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Autore: Ink_    31/01/2019    1 recensioni
Lunedì:
mi sveglio e cerco di aprire gli occhi, ma le radici che mi stringono le braccia non me lo permettono. Mi scrollo qualche spina dai capelli e prendo il petalo rosso che mi si è infilato sotto la lingua. Lo poggio sul comodino vicino al letto e ne deduco che devo ancora sbocciare.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Flower Power
 
 
Lunedì:
mi sveglio e cerco di aprire gli occhi, ma le radici che mi stringono le braccia non me lo permettono. Mi scrollo qualche spina dai capelli e prendo il petalo rosso che mi si è infilato sotto la lingua. Lo poggio sul comodino vicino al letto e ne deduco che devo ancora sbocciare.
 
 
Martedì:
corro a perdifiato verso casa, sento i polmoni andare a fuoco e le gambe di legno. Api grosse come pugni mi ronzano sulla testa e tentano di strapparmi i capelli. Accelero il passo perché manca poco ormai, vedo la porta azzurra della mia stanza ad un braccio di distanza. Il ronzio si intensifica e ali frullano così forte da farmi sbandare.
Oh ti prego no. Non i colibrì!
Spalanco la porta e mi ci getto contro per chiuderla mentre pungiglioni e becchi penetrano il legno. Guardo la mia porta azzurra e le mie mani ferite.
«Andate al diavolo! L’avevo appena ridipinta quella porta! Andate al diavolo tutti quanti!».
Che giornataccia.
 
 
Mercoledì:
galleggio nella vasca da bagno, il soffitto sopra di me è plumbeo e promette pioggia. Un rosa pallido sfuma le punte delle mie dita mentre grosse rane gracidano e saltano intorno a me mentre un po’ d’acqua straborda ad ogni balzo. Pesci rossi nuotano sotto la schiuma, li sento guizzare tra i capelli.
Un rospo enorme, bitorzoluto e dall’aria sdegnata emerge dall’acqua e salta su una foglia che galleggia vicino alla mia testa. Mi volto per guardarlo meglio e la parte destra del mio viso si immerge. Porta una rozza corona di fango secco e ramoscelli e deduco che sia il re di quelle ranocchie.
Il Re Rospo gonfia la gola e mi fissa con occhi annacquati: «Sembra che stia per piovere» gracida. Un pesce nuota lesto davanti al mio occhio destro.
«Già» dico io mentre l’acqua della vasca mi riempie la bocca.
 
 
Giovedì:
me ne sto a pancia in sù sul letto, la testa in grembo a mia sorella mentre lei mi sfila delicatamente i denti e ne fa una graziosa coroncina. Ne prende uno, piccolo e sottile e se lo rigira tra le dita.
«Ma m’ama davvero secondo te?». Mi limito a fare spallucce.
 
 
Venerdì:
«Ancora una volta»  mi dice La Vecchia Insegnate in tono severo. Appoggio le dita sui tasti e ripeto l’accordo sperando in un risultato soddisfacente.
Schiocca la lingua e sibila «Tremendo. Dov’è la passssione?». La mia mano scatta verso la tasca dei miei blue jeans, dove la tengo di solito. Ma stavolta l’ho proprio scordata e spero intensamente che il Pianoforte non se ne accorga.
«Per oggi può basssstare» dice voltandomi le spalle.
Poggio i palmi sulla tastiera e mi spingo lontano dal Pianoforte. V-a-t-t-e-n-e-! ticchettano i tasti. È un messaggio chiaro se si possiede una rudimentale conoscenza del codice Morse.
Tento di alzarmi, ma ricado violentemente sul seggiolino imbottito: lunghi tralci d’edera mi ricoprono le gambe fino alla ginocchia, le scarpe da ginnastica inghiottite da foglie e radici nodose. Un ramo si allunga serpeggiando lungo la mia coscia mentre piccole foglie brillanti germogliano alle estremità. La Vecchia Insegnante trattiene il mio stesso respiro mentre l’edera raggiunge la tasca vuota.
La presa sulle mie gambe si fa ferrea ed il Pianoforte batte con rabbia i tasti: D-e-v-i (pausa) p-a-g-a-r-e!
La Vecchia Insegnate porta una mano tremante al cuore «Oh cielo! Non un’altra vota! Vado a prendere le cessssoie!». La fermo con un cenno perché sappiamo entrambi come andrebbe a finire. Ci abbiamo già provato.
«Si metta comoda» dico mentre perdo sensibilità nelle caviglie «Resteremo qui per un po’».
E inizio a suonare.
 
 
Sabato:
mi sistemo alcune spighe di grano fra i capelli e torno al tavolino. La piazza è un fermento di colori e luci festose. Mia sorella si siede accanto a me, la gonna color malva e le scarpette a punta.
«Vuoi andare a ballare?». Il mio completo rosso fa un figurone quando ruoto e non vedo l’ora di provarlo. Annuisco. Balliamo in cerchio battendo mani e piedi ed un ragazzo dai capelli d’oro si avvicina. «Non sapevo sapessi ballare» dice.
Qualcuno mi afferra per il braccio e mi allontana «Neanche io!» grido sopra la folla.
«Lascialo perdere quello» mi dicono «È un narciso!».
Arriccio le labbra con irritazione e continuo a girare e girare e girare.
 
 
Domenica:
l’abbassarsi dell’acqua della piscina è deprimente ma non ci faccio quasi più caso. Ruoto lentamente da questa mattina e ormai si è scavato un cerchio nel cemento. Mi alzo in punta di piedi per prendere l’ultimo raggio mentre la linea calda dell’orizzonte sfuma nel nero e penso a quanto sia faticoso morire ogni giorno. Apro la bocca e sento sale e arance di cera. L’acqua clorata ricomincia a salire lambendomi le caviglie ed io mi chino in avanti fino a toccarmi le ginocchia con la punta del naso.

 
 

***
Intanto grazie a chi è arrivato fino a qui. Questo è una sorta di esperimento. Mi sono resa conto che le nonsense che ho precedentemente scritto non sono poi tanto nonsense, ma sono sempre stata dell’idea che se nessuno sa quello che stai facendo allora non puoi sbagliare. Ho cercato comunque di cimentarmi nella scomposizione, di alleggerire così tanto le immagini che avevo in testa da fargli perdere consistenza.
Che si parli di fiori è chiaro anche dal titolo, ma sarei curiosa di sapere, secondo voi a che fiori mi sono ispirata per scrivere alcune scene? 
Spero vi sia piaciuto questo esperimento.

Grazie per la lettura ♥
~Ink

 
   
 
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