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Autore: Shireith    30/01/2019    2 recensioni
{Ladynoir | (slight?) hurt/comfort psicologico | storia scritta per il contest "Dolce Catastrofe" indetto dagli Ambrogisti Anonimi}
Ladybug non sapeva descrivere cosa le stesse succedendo. Il cuore batteva a un'intensità sempre maggiore e le gote erano arrossate. Conosceva queste sensazioni, eppure... Stava forse accadendo di nuovo? Ma... non era possibile, giusto?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fantasmi del buio

 La schiena era ricurva, i gomiti poggiati sulla balaustra, e gli occhi fissavano l'ignoto. Le genti, laggiù, non sapevano di essere osservate, però li celebravano e li ringraziavano, consapevoli com'erano di essergli debitori della loro stessa vita.
  Una seconda figura si fece avanti, palesandosi dalla penombra, affiancandosi finalmente a lei. La guardò, il cuore se ne innamorò come fosse la prima volta, e le labbra liberarono un sorriso regalato al silenzio, al nulla. Se anche lei l'avesse visto, quel sorriso, mai ne avrebbe colto il significato, perché era complesso e ben celato. Solo le parole potevano sciogliere l'intreccio, ma il fine, non lieto, era sempre il solito. Lei non poteva amarlo, perché il suo cuore l'aveva già rubato un altro. E al suo, di cuore, anche se ferito – dilaniato – andava bene così. Forse stare in sua compagnia era sufficiente. Sì, forse, per essere felice, bastava bearsi del suo sguardo, ora proiettato in alto, dove un mare di stelle attraversava il cielo e lo colmava di una bellezza di cui solo la natura è capace.
  «Come conoscevi questo posto?» La voce era calma e delicata, come se alzarne il tono fosse un affronto.
  «L'ho scoperto per puro caso mentre mi aggiravo da queste parti» rispose l'altro. «Ma è solo quando ci sono tornato una sera che mi sono reso conto di quanto fosse unico e speciale.» Tese una mano nella sua direzione, senza osare oltre. «Lo vuoi vedere?» Invece che rispondere, Ladybug si limitò ad annuire e a seguirlo in silenzio. Chat Noir la colse alla sprovvista quando con una mano le coprì entrambi gli occhi, non permettendole di vedere più nulla. «Ti fidi di me?» sussurrò a fior di labbra – e la risposta era fin troppo ovvia. Chat Noir posò l'altra mano sulla sua spalla e iniziò a camminare, guidando Ladybug sia con la voce che con il corpo. Quando furono finalmente sul posto, il giovane si fermò, l'avvisò che era giunto il momento e ritirò la mano.
  Lentamente, gli occhi di Ladybug si abituarono alla luce. Studiò l'ambiente circostante, ma incontrò solo tetti e case. Poi Chat Noir la invitò a voltarsi e lei obbedì. Come una calamita, il suo sguardo venne immediatamente attratto dalla figura slanciata della torre Eiffel, che irradiava la città come un lume. Il cielo era terso, con le stelle che erano ancora più belle di prima. La luna era sgargiante e perfettamente visibile anche a occhio nudo. Le due fonti di luce, l'una artificiale e l'altra naturale, convivevano in armonia, senza spezzare l'incanto. La capitale offriva i soliti rumori, ma il modo in cui raggiungevano quel piccolo angolo di mondo non li rendeva né invadenti né fastidiosi. Ladybug sorrise ammaliata.
  «Parigi oggi è incantevole, non trovi?»
  Lo osservò con la coda dell'occhio, abbozzando un sorriso alla vista beata e serena del suo volto, come un bambino di fronte al gioco che ha sempre desiderato possedere. «Sì, lo puoi ben dire.»
  Chat Noir si sedette a gambe conserte sull'erba fresca del prato che cresceva sulla cima del terrazzo. «Vengo spesso quassù, da quando ho scoperto l'esistenza di questo posto. Ci vengo per pensare, o perché voglio rimanere solo.» Nel pronunciare le ultime parole, Ladybug udì la voce di Chat Noir incrinarsi in una nota di malinconia e avvertì il cuore contorcersi in una morsa. Decise che non poteva più attendere.
  «Chaton?» Le piaceva quel soprannome. Era dolce. Affettuoso. Intimo, si poteva anche dire. Nessuno lo chiamava mai così, solo lei. Quando, nel sentirlo, il giovane si voltò, la voce di Ladybug si attenuò ancor di più, fino a quasi divenire un sussurro. «Conoscevi per caso qualcuno che è stato coinvolto nell'esplosione di oggi?» Qualcosa nello sguardo del giovane si ruppe. Ladybug si sedette di fianco a lui. Delicatamente, senza chiedere il permesso, poggiò una mano sulla sua spalla e liberò solo e soltanto per lui il sorriso più sincero e amorevole di tutti. «Non sei costretto a parlarne, ma se vuoi farlo... io sono qui.»
  Se chiudeva gli occhi, Adrien era ancora in grado di vedere il corpo del padre accasciato a terra. Poteva ancora sentire il fumo nelle narici e udire le urla assordanti dei civili terrorizzati, o Ladybug che, alcuni metri più in là, chiamava a gran voce il suo nome. Ripensò alla domanda della collega e annuì: sì, ne voleva parlare. Ma, incapace di sostenere il suo sguardo, non si voltò.
  «Come sta?» Chat Noir doveva sostenere da solo il peso di quel macigno che gravava sul suo cuore, e lei non poteva fare nulla se non porgerli una stupida domanda. Si sentì pessima, inutile.
  «Bene, dicono i medici. Si riprenderà, ma ci vorrà un po'. Volevo anche stare con lui, sai? Ma non hanno voluto. E forse non ce l'avrei nemmeno fatta.»
  Per un attimo, cadde su di loro un silenzio che li ricoprì come un lenzuolo. Poi Ladybug azzardò: «Ci sono sempre io. Nessuno mi ha invitata stasera, ci credi?» Quando Chat Noir rise, il cuore di Ladybug esultò. Ora come ora, tutto ciò che poteva offrire a Chat Noir erano un briciolo di gioia e di speranza.
  Evitò di dirgli che lei e le sue amiche, di comune accordo, avevano organizzato una festa a cui erano invitati tutti coloro che desideravano passare in compagnia la sera di San Valentino. Adrien, che l'anima gemella ancora non ce l'aveva, si sarebbe sicuramente presentato – ammesso che il padre glielo avesse concesso. Ma se Marinette doveva scegliere tra una buona occasione per confessare il suo amore ad Adrien e l'amicizia con Chat Noir, lei sceglieva fieramente la seconda opzione. Non sarebbe mai stata capace di voltare le spalle a un amico, soprattutto se l'amico in questione era il proprietario di due simpatiche orecchie da gatto.
  «Nessuno ti ha regalato dei fiori, quindi?» tornò a domandare Chat Noir.
  «No, nessuno. Sai, ora che ci penso, credo che tu sia l'unico ad avermeli mai regalati.»
  «E ancora osi negare che io sia il ragazzo che tutte vorrebbero?» commentò l'altro, già pronto com'era nel millantare le sue tanto straordinarie quanto infinite qualità.
  «Uno o due motivi ce li ho» ribatté Ladybug. «Anche cinque, in realtà. Dieci...»
  «Hai centrato il punto.»
  Il silenziò tornò a fargli visita, questa volta con spontaneità, tenendo compagnia ai loro pensieri e cullando i loro animi ancora turbati, uno più dell'altro.
  «Mi aspetteresti qui cinque minuti?» esordì finalmente Ladybug quando un'idea bussò alla sua mente.
  Chat Noir avvertì una stilettata dritta al petto. Evidentemente, credere che Ladybug potesse essere sua proprio quella sera non era che una sciocca illusione. Ma anche se il cuore già piangeva, il giovane si sforzò di sorridere. «Certo che sì» garantì. «Ti sei ricordata di avere un impegno?»
  «No, non proprio» rispose vagamente. «Vado e torno.»
  «Va bene. Ti aspetto qui.»
  Sorrise. «Ne sono certa.»
  Rimasto temporaneamente solo, il giovane tornò a osservare la luna.
  Ladybug fu di ritorno una decina di minuti dopo. Chat Noir la sentì arrivare grazie al fruscio dell'erba. «Tutto risolto?» indagò.
  «Sì.» Prima che Chat Noir potesse voltarsi, Ladybug prese posto dov'era seduta anche prima e disse: «Ho un regalo per te.» L'espressione stupita che assunse Chat Noir in quell'esatto momento era davvero buffa, pensò Marinette tra sé e sé.
  «Per me?» le fece eco l'altro, incredulo.
  Annuendo, Ladybug gli mostrò un fiore. Era una normale rosa rossa, che dava però l'impressione di essere stata conservata con tecniche artificiali. «Immagino che tu non la riconosca» commentò la ragazza.
  Chat Noir sgranò gli occhi verdi quando l'intuizione lo colpì. «È quella...?»
  «... che mi hai regalato tu, sì. L'ho conservata. Mia madre ha fatto lo stesso con il primo fiore che le regalò mio padre. Da lì è nata l'idea.» Inclinò lievemente il capo e osservò la rosa con due occhi che Chat Noir non l'aveva mai vista sfoggiare. Erano calorosi, incoraggianti, carichi di mille sentimenti che non avrebbe saputo descrivere. L'attimo dopo, quegli stessi occhi li regalò proprio a lui, quando guardandolo aggiunse: «Ci tenevo a conservarla perché sei stato il primo in assoluto ad avermi mai regalato un fiore. Ora io lo regalo a te nella speranza che possa farti stare un po' meglio.» Ladybug non sapeva descrivere cosa le stesse succedendo. Il cuore batteva a un'intensità sempre maggiore e le gote erano arrossate. Conosceva queste sensazioni, eppure... Stava forse accadendo di nuovo? Ma... non era possibile, giusto?
  Chat Noir accettò la rosa ghermendone lo stelo tra le sottili e tremuli dita. La osservò intensamente, e in quell'attimo non seppe neanche lui descrivere come si sentisse, se lusingato, eccitato o confuso. Felice, però, lo era sicuramente. Rigirando la rosa tra l'indice e il pollice, finalmente parlò: «Ho buon gusto anche in fatto di fiori, non trovi?»
  Ladybug sorrise. «Anche nel rovinare il momento, se è per questo.»
Les enfants qui s'aiment ne sont là pour personne
Ils sont ailleurs bien plus loin que la nuit
Bien plus haut que le jour
Dans l'éblouoissante clarté de leur premier amour

  Una sera, Chat Noir donava a Ladybug una rosa, e con essa il suo cuore. Più tardi, un'altra sera, Ladybug faceva inconsapevolmente lo stesso. Non si possono amare due persone allo stesso tempo, sostiene la ragione. Ma il cuore ama, capisce, e surclassa così ogni logica.
   
 
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