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Autore: Justice Gundam    31/01/2019    1 recensioni
Quello che per un variegato gruppo di avventurieri comincia come un viaggio in incognito e una missione di recupero di poche pretese, si rivela essere invece soltanto una parte di un vasto intrigo che li porterà a confrontarsi con il lato oscuro del loro paese, e con antichi misteri che si credevano ormai dimenticati. Ispirato alle sessioni di Pathfinder che gioco assieme ai miei amici.
Genere: Avventura, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Pathfinder: L'Ascesa della Follia
Una fanfiction di Pathfinder scritta da: Justice Gundam

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Capitolo 9 – Ricerca nelle paludi del Bo

 

Quella sera, Nerenzio Ungaro, direttore dell'orfanotrofio La Casa Della Pietà, non si sentiva particolarmente affamato. Aveva semplicemente mangiato una pagnotta e un po' di frutta, per poi rinchiudersi nel suo ufficio, in preda a chissà quali pensieri… e si era messo seduto alla sua scrivania, a passare in rassegna i suoi registri alla fioca luce di un paio di candele.

I suoi occhi scorsero i nomi dei bambini, fino a raggiungere quelli dei due scomparsi. Matilde e Bastiano. Soltanto due nomi. Molti dei piccoli ospiti, in effetti, non avevano neanche un cognome. Figli di prostitute, di famiglie povere che non avevano di che sfamarli, orfani di qualcuna delle piccole guerre che ogni tanto si combattevano tra i piccoli feudi di Tilea. Tutti bambini che non avrebbero avuto altro posto in cui andare. Nerenzio ormai era abituato a questa realtà. Per lui, quelli erano due nomi come tanti altri. L'unica cosa che li contraddistingueva dagli altri, era una nota in rosso che lui aveva apposto, diversi giorni prima, accanto ai nomi dei due bambini scomparsi.

DISTURBATORE

Nerenzio prese un respiro profondo, e passò l'indice sulla scritta in rosso, lo sguardo perso nel vuoto. Dov'erano finiti, quei due? Che cosa diamine era andato storto? Accidenti a lui quando aveva deciso di affidare quel lavoro a qualche vagabondo prezzolato… ma non aveva molta scelta, del resto. Il suo istituto aveva pure una facciata pubblica da mantenere, e il rischio, fino a quel momento, era valso la candela. Se i suoi intermediari si fossero fatti catturare, almeno lui poteva plausibilmente negare di avere qualsiasi cosa a che fare con loro. In fondo, che importava che fine facessero un paio di mocciosi che nessuno voleva?

Mentre era così immerso nelle sue riflessioni, una suoretta dell'istituto bussò alla porta del suo ufficio, e il direttore alzò la testa, nascondendo abilmente un brivido di apprensione. “Ehm… signor direttore?” chiese la giovane suora con esitazione, come se avesse appena visto qualcosa che l'aveva intimorita. “C'è… un signore che desidererebbe parlare con lei… ha detto… di… di essere venuto da parte del Quadrifoglio Bianco. Sì… sì, così ha detto. Devo… ehm… farlo entrare?”

Nerenzio strinse nervosamente una mano al proprio fianco. Erano arrivati prima di quanto lui avesse previsto… inutile tergiversare, meglio affrontare il problema, e cercare in qualche modo di togliersi da quell'antipatica situazione. “Lo faccia entrare, suor Margherita. Ed è pregata di andarsene subito dopo.”

Ebbe quasi la sensazione di sentire il cenno che la suora fece con la testa, e pochi istanti dopo, un individuo dall’aria misteriosa e tetra fece il suo ingresso nell'ufficio, con un suono di passi pesanti che incrementò ancora di più l'apprensione del direttore. Senza una parola, la figura si avvicinò – un uomo alto ed imponente, con addosso un ampio vestito e un cappello dalle larghe falde che oscurava parzialmente il suo volto dal naso aquilino e dagli zigomi acuti. In tre passi, l'uomo arrivò alla scrivania di Nerenzio, e vi appoggiò sopra un biglietto sul quale era disegnato un simbolo – un quadrifoglio dai petali bianchi.

“Buonasera…” disse Nerenzio dopo alcuni secondi, cercando di rompere il ghiaccio e darsi un po' di animo. Sperò soltanto che quel tizio non avesse percepito qualche tremito nella sua voce.

“Buonasera, direttore Ungaro.” Esordì lo sconosciuto. Il tono era formale, ma si sentiva il ferro dietro la seta. “Arguisco che lei è già al corrente del motivo della mia visita, quindi non mi dilungherò in eccessivi preamboli. Ho il suo permesso di sedermi?”

“Prego… si accomodi…” rispose Nerenzio con aria tesa, sentendosi come se una giuria stesse per decidere il suo destino.

Senza una parola, l'individuo sospetto prese una sedia di legno di noce, e vi si accomodò, piazzandosi proprio di fronte alla scrivania di Nerenzio, e guardandolo dritto negli occhi. “Molto bene, direttore. Lei sa che mancano solo tre giorni al termine che siamo stati disposti a concederle.” Affermò con voce profonda. “Lei ci ha assicurato che avrebbe rispettato i termini di consegna, ma fino a questo momento,  non abbiamo visto nulla di concreto. Lei è sempre stato puntuale, e in cambio, noi abbiamo sempre rispettato i patti. Certo lei non può lamentarsi del bonus che le abbiamo versato per i suoi precedenti servigi. Quindi le chiedo, a cosa si deve questo disguido in questa particolare occasione? È una consegna che i miei superiori hanno richiesto con particolare insistenza.”

Passarono alcuni secondi prima che Nerenzio riuscisse a trovare le parole giuste per rispondere. “Io… io stesso non so cosa pensare. Non è certo per mia cattiva volontà che la consegna non è ancora stata fatta. Lo sapete che sono sempre stato puntuale e preciso. L'unica cosa che mi viene in mente… è che forse gli intermediari che ho assoldato… potrebbero aver avuto dei ripensamenti.”

Tra sé, Nerenzio maledisse quell'imprevedibile eventualità. “Merda… che cazzo gli è saltato in mente, a quel mezzorco e alla sua raccolta di rifiuti semiumani?” pensò rabbiosamente. “Non si è fermato a pensare che avrebbe messo nei casini me? Vorrei averlo tra le mani…

Per nulla mosso a compassione dalle scuse di Nerenzio, il visitatore continuò il discorso. “Dunque non si è accertato dell'affidabilità dei suoi intermediari, prima di lasciare loro questa incombenza? Questo è comunque colpa sua, se ne rende conto.” Proseguì. “Come le ho detto, i miei superiori hanno un bisogno urgente di quei soggetti, e la loro assenza rappresenta uno spiacevole inciampo per il progetto che stanno portando avanti. Se dovessero arenarsi a causa di una sua disattenzione, le conseguenze per lei sarebbero… alquanto spiacevoli. Se ne rende conto, spero.”

“Io… sto già prendendo provvedimenti per risolvere questo inciampo.” Rispose Nerenzio. “Sono sicuro che il nuovo gruppo che ho assoldato eseguirà il lavoro senza ulteriori ritardi, e riporterà qui i due soggetti. Sarò in grado di mantenere la consegna fra tre giorni, glielo garantisco. E in ogni caso… mi sono già premunito in caso si verificasse il caso peggiore. Le garantisco che questa volta non ci saranno errori.”

“Bene, riferirò quanto lei mi comunica ai miei superiori.” Concluse l'uomo col cappello. Si alzò dalla sedia con un gesto deciso, e prese una delle falde del suo copricapo per fare un saluto rispettoso… ma nei suoi movimenti e nel suo tono permaneva una non troppo velata minaccia. “Finora lei non ci ha mai deluso, e ci affidiamo alla sua competenza anche in questo caso. Tuttavia, sappia che scaduta la delazione che le abbiamo concesso, non ci appagheremo più di ciarle. Direttore Ungaro, l'onorevole Rocco Villanova le manda distinte ossequie.” 

“La ringrazio…” riuscì a mormorare Nerenzio, e il sinistro messaggero fece un cenno di saluto, e si allontanò senza dire una parola, lasciando il direttore della Casa della Pietà nel bel mezzo del suo studio vuoto e semibuio. Finalmente, l'uomo riuscì a tirare un sospiro di sollievo e si accasciò senza forze sullo schienale della sua sedia, prendendo una serie di respiri profondi per calmarsi e cercare di riorganizzare i pensieri.

“Stavolta… stavolta non ci saranno errori. Non ce ne saranno. Il mio futuro dipende da questo.” Balbettò tra sé, mentre gettava uno sguardo al simbolo del quadrifoglio bianco che giaceva sulla scrivania, sinistro avvertimento di cosa lo avrebbe aspettato se non fosse riuscito a fare quello che gli veniva richiesto. Scacciò dalla testa quel pensiero. Non doveva pensare a quello… doveva pensare che tra poco quei dannati mocciosi gli sarebbero stati riconsegnati. E questa volta, non li avrebbe lasciati scappare. Costi quel che costi, chiuderli in uno sgabuzzino, legarli mani e piedi ai loro letti, avrebbe fatto in modo che non se ne andassero mai più.

Sentendosi esausto per le ansie della giornata, Nerenzio aprì un cassetto della sua scrivania e ne tirò fuori una bottiglietta di liquore, dalla quale prese un breve sorso. Per quella sera, aveva solo voglia di rilassarsi e pensare che sarebbe andato tutto bene. Quel gruppo di ragazzini gli avrebbe riconsegnato i marmocchi entro breve…

 

**********

 

Non era stata esattamente quella che il gruppo di avventurieri esordienti avrebbe definito la migliore giornata possibile per una spedizione in barca a remi verso la foce del più grande fiume di Tilea. La temperatura era scesa di colpo, anche a causa di una pioggia improvvisa che aveva colpito la regione di Grisborgo… e i ragazzi, dopo aver pagato per le due barche a remi che il proprietario della Bagnarola aveva riservato per loro, erano stati costretti a legare tra loro le imbarcazioni e tenersi vicini alla riva per ridurre i rischi. Più di una volta, mentre navigavano verso la loro destinazione nella speranza di trovare ancora qualche traccia, avevano corso il rischio di rovesciarsi per il cattivo tempo, e solo l'applicazione di prudenza e di quel po' di abilità di navigazione che avevano era riuscita a far loro raggiungere la destinazione.

“Ecco… credo che ci siamo. Più avanti di così non possiamo andare…” affermò Nisa nel momento in cui le due barche arrivarono in vista di un isolotto ricoperto di erba di palude alta fino alle ginocchia di una persona normale, martellata da una fine pioggerella che penetrava nelle ossa del gruppo di avventurieri esordienti. La giovane elfa druida riusciva a vedere un po' meglio dei suoi compagni, e in lontananza, riusciva a distinguere una costruzione, probabilmente un mulino abbandonato o qualche altro edificio di questo tipo. “Cerchiamo un posto dove ormeggiare… e poi cominciamo a dare un'occhiata in giro.”

“Questo posto non mi piace, miao…” affermò Sotero, la cui pelliccia era già arruffata e umida. “Dovevano proprio andare a rifugiarsi qui?”

“Dove loro più difficili da trovare.” Rispose Iaco, per poi scendere dalla barca assieme al resto del gruppo. Dario e Maria si occuparono di legare le barche ad un ormeggio improvvisato, un palo di legno in condizioni non certo ottime che spuntava dalle acque limacciose. Da lì in poi, il fondale si sarebbe fatto troppo basso per proseguire a remi.

I ragazzi fecero quanto potevano per nascondere le barche in mezzo alla vegetazione, e dopo aver controllato che il loro equipaggiamento fosse a posto, cominciarono ad incamminarsi, con Nisa che prendeva la testa del gruppo e li guidava verso la costruzione che aveva visto poco prima. Era ancora immersa nella foschia e parzialmente occultata dalla pioggia, ma anche dalla loro posizione, Nisa poteva vedere che era un edificio di dimensioni abbastanza importanti, e si chiese cosa ci faceva in mezzo a queste paludi insalubri.

Con circospezione e cercando di restare in silenzio il più possibile, i sei avventurieri continuarono il loro cammini verso la costruzione, e notarono che il terreno cominciava lentamente ad inclinarsi e a salire man mano che si avvicinavano. Tuttavia, fu un altro il particolare che li allarmò e li fece fermare poco dopo aver cominciato la salita…

“Aspettate…” sussurrò Dario, alzando appena un po' una mano per fare cenno ai suoi compagni di fermarsi. “Non… non sentite anche voi? Non vi sembra di sentire delle voci?”

“Voci? No, io non sento niente…” rispose confusa Maria, con una mano dietro un orecchio per cogliere meglio i rumori.

Tuttavia, Iaco riuscì a sentire meglio, e alle sue orecchie arrivarono delle voci distanti… chiaramente umane. C'erano altri esseri umani, da quelle parti? “Maria! Iaco sente qualcosa! Non è impressione, noi non soli qui!” sussurrò il coboldo.

Le orecchie a punta di Nisa scattarono un paio di volte, e anche l’elfa confermò quello che Dario aveva sentito. Riusciva a sentire alcune voci che discutevano, anche se erano ancora troppo distanti per capire di cosa parlassero… e la ragazza elfica non riuscì a scuotersi di dosso la sensazione che ci fossero degli imprevisti molto seri…

Ritenendo che fosse prudente aspettare e sincerarsi di cosa si trattasse, prima di fare qualsiasi altra mossa, i ragazzi si spostarono dalla posizione relativamente scoperta in cui si trovavano, e si piazzarono in mezzo ad alcuni alberi dai fusti contorti, sperando di avere tempo e modo di capire di cosa si trattasse, prima di tentare qualche altra mossa. Una volta sicuri di essere al riparo da chiunque potesse vederli, i giovani avventurieri cercarono di dare un'occhiata verso il pendio che si stavano accingendo a percorrere.

“Vedete qualcosa lassù?” chiese Pandora, tenendo Sotero tra le braccia. Il famiglio affondò nervosamente le unghie nel vestito della giovane fattucchiera, e mosse la coda come una frusta.

Dario diede una sbirciata oltre il tronco dell'albero più vicino, ma la pioggia che cadeva fine ma insistente, e la foschia che aleggiava, rendevano difficile vedere cosa ci fosse sopra la collinetta. Tuttavia, qualcosa c'era, su questo non c'erano dubbi… c'era qualcun altro, oltre a loro, ma chi poteva essere?

“Non siamo soli, da queste parti.” Affermò il ragazzo. “Strano, avrei detto che questo posto non fosse esattamente un luogo in cui la gente si trattiene a lungo. A meno che, ovviamente, non abbiano qualcosa di importante da fare?”

“Voi crede loro anche qui per bambini scomparsi?” chiese Iaco, stando bene attento a tenere la voce bassa. Il silenzio inquietante che aleggiava sulla palude avrebbe reso più facile sentirlo se non fosse stato attento a questo…

La sua compagna e protettrice afferrò la sua ascia, come se avesse intenzione di sbarazzarsi da sola di qualunque pericolo potesse esserci. “A questo punto, non possiamo escludere nulla.” Disse la giovane dai capelli neri. “Lasciate che ci pensi io. Vado lassù, vedo cos'è, e se si tratta di un pericolo, lo faccio a fettine.”

“Aspetta. Non così in fretta.” La fermò Pandora, prendendola per una spalla. Con un po' di riluttanza, Maria si trattenne e tirò un sospiro irritato, guardando la fattucchiera bionda e il suo famiglio con l'aria di voler chiedere loro cosa avessero in mente. “Io dico che prima di farci vedere, è meglio sapere il più possibile di quello che abbiamo davanti. Se poi dobbiamo combattere… beh, allora potrai scatenarti, non trovi?”

“Non avrei saputo dirlo meglio.” Replicò Dario con un sottile sorriso.

Maria non fu troppo contenta dell'idea, ma una semplice occhiata ai suoi compagni le fece capire che anche loro consigliavano prudenza, e accettò il loro giudizio. “Bah… Okay, fate voi. Che cosa suggerite?” chiese con un grugnito.

Dario e Pandora si scambiarono uno sguardo di intesa, e il ragazzo cominciò a pensare a cosa si potesse fare per avvicinarsi furtivamente a… qualsiasi cosa fosse quello che avevano davanti. “ Hmm… io un'idea ce l'avrei, ma vorrei sentire anche la vostra opinione.” Disse infine.

Gunter disse di sì con la testa. “Okay, ragazzo, sentiamo. Cosa proponi di fare?”

 

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Restare fuori a fare la guardia nel bel mezzo di una palude umida e malsana non era esattamente il modo in cui qualcuno vorrebbe mai passare il tempo. E sfortunatamente, era proprio quello che era capitato ad un terzetto di individui dall'aria non troppo raccomandabile che in quel momento stavano seduti su delle pietre che avevano disposto a semicerchio attorno ad un falò di cui non restava che qualche debole carbone ardente. L'umidità del luogo entrava nelle ossa e rendeva l'aria fredda, mentre i tre individui cercavano in qualche modo di passare il tempo.

“Mi sono rotto le palle di attendere qui. Che cazzo stanno facendo lì rintanati?” sbottò uno dei tre, smuovendo le ceneri del falò con un ramoscello che poi gettò nelle fiamme ormai quasi spente, ravvivandole ancora un po'. “Quanto sarà difficile pigliare due marmocchi e altri tre deficienti?”

“Ti devo ricordare che quelli hanno già fatto fuori tre dei nostri?” rispose amareggiato un altro individuo, un uomo allampanato, con un orecchio solo e il naso schiacciato. “Abbiamo già visto cosa accade a prendere sottogamba quelli lì, e non voglio essere io il prossimo a schiattare. Non vengo pagato per farmi ammazzare, io.”

“Secondo me, abbiamo fatto male ad accettare quella proposta.” Continuò il terzo, stringendo i denti per il dolore mentre si rimetteva a posto una fasciatura insanguinata che gli avvolgeva la parte superiore del braccio destro. “Non so da dove diavolo vengano quei mocciosi… ma la marmocchia mi ha lasciato un segno che non mi scorderò più, dannata…”

Il primo che aveva parlato grugnì infastidito. “Lo sai che è stato il capo a decidere, noi possiamo solo stare zitti ed obbedire.” Affermò. “Nemmeno io avrei accettato, ma il capo voleva farsi bello con i Villanova, sai com'è. E quindi eccoci qui.”

“Smettetela di lamentarvi come due somari sovraccarichi!” rispose il secondo. “Sentite, è andata così, e non possiamo farci niente ormai. Tenete gli occhi aperti, da queste parti non ci bazzicano certo in molti, ma non possiamo permetterci di correre rischi. Lo sapete che ci hanno raccomandato segretezza per questo lavoretto.”

“Sì, d'accordo…” affermò stancamente il primo che aveva parlato, riprendendo di malavoglia il suo compito e passando in rassegna il paesaggio che si vedeva da lì, seminascosto dalla bruma. “Non è che si veda granché in ogni caso, con questa foschia. Come hai detto tu, noi siamo gli unici babbei che se ne vanno in giro per questo schifo di posto… mentre il capo e gli altri, quanto meno, se ne stanno al coperto là dentro.”

I tre individui gettarono un'occhiata vagamente invidiosa all'edificio davanti a loro – un magazzino ad un solo piano dall'aspetto dimesso e abbandonato, che doveva aver smesso di funzionare già da tempo. Stando a quanto avevano detto i loro colleghi, tuttavia, nei suoi sotterranei si trovava un più ampio complesso di passaggi e stanze segrete, ed era probabilmente lì che coloro che stavano cercando si erano rifugiati. Ora, quello che veniva da chiedersi era quanto tempo sarebbero stati là dentro i loro compagni, prima di riemergere con i bambini.

Ma mentre i tre loschi individui restavano là a discutere, il silenzioso Sotero era riuscito ad avvicinarsi non visto a quell'accampamento di fortuna, e sentire buona parte di quello che stavano dicendo. Una volta convinto di aver sentito abbastanza, il famiglio scivolò nuovamente tra le fronde e le erbe alte, e tornò dalla sua padroncina e i suoi compagni, dopo aver fatto un po' di slalom tra la vegetazione.

Una volta assicuratosi di non essere stato seguito, il gatto nero sgusciò fuori dal suo nascondiglio e zampettò vivacemente verso Pandora. La giovane fattucchiera si aspettava già che il suo famiglio sarebbe tornato in quel momento, visto che era già rivolta al punto da cui era emerso, e lo accolse prendendolo in braccio e coccolandolo!

“Sotero! Vecchia palla di pelo, com' è andata?” sussurrò Pandora. “Sei riuscito a scoprire qualcosa?”

“C'è stato bisogno di aspettare un pochino, ma l'idea di Dario ha funzionato, miao!” rispose il felino nero, e fece al ragazzo biondo un segno di intesa che quest'ultimo ricambiò con decisione. “Ascoltate, sono solo in tre lassù, gli altri sono tutti in quel grande edificio sulla collina. Stanno cercando i bambini scomparsi… e a quanto pare, anche quelli che li accompagnavano… quell'elfa e quel mezzorco di cui ci dicevano.”

“Interessante. Se sono solo in tre, allora possiamo coglierli di sorpresa e metterli fuori combattimento senza troppi problemi.” Affermò Nisa. “Se poi riusciamo a farli parlare, e ci dicono cosa stanno facendo esattamente, meglio ancora.”

Pandora annuì entusiasta verso la sua amica. “Bene… Sotero, pensi di poterci dire come avvicinarci a quei tre senza essere visti? Se riusciamo a prenderli alla sprovvista, credo di sapere come metterli fuori combattimento.”

Il gatto nero disse di sì con la testa e saltò giù dalle braccia di Pandora. “Seguitemi… c'è un pendio su un lato di quella collinetta, che da lì non riescono a vedere facilmente. Potrete avvicinarvi abbastanza da lanciare qualche incantesimo.”

Iaco fece un sorrisetto arguto. “Ottimo! Iaco crede che Pandora ha già buona idea in mente…” affermò, stando dietro al gruppo mentre si avvicinavano alla collinetta, restando fuori dal campo visivo delle sentinelle…

 

***********

I minuti passavano con lentezza, quasi svogliatamente. Per le tre sentinelle lasciate a guardia della collinetta, era un compito talmente noioso che quasi desideravano che succedesse qualcosa di pericoloso, anche soltanto per spezzare un po' la monotonia di quel posto di guardia. Uno di loro, deciso almeno a sgranchirsi le gambe, si alzò dal suo posto e si incamminò verso l'edificio abbandonato al quale erano stati messi a guardia, sbuffando sonoramente mentre un soffio di pesante aria di palude gli arrivava alle narici.

“Hey, che stai combinando?” chiese il tizio con un orecchio solo, alzando la testa dalle ceneri del falò che cercava in qualche modo di ravvivare.

“Si può almeno muovere due passi?” rispose spazientito l'altro. “Se proprio dobbiamo restare a guardia di questo posto, almeno non voglio farmi venire il culo piatto.”

I suoi due compagni guardarono verso il cielo, ma ammisero che aveva ragione. Senza attendere la loro risposta, il terzo individuo riprese a passeggiare svogliatamente lungo il perimetro dell'edificio, volgendo di tanto in tanto qualche sguardo ai muri parzialmente ricoperti di muschio, alla terra umida sotto i suoi stivali, o al paesaggio nebbioso che sembrava sospeso nel tempo. Sperava soltanto che i suoi colleghi là dentro si sbrigassero, e gli dessero la possibilità di levare le tende.

Dopo qualche secondo passato in silenzio, si voltò verso i suoi due compagni…

…e non fece in tempo a dire quello che doveva, prima che entrambi scivolassero in un sonno profondo, di punto in bianco! Senza nessun apparente preavviso, i due uomini iniziarono a barcollare, le loro teste penzolarono in avanti… e infine, entrambi si addormentarono e cominciarono a russare!

“Ma che caz… che state facendo, voialtri due? Vi mettete a dormire?” esclamò incredulo. “Se il capo arriva e vi vede, ci prendiamo dieci frustate ciascuno!”

“Stai calmo, amico. Le frustate sono l'ultimo dei tuoi problemi, in questo momento!” lo apostrofò una convinta voce maschile, appartenente ad un ragazzo biondo che era apparso all'improvviso da un angolo dell’edificio a cui facevano la guardia. Con sgomento, l'individuo sentì la mano di Dario stringergli la spalla, mentre altri sconosciuti apparivano dal ciglio della collinetta – una graziosa ragazzina bionda, con gli occhi di colore diverso e i capelli legati a coda di cavallo, accompagnata da un grosso gatto nero, e da un piccoletto alto appena un metro, il cui volto da rettile, ricoperto di squame blu, era parzialmente oscurato  da un cappuccio di tela grezza.

“Il metodo è un po' brusco, lo ammetto.” Disse una giovane e bella donna dai lunghi capelli neri e la carnagione olivastra, apparendo a sua volta dallo stesso punto di Dario. Pandora e Iaco stavano procedendo a legare polsi e caviglie dei due uomini addormentati accanto al fuoco. “Ma non siamo qui per fare amicizia con voi. Piuttosto, dovremmo fare un discorso con voi… chi siete, e cosa ci fate qui? State cercando quei bambini scomparsi, vero?”

“Lo… lo sapete già?” chiese l'uomo, ma la sua sorpresa durò solo pochi secondi. “Dovevo immaginarlo… le voci circolano, dopotutto. Sì, stiamo cercando proprio quei marmocchi, cosa ve ne frega?”

“Guarda caso, noi siamo stati assunti per ritrovarli.” Spiegò Pandora. Nisa e Gunter apparvero dietro di lei, e ora il gruppo al completo si era riunito in cima alla collinetta. “E voi… chi vi ha mandati? Trovo un po' difficile credere che li stiate cercando perché siete preoccupati per quei bambini.”

Per qualche istante, l'uomo fu tentato di correre il rischio e mentire… ma all’ultimo momento, esitò e decise che in fondo non valeva la pena di essere troppo testardi. In fondo, si disse, c'erano molti altri lavori per cui avrebbe potuto farsi pagare…

“Siamo… siamo stati pagati da qualche pezzo grosso per ritrovarli e consegnarglieli.” Rispose, esitando ancora a specificare il nome del mandante. “Ci hanno pagati, e noi facciamo il lavoro per loro. Tutto qui. Mi sembra semplice, no? Anche voi siete stati pagati da qualcuno, no?”

Dario provò un certo fastidio nel sentirsi paragonato a quella gentaglia, ma non disse nulla – in fondo, era vero che anche loro stavano cercando Matilde e Bastiano dietro compenso. “E chi, esattamente, sta cercando quei bambini? Perché, onestamente, trovo bizzarro che, chiunque sia questa persona, si disturbi a pagare qualche avanzo di galera per farseli consegnare… che cosa c'è sotto?”

Il malfattore esitò davanti alla decisione con cui Dario parlava. “E… e io cosa cazzo ne so? Dovresti chiedere al capo… è lui che ha trattato con quella gente!” rispose. “Noi ci limitiamo a fare il lavoro, e prendere la grana!”

“Non credo che sapremo molto di più da questa gente.” Affermò Gunter, che aveva appena finito di legare gli altri due e si accingeva a fare lo stesso con il terzo. “Comunque, gli altri tuoi compagni sono là dentro, vero? Bene, allora… chi è il tuo capo? È lì dentro, vero?”

“Tsk… sì, proprio così…” grugnì l'uomo, mentre il nano cominciava a legargli i polsi. “Lui… si chiama Sebastiano Sansovino… ho sentito dire che viene da una famiglia di ricconi… ma i suoi fratelli si sono presi quasi tutta l'eredità, e lui… ha deciso di rifarsi e di entrare nelle grazie dei Villanova. Sapete chi sono, vero?”

“Ancora quel nome…” mormorò tra sé Dario. Anche Pandora corrugò la fronte, ricordando cosa era successo la prima notte a Grisborgo con quel ladruncolo di nome Bertoldo. “Sì, i Villanova si stanno facendo un certo nome, da alcuni anni a questa parte.”

“Ma allora… Villanova volere bambini? Strano…” rispose Iaco. “Cosa servire due orfani per famiglia di mafia? Certo, utili da addestrare… ma qui ci essere parecchio che non torna!”

Nisa scosse la testa mentre Gunter finiva di legare il terzo mariuolo. “Ci sono molti punti oscuri, in effetti… forse è meglio andare là e scoprire esattamente come stanno le cose.” Affermò, guardando l'edificio davanti a sé con apprensione appena percettibile. “Certo… non prima di aver sistemato questi tre…”

“Tranquilla, amica mia, sono sicura che non ci daranno più fastidio.” Rispose Pandora con un ghigno soddisfatto mentre osservava il tizio legato accanto a Gunter, che assunse un'espressione nervosa e preoccupata…

 

**********

 

Pochi minuti dopo…

“Yaaaaawn! Maledizione, ho preso un colpo di sonno…” biascicò uno dei tre individui, svegliandosi dal sonno magico nel quale Pandora lo aveva fatto cadere. “Aspetta che forse è meglio se…”

Non fece in tempo a dire altro. Cercò di alzarsi in piedi, ma non riuscì neanche a sollevarsi a causa delle robuste corde che gli legavano mani e piedi, e finì a terra come un sacco di patate!

“Aaaargh! Ma cosa…” finalmente, si svegliò del tutto e si guardò attorno, cercando in qualche modo di liberarsi dalle corde… e vide che i suoi due compagni erano seduti con la schiena al muro del luogo a cui facevano la guardia, entrambi legati come lui. “Hey! E voi due che state combinando? Cosa ci fate là, legati come due salami? Venite a liberarmi!”

I suoi due compagni grugnirono all'unisono per il fastidio. “Aspetta e spera…” borbottò uno dei due.

 

***********

 

Con un rumore fastidioso, ciò che restava di una credenza tarlata scivolò davanti alla porta della stanza, in modo da bloccare l'accesso, e le due persone che l'avevano spostata si presero un attimo di tempo per riprendere fiato. “Uff… ecco fatto. Per adesso, almeno, siamo al sicuro.” Disse uno dei due, che alla fioca luce di alcune candele si rivelò essere un uomo alto e robusto dai lineamenti grezzi, con la pelle di un bizzarro colore verde dalle sfumature grigie, e la bocca più grande del normale, dalla cui mascella inferiore spuntavano due lunghi canini. Era vestito in maniera alquanto grezza, con pesanti abiti e scarpe da lavoro, e una giacca di cuoio non molto ben tenuta, e i suoi capelli erano neri, sporchi e spettinati.

“Questo almeno li terrà fuori per un po', e abbiamo più tempo per organizzarci…” rispose una voce femminile acuta, appartenente all'altra persona che aveva aiutato ad ostruire l'ingresso – una bambina di circa undici anni, vestita per gran parte di verde, con i capelli castani legati in un paio di lunghe trecce, e il viso spruzzato di lentiggini. Indossava un corpetto di pelle sopra i vestiti, in modo che il torace e l'addome fossero protetti, e ai piedi portava degli stivaletti di un vivace colore viola. Un enorme spadone, lungo quasi quanto lei era alta, era riposto in un fodero sulla sua schiena.

“Non possiamo proprio cercare di uscire dal passaggio segreto?” chiese poi, rivolta alle altre due persone sedute ad un tavolo, nella semioscurità del loro rifugio di fortuna.

Seduta al tavolo, una giovane donna elfica con i capelli biondi legati in una lunga coda, vestita di una camicia bianca con sopra una pesante giacca di stoffa, pantaloni neri e stivali grigi, scosse la testa mentre dava un'occhiata ad una mappa disegnata su un foglio di pergamena ingiallito. “Sarebbe un bel rischio… non abbiamo idea di dove porti quel cunicolo, e potrebbero anche sapere già della sua esistenza. Se così fosse… finiremmo dritti in una trappola.” Spiegò, alzandosi dal suo posto… e rivelando la vistosa cicatrice rossa e violacea che segnava la sua guancia, dove la pelle appariva secca e terribilmente screpolata, come arsa dal fuoco. “Anche se temo che prima o poi dovremo correre il rischio e avventurarci là dentro. Temo che sia la nostra unica vera possibilità di uscire di qui.”

“Ma usciremo di qui, vero?” chiese titubante un bambino, anche lui di circa undici anni, con scompigliati capelli castani lunghi fino alle scapole, vestito in modo simile alla sua coetanea, ma con colori più neutri, gli occhi verdi come quelli della ragazzina, e un piccolo scudo tondo di legno assicurato al braccio sinistro. Camminava con difficoltà, trascinando la gamba sinistra, e la sua espressione tradiva nervosismo ed apprensione.

La bambina con le trecce raggiunse il suo coetaneo e gli diede un finto pugnetto sulla spalla. “Ma certo che usciremo di qui, femminuccia!”  lo rimproverò bonariamente. “Ancora non so esattamente come… ma ce la siamo sempre cavata finora, no?”

Il ragazzino ridacchiò senza mostrare troppa convinzione. “Ehm… solo che le altre volte non eravamo in fuga da un’organizzazione criminale.” Affermò. “Se solo potessimo trovare un altro modo per andarcene da questa trappola…”

L’uomo dalla pelle verdastra – tipico tratto fisico di un mezzorco – si appoggiò con le spalle al muro e grugnì, comprendendo quanto difficile fosse la loro situazione. “Abbiamo già cercato in giro, bambini. Non ci sono altri passaggi… soltanto quel tunnel che porta chissà dove. Non mi fido ad andare da quelle parti, chissà quali pericoli ci sono… aspettiamo ancora un po’, e se davvero non c’è altra scelta… prenderemo quella strada. Non vedo altra soluzione.”

“Se solo potessimo affrontarli… ma temo che siano troppi per noi. Troppi e troppo forti.” Affermò l’elfa dal volto sfregiato, alzandosi dal suo posto e passeggiando nervosamente per il magazzino dismesso.

Con fare impaziente, la bambina afferrò l’elsa del suo spadone, lo estrasse dal fodero, e sferrò un paio di fendenti in aria, sorprendendo gli altri! “Accidenti, se solo avessi avuto un po’ più di tempo per allenarmi con una spada vera! Li avrei fatti a fettine, così!” esclamò, brandendo la pesante arma con facilità sconcertante. Si calmò un attimo dopo e appoggiò la punta della spada sul terreno, sfregandosi poi la fronte con la mano libera e assumendo un’espressione contrita. “Ma… hai ragione tu, Rena, ho visto cosa hanno fatto al vostro compagno, e… Bah, non dobbiamo perdere la speranza! Possono accadere ancora un sacco di cose!”

Il mezzorco scosse la testa. “Purtroppo, non possiamo fare più niente per Ulrich. Dobbiamo solo resistere e cercare un modo per sopravvivere… e magari, sperare che Olidammara ci conceda un miracolo, perché temo che siamo veramente con le spalle al muro, qui…” affermò, gettando uno sguardo ai due bambini che ora stavano seduti sul pavimento, cercando anche loro di pensare ad una soluzione. “Mi spiace di avervi trascinati fin qui. Dovevo immaginare che non saremmo andati molto lontano… quei fottuti Villanova hanno occhi ed orecchie ovunque. Che Asmodeus se li porti.”

“Non perdiamo la speranza, amici.” Ripetè la bambina, decisa a non farsi prendere dallo sconforto. “In un modo… o nell’altro… sono sicura che ce la caveremo. Dico bene, Bastiano?”

Il suo coetaneo sospirò, ma riuscì a ridacchiare un po’ amaramente. Lei vedeva sempre il bicchiere mezzo pieno… “Sai cosa invidio di te, Matilde? Che non ti lasci mai buttare giù…” rispose, e anche il mezzorco e la sua complice fecero un sorriso che riuscì a far dimenticare loro, anche solo per un attimo, la difficile posizione in cui si trovavano…

**********

 

“Okay, ci siamo… Fac Lucem!” esclamò Pandora, muovendo la mano destra in aria ed eseguendo una serie di movimenti per lanciare quel semplice incantesimo. Un attimo dopo, una sfera luminosa si accese sopra il palmo della mano della ragazzina dagli occhi bicolore, illuminando la stanza in cui erano entrati. Iaco, i cui occhi erano abituati all’oscurità, storse il naso infastidito e alzò una mano per non farsi abbagliare.

Alla luce dell'incantesimo di Pandora la stanza in cui il gruppo di avventurieri era entrato apparve come una sorta di magazzino abbandonato, che molto probabilmente non era stato usato da diversi anni. Gli scaffali, le panche e gli sgabelli erano cadenti, il legno corroso dall'umidità e dai tarli; e delle enormi ragnatele tappezzavano gli angoli del soffitto e gli anfratti sui muri, dando un aspetto squallido e trascurato alla stanza. Tuttavia, quello che più attirava l'attenzione di Pandora e dei suoi compagni erano le scale che, partendo da un angolo della stanza, scendevano sotto terra - avvicinandosi con prudenza, i giovani avventurieri riuscono a vedere che erano abbastanza ben tenute, in contrasto con il resto di quel luogo fatiscente, e anzi, dovevano essere stati usati di recente.

"Bene... direi che è il caso di dare un'occhiata da noi." affermò Gunter, mentre controllava che il suo moschetto fosse a posto. Probabilmente non avrebbe avuto modo di usarlo, in un posto come quello, ma sentirlo sulla schiena lo faceva sentire in qualche modo più tranquillo. "Con un po' di fortuna... magari troviamo i bambini, e scopriamo cosa c'è dietro tutto questo."

Maria disse di sì con la testa e afferrò strettamente la sua ascia bipenne. "Occhi aperti, orecchie tese... e tutto il resto. Possiamo dire che questo è il nostro primo dungeon."

 

CONTINUA...

 

***********

 

Note dell'autore: Niente da dire per questo capitolo, se non... che ora abbiamo la conferma che questo caso non è semplice come poteva apparire all'inizio. E che abbiamo finalmente visto il nostro gruppetto di fuggiaschi. Presto vedremo anche da chi stanno fuggendo, e perchè... e allora sì che le vicende cominceranno ad ingranare la marcia!

Le schede dei personaggi cominceranno ad arrivare nel prossimo capitolo. Saranno scritte secondo il formato delle regole di Pathfinder, anche se comunque includerò una sezione per spiegare ai neofiti tutti i termini di cui c'è bisogno. Comunque, dal momento che saranno delle aggiunte a fine capitolo, non sarà necessario leggerle tutte per godersi appieno la storia. Consideratelo un "uovo di Pasqua" per gli appassionati di giochi di ruolo da tavolo come me. XD

Al prossimo capitolo, che spero di poter pubblicare nella seconda metà di Febbraio!

Ci si vede!

 

 

 

  
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