Anime & Manga > Lady Oscar
Ricorda la storia  |      
Autore: Hikaritokage    31/01/2019    12 recensioni
“Scusami…” mormorò, muovendo un passo per riprendere il libro da terra.
Ma lui si chinò per primo e lo raccolse senza parlare, senza riuscire a smettere di guardarla, continuando a studiare i suoi occhi con ostinata insistenza. Come se in quell'azzurro sgranato cercasse qualcosa, come se inseguisse il filo di strani pensieri che un attimo prima l'avevano travolto e poi erano fuggiti via dalla mente, qualcosa di così simile a certi sogni che sembrano vivi e reali e invece scompaiono appena ci si sveglia. Scompaiono, si dissolvono, e di loro non resta niente tranne una strana inquietudine, e la certezza di avere qualcosa di importante da ricordare senza riuscirci.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

                                   QUALCOSA DI TUO


C'è qualcosa di tuo qui
Il pensiero la attraversò, accompagnato dal tintinnio allegro del campanellino fissato in cima alla porta a vetri, e da quel senso di vuoto allo stomaco che spesso si avverte mancando distrattamente uno scalino.
Le trafisse la mente, violento e inaspettato come un fulmine che taglia in due un cielo d'estate.
C'è qualcosa di tuo qui
La porta si richiuse da sola alle sue spalle, e da una porticina più piccola e defilata si affacciò un uomo, nascosto dal grosso scatolone che stringeva a fatica tra le braccia.
“Salve! Arrivo subito, solo un istante” le disse in tono allegro, la voce appena incrinata dallo sforzo, prima di sparire di nuovo senza darle tempo di rispondere.
Non che lei avesse bisogno di qualcosa, dal momento che non sapeva neppure spiegarsi il perché fosse entrata.
C'è qualcosa di tuo qui
Chiuse gli occhi e scosse appena la testa. Li riaprì, e i pensieri tornarono nitidi e razionali e corsero a suo padre, che in quel preciso istante la stava aspettando.
Suo padre che non tollerava ritardi e contrattempi così come non aveva mai tollerato gli errori, e che di lì a poco avrebbe preso a tamburellare con dita spazientite sulla tovaglia elegante, lanciando sguardi torvi e terrificanti allo sfortunato cameriere di turno.
Suo padre la stava aspettando e lei avrebbe dovuto soltanto continuare a camminare, invece si era fermata, attratta dalla penombra calda e seducente di quel vicolo che si insinuava tra due file di palazzi alla sua destra, e che per qualche ragione assurda e incomprensibile aveva catturato completamente la sua attenzione.
L'aveva percorso senza alcun motivo, come se non potesse farne a meno, lanciando occhiate incuriosite alle vetrine dei negozi e ai portoni e alle finestre tutto intorno, soffermandosi sui disegni armoniosi delle ringhiere in ferro battuto, sui davanzali traboccanti di fiori e su quelli spogli, sorridendo a un gatto pigro che si stiracchiava sul marciapiede sottile e venato di crepe, notando come da lì il traffico si sentisse già molto meno, e i rumori e le luci giungessero quasi ovattati.
L'aveva percorso finché non si era trovata davanti a quella piccola libreria, e lì si era fermata di nuovo, e di nuovo senza una ragione.
Forse erano state le rose, bianche e bellissime si arrampicavano sulla parete incorniciando un lato della vetrina, avviluppate al loro esile sostegno in un intreccio rigoglioso di petali e spine.
Erano state le rose, e lei non era riuscita a trattenere l'impulso di entrare.
Lasciò correre lo sguardo prima al bancone deserto, poi a quella porticina rimasta socchiusa sul retro e infine agli espositori ingombri di libri, ad accarezzare i titoli sconosciuti e quelli che invece conosceva bene, libri che magari aveva letto per caso o soltanto per ingannare il tempo e altri che aveva profondamente amato.
Continuò a guardarsi intorno e a passare in rassegna quelli che le capitavano a tiro, gironzolando per il negozietto senza un motivo né una logica, finché tra i libri per ragazzi le cadde l'occhio su quello che era stato il suo preferito da bambina.
Con un sorriso impossibile da trattenere, uno di quei sorrisi che nascono spontanei difronte a un vecchio amico incontrato per caso dopo tanti anni, lo prese dallo scaffale e lo rigirò qualche istante tra le mani. Aprì le pagine in un punto a caso, per il gusto di rileggere qualche frase, di ritrovarsi tra le righe, ed era completamente immersa nella lettura quando l'uomo comparve di nuovo alle sue spalle.
“Serve aiuto?” le domandò, con cortese distacco, mentre si avvicinava.
Lei scosse il capo senza nemmeno guardarlo, continuando a sorridere e inseguire i ricordi tra le parole che leggeva.
Quando finalmente si decise a voltarsi verso di lui, il sorriso scomparve e il libro le cadde dalle mani.
C'è qualcosa di tuo qui
Non se ne accorse nemmeno, non si rese conto che le dita avevano lasciato la presa, non sentì il tonfo sordo sul finto parquet del pavimento. Non sentiva nulla, non vedeva più nulla, non c'era più mondo intorno.
Soltanto lui.
Soltanto lui, soltanto il verde intenso del suo sguardo e la dolcezza disarmante del suo sorriso ancora bambino, e i suoi capelli neri come una notte di promesse sospirate tra i baci sotto il cielo di luglio, soltanto il suo viso scolpito da sempre sul fondo di ogni pensiero sommerso o cosciente, soltanto il suo nome da gridare invano mentre il sole tramontava per l'ultima volta, mentre l'anima restava sola e si strappava a metà.
Soltanto lui e il suo nome, quel nome, un nome che non aveva suono e sapore né forma concreta, che cercava di uscire ma era rimasto lì intrappolato nel nodo che le stringeva la gola. Soltanto lui e pensieri intrecciati in un groviglio di immagini sfocate e confuse, una vertigine spaventosa che la trascinava giù, in un luogo sconosciuto dove però era già stata.
Facendo appello a tutte le sue forze, alla sua razionalità che doveva pur esserci ancora da qualche parte, riuscì a prendere un respiro profondo e a mettere di nuovo a fuoco la realtà.
E in quel respiro la vertigine svanì, così come era venuta, portandosi via tutto e lasciandola confusa, vuota, stordita, a chiedersi cosa fosse davvero successo senza trovare risposta.
“Scusami…” mormorò, muovendo un passo per riprendere il libro da terra.
Ma lui si chinò per primo e lo raccolse senza parlare, senza riuscire a smettere di guardarla, continuando a studiare i suoi occhi con ostinata insistenza. Come se in quell'azzurro sgranato cercasse qualcosa, come se inseguisse il filo di strani pensieri che un attimo prima l'avevano travolto e poi erano fuggiti via dalla mente, qualcosa di così simile a certi sogni che sembrano vivi e reali e invece scompaiono appena ci si sveglia. Scompaiono, si dissolvono, e di loro non resta niente tranne una strana inquietudine, e la certezza di avere qualcosa di importante da ricordare senza riuscirci.
Fu lei a distogliere lo sguardo, rifiutando il libro che lui le porgeva, dicendo di essere in ritardo, che non c'era più tempo, che era davvero il caso di andare.
Lui non riuscì a rispondere nulla e la lasciò scappare via, imboccare l'uscita a passo svelto senza voltarsi indietro, e si avvicinò alla vetrina per seguirla con gli occhi ancora qualche istante, finché gli fu possibile.
Restò fermo lì, incapace di fare qualsiasi altra cosa, immobile come il tempo che aveva smesso di scorrere, a fissare il punto esatto in cui lei era sparita.
Si rese conto di stringere ancora a sé il libro e soltanto allora tornò sui suoi passi, senza fretta. Raggiunse lo scaffale per riporlo, ma prima lo osservò a lungo, indugiò ancora rigirandoselo tra le mani, e alla fine aprì una pagina a caso.
In quel momento, il campanellino in cima alla porta risuonò di nuovo nel silenzio. E lui alzò gli occhi di scatto, trattenendo il respiro.
Si trovò davanti la sua fidanzata, con delusione sottile la guardò entrare come una furia scarmigliata e sospirare platealmente, lasciando cadere a terra la borsa.
“Lo so, lo so… ho fatto tardi" sbottò, sbuffando via un ricciolo biondo che le era ricaduto sul viso, “… ma non sai che giornata, sono distrutta!"
Lui fu costretto a schiarirsi la gola un paio di volte, prima di riuscire a parlare. “Possiamo rimandare la cena… posso chiamare la nonna e...”
“No no!” tagliò corto lei, “Anzi, sbrighiamoci a chiudere”.
La guardò ancora un momento, con la testa ovattata e il cuore che gli rimbombava nelle tempie, lo stomaco stretto in una morsa dolorosa.
La guardò, tentò di metterla a fuoco senza riuscirci davvero, poi gli occhi tornarono al libro:

” Voi siete belle, ma siete vuote”, disse ancora. ” Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messa sotto la campana di vetro, perché è lei

“Devo fare tutto io?” lo incalzò lei, spazientita, mentre già armeggiava con la cassa. Lui annuì, senza alzare lo sguardo dalla pagina:

che ho riparato col paravento. Perché su di lei ho ucciso i bruchi (salvo due o tre per le farfalle). Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa”.
E ritornò dalla volpe.
“Addio", disse.
“Addio", disse la volpe. “Ecco

“Allora? Non startene lì imbambolato, è tardi!”
Lui sussultò e chiuse il libro di scatto, per poi riporlo in fretta e prendere in cambio un paio di bei respiri profondi, prima di tornare finalmente lucido e presente.
Con tutto se stesso cercò di togliersi di dosso il peso che lo schiacciava, di nascondere le sensazioni che minacciavano di soffocarlo, ma non ci riusciva. Così come non riusciva a parlare, limitandosi a rispondere per tutto il tempo con cenni distratti del capo e mugugni vaghi, sentendosi colpevole per questo ma non potendo fare altrimenti. Così, qualche minuto più tardi, mentre camminavano insieme verso la macchina parcheggiata, lei si fermò di colpo e gli afferrò la mano.
“Che hai?” gli chiese, in un tono serio e ansioso che non le si addiceva.
Lui si ritrovò a fissarla in silenzio, incapace di mettere insieme parole di senso compiuto che potessero spiegare come si sentiva. Svuotato, smarrito, intrappolato in una nebbia densa di pensieri che gli rimbalzavano in testa come schegge impazzite, e non avevano capo né coda.
“Non lo so…” ammise. Ma poi vide lo sguardo di lei farsi cupo, come un cielo limpido che si annuvola all'improvviso, e allora si sforzò di sorridere.
“Non ho niente, Christine... sono solo stanco" aggiunse, augurandosi di risultare convincente.
Lei rispose a quel sorriso incerto con uno sollevato, sincero, innamorato, e lo attirò a sé per sfiorargli le labbra in un bacio leggero, appena accennato.
“Ti amo" gli disse poi, con la semplicità e la naturalezza di una dolce abitudine.
Ti amo anch'io, avrebbe voluto risponderle lui, come mille altre volte le aveva risposto. Ma in quel momento proprio non ci riusciva.
La stringeva tra le braccia, ma era distante.
La guardava, ma vedeva solo le sfumature vermiglie di un tramonto di sangue. E in quelle sfumature di luce densa e appiccicosa ci era rimasto invischiato, e di quel sangue gli pareva di sentire l'odore, avrebbe potuto giurare di sentirne il sapore, dolciastro e ferroso in fondo alla gola.
E su tutto sentiva l’eco di una voce, una voce che lo chiamava, che gridava il suo nome da un luogo davvero troppo lontano.
Lì c'era qualcosa di suo. Qualcosa di prezioso, essenziale, qualcosa che gli era stato strappato via e che adesso rivoleva indietro.
C'era qualcosa di suo, e soltanto lì voleva riuscire a tornare.
Lì, da lei che lo chiamava, che l'avrebbe chiamato per sempre.
In quel luogo sconosciuto dove però era già stato.

 

 

 

 

 

 

 

Eccomi di nuovo qui dopo tanto tempo, con una storia che ho scritto in una sera ormai lontanissima, e che non ho mai avuto modo di rivedere e sistemare.
Sono successe tante cose nel mentre, ma alla fine ce l'ho fatta a rimetterci mano, perché ci tenevo. E ringrazio infinitamente chiunque abbia speso un po' del suo tempo tra queste righe.
Due piccole note:
Il libro è ovviamente “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry, il mio preferito da bambina. L'ispirazione è venuta da lì.
Christine, invece, l'ho presa in prestito dalla Gaiden di André. Mi dispiaceva per quella bambina innamorata, per quella promessa fatta di nastrini e ghiande e mai mantenuta, e volevo darle una possibilità di essere felice. Ma ho paura che tra loro due non durerà ancora per molto. Non è lei il vero amore di André, povera Christine, neanche in un'altra vita.
Grazie ancora a tutti per essere arrivati fin qua!

Elly

 

 

   
 
Leggi le 12 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: Hikaritokage