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Autore: Alba_Mountrel    03/02/2019    1 recensioni
Una ragazza č persa dentro se stessa... ma qualcosa, o qualcuno la salverā
Genere: Generale, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matt, Mello, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Undicesimo capitolo

"Frustrazione, Anima leggiadra, Coraggio"

 
«Oh… fighi questi vestiti, su di me non li vedo poi così male». Matt ride animatamente alla spontaneità della mia esclamazione.
«Che forte che sei! Comunque Mello ci sta sentendo. I miei e i suoi vestiti sono dotati di cimici inserite nella fodera». Sbarro gli occhi, esterrefatta e terrorizzata dall’idea di aver offeso un mafioso.
“Certo che però lui non è un mafioso. Chissà perché però, non riesco a essere tranquilla e nemmeno a fidarmi”.
Ride ancora, portando una mano sulla guancia a sfregarla.
«Ok, Bellezza adesso andiamo, altrimenti il tempo ci scappa dalle mani». Annuisco e rimiro ancora una volta i bei vestiti che indosso: tutti neri, gilet antracite di cotone a coste fìni, dei semplici e lineari jeans con attaccate ai passanti due catene di cui una più lunga, con un’estremità che ho attaccato al cursore a cerchio della cerniera.
“Non che tutto questo sia molto in linea con lo stile delle mie scarpe… sono delle semplici calzature da ginnastica e per giunta pure beige. Però… non me ne importa niente, sono troppo belli”.
Dopo questi pensieri alzo lo sguardo per tornare alla realtà, e girandomi leggermente verso Matt lo scopro a fissarmi, cosa che mi mette terribilmente in imbarazzo e la tentazione di fuggire e mandare a monte tutti i buoni propositi è molto più forte di quanto potessi immaginare, ma mi convinco ad arrestare i miei istinti più bassi; quindi gli rivolgo un sorriso di cortesia sfuggente ma rivolgo subito la mia attenzione su tutt’altro. Usciamo dal sotterraneo e continuando a camminare, in dieci minuti arriviamo davanti a un cancello basso, contornato da edera lasciata crescere in maniera selvatica, che dà sul muro di un’umile casa a due piani.
«Ma…».
«Non preoccuparti, non ti sto portando a casa di un assassino… solo che non possiamo sempre andare dove ci pare…». Mi rassicura Matt. Deglutisco rumorosamente ma cerco di farmi forza.
«Lo so, è da panico, infatti, ogni tanto mi concedo qualche cosa per rilassarmi». Mi sorride affabile.
«Ah sì, forse me l’avevi già detto. Vero?!». Il mio sorriso minaccia di spegnersi e trasformarsi in una smorfia di preoccupazione.
“Non so se preoccuparmi per me o per lui. Sembra davvero drammatica la situazione. Con tutti i pensieri che ho fatto finora sul salvare il mondo… penso che mi ricrederò presto”.
Rifletto tra me e me, mentre lui suona il campanello, da cui risponde una voce gutturale e spiacevole che sembra dover mandare in fiamme il vicinato, per la collera che trasmette.
“In cosa cazzo mi sono immischiata? Senza volerlo tra l’altro. Certo, la mia famiglia è viva ma resta il fatto che non posso né vederla né essere libera”.
Abbasso la testa per non mostrare a nessuno il mio umore, che altrimenti solleverebbe discussioni che in questo momento non mi servono, per nulla al mondo.
«Ehi Henry».
«Ehilà Ciccio».
«Henry, passami Gin».
«Va bene, va bene… Gin!». Urla la voce da dietro lo sgangherato campanello col vetro mezzo crepato del nome, al quale decido appositamente di non interessarmi perché non so cosa potrebbe comportare altrimenti.
Il cancello, dopo un minuto che mi sono rosa il fegato dall’ansia si apre e mi sale il cuore in gola, comincio a sudare freddo e serro i pugni sperando che nessuno si accorga in che stato mi trovo, altrimenti oltre all’ansia e i morsi della fame avrei anche risate in faccia, bell’e buone. Cammino piano per un’inconscia speranza di prendere tempo, e riuscire ad arrivare in casa con il cuore a velocità normale.
«Matt, dove siamo? Era una balla detta a Mello, quella della colazione?».
«No, Des e ti ricordo che lui ci sente, e… non te l’ho detto prima ma non devi mai nominare quel nome fuori dal covo. Devi chiamarlo Sambuca, o Sam. Comunque, la moglie di questo mio amico sa cucinare. Il mio amico è un imprenditore nato, quindi ha deciso di sfruttare la sua capacità e il fatto che fosse sua moglie, per aprire un’attività illecita di ristorazione. Ovviamente deve essere discreto quindi si è trasferito in questa casetta semplice e invisibile, e i suoi non sono semplici clienti».
«E così sfrutta la moglie, eh?». Ringhio di rabbia e stringo nuovamente i pugni.
«No che non la sfrutta, Des». Mi corregge Matt, infondendo però nella voce una nota bemolle. Gli getto uno sguardo interrogativo ma la sua faccia mi fa immediatamente rendere conto della verità.
“Forse non vuole rischiare che ci sentano parlare di certe cose, e lo capirei benissimo”.
Gli rivolgo uno sguardo apprensivo e arrabbiato, e lui capendo cosa provo fa nascere un sorriso appena accennato sul suo viso e poi mi fa l’occhiolino, che mi fa comprendere quanto io abbia afferrato come stanno la situazione.
“Che tristezza. Se questo dovrebbe essere un ‘appuntamento galante’… devo dirti Matt, che non funziona per nulla così”.
Penso, sempre mantenendo i miei occhi in quelli del trentenne.
«Ehi… ragazzo mio, qual buon vento».
«Ehi, Gin». Risponde Matt con voce atona e distaccata ma guardandolo negli occhi, al che provo anch’io a posare gli occhi sull’uomo che mi sta davanti sulla soglia della casa, in vestaglia semi aperta, i capelli unti e dei sandali ortopedici grigio topo e logori. Alla vista di quei due occhi che mi fissano perforandomi l’anima con evidente interesse sessuale, mi sale al cervello un misto di nausea e ira che reprimo a stento con un brivido, lo maschero facendo capire che sento freddo, perché in effetti, un po’ di freddo lo sento davvero ed è più che plausibile in questo periodo e con l’abbigliamento che indosso.
«Allora ragazzo mio, cosa ti porta così presto nella mia umile dimora? Hai per caso qualcosa di nuovo per me?». Chiede divertito fissandomi ancora più languidamente, e io capisco che si sta riferendo a me come fossi una prostituta.
«No! Sono qua per fare colazione. Io e la mia compagna ieri ci siamo dati da fare ma sai com’è il mio compagno numero uno… in casa non c’è niente». Asserisce Matt con voce un po’ roca, mantenendo quel distacco e quella formalità, che sono tipiche di un colloquio di lavoro.
Mentre ci fa entrare, mi sorge un dubbio.
“La domanda è… perché… fa proprio a Matt, una domanda simile?”.
M’infiammo tutto a un tratto perché non riesco a capire niente, perché il mio sentore di pericolo è al massimo, e allo stesso tempo sono anche furiosa per via di quest’uomo spregevole.
“Uomo che non si fa molti scrupoli, anzi… a pensarci bene non se ne farà proprio nessuno, gli capitasse l’occasione. Matt, ti detesto, ora più che mai. E non poterlo urlare ai quattro venti è così frustrante. Ecco. Adesso mi è un po’ più chiaro il perché sono finita su quel tetto. Maledetto…”.
Digrigno i denti inconsciamente durante queste mie riflessioni ma all’improvviso sento un brivido, molto meno sgradevole del precedente, percorrermi la schiena. Matt si è avvicinato a me e mi sussurra all’orecchio di rilassarmi perché va tutto bene. Siccome, però sono molto testarda e non demordo molto facilmente nelle mie idee, il mio unico pensiero è per tutte quelle povere donne che hanno patito sotto la mano di quell’uomo, perciò non riesco proprio a rilassarmi.
“Basterebbe una parola per farmi esplodere. Beh, non esageriamo ma il concetto è che non posso tollerare che uomini così abbiano sempre la meglio, e soprattutto una fortuna sfrenata”.
Giacché non accenno a calmarmi, dopo due tre secondi sento la mano del rosso stringere la mia, cosa che mi fa sussultare impercettibilmente, e mi conduce dietro di sé.
“Penso sia il segno che quell’uomo non ha molta autorità su di me. Ma comunque preferisco non emettere nemmeno un fiato finché siamo qui. Poi, io e Matty faremo i conti. Ma guardami… sembro una sposa. Eh? Ma va a cagare stupido cervello ammuffito. So che non dovrei offendermi da sola, ma stavolta ho oltrepassato il limite. Ve la farò vedere uomini… è triste… ma io morirò sola, vedrete”.
Penso con sguardo determinato. Nel frattempo, passando per un corridoio corto e stretto utilizzato anche come cucina, arriviamo nel salotto a destra, uno spazioso salotto con luci soffuse e tantissime stranezze sparse per tutta la stanza. Una tartaruga già molto cresciuta in un acquario con l’acqua putrida, delle luci stroboscopiche infondo a destra a contornare le pareti e, in netto contrasto con tutto il resto che è rovinato e vecchio, un divano nuovo e vistoso. Storco ancora di più il naso e stringo furiosamente la mano di Matt, il quale per fortuna non si scompone e ricambia.
“Penso che bene o male riesca a capire quello che sto provando. E… madre de dios, ma com’è conciato questo salotto? Sembra una discarica di colori e stili. Ergo… sicuro, la donna non ha voce in capitolo, e quindi l’arredamento è opera di questo porco che, ancora adesso, continua a fissarmi come fossi la sua bambola dei giochi. Porco schifoso maledetto”.
«Beh, bando alle ciance. Di sopra c’è mia moglie che sta già cucinando quindi se la gentile signorina vuole farci l’onore di lasciarci soli e andare a recuperare qualcosa di buono per tutti noi… Per me la tazza grande di latte con i cereali, e poi anche un Pasticciotto Atranese, krapfen, brioche e cornetto. E per il mio ragazzo qui, un bel cheeseburger». Storco di nuovo il naso.
“Dà anche ordini come fosse un re. Schifoso fin’infondo. Fanculo”.
Guardo male Matt, il quale mi sorride e mi indirizza un occhiolino appassionato e ciò non può che farmi piacere, se non fosse che nella mente ho le parole del bastardo.
«Sì dai, un Cheese dopo tanto tempo non mi farà male. Mi ricorderà un po’ i tempi in cui stavo nella grande America. Beh… lì sì che li fanno schifosi i panini. Non fanno testo con quelli prodotti qui». Osservo il ragazzo, prima di defilarmi e noto che lo sguardo di Matt si è come animato di una luce quasi sinistra e di sfida, verso il suo interlocutore. Non riesco a capire bene, quindi decido che gli chiederò spiegazioni dopo, quando saremo tornati. Mi dirigo verso la cucina in ingresso e alla mia destra noto che tramite una porta si arriva alle scale, che portano presumibilmente al piano cottura della casa e altre stanze funzionali. Salgo, titubante e vogliosa più che mai di urlare, urlare a squarcia gola che sono qui, e ho bisogno d’aiuto.
“Aiuto. Ti prego Matt, e se sopra le scale mi aspettasse una brutta sorpresa? Se non ci fosse la donna ma la guardia del corpo? Aiuto… aiuto. Aspetta, non devo perdere la concentrazione, altrimenti combino guai come al solito. Per lui devo chiedere un Cheese e per l’altro un Pasticciotto Atranese, brioche e cornetto e… ah sì, latte e cereali. Spero di non scordarmi appena incontrata la donna…”.
Durante questi lugubri pensieri sono continuamente attraversata da brividi inquietanti lungo la schiena, e non riesco a rilassarmi nemmeno di un millesimo, e quando poi arrivo a una porta sulla sinistra e vi busso delicatamente, il mio cuore entra in tumulto sentendo come la risposta di quella donna arriva flebile e disillusa alle mie orecchie.
“Ma cos’ha? Non si sentirà male, vero? Perché tanto a quello che gliene frega se la donna con cui dovrebbe stare tutta la vita, e che lo accudisce come fosse suo figlio, si ammala o muore? Nulla. Non gliene importa nulla. Niente di niente. Matt, adesso comincio a capire le strane sfaccettature del tuo carattere, che a volte non mi quadrano per niente, le une con le altre. Anche tu, esattamente come me e il tuo amico, avrai delle situazioni, che nel profondo non riesci a digerire”.
«Signora, suo marito mi ha mandata per ordinarle la colazione».
«Ah sì? D’accordo vieni pure, stavo giusto preparando qualcosa di leggero per il pranzo».
“A quest’ora? La sua voce mi mette i brividi. Sembra uno spettro da quanto è spenta e volatile”.
«Buon giorno signora. Mi spiace disturbarla ma suo marito e il mio amico vogliono un cheeseburger, un Pasticciotto Atranese, brioche e cornetto, e latte con i cereali». Mentre parlo, cerco di cogliere e interpretare più fedelmente possibile le sue espressioni, e purtroppo non vedo altro che desolazione.
«Ma come fa suo marito a mangiare tutta quella roba senza morire di infarto di prima mattina?». Cerco di rassicurarla con un sorriso ma non mi illudo che funzioni più di tanto.
«Si è abituato… quando è andato al sud». Per un attimo, quella pausa mi ha trasmesso tutta la sua tristezza e quasi, quasi sembrava dover svenire.
“Povera donna”.
La tristezza mi raggiunge appena ma cerco di farmi coraggio, e ritorno col sorriso.
“Non può che farle bene un sorriso sincero e rassicurante… spero. Adesso che ci penso… io sono fortunata. Anzi, fortunatissima. Non vedo figli in giro per casa, quindi non deve avere nemmeno quelli come consolazione. A pensarci bene, invece sarebbero una disgrazia con un padre simile”.
Comincia a preparare ciò che le ho chiesto immediatamente, come un automa che si rispetti, quando all’improvviso ricordo di dover mangiare qualcosa anch’io ma decido comunque, di non dirle niente perché mi fa solo pena e tristezza, e non voglio sobbarcarla di altro lavoro. Oltre a questo, mi viene in mente che potrei anche darle una mano visto che non penso abbia già tutto pronto.
«Signora, la prego vorrei darle una mano a cucinare per… suo marito… e il ragazzo che sta di sotto a parlare con lui».
“Non so se lei possa sapere il nome di Matt, quindi preferisco restare sul generale”.
«Oh no, mio marito non vuole che mi faccia aiutare da qualcuno».
La sua frase mi provoca l’ennesima fitta al cuore, e quasi mi viene da implorarla.
«Certo ma suo marito non è qui al momento».
“Questo dovrebbe convincerla”.
«Purtroppo mi ha concesso di evitare di posizionare anche le cimici ma in tutte le stanze ci sono telecamere ovunque». Continua con voce spenta e senza vita.
«Oh no, ma… per…». Stavo per chiederle il motivo ma mi blocco in tempo perché immagino lei non possa sapere ma solo immaginare i loschi giri del marito.
“In più non avrà alcuna voglia di parlare mentre sta cucinando. Dio…”.
Capito che ogni mio sforzo sarebbe inutile, almeno per il momento, decido di limitarmi ad aspettare che abbia finito di cucinare il piccolo dolce, e a guardarla nella sua opera, la quale a detta del marito è di ottima qualità.
“Chissà… da dove le verrà tutta questa energia… o questa capacità di tirare fuori l’arte che non viene affatto stimolata ma anzi, sfruttata e demolita. Sarà per questo che quel figlio… no, troppo banale. Sarà per questo che l’ha sposata? Non posso farle una domanda del genere, nello stato in cui versa, chiederò anche questo a Matt. Ah no, me l’ha già detto lui stesso che è così. Cazzo, cazzo… CAZZO. Me ne starò qua buona a cercare di farmi gli affari miei, altrimenti potrei creare seri problemi. ‘Na parola…”.
Dopo venti minuti, il tutto è pronto e io riemergo dal profondo abisso dei miei pensieri, nel quale rischio sempre di sprofondare a causa di una realtà che non va mai per il verso giusto. La donna, emaciata e con degli anomali lividi sul collo, con gli occhi spenti e il respiro inesistente, mi porge un piatto contenente i tre dolci, più il panino di Matt e una tazza gigantesca con il latte e cereali. Dopo aver capito come non far cadere tutto quanto, mi dirigo alla porta aprendola con il piede, l’avevo lasciata socchiusa per fortuna, e scendo le scale. Prima di arrivare al corridoio d’ingresso, c’è una porta che lo separa dalle scale e, prima di varcare quella porta mi fermo un secondo per riprendere fiato, quello che la visione della donna mi ha tolto.
“Piangerò, lo sento. Non davanti a questa gente ma piangerò. Ho già gli occhi lucidi, Dio…”.
Ricaccio indietro le lacrime e tiro un profondo respiro, poi apro la porta e, facendo attenzione a non versare niente per terra, vado a sinistra dove l’altra porta che dà sul salotto è già aperta, quindi attendo i comandi del padrone di casa che non tardano ad arrivare.
“E certo, avrà una fame da lupi il porco sfruttatore”.
Nella parte destra c’è un grande tavolo da pranzo e lì poggio piatto a tazza, che cominciavano a pesarmi.
“Dev’essere un piatto parecchio pesante per farmi venire i crampi dopo qualche secondo”.
«Grazie mille cara». La voce melliflua accompagnata da uno sguardo di pura preoccupazione, di Matt ha un che di surreale, e ora come ora c’è qualcosa che non riesco a comprendere, perciò ignoro lui e anche i miei crampi allo stomaco, e mi rinchiudo in me stessa. Decido di non vedere né sentire niente.
“Ma chi voglio prendere in giro, ho visto anche troppo bene… ma perché sono qui? Perché proprio io?”.
Quel senso di blocco e lo stesso bruciore alla gola che ho sentito ieri si ripresentano spavaldi, e presa dal panico inizio a sudare freddo e penso che non posso rimettere proprio in una situazione del genere, non in questo luogo e con quest’uomo di fronte. Con la voce spezzata mi congedo ed esco dalla casa in tutta fretta. Appena varcata la soglia, comincio a correre e supero il piccolo recinto di edera che circonda la casa, poi apro il cancello con uno strattone, e immediatamente mi fiondo per terra perché la mia anima possa venir fuori libera e leggiadracome l’acqua.
“Questa è bile, dannazione. Aiuto, sento che sverrò di nuovo ma stavolta non so se potrò risvegliarmi al sicuro. Aiuto, aiuto… aiuto”.
Il vomito non mi perseguita come il giorno prima, anzi non mi sento poi così male ma lo stomaco che si riversa per terra mi fa stare ancora peggio. Cerco di controllarmi in qualche modo, quindi per non rimettere nuovamente inizio a piangere, piango e ripenso a tutti gli avvenimenti delle ultime ore.
“Prima sto per suicidarmi e vengo magicamente salvata da un investigatore… immischiato con la mafia, poi mi ritrovo nel letto con lui a torso nudo, poi arriva un tornado biondo, poi mi coinvolgono in un inseguimento e sparatoria, mi portano in un covo sotterraneo, vomito e svengo per poi mangiare del riso insieme a uno sconosciuto. Uno sconosciuto che… no, no. Poi, addirittura scopro che la mia famiglia è viva… ma non la posso vedere. Come ciliegina sulla torta… adesso questo. E alla fine quella che ci rimetto sono sempre e solo io, ma adesso non voglio cominciare a far la vittima. Ritornerò lì e me ne starò zitta, come nulla fosse. Nemmeno Matt dovrà accorgersi di niente. Sfodererò il mio miglior sorriso. Ok”.
«Se devo essere trattata da rifiuto umano, almeno lo farò con dignità. Ve la farò vedere io».
E così faccio, infatti il rosso non sembra badare molto a quello che è successo anche se dagli sguardi che mi lancia di tanto in tanto, mi porta a sospettare che in realtà sì, abbia capito che sto male ma non mi interesso molto del fatto che sia preoccupato o meno. Nel frattempo, che il mio stomaco non mi dà tregua, e al cervello non arriva più ossigeno. Tento con tutte le mie forze di seguire il discorso che intrattengono i due uomini, anche se sembra usino una parlata in codice, come non potessero parlare liberamente davanti a me.
«Ma che mi stai dicendo Gin? Non vorrai dire che proprio quella donna è una tua protetta?». Dice Matt e l’altro si esprime semplicemente con un ghigno che, in quanto estranea all’argomento, non riesco a decifrare.
“Avrà un altro motivo sotto per sorridere? E di che donna stanno parlando? Ovvio che non lo posso sapere, però magari potrei dedurre cosa faccia, e che ruolo abbia per i due investigatori”.
«Proprio così, la bella Enne vive sotto il mio tetto e io vivo sotto le sue… di tette». Anche Matt stavolta storce le labbra e il naso.
“Che battuta orribile… ma a guardarlo meglio, Matt sembra quasi arrabbiato, quindi lo tocca nel personale questa battuta. Può voler dire che la conosce oppure la conosce il biondo”.
«E allora? Che mi puoi dire di lei? Andrebbe bene per i nostri affari? È in grado di portare a termine operazioni come scambi, o contrattazioni?».
«Ma certo… mi ha aiutato in più d’un occasione, in più è l’ideale vista la sua sterilità».
«Ah… beh questa sì è una sorpresa».
«Infatti, quando me l’ha detto non ci credevo così l’ho fatta visitare da un mio dottore di fiducia, e in effetti l’ha confermato». Dopo questa frase vedo negli occhi di Matt uno scintillio di malizia, dopo di che la mia attenzione subisce una depressione improvvisa così perdo il filo del discorso. In cinque minuti, con la mia incessante fuga dalla realtà, riesco ad arrivare con i ragionamenti a capire perché è nato il detto ‘sta in campana’.
 
La mia mente, quasi totalmente inabissata in se stessa, riesce a tornare libera dopo indefiniti minuti di riflessioni leggere ma futili, e mi maledico per essere così distratta e infantile.
«Va bene Gin… sei stato molto utile, lo dirò a Sambuca. Beh, ti avvertirò quando avrò bisogno di lei, o di altre…».
«Oh, così mi piaci ragazzo mio. L’importante è che parli al caro buon vecchio capo della mia buona condotta».
Si salutano brevemente e poi ci incamminiamo verso l’uscita, mentre sento un misto di gioia e fame nello stomaco che reprimo, con la speranza di poter mettere a breve qualcosa sotto i denti.
“Già, a proposito. Lo devo dire a Matt”.
«Matt…». Inizio, con le labbra e la gola secche e una gran voglia di urlare.
«Sì…». La voce atona utilizzata con l’uomo per tutto il tempo, mi colpisce come una forte spinta sul petto, all’altezza del cuore.
«Ehm… ti seccherebbe portarmi da qualche parte?».
«In che senso?». La voce senza né tono né vita del ragazzo mi impressiona e preoccupa allo stesso tempo, e comincio a sospettare che non abbia veramente bisogno d’una risposta.
«Hai capito tutto, vero?!».
«Sì… Des… Ti capisco, ti capisco benissimo ma...».
“Questa pausa non mi piace per niente”.
«Devo sentire Sam». Sussurra. Proprio in quell’istante squilla il suo telefono, neanche farlo apposta.
«Pronto…».
«Perché mi chiami, Sam?».
«Oh, madonna che rapidità. Sei sicuro? Guarda che…».
«E va bene, va bene… calma, per dio!». Impreca, per poi mettere giù la telefonata e riporgere il cellulare nella tasca del giubbotto color cammello.
«Mr. ‘Comando io’ ha detto che posso portarti a mangiare fuori. Ma Des, perché non hai approfittato della ‘gentilezza’ di quel porco?». Mi chiede Matt, mentre siamo già lontani dalla casa di Gin.
«Perché mi chiedi? Sul serio Matt? Credevo fossi più intelligente. Ti prego, voglio solo rimettere il mio stomaco a posto».
«Cosa intendi con questo?».
“Era troppo bello che avesse anche capito che ho vomitato”.
«Ho…».
«Vomitato per l’ansia? E sei ancora a digiuno perché ti dispiace per quella donna? Beh, sono contento che su questo pianeta, tra le mie conoscenze, ci sia almeno una persona sensibile».
«Ma…?». Mi rivolge un sorriso bellissimo: un misto di divertimento per la mia ingenuità e di tristezza per la verità dei fatti.
«Ti conosco da parecchio, ricordatelo. Anche se devo ammettere che sei molto brava a mentire. Cioè, gente come noi ti può capire benissimo, infatti Sam mi ha chiamato per quello… ma… come posso dire? Hai quel che in più che ti permette per lo meno di nascondere che stai soffrendo come un cane». Un altro sorriso sereno ma triste.
“Ti ho fatto soffrire con la mia ‘debolezza’ Matt? Sì, credo proprio di sì. Mi spiace. Mi capita spesso di perdere il controllo di me stessa, e da qua la mia più grande debolezza”.
Abbasso il capo, impensierita da questa rivelazione.
«Ma non voglio che adesso ti metti in testa strane idee… Dobbiamo trovare un posto super appetitoso per la mia bella».
«Ma chi ha detto che sono tua?». Ride di gusto a questa mezza battuta.
“Ma cosa ridi, non era una battuta”.
«Ok, adesso andiamo alla Pergola».
«E va bene, Matt ho deciso di deporre l’ascia di guerra per il momento… solo, se la smettessi di chiamarmi in quel modo mieloso e ridicolo, mi faresti un favore».
«No, non posso farlo». Ride nuovamente.
“La smetterai, invece”.
«Beh… pensavo che volessi attrarmi…». Lo sguardo d’intesa che mi lancia, non lascia spazio ai dubbi.
«Forse è meglio cambiare argomento».
«Va bene, se ci tieni…». Rispondo con fare vago e fintamente deluso.
«Sì, e tanto anche». Ribadisce guardandomi in tralice per carpire le mie espressioni e capire dove voglio andare a parare. Dal canto mio, non vedo l’ora di liberarmi in una risata liberatoria.
“Tutta questa situazione in qualche modo la devo esternare e non posso portarmene dentro il peso, ma non è ancora il momento giusto”.
Penso con un sorrisetto, a stento trattenuto.
«Senti… non dico che sia brutto, figuriamoci ma… che vuoi farci? Mi dà fastidio… per un motivo ignoto». Finisco con voce ironica.
“Forse se gli faccio credere di prenderlo in giro si incavolerà, e poi gli passerà la voglia di sicuro. Almeno spero…”.
«Non crederai di darmela a bere, vero?!». Sorride guardando dritto davanti a sé.
“Già. Lo sapevo. Non è possibile coglierlo in fallo. A meno che non sia svenuto”.
Sorrido a questo ennesimo pensiero puerile, lui però deve essersi accorto di questa mia reazione perché emette una breve risatina soddisfatta.
“Cos’ha adesso da ridere? Sicuro che non mi legga nella mente ma… allora? Bah, gli uomini”.
«Te l’ho già detto che sei bella quando ridi? Ma non ti montare troppo la testa, altrimenti diventeresti una snob e non serviresti più». Termina con un sorriso affabile ma una fitta mi percuote e mi rivolta lo stomaco come un calzino.
“Come? Sapevo che era diverso da noi comuni esseri umani ma non pensavo dovesse essere stronzo, per questo”.
«Matt… tu sei…». Le parole vengono soppresse dalla rabbia che sale veloce e mi attanaglia la mente, impedendomi qualsiasi modalità comprensibile di espressione.
«Eh?».
«Fanculo. Andiamo a far sta cazzo di colazione».
«Va bene».
“E non si accorge di un cazzo”.
All’improvviso arriva di nuovo una chiamata al telefono dell’uomo, che infila la mano nella tasca sinistra del giubbotto senza dare attenzione a quello che fa, e risponde svogliatamente.
«Ehi…».
«Ma che ti urli? Sei mestruato?». Mi viene da ridere ma per fortuna sono ancora arrabbiata e poi, so che potrei essere sentita da Mello.
«Ah… eh… dicevo io…».
«E perché?». Il suo tono si fa confuso e scocciato.
«Ah…». All’improvviso si ferma e fissa imbambolato davanti a sé la strada, senza emettere un suono o muovere un muscolo.
«Va bene… arriviamo tra venti minuti».
«No, Sam. Non riusciamo in meno». Chiude la chiamata e spegne lo schermo del cellulare, per poi voltarsi verso di me e piantarmi lo sguardo addosso, e subito mi sento perforata da quei suoi grandi occhi verde-azzurri.
«Che c’è?». Gli chiedo divisa tra la confusione e la rabbia, che ancora non accenna a scemare.
«Te la sei presa per qualcosa che ho detto?». Comincia in tono sicuro di sé.
«Di cosa parli, Matt?». Faccio finta di nulla.
“E certo che me la sono presa, mona. Ma mica vengo a dirlo a te… un estraneo di cui non ci si può fidare”.
«Se lo sai, dimmelo. Non far finta di niente… con me non serve».
“Ma veramente sì… fino a poco fa, almeno. Non sembravi proprio essertene accorto. Se non fosse stato per quella telefonata…”.
Questo pensiero mi fa sussultare e capire che quella telefonata non è stata una semplice sfuriata da parte di qualcuno.
“Quel qualcuno era Mello, ne sono sicura e gli deve aver fatto notare che mi ha parlato in modo sgarbato senza accorgersene”.
«Dal tuo silenzio ne deduco che sì… te la sei presa, dico bene?». Afferma, con empatia.
«Invece, io ho capito che è stato Sam a farti notare quello che hai fatto».
“Questo dovrebbe bastare a ‘lasciargli in fronte’ un bello smacco. Alla faccia, da quando sono così competitiva e stronza? Bah, sarà l’influsso di sti due a contagiarmi. Sono la solita ingenua che si fa influenzare come niente”.
«Eh? Sam? Beh, in effetti sì».
“Già”.
Mi acciglio, perché questa storia può voler dire anche che verrò ferita di qui in avanti, senza alcun motivo.
“Non che mi aspettassi altro, comunque. Anche se mi fa credere il contrario, non vuol dire che tra i loro piani per me, ci sia qualcosa di buono nei miei confronti. Anche se sono tentata di credere che quel che è avvenuto poco fa non significhi nulla. Certo che, se invece di restarsene lì senza dir nulla, si scusasse magari sarei più invogliata a credergli”.
«Sei sempre d’accordo per l’andare a far colazione?».
“Ma perché quando gli uomini si accorgono di aver fatto una cazzata non devono mai ammetterlo e non si devono manco scusare? Brutti figli…”.
«Certo, il mio stomaco mica sta dietro ai miei pensieri».
«Giusto».
“Ma come siamo espansivi, Matt... ah, adesso che ci penso… è probabile che lui non lo sia affatto. Lo capirei, vista la vita che fanno…”.
«Matt… tu… ahm… non so se puoi parlare direttamente di te, però a ripensarci bene quando ti ho conosciuto mi hai raccontato anche troppo, perciò penso di poterti fare questa semplice domanda. Tu… non sei molto espansivo vero? E nemmeno molto sentimentale…». Lascio in sospeso la frase e solo lui può continuarla, anche se in realtà non ha niente da dire se non darmi una risposta, la quale dev’essere negativa altrimenti è la volta buona che mi verrà da urlare.
«Già, non sono mai stato molto a mio agio con le donne o con le persone in generale, con questo non dico che preferisco gli uomini, per carità… sono così stressanti. Invece, con voi donne il mio problema è che non riesco a starvi dietro, in un modo o nell’altro finisco sempre per sbagliare gravemente qualcosa».
“Beh, insomma… gravemente… adesso non esagerare Matt. Hai solo fatto una battuta riuscita male”.
«Beh, ma non è il caso di poco fa».
«Beh… allora vuol dire che stavolta è andata bene ma non mi va sempre… bene».
«Capisco… beh, forse è meglio che andiamo, altrimenti l’amico se la prenderà con te, poi». Mi spunta un sorriso sadico ma divertito, d’intesa e, infatti Matt ride e la tensione che si era creata si allenta. Sorrido dentro di me, perché una battuta o due con un amico, dopo tanto che non avevo occasione di farne, mi ci voleva proprio.
«Eccoci arrivati. Ti piacerà, fanno da mangiare cose particolari, rispetto a un normale bar. Gestito dai cinesi, va bene, ma non per questo è meno valido».
«Ah… e cosa danno da mangiare?».
«Vedrai». Mi sorride conciliante ma mi preoccupo.
“Mi fa solo entrare in confusione, non sapere in anticipo cosa posso fare… almeno quando vado al bar per ordinare qualcosa… Che pensiero idiota… dio”.
Mi tormento la coscia cominciando leggermente a grattarmi per il nervoso, sono ancora molto sensibile dopo gli eventi di questi giorni e in più non ho mangiato niente.
“Il nervoso mi sta facendo venir di nuovo da vomitare. No, cazzo, non voglio”.
«Matt, non riesco neanche a reggermi in piedi… ti prego scegli tu cosa potrebbe essere adatto a una ragazza che non mangia da giorni ed è… vegetariana. Mi raccomando».
«Ok Bellezza. Ci penso io».
“E Eureka…”.
Penso ironica.
“Invece di chiamarmi a vanvera… perché non pensi alle conseguenze delle tue azioni? Tipo che se mi sbatacchi di qua e di là poi sto male? Che diavolo…”.
Il quarto d’ora che abbiamo a disposizione passa in fretta ma mi permette di riprendermi, almeno spiritualmente. Mandando giù quei pochi semplici bocconi mi sento come rinascere, anche se sono perfettamente consapevole che non basterà a saziare la fame che si è accumulata in me. Entro i venti minuti stipulati, riusciamo ad essere nuovamente nel covo, e l’ansia per gli spazi chiusi, cosa che non mi ha mai preoccupata, torna a bussare imperterrita ma mi convinco che in realtà non sia che una sensazione. Mi sarà molto più facile concentrarmi sulla realtà se mi concentro su ciò che realmente sento, e non su ciò che dovrei o prevedo di voler sentire.
“La vita la devo vivere, e per farlo devo provare, rischiare ed essere forte. Non posso farmi fermare dal primo sentore di ansia che bussa alle bocche del mio stomaco”.
«Ehi Mello, finalmente non ti devo chiamare in quel modo da spastici». Matt saluta il suo amico chiudendo la porta e passandosi una mano sul viso per togliersi la stanchezza di dosso, definitivamente.
«Da che pulpito…». Risponde scorbutico il biondo.
«Matt… devo andare a fare la spesa. Mi raccomando, se viene qualcuno con una qualsiasi scusa, anche spacciandosi per me, non aprire. Io userò le chiavi». Il biondo agita sarcasticamente il mazzo di chiavi davanti all’amico dai capelli rosso fuoco.
«Ah, Mello. Quanto vorrei che non mi considerassi solo un nerd, idiota e sfigato». Si pronuncia Matt con finto rammarico, sorridendo sotto i baffi e guardando altrove. Il verso di stizza che arriva in risposta mi fa sorridere, e a stento trattengo l’impulso irrefrenabile di ridere, quell’impulso che mi perseguita fin da quando mi sono alzata stamattina e che finalmente, una volta uscito l’amico, potrò sfogare in tutta libertà.
“Aspetta Des, non è ancora uscito e poi deve allontanarsi altrimenti ti sentirà, e a quel punto sarà finita. Ancora un minuto o due”.
L’uomo di trentuno anni, biondo con gli occhi azzurri, il fisico asciutto ma con una cicatrice a dividergli il volto, e l’altezza nella media indossa un lungo Parka nero con il pelo molto lungo intorno al cappuccio, e si precipita come un forsennato fuori dalla porta.
 
 
Spazio autrice.
In questo preciso momento, esattamente come la mia protagonista sto attraversando una lieve crisi, la quale se non faccio attenzione rischia di farmi buttare nel cesso tutto quello che sto creando per questa storia e per tutto il resto, compresa la mia vita, in senso figurato ovviamente… ma anche un poco di verità c’è: perché in quanto artista, la mia vita è creata soprattutto attraverso la mia arte, e se quella creasse uno scompenso in me, diventerebbe il finimondo all’esterno. Starò straparlando? Boh, può essere… in parte.

Intanto auguro un saluto a tutte/i, e grazie del seguito e delle recensioni… di questo sono felicissima, e soprattutto di chi ha osservato che la storia è… ‘centrata in modo diverso’, rispetto alla maggior parte presenti su questo sito. Chi ha occhi per intendere, intenda, non faccio nomi… 0_eleonora_0. Vorrei tanto fare di più per tutti quelli che mi lasciano una recensione e leggono con passione quello che scrivo! Beh… in proposito vi invio un grosso abbraccio a tutte/i! Byye!!

Ah... PS: per chi se lo stesse chiedendo, la formula che uso per il titolo, cioè tre concetti separati da una virgola, sono tratti dallo stile dei titoli che rappresentano ogni capitolo, ovvero ogni episodio dell'anime Hunter x Hunter, solo che per non copiare spudoratamente ho messo appunto una virgola.
   
 
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