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Autore: reila_guren    01/02/2019    3 recensioni
"Magnus andò ad aprire la porta e subito gli sembrò che l'intero loft si riempisse di primavera. Sentiva il profumo dolce dei fiori, il calore del primo sole che scioglie la neve e scalda la pelle, e quell'atmosfera di vita che rinasce gli invase il cuore. Alec era davanti a lui, infagottato nel suo maglione con un buco nella manica, i capelli arruffati e le guance rosse per l'aria fredda della sera."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stava calando la sera su Brooklyn. Magnus avvertiva l'aria frizzante entrare dalla finestra aperta e solleticargli la pelle nuda delle braccia. Era scompostamente disteso sul divano e con il gambo del bicchiere da Martini infilato tra due dita, guardava distrattamente il panorama che si apriva davanti a lui.
Uno dei motivi principali per cui appena arrivato a New York aveva scelto di comprare quel loft, era proprio quella grande finestra che si affacciava maestosa sulla città. Gli piaceva guardare i grattacieli accendersi come alberi di Natale quando calava la notte, e il ponte di Brooklyn, che con il suo imponente corpo d'acciaio sembrava attraversare il cielo senza peso.
Si era sentito irrequieto tutto il giorno e quando lo prendevano questi momenti di inquietudine amava cambiare l'arredamento di casa sua, come se volesse dare un nuovo aspetto alla sua vita. Il moderno e arioso design che aveva mantenuto nell'ultimo periodo aveva lasciato il posto alla sfrontatezza e drammaticità di un ambiente decisamente più barocco. Il divano su cui era disteso era di pregiato velluto di un intenso color borgogna; le tende di broccato d'oro, così pesanti che la brezza che entrava dalla finestra non riusciva a muoverle, toccavano terra creando complesse onde sul pavimento. L'elaborato lampadario di cristallo poi illuminava la stanza, creando tanti piccoli diamanti di luce sulle pareti e sui pesanti tappeti damascati. Era tutto molto, molto, pacchiano e Magnus lo adorava. Gli riportava alla mente gli anni trascorsi a Parigi prima di Camille, quando passava le giornate frequentando i salotti più esclusivi della città, tra l'intenso profumo di cipria delle parrucche, circondato da gentiluomini e nobildonne imbellettate, con gonne così ampie che era difficile camminare tra di loro.
Magnus fece roteare ciò che restava del suo Martini, poi lo bevve in un solo sorso e riempì di nuovo il bicchiere con uno svogliato schiocco di dita. Forse poteva apportare qualche altra modifica all'arredamento per passare il tempo. Qualche lampada, una o due sculture di marmo, una fontana zampillante al centro della stanza magari, o un paio di pavoni addomesticati, giusto per rallegrare l'ambiente. Chissà come avrebbe reagito Chairman Meow alla vista di due pavoni. Magari avrebbero fatto amicizia. Come se gli avesse letto nel pensiero, il gatto emise un basso miagolio di disapprovazione.
Era acciambellato su una paffuta ottomana di velluto e per tutto il giorno lo aveva osservato dar sfogo alla propria irrequietezza, giudicandolo. Perché Magnus era certo che Chairman Meow sapesse perfettamente il motivo del suo turbamento e per questo motivo lo prendeva in giro. Ogni tanto, infatti, il gatto lanciava occhiate alla porta, poi lo guardava beffardo. Come un gatto riuscisse ad assumere un'espressione beffarda andava oltre la comprensione di Magnus, ma lui ci riusciva. I suoi occhi verde-oro, così simili a quelli dello stregone, sembravano dire "lo so che lo stai aspettando, ma tanto non viene". Magnus era molto irritato dal suo comportamento.
-Guarda che lo so che manca anche a te- sbuffò Magnus -Lo vedo come ti strusci attorno alle sue caviglie quando ti porta quei bocconcini di pesce che ti piacciono tanto.- Chairman Meow lo compatì.
La verità era che Chairman Meow aveva ragione, per quanto a Magnus scocciasse ammetterlo. Alec gli mancava terribilmente. Erano ben tre giorni che non lo vedeva e ne sentiva la mancanza fisicamente, come se gli mancasse un arto o qualcosa del genere. Gli mancava svegliarsi con l'aroma di caffè che aleggiava per la casa, gli mancava addormentarsi con le dita intrecciate alle sue e i suoi sottili capelli neri che gli solleticavano il collo. Stavano insieme da troppo poco tempo perché tutto questo potesse essere diventato abitudine, non era nemmeno successo così tante volte che Alec fosse rimasto a dormire da lui, eppure gli mancava. In appena due mesi e tredici giorni che si conoscevano (non che Magnus tenesse il conto, sia chiaro) Alec si era fatto strada nel suo cuore, timidamente e con quell'innocente stupore che lo caratterizzava, e se ne era impossessato. Magnus era completamente fregato.
Era sempre stato eccessivo in tutto, il fatto che casa sua ora assomigliasse alla Reggia di Versailles ne era una dimostrazione lampante, e con i sentimenti non faceva eccezione. Quando Magnus si innamorava, lo faceva in modo completo e totale. Spesso Ragnor lo prendeva in giro definendolo un inguaribile romantico e nonostante Magnus si mostrasse indignato, il suo amico aveva ragione, aveva sempre cercato il vero amore. Certo, aveva avuto parecchie avventure, troppe per ricordarle tutte, ma ciò che voleva davvero era quella persona. Quella a cui dedicare la sua vita, quella che gli avrebbe fatto dire "è lei, non devo più cercare, finalmente l'ho trovata" e ogni volta che iniziava a frequentare qualcuno pensava che fosse quella persona.
Quando aveva conosciuto Camille era stato certo che la vampira fosse la sua anima gemella. La prima volta che l'aveva vista era stato ad una riunione con altri Nascosti e Nephilim e la sua presenza era stata l'unica nota piacevole della serata. La sua figura era avvolta da un meraviglioso abito di taffetà azzurro. L'ampia gonna, tenuta tesa da un'intricata crinolina, metteva in risalto la seducente linea sottile della sua vita stretta in un corsetto e la morbidezza del suo abbondante seno. I vampiri non respiravano, ma Magnus era riuscito ad immaginare perfettamente l'alzarsi e abbassarsi ritmico di quel petto generoso. La sua pelle era di un candore lunare e i suoi capelli biondo platino erano raccolti in morbidi boccoli attorno alla testa. Gli occhi di un verde lucente esprimevano maliziosità e una certa dose di pericolo. Magnus avrebbe dovuto immaginare che quella era una donna dalla quale stare lontanto, ma era sempre stato attratto dalle cose belle e Camille non era bella, era bellissima.
Magnus chiuse gli occhi e appoggiò la testa sullo schienale del divano. Non gli piaceva pensare a Camille, lo deprimeva, ma quando lasciava che la mente facesse riaffiorare i ricordi del suo passato gli risultava difficile sottrarsene.
La sua relazione con la vampira e il periodo che ne era seguito era stato uno dei momenti più bui della vita dello stregone. Camille si era rivelata infatti tanto bella quanto crudele. Magnus l'aveva amata follemente e accecato com'era dai sentimenti che provava per lei, non si era reso conto dell'aridità del suo cuore. Ogni gesto d'amore che le aveva rivolto, ogni sua parola era stata ricambiata da fredda sprezzanza. Ricordava ancora il modo in cui aveva riso di lui quando le aveva detto che l'amava e la leggerezza con cui aveva risposto al suo dolore quando aveva scoperto i suoi tradimenti. Era stata in quell'occasione che Magnus aveva finalmente aperto gli occhi e si era reso conto che quella relazione era deleteria. Camille era stata come un lungo inverno nella vita di Magnus, un periodo arido avvolto dalla morsa del gelo.
Senza più niente, se non i vestiti che aveva addosso, aveva lasciato la casa che avevano condiviso per anni e poco dopo aveva lasciato Londra. Era rimasto in piedi sulla nave a guardare la città allontanarsi e aveva sperato che la nebbia che nascondeva gli edifici avrebbe coperto anche i suoi ricordi.
Gli anni successivi li ricordava in modo confuso. Li aveva trascorsi cercando di buttarsi alle spalle il passato e di tornare ad essere la persona che era stato prima di Camille, passando da una festa all'altra e cercando consolazione con persone di cui il giorno dopo ricordava il viso in modo sfocato. Si era divertito ed era in un certo senso riuscito a dimenticarla, ma a lungo andare quella vita così vuota non gli era più bastata. Quasi inconsciamente aveva iniziato a sentire il bisogno di qualcosa di più, perché in fondo, nonostante Camille gli avesse spezzato il cuore, lui non aveva rinunciato all'amore. C'era voluto un po', ma alla fine l'aveva trovato.
Se Camille era stata l'inverno della sua vita, Imasu era stato una lunga estate. Si erano conosciuti durante uno dei suoi numerosi viaggi in Perù ed era l'esatto opposto di Camille. Imasu sapeva di sole, di lunghi pomeriggi trascorsi a fare il bagno nelle acque del lago Titicaca, di musica e di serate passate a ballare nella piazza del villaggio. Se la risata di Camille era fredda e controllata, quella di Imasu era calda come il sole di Puno. Magnus aveva seguito il suono di quella risata e le note del charango che l'accompagnavano ed era arrivato fino a lui. Gli era bastato vedere la sua pelle abbronzata, i capelli neri arruffati e gli occhi luminosi che ricambiavano il suo sguardo per perdere la testa. L'aveva avvicinato con la scusa di voler imparare a suonare il charango, esperienza che aveva causato non pochi problemi, data la totale assenza del benché minimo talento musicale in Magnus, e la loro relazione era andata avanti tra musica, risate e divertimento. Imasu però a differenza di lui era un mortale e Magnus aveva imparato che era meglio essere cauti nell'affidare il proprio cuore, i propri ricordi e i propri sentimenti a qualcuno destinato a morire, perché quando poi le persone se ne andavano era un po' come se si portassero via tutte quelle cose che avevi condiviso con loro, lasciandoti un vuoto dentro, una mancanza che poi era impossibile colmare e tu restavi in qualche modo incompleto.
Tuttavia Magnus sentiva sempre di più il desiderio di aprirsi e confidarsi completamente con il ragazzo, di parlargli di tutte le volte che gli avevano spezzato il cuore, di tutte le persone che aveva accolto nella sua vita e che poi se n'erano andate. Voleva parlargli di sua madre che si era uccisa, del suo patrigno che aveva cercato di affogarlo, voleva parlargli di suo padre demone e della magia.
Ma improvvisamente Imasu l'aveva lasciato dicendogli che non lo considerava una situazione stabile, che era troppo effimero per poter costruire qualcosa di duraturo con lui. Magnus aveva trovato quasi divertente il fatto di essere definito effimero, lui che sarebbe vissuto per sempre.
Chairman Meow saltò giù dall'ottomana e si acciambellò in grembo a Magnus, riscuotendolo dai suoi pensieri.
-Sì, lo so che non dovrei rivangare il passato, mi fa venire le rughe- disse grattando il gatto dietro le orecchie. Appoggiò il bicchiere sul basso tavolino di marmo e prese in mano il cellulare con aria meditabonda. -Credi che sia il caso di mandargli un messaggio? Lo so che è molto impegnato a causa di Valentine, dei demoni, del suo stupido parabatai, ma magari lo trova un secondo per fare un salutino al suo meraviglioso fidanzato.
In quegli ultimi giorni Alec era stato talmente occupato che a malapena erano riusciti a sentirsi telefonicamente per cinque minuti di fila. Magnus capiva lo stato di allerta in cui tutto il mondo magico si trovava, ma c'era una piccola ed egoista parte di lui che avrebbe voluto avere il suo ragazzo tutto per sé. Guardò l'orologio, erano quasi le undici.
-Gli manderò solo un messaggio. Una semplice buonanotte e niente di più. Non dovrei sembrare troppo patetico così, no?- Chairman Meow si limitò a leccarsi la coda, ma Magnus lo interpretò come un modo di dargli la sua approvazione, quindi iniziò a scrivere il messaggio.
"Buonanotte, Alexander. Mi manchi." Ci aveva messo un po' a decidersi a scrivere quel "mi manchi", temeva che lo avrebbe fatto sembrare troppo sdolcinato, ma alla fine non aveva resistito, anzi, aveva anche aggiunto qualche emoji triste e un cuoricino. Chairman Meow lo guardava inespressivo e Magnus si sentì un po' patetico, ma decise saggiamente che non avrebbe permesso al proprio gatto di giudicare la sua vita sentimentale. Prese in braccio il gatto e si avvicinò alla finestra facendo vagare lo sguardo tra i grattacieli. Vedeva il ponte di Brooklyn illuminato e al di là di esso, da qualche parte, c'era Alec. Chissà cosa stava facendo. Probabilmente stava impedendo al suo parabatai di uccidersi in qualche modo assurdo. Aveva l'impressione che il biondino avesse la straordinaria capacità di rischiare la vita anche solo spazzolandosi i denti. Oppure stava lui stesso rischiando la vita uccidendo qualche demone. Magnus non aveva mai pensato a quanto sarebbe stato difficile stare con uno Shadowhunter, si viveva costantemente nell'ansia di non vederlo più tornare. In un certo senso le relazioni con i mondani erano più facili, avevano un'aspettativa di vita più lunga e correvano molti meno pericoli.
Quasi istintivamente si avvicinò alla sua collezione di vinili e fece scorrere le dita affusolate sui dorsi consumati delle copertine. Ne estrasse uno. La custodia di cartone che lo conteneva era rotta in diversi punti e la superficie nera del disco presentava diversi graffi, tante erano le volte che Magnus lo aveva ascoltato. Era un vecchio disco jazz. La copertina raffigurava un'affascinante donna di colore con un intenso rossetto rosso. Fece partire il disco e le prime note lo portarono via dal suo loft e indietro nel tempo, in un vecchio appartamento di New York a ballare stretto alla donna che cantava. Se chiudeva gli occhi riusciva quasi a sentire il suo delicato profumo alle rose e il rumore dei suoi piccoli piedi scalzi che strisciavano sul pavimento, coperti solo da sottili calze di nylon.
Etta portava con sé i colori caldi e i profumi dell'autunno. Emanava quell'aria di quiete e quella rassicurante sensazione di riposo che segue la folle gioiosità dell'estate. L'aveva conosciuta in un club alla fine degli anni 30 e appena l'aveva vista l'aveva invitata a ballare. Le era bastato quel ballo per innamorarsi di lui, gli aveva detto.
La loro era stata una relazione tenera e affettuosa. Magnus le aveva parlato quasi di tutto, della magia, del mondo dei Nascosti ed era sicuro che la loro storia sarebbe durata finché lei non sarebbe morta, ma purtroppo ad un certo punto Etta si era resa conto di non essere in grado di gestire l'immortalità di Magnus. Voleva una famiglia, dei figli, una normalità che lui non poteva darle. Ne avevano parlato sempre più spesso negli ultimi mesi della loro relazione e sebbene lei dicesse che voleva stare con lui, Magnus sapeva che prima o poi se ne sarebbe andata. Nonostante questo, Magnus l'aveva sempre ricordata con affetto.
Un insistente bussare alla porta lo strappò dal ricordo di quel ballo di tanti anni fa. Era abituato a persone che facevano irruzione a casa sua agli orari più improbabili, quindi non si stupì più di tanto. Con la voce di Etta che ancora cantava in sottofondo andò ad aprire la porta e subito gli sembrò che l'intero loft si riempisse di primavera. Sentiva il profumo dolce dei fiori, il calore del primo sole che scioglie la neve e scalda la pelle, e quell'atmosfera di vita che rinasce gli invase il cuore. Alec era davanti a lui, infagottato nel suo maglione con un buco nella manica, i capelli arruffati e le guance rosse per l'aria fredda della sera.
-Mi mancavi anche tu- disse con semplicità disarmante. I suoi occhi azzurri brillavano come due zaffiri.
Magnus rimase immobile per un po', gli sembrava di sentire gli uccellini cinguettare in lontananza, poi il suo volto si sciolse in un sorriso e lo tirò dentro, stringendolo in un abbraccio.
-Ciao- sussurrò affondando il viso tra i suoi capelli e respirandone il profumo.
Alec ricambiò l'abbraccio appoggiando la testa contro il suo petto. A Magnus piaceva che Alec fosse appena un po' più basso di lui, gli piaceva che il suo corpo potesse avvolgerlo tutto.
-Scusa se sono arrivato così all'improvviso- disse Alec quando si furono staccati. Magnus scosse la testa e lo fece sedere sul divano.
-Hai fatto bene. Avevo davvero voglia di vederti.-
-Anch'io. Mi dispiace non essere riuscito a venire in questi giorni, ma all'Istituto è tutto un casino, non hai idea- le sue occhiaie e il viso stanco testimoniavano che probabilmente non aveva nemmeno avuto il tempo di dormire.
Magnus si sedette accanto a lui e gli strinse le spalle con il braccio.
-Non ti preoccupare. Hai mangiato qualcosa oggi?-
Alec si abbandonò contro di lui e cercando di soffocare uno sbadiglio rispose: -Ho mangiato un pacchetto di cracker stamattina.-
Magnus lo guardò con disapprovazione e gli fece comparire un panino tra le mani. Alec sobbalzò, ma poi gli rivolse uno sguardo di gratitudine e iniziò a mangiare. Tra un boccone e l'altro si guardava attorno.
-Hai riarredato- constatò e Magnus sorrise soddisfatto.
-Sì, ma mi sono trattenuto- rispose ammirando la sua opera. -Volevo aggiungere dei pavoni addomesticati, ma temevo che Chairman Meow non avrebbe reagito bene.-
Alec sorrise divertito e finì di mangiare il suo panino. Quando ebbe finito si pulì i jeans dalle briciole e stiracchiandosi disse: -È meglio che vada. Domani devo svegliarmi presto e se non dormo almeno un paio d'ore non credo che riuscirò a stare in piedi.-
-Dormi qui- suggerì Magnus, -e domani mattina ti mando all'Istituto con un portale.-
Alec sembrò molto soddisfatto di quel suggerimento, infatti si lasciò trascinare verso la camera da letto senza protestare e Magnus, mentre si infilava sotto le sontuose coperte del suo nuovo letto a baldacchino, sentì che era arrivata la primavera nella sua vita.
  
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