicinarsi dal fondo della strada, e così fu colta da un istinto improvviso - sicuramente un altro colpo di calore, o un accumulo di zuccheri per colpa del frullato dolcissimo del Betty's Corner, o uno scompenso dovuto all'altitudine per l'improvviso giro sulla ruota panoramicafece un passo verso James, e gli posò un rapido bacio sulla guancia.
Sì, sicuramente era impazzita, magari qualcuno l'aveva Confusa per sbaglio e lei non se n'era accorta.
James rimase immobile a fissarla con gli occhi spalancati, e Lily, in preda al terrore che la sua faccia assumesse la stessa tonalità della sua treccia e del suo vestito, scattò verso l'autobus senza nemmeno voltarsi a guardarlo.
Quando stava per posare il piede sul gradino del mezzo, però, gli giunse l'urlo di James:
“Ehi, Lily, domenica prossima io e i ragazzi siamo a Diagon Alley. Ti aspetto alle dieci precise davanti alla Gringott!”
Lily salì sull'autobus senza voltarsi, ma era certa dal suo tono di voce che James stesse sorridendo.
Si sedette nell'ultimo posto in fondo, appoggiando la fronte accaldata al vetro fresco, e non riuscì a trattenersi dal voltarsi a guardare il marciapiedi, mentre l'autobus ripartiva. James era lì, con le mani infilate nelle tasche e lo stesso sorriso di quando lo coglievano sul luogo dove era avvenuto uno scherzo particolarmente teatrale senza però che ci fosse la minima prova ad incastrarlo come colpevole.
Lily sospirò, esasperata, guardando la sua figura farsi sempre più piccola, fino a quando l'autobus fece una curva e James scomparve dalla sua vista.
Be', si disse, aveva sempre odiato fare tutte le spese a Diagon Alley in una volta sola, perché a fine giornata si ritrovava carica come un somaro di buste e sacchetti, e il viaggio di ritorno in treno era un incubo.
E poi, aggiunse tra sé e sé, aveva proprio voglia di salutare Remus prima dell'inizio della scuola.









 
Note:
Come spesso mi accade, ho preso in prestito il titolo a qualcuno che con la scrittura ci sa fare decisamente meglio di me: “Primo amore e altri affanni” è il titolo di una bellissima raccolta di racconti di Harold Brodkey.
Mi sono accorta più o meno dieci minuti prima di pubblicare che, nell'estate tra il sesto e il settimo anno, sia James che Lily erano già maggiorenni, quindi con ogni probabilità si sarebbero materializzati, evitando i mezzi di trasporto babbano. Non so sicuramente avrei potuto trovare il modo di sistemare la cosa, ma ammetto che la scena in cui James si mette nei pasticci con i treni e autobus mi diverte molto, quindi ho deciso di ipotizzare che all'epoca ci fossero regole più severe, e che si potesse fare il corso per la Materializzazione solo al settimo anno, in modo da non escludere nessuno studente nato in estate (non ha senso, lo so).
 
Ci tengo inoltre a specificare che la storia, edita, si è classificata terza al contest "Keep calm e... Fatemi amare la vostra OTP!" indetto da eleCorti sul forum di EFP, e prima al contest "Giuro solennemente di non avere buone intenzioni!" indetto da amicadeilibri sul forum di EFP.
Infine, la storia partecipa al contest "Un fiore per tante eroine" indetto da NevilleLuna sul forum di EFP", con il pacchetto “Primo amore: Primula”.
 
   
 
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