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Autore: Yugi95    02/02/2019    0 recensioni
Quando si perde l’unica cosa al mondo che abbia davvero importanza; quando si perde una parte di sé che mai più potrà essere ritrovata; quando si perde l’amore della propria vita senza poter fare nulla per impedirlo… è in quel momento, è in quel preciso momento che si cede lasciando che il proprio cuore sia corrotto dalle tenebre. Si tenta il tutto per tutto senza considerare le conseguenze, senza pensare al dolore che si possa causare. Se il male diventa l’unico modo per far del bene, come si può definire chi sia il buono e chi il cattivo? Se l’eroe, che ha fatto sognare una generazione di giovani maghi e streghe, si trasforma in mostro, chi si farà carico di difendere un mondo fatto di magia, contraddizioni e bellezza? Due ragazzi, accomunati dallo stesso destino, si troveranno a combattere una battaglia che affonda le proprie radici nel mito e nella leggenda; una battaglia che tenderà a dissolvere quella sottile linea che si pone tra ciò che è giusto e ciò che è necessario.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Maestro Fu, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XIV – Oscure presenze

 
Era ormai sera quando Juleka riaprì gli occhi. Rose l’aveva vegliata per tutto il pomeriggio, non si era mai allontanata dal suo letto. Allo stesso modo anche Luka, Mylène, Alix e gli altri si erano dati più volte il cambio: non se la sentivano di lasciare la loro amica da sola. Tornata cosciente, Juleka fu investita da un’esplosione di gioia. I suoi compagni le saltarono letteralmente addosso e la ricoprirono di premurose attenzioni. Non si era mai sentita così bene, così amata. Era la prima volta che qualcuno le dava una tale importanza.

Stretta nella morsa di Rose e suo fratello, non riuscì più a trattenersi. Versò fiumi di lacrime senza nemmeno conoscerne il motivo. Non ricordava nulla di quanto fosse successo alla partita, né della distruzione del campo da Quidditch. Per quanto i suoi amici si sforzassero di trovare una risposta, non furono in grado di far luce sul quel mistero. Di conseguenza, toccò ad Adrien e Katami, entrambi presenti al momento dell’incidente, raccontare ciò che avevano visto. La loro versione dei fatti suscitò grande preoccupazione e un forte senso di colpa nella presunta responsabile.

Un silenzio angosciante calò nella grande infermeria di Hogwarts. Nessuno aveva il coraggio di parlare o contestare ciò che i due Cercatori avevano appena riportato. I singhiozzi di Juleka echeggiavano nel vuoto della stanza, allo stesso modo dei sospiri sconsolati di tutti gli altri. Ad un tratto però il tonfo sordo di un pugno, sbattuto con violenza su un comodino d’acciaio, ruppe quell’atmosfera surreale. I presenti, guardandosi in torno spaesati, iniziarono a chiedersi quale fosse la “fonte” di quel rumore.

«Quindi sei stata tu! La colpa è soltanto tua!»

Quel suono stridulo sferzò definitivamente l’aura di silenziosa sacralità che aleggiava all’interno dell’infermeria. La voce proveniva dal fondo della stanza, a circa un paio di letti di distanza dalla porta d’ingresso. Rimasta volutamente in disparte per tutto il tempo, la piccola Bourgeois se ne stava sdraiata sul materasso a braccia conserte. Oltre Juleka, lei era stata l’unica studentessa ad essere trattenuta. La sua caviglia, a causa del crollo di un pesante traliccio di legno, si era fratturata costringendola ad un riposo forzato.

Il danno era stato talmente grave che la stessa infermiera della scuola, Madame Wilkins, aveva ritenuto più saggio bypassare il protocollo. In quei casi infatti, la procedura comune consisteva nel far rinsaldare le ossa con un incantesimo specifico. Di norma in un’oretta il problema si sarebbe risolto, ma la ragazza presentava un quadro clinico ben più complesso. La frattura era scomposta e numerose schegge d’osso si erano conficcate nella muscolatura. Pertanto si era deciso di rimuovere completamente le ossa della caviglia e della gamba, per poi farle ricrescere.

Chloé era stata avvertita dei probabili effetti collaterali di quella terapia, ma aveva dato l’impressione di non importarsene più di tanto. Agli occhi di Marinette e Adrien, i quali insieme a Luka e Katami l’avevano accompagnata in infermeria, era sembrata stranamente paziente e tranquilla. Era come se qualcosa, o meglio, qualcuno riuscisse a spegnere il suo lato impulsivo e attaccabrighe. Tuttavia l’aver scoperto l’identità del responsabile aveva avuto l’effetto di “riaccendere la miccia” della piccola Bourgeois, che era tornata ad essere la stessa di sempre.

«Chloé non puoi accusare Juleka.» la apostrofò Alya stringendosi inconsapevolmente a Nino, «Non sappiamo ancora se…»

«Taci! È stata lei: Adrien l’ha vista!»

Il figlio di Gabriel Agreste, preso in contropiede da quell’ultima affermazione, cercò di smarcarsi in qualche modo. Non era affatto semplice, in fin dei conti la sua amica aveva ragione: le prove contro Juleka erano incontrovertibili. Era stata lei a distruggere la trave centrale della sottostruttura e quindi a causarne il crollo. Lui e Katami l’avevano vista chiaramente. Eppure, c’era un qualcosa che non gli tornava. Gli occhi vitrei, l’atteggiamento assente: non vi erano dubbi che la ragazza fosse sotto l’effetto di una maledizione. L’unico problema era provarlo.

«Ascolta Chloé… so che sembra difficile da accettare, ma la colpa non è sua.» esclamò, improvvisamente, la Cercatrice dei Serpeverde mostrando più coraggio e determinazione del suo rivale.

«E tu da dove salti fuori? Chi diamine saresti?!»

«Mi chiamo Katami Tsurugi, appartengo alla tua stessa casata.»

«Mai sentita…» glissò la piccola Bourgeois con superficialità, mentre i suoi occhi inquisitori restavano puntati su Adrien.

«Non mi meraviglia: sei così egocentrica che non ti importa di nessuno al di fuori di te stessa!»

«Come ti permetti?!» starnazzò Chloé cercando di mettersi seduta, «Tu non hai idea del guaio in cui ti stai cacciando!»

«Miss “hopapinochefailprimoministro” si sta alterando, forse?» esclamò, sarcasticamente, Alya affiancandosi a Katami per darle man forte.

«Già, quasi mi dispiace che Marinette ti abbia salvato!» aggiunse Alix con cattiveria incrociando le braccia al petto.

La giovane Serpeverde non fu in grado di replicare: l’avevano messa all’angolo e si stavano accanendo su di lei. Si rannicchiò nuovamente sotto le coperte e, girando la testa, nascose ai presenti i suoi occhioni azzurri colmi di lacrime. Le tre si guardarono tra loro soddisfatte. L’essere riuscite a tener testa alla piccola Bourgeois dava una piacevole sensazione di soddisfazione. Gli altri, però, sembravano turbati. Era sbagliato litigare tra compagni, sarebbe stato molto più saggio cercare di capire cosa o chi avesse causato l’incidente.

Nonostante Chloé se lo fosse pienamente meritato, il trattamento che le avevano riservato era oltremodo meschino. Adrien ne era consapevole e non riusciva a convincersi del contrario. Si sentiva colpevole per non averla difesa; ma allo stesso tempo non aveva di certo apprezzato il modo e il tono con i quali la ragazza aveva accusato Juleka. Era combattuto, incapace di decidere la mossa successiva. Tuttavia, bastò poco per farlo tornare in sé. Un semplice tocco sulla spalla e il dolce sorriso della sua amica Marinette, l’unica che aveva capito il suo stato d’animo.

Gli aveva trasmesso il coraggio necessario per compiere il primo passo. Avrebbe rimesso a posto le cose. Era sul punto di muoversi, di raggiungere il letto della piccola Bourgeois. L’avrebbe consolata, le avrebbe fatto capire che il colpevole dell’incidente era lontano, pronto ad orchestrare un nuovo attacco. Non doveva fare altro che sedersi lì, accanto a lei. Qualcun altro però fu più veloce di lui. Senza curarsi degli sguardi sbigottiti dei presenti, si posizionò sul morbido materasso della brandina in ferro e richiamò l’attenzione della sua occupante.

«C-c-cosa vuoi?!» balbettò Chloé trattenendo a fatica i singhiozzi, «Se pensi che ti ringrazi per avermi aiutata, ti sbagli di grosso! Era tuo dovere farlo, io sono la figlia del Primo Ministro.»

«Tranquilla, non ce n’è bisogno. Desideravo solo presentarmi.» replicò pacatamente il ragazzo, accavallando le gambe e mettendosi comodo.

«Cosa ti fa pensare che io voglia sapere il tuo nome?!»

«Ma come diamine si permet…» tentò di protestare la figlia del Signor Césaire, ma Nino le mise una mano davanti la bocca interrompendola.

Evitata per un soffio l’ennesima discussione, i presenti tornarono a concentrarsi sulla piccola Bourgeois e il suo interlocutore. Questi, per nulla indispettito da quell’atteggiamento così spocchioso, sorrise dolcemente. Chloé fu colpita dalla sua reazione, non se la sarebbe mai aspettata. Finché si era scontrata con le altre, era stata sicura di essere dalla parte del giusto. Tuttavia il modo di fare del ragazzo aveva incrinato le sue certezze: la faceva sentire fragile e vulnerabile. Aveva la sensazione che lui volesse esserle amico, che volesse “andare oltre” ciò che vedeva.

Avvertì un’improvvisa fitta allo stomaco, il dolore quasi la piegò in due. Per un attimo credette che una qualche ferita interna, della cui presenza Madame Wilkins non si era accorta, si fosse aperta. Con il passare dei secondi, però, capì che non si trattava di un problema organico: fisicamente, ad eccezione della caviglia, stava benissimo. No, era una sofferenza interiore, causata dalla consapevolezza di aver esagerato. Conosceva bene l’identità del suo salvatore, dopotutto non bisognava essere un genio per capirlo.

La sua presenza in quella stanza, il conoscere delle matricole nonostante lui fosse ben più grande di loro e l’attaccamento morboso a Juleka senza alcun evidente interesse romantico; tutti quegli indizi portavano ad una sola conclusione: i due erano imparentati. Chloé lo aveva capito immediatamente, fin da quando era stata portata nel campo di primo soccorso allestito nelle vicinanze del campo da Quidditch. Si morse un labbro per il nervosismo e, stringendo i bordi della coperta, provò a farfugliare la prima cosa che le venne in mente. «I-i-io so chi sei, cioè credo…»

Si diede della stupida: come poteva aver detto una tale banalità? Per di più stava balbettando, possibile che non fosse più in grado di controllare le proprie emozioni? Marinette, Alya e le altre l’avrebbero presa in giro per l’eternità. Era ormai convinta che, dopo una tale figuraccia, Adrien non avrebbe voluto sentir parlare di lei per almeno una ventina d’anni. Senza accorgersene, iniziò ad iper-ventilare. Era sul punto di avere un attacco di panico, quando avvertì una delicata stretta alla mano destra.

«Mi chiamo Luka Couffaine, sono il fratello maggiore di Juleka.» le bisbigliò il giovane Tassorosso, mentre i suoi polpastrelli continuavano ad accarezzare le dita dell’altra.

«S-s-si l’avevo capito.»

«Ne sono certo, ma preferivo dirtelo personalmente. Sai, ci tenevo…»

«Come mai?» biascicò Chloé temendo che l’unico motivo fosse quello di rinfacciarle l’aver calunniato la sorella della stessa persona che l’aveva salvata.
«Beh, sarei uno sciocco a non presentarmi ad una bella ragazza come te.»

La piccola Bourgeois ebbe un sussulto, stentava a credere che qualcuno le avesse fatto un complimento del genere. Di ragazzi che le andassero dietro ne aveva a bizzeffe, ma più che romantici corteggiatori li considerava meschini adulatori. Degli arrivisti, figli di papà, che avrebbero fatto di tutto per guadagnarsi una posizione. L’apprezzamento di Luka, però, era diverso. Genuino e privo di secondi fini, la colpì direttamente al cuore dandole l’impressione di sciogliersi come neve al sole.
Resasi conto di essere arrossita vistosamente, si coprì il viso con la coperta. Si lasciò cadere sul materasso e, girando nuovamente la faccia verso il muro, cercò di riacquistare un briciolo di autocontrollo. «L-l-lo so che sono una “bella ragazza”, me lo dicono in tanti… anche il mio papà.»

«Non avevo dubbi su questo: sarebbe folle dirti il contrario» replicò il fratello di Juleka, rimettendosi in piedi.

«Ahm… comunque… comunque…» mugugnò Chloé sforzandosi di trovare le parole giuste: non era mai stata brava a scusarsi. «Non volevo accusare tua sorella. Cioè… la colpa è ovviamente sua, ma forse… forse Adrien e quell’antipatica di Katami hanno ragione. Deve essere stato qualcun altro a controllarla e a farle distruggere il campo.»

Per una manciata di secondi, la Cercatrice dei Serpeverde perse la sua aura di sprezzante distacco. I suoi occhi ambrati si ridussero a delle fessure, mentre le mani vibrarono chiudendosi a pugno. Se non fosse stato per Alya e Alix, sebbene contrariate quanto lei, si sarebbe sicuramente scagliata contro la figlia del Primo Ministro Francese. Al contrario di quanto si aspettassero i presenti, Luka non batté ciglio. Immobile a pochi passi dal letto, si limitava ad osservare la sagoma della piccola Bourgeois. Magari agli altri sarebbe risultato strano, ma lui non riusciva a farne a meno.

A dir la verità, era tutto il pomeriggio che si interrogava su cosa diamine gli stesse accadendo. Fin da quando aveva aiutato Chloé a liberarsi dalla trave di legno, gli era sembrata spocchiosa, arrogante, egoista e autoritaria. Atteggiamenti che gli erano stati peraltro confermati dalla sua invettiva contro la sorella. Eppure, nonostante vi fossero tutti i presupposti, non era riuscito a odiarla. Provava curiosità e un’inspiegabile simpatia nei suoi confronti. Desiderava conoscerla meglio e capire quale fossero i motivi che la spingessero a comportarsi in quel modo.

«Spero non ti sia arrabbiato.» aggiunse, improvvisamente, la piccola Bourgeois ridestandolo dai suoi pensieri, «Non volevo sembrare un’ingrata: grazie per avermi aiutata.»

Quelle ultime parole spiazzarono le persone all’interno dell’infermeria. In particolare, Adrien si rese conto che era la prima volta in cui la sua amica, non soltanto avesse ammesso di aver sbagliato, ma anche che avesse sentito il bisogno di ringraziare qualcuno. Luka, invece, continuò a mantenere un atteggiamento pacato. «Tranquilla, non è successo nulla di grave. Sono contento che anche tu ti sia convinta dell’innocenza di Juleka. Spero solo che non capiti più nulla del genere: non è giusto che degli studenti innocenti siano manipolati da oscure presenze.»

«P-p-pensi che possa riaccadere?!»

«È probabile! Questo qui è il terzo attacco nel giro di due mesi.» esclamò Marinette richiamando alla memoria di tutti l’incidente avvenuto nella biblioteca e la propria disavventura sulla scopa.

«Credi che questi “casi isolati” siano in qualche modo collegati?»

«Ne sono assolutamente sicura, Katami. Le coincidenze cominciano ad essere troppe.»

«La Signorina Dupain-Cheng ha pienamente ragione.»

Gli studenti si voltarono in direzione del massiccio portone d’ingresso dell’infermeria. Sull’uscio, abbracciato da una confortevole veste verde abbellita da eleganti ghirigori argentati, si trovava il Preside Fu. Al suo fianco la professoressa Bustier e il professor Damocles, scuri in volto e dall’espressione tirata, completavano quel quadro di austera compostezza. Non appena si rese conto dell’arrivo degli insegnanti, Madame Wilkins percorse a passo svelto la distanza che separava il suo ufficio dall’ingresso. «Preside, ecco il referto che mi aveva chiesto.»

«Molte grazie, Priscilla.» replicò garbatamente il Preside di Hogwarts, mentre con attenzione sfogliava il plico che gli era stato consegnato.
«È grave come pensavamo?» biascicò la Bustier, le parole tremavano sulle labbra quasi la donna avesse avuto paura della risposta.
«Ho paura di sì, mia cara. La Signorina Couffaine è stata costretta a compiere quell’atto distruttivo da una maledizione.»

«Lo sapevo! Non l’avrebbe mai fatto!» esclamò Alya senza rendersi conto di aver calamitato l’attenzione su di sé. «Ehm… scusate, non volevo interrompervi. Prego continuate, pure.»

Gli sguardi dei presenti tornarono a concentrarsi sulla minuta figura di Fu, il quale non era riuscito a trattenere un sorriso di complicità per quanto fosse successo. Riconsegnata la “cartella” all’infermiera della scuola, si mise a passeggiare per la stanza tenendo le braccia conserte dietro la schiena. Isolatosi dal mondo esterno, il Preside si concentrò sulle poche, ma preziose, informazioni che era riuscito a recuperare. Ormai non aveva più dubbi sulla causa di quegli incidenti, sarebbe stato stupido e controproducente far finta che non fosse così.

Ciononostante, restava da capire chi fosse il reale responsabile degli attacchi e se agisse da solo o meno. Era indubbio che qualcuno tirava le fila di quella faccenda, ma il motivo gli era purtroppo ignoto. Non aveva fatto altro che chiedersi il perché se la stessero prendendo con dei poveri studenti inesperti. Che senso aveva? Sarebbe stato molto più logico attaccare il corpo docenti, dal momento che disponeva di un così grande potere. Assorto nel vorticoso flusso dei suoi pensieri, non si accorse che una delle ragazze gli si fosse avvicinata.

«Preside Fu…» la voce di Marinette lo ridestò dallo stato di trance in cui era inconsapevolmente caduto. «Preside, come possiamo difenderci da questi attacchi? Deve esserci un modo.»

«Purtroppo mia cara, non possiamo fare nulla. Non si può prevedere una magia tanto potente.»

Le affermazioni dell’uomo lasciarono l’amaro in bocca. Il non potersi proteggere preoccupò i ragazzi, che iniziarono a parlottare fittamente tra di loro. Il Preside Fu, benché amareggiato per non aver potuto promettere loro un giusto grado di sicurezza, non si perse d’animo. «Ragazzi, vi prego, ascoltatemi. So che può far paura una cosa del genere, ma non dovete permetterle di sopraffarvi. Quest’oggi ciascuno di voi ha dimostrato un enorme coraggio, nonostante la situazione non fosse delle migliori. Se resterete uniti, nulla potrà farvi del male!»

«Lo pensa veramente, Preside?»

«Certo, Signorino Agreste! Dopotutto, lei sa che mi sbaglio raramente.» concluse Fu facendo loro l’occhiolino.
 
 
 
   
 
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