Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
Ricorda la storia  |      
Autore: MovereCrus    02/02/2019    1 recensioni
BruAbba | Missing Moments | Hurt/Comfort | Songfic
Non sapevo perché, ma avevo quell'impressione. Sono sempre stato lodato per la mia ferrea memoria. Tutti i miei ricordi sono nitidi e vivi, è raro che mi dimentichi qualcosa, anche se si tratta di una banalità. Il cadavere di quell'agente ci rimaneva fresco e ancora caldo, come se fosse stato appena ucciso. Il ricordo che ne avrebbe avuto il suo effettivo assassino sarebbe stato identico. I suoi occhi dilatati, l'espressione convulsa. Ne avevo viste tante di facce digrignate dal terrore, ma la sua, lo ribadisco, quella di un innocente, non avrebbe mai finito di perseguitarmi.
Ancora, notti di velluto bianco.
Un lenzuolo a caso che trovai in quella casa maledetta, che gli feci cadere addosso dopo avergli chiuso gli occhi in segno di rispetto, illudendomi che non li avrei più visti aprirsi.
Bruno era sempre lì e mi guardava. Sapeva quanto amassi quella canzone e quanto erano terribili le cose che mi dicesse. Sapeva come io e quel particolare tipo di pioggia continuassimo a ferirci l'uno con l'altra, dopo esserci rotolati in labirinti di cui conoscevamo fin troppo bene il percorso. Perché c'era stato anche lui.
Genere: Angst, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Bruno Bucciarati, Leone Abbacchio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nights in White Satin

by BeingBeauteaus

[BruAbba | Missing Moments | Hurt/Comfort | Songfic ]

 

Una sera dai colori spenti, reticente, come se avesse dovuto trascinarsi dietro un pesante strascico, in cui avresti voluto solo addormentarti in un sonno senza sogni o smettere di pensare, una di quelle in cui altrimenti ti saresti ritrovato a vagare in giro, solo, evitando ogni lume, lasciandoti sommergere dal buio, in cerca di una bellezza talmente forte da stordirti.

Una bellezza magari anche non bella, ma che avesse potuto ammutolirti, arrestare il tempo che ti ritorna dentro, quel tempo che è simile a una marea accuminata, di lame che si fanno specchi solo per farti ancora più male.

Proprio io dicevo questo, ironico.

Sotto quella luce oscura il mio stand avrebbe assunto colori improbabili, irreali. Con quelle sue gambe completamente avvolte di grigio, quello strano chiaroscuro lo avrebbe fatto assomigliare a una creatura ibrida e spaesata.

Una specie di sirena senza volto, che non riusciva più a tornare indietro.

In quella marea.

 

Gli porgevo dei documenti con un gesto disinteressato, lui li sfogliava con altrettanto disinteresse.

I suoi grandi occhi riuscivano a malapena a scorgere le lettere che sporgevano fredde dalla carta, ma non aveva voluto che accendessi la luce.

Solo una flebile lampada dava un po’ di chiarore a quella stanza.

Sentivamo il chiasso e gli schiamazzi degli altri in lontananza, che guardavano qualche serie TV idiota. Un insieme di rumori sovrapposti e indefiniti, in cui però potevamo distinguere le voci di ognuno, le risate, le imprecazioni.

Accennò un sorriso, quasi paterno, poi ritornò a leggere quei fogli.

Io sedevo alla sua destra, come sempre, in silenzio.

Qualcuno aveva lasciato la radio accesa. Il suo ronzio era lento, cauto e prolisso, ma non ci disturbava, ci accompagnava soltanto come uno sconosciuto incontrato per caso.

Poi iniziò a piovere. Lentamente le voci dei giornalisti, ordinarie, limate dalla dizione, sfumarono e si fusero con l'agitato scrosciare dell'acqua.

Uno scrosciare prolungato e insistente, il cui stesso suono era bagnato, un suono noto ma inusuale, testardamente cantilenante, come un vecchio racconto di cui non ricordi nulla eppure sei certo aver già sentito.

Un’orchestra così solenne, su un grigiore talmente anonimo, vigliacco al punto da non osare nemmeno sporcarsi di nero, che mi faceva tornare in mente spiacevoli ricordi.

Proprio in quel momento iniziarono a trasmettere Nights in White Satin.

 

Notti di velluto bianco.

La purezza che avrebbero dovuto avere la legge e il rigore, i toni del marmo che ne componeva le effigi.

L'elsa e la toga della Giustizia. L'ostia, i sacri testi sul leggio, così cari a mia madre.

Invece mi lasciai corrompere per pochi spiccioli, avvolti in un sacchetto unto, sotto lo sguardo scocciato di una puttana, che aveva fretta perché la coda dei suoi clienti si stava allungando a causa mia, a causa del mio turbamento.

E poi, il sangue che si espandeva tortuoso dal corpo supino del mio compagno sotto quella pioggia, che si andava a infilare nelle fessure di quel pavimento sudicio.

I proiettili come buchi nella memoria.

Non sapevo neanche il suo nome...

Avevo ucciso un uomo, avevo ucciso un innocente.

La sua carne deteriorata dal peso delle mie azioni.

Scagliate su un nastro che non si poteva riavvolgere.

 

Nights in white Satin

Never reaching the end

Letters I've written

Never meaning to send

Beauty I'd always missed

With these eyes before

Just what the truth is

I can't say anymore

 

Ricordai il nome dell'album da cui era tratta la canzone. Days of future passed.

E continuava a piovere incessantemente, senza che quel suono cambiasse, senza che si rafforzare o si sgretolasse via nel nulla . Mi avevano detto che la pioggia lavava via ogni peccato ma non era vero. Non provavo più il dolore e l'angoscia di allora ma non potei fare a meno di incupirmi e trasalire.

La mia vita non era lunga, e quel passato era ancora pericolosamente recente.

Giorni del futuro passati, forse sarebbe stato quello il mio contrappasso: avevo vissuto per troppo tempo a ritroso, tutto sarebbe tornato indietro e mi si sarebbe ritorto contro?

Non sapevo perché, ma avevo quell'impressione. Sono sempre stato lodato per la mia ferrea memoria. Tutti i miei ricordi sono nitidi e vivi, è raro che mi dimentichi qualcosa, anche se si tratta di una banalità. Il cadavere di quell'agente ci rimaneva fresco e ancora caldo, come se fosse stato appena ucciso. Il ricordo che ne avrebbe avuto il suo effettivo assassino sarebbe stato identico. I suoi occhi dilatati, l'espressione convulsa. Ne avevo viste tante di facce digrignate dal terrore, ma la sua, lo ribadisco, quella di un innocente, non avrebbe mai finito di perseguitarmi.

Ancora, notti di velluto bianco.

Un lenzuolo a caso che trovai in quella casa maledetta, che gli feci cadere addosso dopo avergli chiuso gli occhi in segno di rispetto, illudendomi che non li avrei più visti aprirsi.

 

Bruno era sempre lì e mi guardava. Sapeva quanto amassi quella canzone e quanto erano terribili le cose che mi dicesse. Sapeva come io e quel particolare tipo di pioggia continuassimo a ferirci l'uno con l'altra, dopo esserci rotolati in labirinti di cui conoscevamo fin troppo bene il percorso. Perché c'era stato anche lui.

Un altro giorno, un’altra pioggia, non meno lenta, intensa o solenne. Non smetterò mai di vergognarmi di essermi fatto vedere da lui in quello stato.

Moody Blues. Nights in White Satin, notti di velluto bianco.

Anche i suoi vestiti erano candidi, illibati, ricoperti solo da motivi scuri che sembravano essere solo l'ombra di quelle gocce spettrali.

 

Si avvicinò a me, mi appoggiò la mano sul volto. Inizio ad accarezzarmi lentamente i capelli, che erano diventati molto più lunghi rispetto a quel giorno.

C'era una premura nei suoi gesti che ti confondeva, non sapevi più se erano quelli di un fratello o di un amante. Me li scostò dagli occhi, indugiò per un attimo, le folte ciglia a velare i suoi, mentre i “cause I love you” di Hayward riecheggiavano parlando per noi in quelle quattro mura.

Rimasi sorpreso, mi lasciai toccare in silenzio, incapace di dire nulla. Era l'unico che riuscisse a ridurmi così.

“Ci stai pensando di nuovo?”

“Già.”

“Immaginavo.”

Non c'era nessuna traccia di rimprovero nella sua voce, nessuna.

“Lo so che è passato tanto, troppo tempo. Non merito la tua fiducia per questo.”

“Non è vero.”

Non disse più nulla finché la canzone non finì. Sapeva quanto mi piacessero quei cori e quella chitarra combinati tra loro fino a estinguersi, come se fossero stati progressivamente trasportati via dal vento. Poi riprese a parlare, sempre con quel tono così calmo e gentile.

“È normale che tu soffra ancora. Ma ora hai una nuova vita, quella storia fa parte del passato, un passato che non tornerà più.”

“Sai quanto sia controversa per me l'idea del tempo.” sorrisi.

“Giusto.”

Sorrise anche lui in risposta, i denti bianchissimi in contrasto coi capelli che gli lambivano i lobi.

Guardai quel sorriso svanire, con dispiacere, a causa di ciò che dissi dopo.

“Ho passato mesi nell'oblio più totale, da quel momento in poi. Mi hai appena detto di non parlarne, ma… ma tu non hai idea: avevo davvero toccato il fondo.”

Nascosi in parte il viso dal suo sguardo perché sentii i miei occhi tremare. Cercai di evitare che me li guardasse.

Sebbene lui lo sapesse, sebbene lui mi amasse, non volevo che l'uomo a cui avevo giurato fedeltà fino alla morte mi vedesse così debole solo a causa di alcune insulse parole.

“Non ho detto questo. Puoi dirmi quello che vuoi, Leone, ti devi sentire assolutamente libero nei miei confronti.”

“Perché sei stato tu a liberarmi.”

Non era da me essere così espansivo, Bruno lo sapeva bene e arrossì lievemente. Infatti non lo dissi per compiacerlo, ma soltanto perché quella era la verità, quello era ciò che pensavo.

Feci per lasciar cadere una mano sul suo fianco ma la ritrassi in fretta. Volevo avere il suo permesso prima di toccarlo.

Eppure, non avrei voluto altro che stringermi a lui in quel momento, il temporale scorreva dentro di me, la pioggia mi tamburellava dentro, quelle abili percussioni disfavano la mia corazza solerti, come veniva disfatta la tela di Penelope ogni notte.

Mi precedette e mi circondò le spalle con un braccio, quasi senza che me ne accorgessi. Lasciai cadere la testa sul suo collo, come se ne fosse stato l'inevitabile effetto. I miei occhi vagarono socchiusi su quel velluto bianco.

Non volevo che nessuno mi vedesse così, tutti avrebbero dovuto pensare che il mio cuore non si fosse mai più aperto.

“Avevo più bottiglie d'alcol che vestiti, i cocci si alternavano ai vinili lasciati in giro. Sentivo musica tutto il giorno, tutti i giorni, Monteverdi, Händel, Vivaldi, musica barocca, pomposa, ad un volume assordante. Ogni volta che il disco finiva e dovevo metterne un altro cercavo di imitare gli stessi movimenti che avevo fatto per quello precedente e, se non ci riuscivo, perdevo la testa. Mentre li ascoltavo bevevo fino a non tollerare più nemmeno lo stesso sapore dell'alcol e finivo con il vomitare tutto. Pensavo di accelerare la morte in quel modo.”

La mia voce era bassa, atona, la stessa che avrei tenuto leggendo un resoconto. Tuttavia Bruno mi aveva stretto più forte, i suoi occhi si erano stretti, le palpebre cozzavano l'una contro l'altra. Ammiravo e temevo questo suo coraggio. Non esitava affatto nel dimostrare quanto soffrisse per me e questo mi spezzava il cuore.

“Lo so, ti ho osservato a lungo prima di chiederti di unirti a me. Te l'avevo detto, non ricordi?”

Certo che me lo ricordavo.

“Credo che allora non ti facessi nient'altro che pena.”

Strinsi i denti, lasciandomi sfuggire un singulto. Non riuscivo ancora a convivere con l'idea di aver ottenuto la sua considerazione dopo essere caduto così in basso. Il giorno in cui l'avrei fatto sarei stato pronto per tirare le cuoia.

“No, non era pena.” continuò assorto in quella pioggia “Era piuttosto dispiacere, e rabbia.”

“Lo preferisco.”

Davvero, mi era più accettabile aver provocato la sua collera che la sua pena. Il mio orgoglio mi impediva di vivere in pace con me stesso ma fu proprio quello a tenermi in vita. Non feci in tempo a formulare quel pensiero che mi prese di nuovo il volto tra le mani, con una delicatezza che se non fosse stata sua non avrei sopportato.

“Non fraintendermi. Era rabbia per vederti sprecato in quel modo, deviato dal senso di colpa.

Eri una persona di valore, che non si riconosceva più. Avevi ancora tanto da dare, avresti ancora sacrificato la tua stessa vita in nome di un ideale, di un obiettivo e io non potevo permettermi di fare finta di niente.”

“Ed è ancora così.” dissi fermamente.

Lo guardai negli occhi, che si erano fatti ancora più grandi e tersi. Le sue dita sul mio collo mi scatenavano caldi brividi che mi striavano lenti la pelle.

“L’importante non è il risultato finale ma come ci si arriva. Io mi sono fidato di te perché avevi la mia stessa determinazione. Te l'ho letta negli occhi, sebbene tanto offuscata dall'alcool e dal rimorso.

Io volevo che avessi un'altra opportunità per dimostrarla.”

Le sue iridi chiare si incrociavano perfettamente con il suono della pioggia, nonostante mi fosse sembrato così ostile. Non era la prima volta che mi parlava in quel modo, avrei voluto che non avesse mai smesso. Il mio dolore non cessava, e il ricordo mi consumava ancora, nascosto in parti di me che nascondevo a mia volta ma il tutto era stato raggiunto e smantellato dalla consapevolezza.

Anche se avrei dovuto sopportare il rumore di quel temporale fino alla fine dei miei giorni, anche se non avrebbe mai smesso di divorarmi le carni, la morale ed ogni barlume di presunta purezza che mi era rimasto, per nulla al mondo avrei ormai voluto tornare indietro. Non sentivo più il bisogno di scagionarmi da quella condanna, bensì aspiravo a espiarla vivendo. A espiarla ponendo la mia stessa vita nelle sue mani e prestandogli la lealtà e l'obbedienza più assolute fino a che il destino avrebbe deciso che non gli sarei più stato utile, poiché il suo sogno si era realizzato.

Gli presi la stessa mano che mi stava accarezzando tra le mie, me la portai sul petto.

“Io devo la vita a tutto questo. Io ti devo la vita, Bruno.”

Feci per baciarne il dorso, in preda di un'emozione che non mi apparteneva, quando mi fermò e la riportò sul mio collo.

“Tu non mi devi niente. Hai proseguito a mettere la nostra missione sopra a ogni altra cosa, e hai vinto. Non sono io che ti ho riportato alla vita, sei tu che sei tornato a vivere. A amare, a lottare, a tenere alta la testa. Il tuo orgoglio ti fa onore.”

Aveva avuto un lieve sussulto nel pronunciare la parola “amare”. I suoi occhi si erano cosparsi di un bagliore improvviso e velocissimo che però non mi era sfuggito. E che gli si era diffuso in tutto il volto.

Ebbi difficoltà a continuare a seguire il suo discorso. Le sue labbra erano così vicine, così sporgenti. Non era affatto da me farmi distrarre in quel modo, non capivo perché lo fossi a quel punto. Poi mi resi conto che aveva finito di parlare. Ora taceva e mi scrutava con il mio stesso interesse. Soltanto la pioggia continuava a cadere.

 

Lo tirai verso di me, lo baciai, lo baciai a lungo, con la sensazione delle lacrime che avevo ricacciato indietro prima. Le percussioni della tempesta continuavano ad alitarmi nelle vene ma non erano nulla rispetto ai tremori sotto alle sue ciglia. Vita, aveva usato tante volte quella parola quella sera, io ne avevo abusato. Amavo espiare la condanna di tutta una vita su quella bocca, ogni volta incredulo di essere degno di un simile onore.

Usare tali parole per descriverlo mi pareva sempre un'esagerazione, ma non era affatto così.

Aveva un particolare modo di baciare, i suoi baci si insinuavano in te lentamente e riversavano la loro passione senza scomporsi, senza sgualcirsi, come un qualcosa che pretende di essere ricordato nella sua interezza.

Mi staccai da lui gradualmente. Gli avevo tirato la frangia all'indietro, aveva la fronte scoperta, le guance imporporate, e le labbra violacee, macchiate del mio rossetto. Continuava a guardarmi con quell'espressione gentile, che si era fatta vaga e sognante. Raramente avevo visto qualcosa di così bello.

“Leone...” sussurrò.

Non risposi, lo strinsi di nuovo tra le braccia. Quel velluto bianco su di me, il suo corpo esile. Lo baciai ancora, velocemente. Poi mi guardai intorno con circospezione.

“Cos'hai?”

“Sei sicuro che non ci siano gli altri, vero?”

La sua risata mi vibrò sulla gola dolcemente.

“Sì, gli avevo detto che avrei avuto da fare fino a tardi! Che, tra l'altro, è la verità.”

“Ti conviene darti una sistemata allora.”

Arrossii violentemente nel dirglielo.

“Perché?”

“Guardati allo specchio.”

Non appena vide la sua immagine riflessa sgranò gli occhi stupiti.

“Oh!” esclamò, ma con tono divertito. Il che era piuttosto strano: sapevo quanto tenesse a avere i capelli sempre in ordine.

“Mi dispiace.” mormorai alle sue spalle, aggiustandoglieli.

“Finiremo con il farci scoprire prima o poi.” commentò ridendo ancora, le labbra ancora umide e violacee.

 

II

 

Quando mi svegliai dovevano essere state le tre del mattino. Avevamo continuato a esaminare quei dati, a svolgere ricerche su quei trafficanti di cocaina fino a notte fonda.

La pioggia era finita, regnava il silenzio. Bruno si era addormentato su quella scomodissima sedia, raggomitolato contro lo schienale. Nessuno era venuto a controllare cosa facessimo, e nessuno si era accorto che fossimo ancora lì. Mi alzai, non avevo più sonno sebbene fosse notte fonda, cercando di non fare rumore per non svegliarlo.

Ero ancora inquieto, nonostante tutto, quel ricordo aveva trascinato con se altre inquietudini.

Continuavo a pensare a cosa sarebbe stato di me se non fosse successo niente, non perché lo volessi, ma per una curiosità a tratti morbosa, di cui raramente avevo fatto esperienza.

Sarei stato un poliziotto per tutta la vita? La mia idea di giustizia, il mio senso del dovere si sarebbero capovolti del tutto, si sarebbero ripristinati o avrebbero convissuto con l'incertezza facendomi vivere nello squallore? Non abbassare mai la guardia, rispettare sempre la Morale, senza crearne una mia soltanto, rischiare la morte per le stesse persone che mi denigravano, ne sarebbe valsa la pena?

Più passava il tempo, più avevo assimilato l'iconografia della giustizia con quella della fortuna. Era già quello un segno del mio declino? Se fossi stato onesto con me stesso avrei detto senza dubbio di sì.

Ma la mia idea di giustizia era inconsciamente collegata a l'idea di divinità e di provvidenza. Avevo ricevuto un'educazione essenzialmente cristiana, mia madre era una fervida credente. Ricordo le domeniche in chiesa, le campane a festa, il volto assorto del prete durante l'omelia, le cui parole mi trasmettevano fiducia e speranza.

Parole che, con il senno di poi, sapevo voler dire ben poco, sapevo ripetute più volte all'anno, in più navate, da più bocche.

Quando ero un ragazzino mi ispiravano un autentico ottimismo. Quand'ero più piccolo ancora il solo pregare mi dava un senso di calore impagabile e un invulnerabilità che non avrei mai più provato.

Dio era buono, misericordioso, Dio era giusto, imparziale. La parola di Dio coincideva con la legge di uno Stato legittimo, ripeteva mio padre. Aveva letto Dante, il papa e l'imperatore, o il capo dello Stato al giorno d'oggi, erano i due soli del mondo. Se un individuo si macchiava di un crimine, si macchiava di un peccato, e doveva essere giudicato di conseguenza.

Dopo quella notte i miei genitori mi rinnegarono. Mia madre era scoppiata in un pianto isterico; ho ancora davanti il suo volto paonazzo, le lacrime che le bruciavano la pelle. Mio padre mi aveva fatto giurare che non mi sarei mai più ripresentato in quella casa, e che non li avrei mai più cercati.

Cercai rifugio da qualche parente ma tutti mi cacciarono. Al mio passaggio tutti distoglievano lo sguardo.  

Leone, il nome che alla mia nascita avevano scelto in onore di Leone Magno e di Leonida, non esisteva più per loro. E forse oggi qualcun’altro condivideva il mio cognome e un nome d'ispirazione cattolica, non so dirlo.

Avevo solo vent'anni. Forse avrei potuto rivederli sul loro letto di morte, senza però osare invocare il loro perdono.

Mi chiedevo cosa avrebbero pensato se avessero saputo che amavo un uomo. Probabilmente la mia reputazione non avrebbe potuto peggiorare ancora, però un'altra macchia, un altro infame peccato si sarebbe aggiunto a quelli che avrei dovuto scontare nell'aldilà, sempre se ce ne era uno. Un barattiere assassino sodomita.

Avevo ancora il diritto di credere? Potevo sperare nell'esistenza di qualche sorta di divinità o in ogni modo, da ogni dio, sarei stato condannato alla dannazione eterna?

Eppure io non ci credevo alla dannazione. Perché mi domandavo se avrei potuto liberarmene? Era il mio senso di colpa verso di loro, sempre quello stesso senso di colpa. L'inferno era in terra, io l'avevo vissuto, tutti noi l'avevamo vissuto. La morte si sconta vivendo e l'inferno esiste solo per chi ci crede. E io ci avevo creduto tanto, prima di entrarci.

“Sei già sveglio?”

La sua voce intorpidita mi riscosse da quella voragine di pensieri. Vidi Bruno sollevarsi, sbattere le palpebre, passarsi le dita tra i capelli corvini. La sua bellezza era innegabile. L'avevo notata solo tempo dopo averlo conosciuto, ora amavo l’idea che fosse anche mia. E in quel momento non riuscivo proprio a concepire come potesse arrecare un'offesa a Dio.

“Non preoccuparti. È ancora notte, va’ a letto.”

“No, sto bene così.”

Aveva gli occhi stanchi, pesti.

“Tu non pensi mai a te stesso.” gli dissi dolcemente.

“Cosa vuoi dire?”

“Gli altri vengono sempre prima di te. Devi sempre occuparti prima di loro, vegliare, proteggere tutti noi.”

“Mi è sempre venuto naturale farlo.” rispose con una certa tristezza.

Sapevo a cosa si stava riferendo. Il divorzio, suo padre braccato dai trafficanti di droga, il suo primo omicidio. A dieci anni li aveva uccisi tutti per proteggere suo padre. Non aveva esitato, aveva scelto di rimanere al suo fianco, aveva voluto salvarlo ad ogni costo. Gli invidiavo profondamente quel coraggio, quella freddezza spietata che sapeva tirare fuori quando coloro che amava erano in pericolo.

Al contrario, io rendevo sempre a anteporre il risultato della missione alla sorte dei nostri uomini. Ero schivo, sospettoso, chiuso, fiero, non ispiravo alcuna fiducia, ammirazione o ideale, forse solo una qualche sorta di timore, che mi rendeva incapace di infervorare gli animi ma solo di far eseguire gli ordini. Per questo non ero adatto a succedergli, non ero adatto a essere un capo ma solo un braccio destro. Dubitavo che avrei potuto esserlo di qualcun'altro.

Io amavo, rispettavo, e veneravo Bruno. A volte ero convinto che se lo avessero fatto fuori io sarei tornato con ogni probabilità quello di allora. Non avrei avuto più niente da perdere. Altrimenti avrei dovuto sottomettermi a un altro capo, piegarmi a una morale che non condividevo, portare a termine compiti affidatimi dall'alto, che mi riguardavano ben poco. Più lo guardavo, più stentavo a credere che sarebbe potuto morire un giorno.

“A cosa stai pensando?”

“A mia madre. A Dio.”

Non gli confidai il resto dei miei pensieri.

Potevo leggere lo stupore sulle sue labbra ancora intente a parlare. Bastava così. Non avrei voluto coinvolgerlo ancora nel mio passato, a quell'ora poi, non era giusto.

“Pensavo che non credessi più in Dio.”

“Infatti non ci credo. Non riesco più a crederci. Ricordo quando mia madre mi invitava a farlo, quando ero certo che mi guardasse dal cielo ed ero felice.”

E allora non sapevo più bene cosa intendessi con Dio, se fosse il nome che davo alla mia famiglia o alla mia innocenza.

“Io non ho mai vissuto niente del genere. I miei genitori erano degli atei convinti. E mi è sempre venuto più spontaneo credere negli uomini che in Dio, fin da subito.”

I suoi occhi sorridevano: “Se avessi aspettato che Dio intervenisse per me non avrei concluso niente. Pregare serve a ben poco, si può solo agire, reagire, al massimo sperare. Non avrei mai ucciso per difendere la mia famiglia, non sarei mai diventato ciò che comunemente viene ritenuto un criminale, sebbene con un altro fine, se avessi creduto in Dio. E non avrei mai amato te, un altro uomo, perché la sua legge lo vieta.”

Le mie mani scivolarono ancora inconsciamente su di lui. Talvolta lo ringraziavo in silenzio per non essersi mai approfittato della venerazione che nutrivo nei suoi confronti.

“Lo so, l'ho capito da tempo. Rimpiango solo il non aver più visto coloro che mi hanno cresciuto, e dovrebbero sempre esserci, a causa di quel Dio.

Quel Dio che insegna il perdono, la compassione. Cristo aveva preso con sé una puttana. Loro, loro, e tutti gli altri mi hanno odiato più di quanto io già odiassi me stesso.”

Restammo in silenzio per parecchio tempo. Aveva preferito non rispondermi, lasciando che io la trovassi da solo. Sapeva anche lasciarmi a me stesso, lasciare che fossi io ad ascoltarmi.

E la risposta era sempre quella. Ero rimasto troppo a lungo in un tempo che non era più il mio. Strati di quella marea sottile mi si accumulavano dentro, ristagnando l’uno dentro all’altro. Io… io dovevo rendermi conto di essere davvero nato un’altra volta.

 

“Lo so che ti sembrerà inutile che io lo ripeta ma... io ti amo così tanto invece, Leone.” mi sussurrò poi sulle labbra.

“Lo so.”

Lo guardai. Talvolta ero convinto che il mio amore fosse andato oltre e si fosse trasformato in devozione. Poi mi rendevo conto di quanto ancora volessi ma sua bocca, la sua voce e tutto il resto ed ero sollevato che non fosse ancora tale. Perché non volevo pensare alle conseguenze, che, anche se si fosse trattato “solo” d'amore, non avrei evitato.

 

Ricominciammo a baciarci piano, contro il suono del silenzio. Lo stringevo talmente forte da farmi venire le nocche bianche. Le sue dita si infilavano tra i miei capelli, costringendomi a respirare il suo odore, mentre indugiavo ad occhi chiusi su cosa nascondesse in quel momento sotto alle sue ciglia.

 

Avevi un modo di baciare unico, Bruno, sembrava dovessi proteggermi dai tuoi stessi baci.

Quelle notti di velluto bianco, non avrò più il tuo corpo sul mio.

Non più rimorso, nessun rimpianto. Sono contento di morire ora, di morire dopo tutto questo, perchè, come dicevi tu, l’importante non è la destinazione ma il modo in cui ci si arriva.

Sono felice di essere arrivato alla morte così, sai, non l’avrei accettata altrimenti. Adesso, soltanto adesso, non muoio più per lo Stato, né per i miei genitori, né per un qualsiasi Dio.

Sono in pace con me stesso.

Non mi sento più in colpa, perchè sono martire soltanto del tuo sogno. E tu davvero sei stato il solo in grado di calmare il mio spirito.



 

Note dell’autrice:

Da tempo volevo scrivere qualcosa, di qualsiasi fandom, collegata in qualche modo a Nights In White Satin dei Moody Blues, che amo alla follia,  e lo stand di Abbacchio mi ha servito l’occasione di farlo su un piatto d’argento XD

Questa è la mia ship preferita di VA, e ci tenevo tanto a scrivere qualcosa su di loro. Amo Abbacchio e il suo passato, mi identifico molto in lui. Siccome non mi piace scrivere solo d’amore ho voluto aggiungere il tema religioso: l’idea che i suoi genitori siano profondamente credenti mi è venuta spontanea, non so spiegare come. Penso che si sposi bene con ciò che, al contrario, è canon, e semplicemente mi piace.

Purtroppo l’immagine di Bruno dopo il bacio, con la frangia all’indietro e le labbra violacee non è farina del mio sacco ma mi è stata ispirata da questa bellissima fanart.

Spero che la mia storia vi sia piaciuta

A presto!

 
   
 
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo / Vai alla pagina dell'autore: MovereCrus