Film > Thor
Ricorda la storia  |      
Autore: amy_lee91    02/02/2019    0 recensioni
In questa one-shot gli avvenimenti sono un po' diversi, come ad esempio la morte di Frigga ed il luogo in cui di fatto Loki era detenuto al suo avvenimento.
Vi riporto un pezzo:
"I passi del legittimo figlio di Odino si fecero più pesanti, rumoreggiando per tutto il corridoio che portava direttamente alle stanze del principe Loki.
La possente mano di Thor si posò sulla porta, nera ed intarsiata da venature dorate.
Inspirò profondamente, portando ai polmoni una buona quantità d’aria; temporeggiava, ecco cosa faceva. Varcare quella soglia gli costava una fatica enorme, troppo pesante persino per un uomo imponente come lui.
Espirò poi; le porte si aprirono dietro la leggera spinta del Re di Asgard."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Sif, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

Brothers

 

 

   Quella lastra di marmo scuro, che era il pavimento, rifletteva il bianco destabilizzante che regnava nella stanza reale di Loki. Un bianco, a suo modo, fine ed elegante, non completamente asettico, ma abbellito da striature sottili e grigiastre.

Al centro della stanza, un letto a baldacchino attaccato al muro: le tende drappeggiate erano di un verde smeraldo, intenso esattamente come gli occhi del suo occupante; ai lati, intorno ai bastoni, intrecciati come serpenti, scendevano cordoncini dorati a fermarle.

Le coperte di un candido avorio ed i cuscini alla testiera del letto, rivestiti da pregiatissima seta, avevano da sempre reso i sonni del principe dalla lingua capace e dalla mente astuta tremendamente comodi e lussuriosi, per gran parte della sua vita.

L’intorno era adornato da mobili di nobile fattura, insieme ad uno scrittoio, dove ancora c’era una pergamena srotolata zeppa di appunti, ed un calamaio pieno d’inchiostro, ormai secco; la piuma appoggiata appena più in là, con la punta ancora sporca.

Il silenzio che vigeva era talmente assordante e rumoroso da recare fastidio anche ad un sordo; l’aria così tagliente, che ogni singolo movimento costava una ferita profonda, bruciante e sanguinante, impossibile da lenire.

Uno spicchio di luce lunare si intrufolò per la stanza, rendendola meno cupa e tetra. Le tende alle finestre, che ballavano al ritmo condotto dal vento, creavano sinuosi giochi di luce selenici. C’era ancora l’odore del suo proprietario, in quella stanza: forte, pungente, intrigante. Se si sarebbe mai tolto, quello era un dubbio a cui solo il tempo avrebbe potuto rispondere.

                                                                    

 

 

 

I passi del legittimo figlio di Odino si propagarono per tutto il corridoio che portava direttamente alle stanze del principe Loki, facendosi man mano sempre più pesanti.

In quel silenzio serale, l’avanzata del Re di Asgard sembrava più simile alla marcia di un condottiero che a quella di una semplice, forse fugace, visita.

La possente mano di Thor si posò sulla porta, nera ed intarsiata da venature dorate.

Sostò per un tempo indefinito davanti alla soglia, forse indeciso, ancora impreparato; inspirò profondamente, regalando ai polmoni una buona quantità d’aria. Stava temporeggiando, e lo sapeva, ma varcare quella soglia costava una fatica enorme, immensa, così pesante persino per un uomo imponente come lui.

Espirò poi e dopo una leggera spinta, le porte di quella stanza si aprirono. La poca luce lo costrinse a ripararsi, egualmente, gli occhi chiari. Se lo fece per il fastidio o per altro, non lo sapeva neanche lui, in quel momento.

La vista si abituò e poi, ogni singola cosa, prese forma sotto il suo sguardo greve, stanco e prostrato. Senza volerlo, gli occhi si portarono al centro della stanza vuota e solitaria, forse in attesa di vederlo ancora; in attesa di vedere la sua apparizione.                           

 

 

 

 

Gli occhi del biondo si posarono sulla figura che si era formata in quella stanza. Era una figura alta, snella, pallida e dall’espressione sempre sul filo della disperazione, del tormento. I capelli corvini gli ricadevano lisci fino all’altezza delle ampie spalle, fasciate dalla sua divisa solita, mentre gli occhi verdi erano semplicemente puntati altrove, forse su quella pergamena ancora srotolata, oltre forse. Parlava febbricitante, appuntandosi dettagli e soluzioni, intingendo il pennino della piuma.

Thor, quella volta, si avvicinò di qualche passo, ma non osò proferire parola: non gliene sarebbe uscita neanche mezza. Non subito, almeno.

Le iridi sibilline del dio degli Inganni slittarono dai suoi scritti per piantarsi in quelli del fratello adottivo, il legittimo re degli Asgardiani. Scrutò il biondo per vari secondi, con il suo solito sorriso sghembo e sardonico, imperscrutabile e lasciò quanto stava facendo per allacciarsi le mani dietro la schiena, l’una nell’altra.

Lo studiò a fondo, ben conscio che Thor, se si trovava nella sua stanza, era indubbiamente perché aveva bisogno del suo aiuto. E godeva nel sapere che ne aveva. Dopo il suo ultimo trattamento, sapere di essere prezioso all’uomo che l’aveva preso in fasce ed al fratello, lo faceva sentire comunque estasiato, deliziato nel sapere che parte delle redini poteva averle anche lui tra le mani.

«Ebbene, fratello… cosa ti ha portato nelle mie stanze?», chiese sarcastico, non distogliendo il suo sguardo gelido dal figlio di Odino, con la solita calma sprezzante ed irritante.

«Madre. Si tratta di Madre, Loki.», mormorò funereo in viso, Thor. I muscoli visibilmente contratti e tesi come corde di violino; tesi come non lo erano mai stati forse neanche in battaglia. Lo sguardo solitamente balzante e sicuro del biondo, in quel momento, era stato sostituito da un’espressione che trasudava solo una profonda angoscia, un dilaniante dolore. Il tonante si costrinse ad abbassare lo sguardo, nervoso, permettendo al fratello di fare tutte le sue possibili elucubrazioni.

Loki impallidì ancor di più; gli occhi freddi divennero ancor più gelidi di quanto non fossero già abitualmente. Deglutì qualche istante e poi prese coraggio.

«Cosa c’è?», dissimulò il tono solo per ostentare una calma apparente, una costruita sicurezza, mascherando il più piccolo turbamento che il dolore di Thor era stato in grado di scatenargli.

Le membra gli si stavano torcendo dall’angoscia, abituato a non addolcire mai nulla, immaginando i più tremendi degli scenari, ma affatto pronto a credere o ad ascoltare una qualsiasi verità, una qualsiasi cosa.

Lui era il Dio degli Inganni; sapeva abbindolare chiunque con la sua dialettica, con la sua Lingua d’Argento. Sapeva ghermire e manipolare chi gli intralciava il cammino o, per semplice sfortuna, faceva la sua conoscenza. Era odiato per quello, anche: non si sapeva mai, con lui, quando iniziava la verità e terminava la bugia, o viceversa. E che lo odiassero: alla fine, era nella sua natura ed una ragione se la sarebbero dovuta fare, prima o poi.

Come le Norne erano state destinate a tessere e decidere la sorte dell’umanità, lui era destinato a tessere menzogne, ammaliare la gente, trasportarla – nel bene e nel male. Pretendere che smettesse, era come esigere che il Ragnarok arrivasse prima del tempo: non era quello che era scritto. Il suo copione era quello e lui era un abile attore.

Ne ingannò tanti, di popoli, ed in quell’istante, si chiese se potesse concedersi il lusso di ingannare anche sé stesso. Non era stupido, sapeva che le notizie che sarebbero giunte, non sarebbero state buone, ma perché non crogiolarsi in una sua bugia personale?

«Parla, fratello… ti ascolto.» lo esortò a parlare, Loki, coprendo qualche passo per avvicinarsi leggermente al biondo.

Per quanto i suoi occhi ostentassero un’inquietante tranquillità, la sua voce lo tradì appena e la sua preoccupazione non sfuggì a Thor.

«Loki… madre è… madre è… » Thor era in evidente difficoltà. Solo pronunciare quella parola, rendeva il tutto più complicato. Pronunciare quella parola, semplicemente, rendeva il tutto reale. Ed il biondo non avrebbe mai voluto fosse reale. Non riuscì ad alzare lo sguardo dal pavimento marmoreo, mentre il cuore gli martellava talmente violento nel petto, che di questo passo – era convinto – gli sarebbe scoppiato. I suoi pugni grandi si serrarono, le unghie infilzarono la carne e le nocche si fecero bianche, sotto la grande pressione.

A Loki, sempre più dedito ai dettagli che al resto, non sfuggì quella serie di piccoli segnali e la rabbia gli montò irrefrenabile fino a mozzargli il fiato. Sentiva le mani friggere e la testa scoppiare, mentre due stalattiti premevano feroci contro le palpebre per uscire: non avrebbe pianto.

Urlò di frustrazione, con tutta la rabbia ed il fiato che aveva in corpo, fino a farsi bruciare la gola, piantando gli occhi serpentini, febbricitanti e deliranti in quelli di quel vile del fratello, che non stava dicendo nulla.

Loki raggiunse in poche falcate, prendendolo dalla collottola.

«COSA?», gli urlò a pochi centimetri dal viso, ormai fuori dalle proprie grazie, sperando che fosse la volta buona che l’altro parlasse. «ABBI IL CORAGGIO DI DIRLO!» sbraitò furente, strattonandolo.

Quel dannato silenzio stava diventando insostenibile e troppo anche per lui, che lo aveva sempre apprezzato e trovato pregno di risposte, rispetto al gozzovigliare della compagnia di Thor. Il principe di Asgard lesse la frustrazione ed il dolore della perdita in quegli azzurri che conosceva troppo bene, ma negò con tutto sé stesso, almeno fin quando non sarebbe stato l’altro a schiaffeggiarlo con la verità.

Una miriade di emozioni cozzavano nella mente del Dio degli Inganni. Thor venne travolto dall’urlo sovrumano, che poco prima aveva lasciato le labbra di Loki, e dal terrore nei suoi occhi dal color dei boschi. Thor ne avvertiva il dolore, ne sentiva, con la medesima intensità dello Yotun.

«Madre è morta.”, freddamente, la rivelazione arrivò diretta in faccia a Loki come una secchiata di acqua gelida, che non avrebbe dovuto fargli forse nulla, ma che lo scosse profondamente, fino a fargli tremare ogni singolo osso del corpo.

Lui ci aveva provato davvero ad ingannarsi. Con le sue abili mani aveva da sempre tessuto fitte ragnatele elaborate e delicate, al tempo stesso, come bicchieri di cristallo, trame intrecciate abbellite da parole sagaci ed affabulatrici, con il mero scopo di illudere ed ipnotizzare l’altrui persona. Per una volta, sperò di ingannare chi degli inganni era il dio.

Sentì il suo muro di totale indifferenza crollare con la stessa facilità con cui un castello di carte cede alla violenza del vento; si sentì inghiottire, sentì di precipitare senza possibilità di appiglio.

Si sentì debole e nudo; si sentì vulnerabile, privo di ogni sua maschera e di ogni sua menzogna. Il dolore gli pervase le viscere fino in profondità e sentì ogni parte di sé lacerarsi, sgretolarsi sotto l’amaro peso della verità.

«Dimmi che menti. DIMMI CHE MENTI!», ordinò adirato, lasciando la presa dalla collottola dell’altro, inspirando profondamente; cominciò a camminare avanti ed indietro, mentre una triste consapevolezza iniziava a farsi largo dentro di sé; aveva realizzato, ma non era pronto ad accettarlo.

Per un attimo sentì di essere solo in quella stanza, con la mente esclusivamente sulla madre. L’unica donna che lo avesse mai amato, nonostante tutto, nonostante il male fatto. L’unica donna che fu in grado di riscaldare il cuore freddo di uno Jotun. L’unica donna che era stato in grado di destabilizzarlo e fargli credere, solo per un frangente, che la menzogna non fosse in lui; che non fosse il mostro che lui vedeva riflesso.

Denegava freneticamente, deglutendo a vuoto.

Si permise di chiedergli, un’ultima volta e con un sorriso beffardo sul viso, di chi ride per non piangere «Dimmi che menti.», appena sussurrato, simile al sibilo di una tigre ferita.

Rise di una risata amara, isterica, per non lasciarsi andare, per non crollare. Lui non avrebbe pianto.

«No.», rispose semplicemente Thor. Non era lui il dio delle menzogne.

L’istinto prevalse alla ragione ed il biondo tirò a sé Loki, stringendolo tra le braccia. Loki non si oppose, ma neanche rispose, in un primo momento.
Non poteva crollare, non lì, ma sentì la maschera cadere ed infrangersi sul pavimento; le braccia si chiusero intorno al biondo, distrutto.

Sentirono, in quel momento, l’innocenza di quand’erano bambini invaderli e la necessità di esserci l’uno per l’altro impellente; si abbandonarono ad un pianto silenzioso, timido e riservato, protetto dalle calde braccia di entrambi.

 

                             

 

 

«Thor?»

Una voce calda e gentile riportò il biondo alla realtà, che scosse appena il capo, come se stesse tornando in sé solo ora, dopo un lungo viaggio.

Si voltò, scuro in volto, posando gli occhi chiari sulla figura di Sif, che cauta gli aveva poggiato la mano destra sulla spalla, stringendo appena la presa in un gesto di puro e semplice conforto.

Thor non le rispose, si limitò soltanto a guardarla, poi gli occhi azzurri tornarono al centro della stanza.

Quel momento era intimo. Era solo suo.

Lo sguardo tornò avanti a sé e la figura del fratello si dissolse, insieme al resto del suo ricordo.

Era talmente vivido, talmente reale quella sequela di fotogrammi rapidi, così tangibile, che se solo chiudeva gli occhi, ancora avvertiva le braccia di Loki ricambiare la sua stretta, aggrapparsi a lui con altrettanto bisogno, disperazione; così vivo quel ricordo che gli sembrava di sentire la stoffa della propria veste bagnarsi ed il proprio collo incassare i singhiozzi dell’altro, come quello di Loki raccoglieva i propri.

Ogni volta, ritornare in quella stanza, faceva maledettamente male, ma non riusciva a staccarsi da quella logorante abitudine. Era quasi una droga; ne era assuefatto e sentiva di mantenere una parvenza di lucidità. In qualche modo quel ricordo lo aiutava a non scivolare lentamente nella pazzia, dopo aver perso quasi tutti.

Quella scena in particolare gli si presentava realistica ogni qualvolta varcava l’ingresso della camera.

Chinò appena lo sguardo, respirò a fondo, e lasciò i pugni chiusi lungo i fianchi, poi si voltò verso l’amica di sempre, Sif, e le sorrise caldamente. «Sto bene, Sif.», la rassicurò.

Sif non gli credette a pieno, ma non glielo disse mai. Lo conosceva da millenni; sapeva leggere tra le righe e sapeva interpretare le sue parole ed i suoi gesti.

Con la delicatezza di chi si prende cura di un fiore raro, prezioso e puro, Thor richiuse quella porta, la detentrice di uno dei suoi ricordi più belli e dolorosi condivisi con quello che è stato, a prescindere dal sangue, sempre suo fratello.

Lisciò con delicatezza il legno e le venature della porta; sorrise poi, amareggiato. Un sorriso dai tratti gentili e malinconici; il sorriso angosciato di chi non vorrebbe mai staccarsi da un pezzo di memoria.

Compì due passi indietro il dio del Tuono e fissò per qualche istante la pesante porta, sostando per qualche minuto ancora, mentre la mano di Sif, delicata e forte al tempo stesso, accarezzava la sua spalla.

«Andiamo.», le disse soltanto e l’altra annuì, lasciando un’ultima carezza gentile sulla sua spalla.

Seguì un altro passo indietro ed alla fine si voltò. Lungo il corridoio riecheggiarono i passi del Re di Asgard, granitici, ma più sereni, allontanarsi da quella stanza sempre chiusa e lasciata come il dio degli Inganni l’aveva tenuta prima di morire.

Il perché fosse importante, era palese ai più, ma solo Thor sapeva cosa c’era in quella stanza, vuota da anni. Il più prezioso dei ricordi: in quell’abbraccio si sentirono, dopo anni, di nuovo fratelli.

 

 

 

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Thor / Vai alla pagina dell'autore: amy_lee91