Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    03/02/2019    1 recensioni
“Ho subìto un danno. Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere... È la sopravvivenza che le rende tali... perché non hanno pietà. Sanno che gli altri possono sopravvivere, come loro.” (Il danno, 1992)
14 Novembre, Colonia, un giorno grigio come tanti.
Una storia che comincia come una storia qualsiasi, con un istante di vita. Rapporti incrinati, il riemergere di un passato che fa paura, una serie di piccoli, fatali errori compiuti uno dopo l’altro, fino alla rovina. Fino a quando non si smette di vivere, per iniziare a sopravvivere.
Storia che nulla ha a che fare con la mia serie ancora in corso; storia triste e drammatica, ne sono consapevole. Ma mi piacerebbe ugualmente condividerla con voi.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andrea Schafer, Ben Jager, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dal capitolo precedente:

"E quel buio, quel buio non si diradava.
Stava cercando la fine di un tunnel senza sapere se effettivamente quel tunnel avesse una fine.
Un’uscita, una luce.
Odore di disinfettante?
Buio, di nuovo, sempre buio..."

Vivere o morire


GIORNO 38.

«Sai mamma, papà è triste.» esordì Aida, con un leggero sospiro, solo dopo essersi assicurata che la nonna fosse uscita e che l’avesse lasciata sola con la sua mamma, distesa come sempre immobile sul letto, a occhi chiusi.
«O forse è arrabbiato, non lo so. Spero non sia arrabbiato con me.» continuò, accarezzando la mano fredda e inerme di Andrea.
«Quando lo vado a trovare parla poco, forse non mi vuole proprio vedere. Io ho paura che sia arrabbiato con me, ma non so perché dovrebbe esserlo... tu che cosa ne dici, mamma?».
A risponderle furono solo i suoni intermittenti delle macchine, che funzionavano ormai incessantemente da ventidue lunghissimi giorni.
«Dici che papà mi vuole sempre bene, mamma?».
La bambina continuava ad accarezzarle la mano, imperterrita.
Sia nonna Helen, sia Ben avevano provato ad affrontare l’argomento del risveglio della mamma, cominciando a prepararla al fatto che probabilmente Andrea avrebbe continuato a dormire per sempre. Ma lei non ci credeva. Non ne voleva sapere.
«Se tu ti svegliassi, mamma, sarebbe tutto più facile...».


«Danzare sotto la pioggia...» mormorò Ben, assorto.
La piccola finestra rimandava come una televisione un paesaggio quasi spettrale. Il cielo era grigio chiaro e una pioggia sottilissima batteva incessantemente contro il vetro, decorandolo di tante minuscole goccioline argentate.
Osservando un paesaggio del genere, le parole dell’anziano signore inglese con cui aveva parlato il giorno prima gli tornarono alla mente in modo spontaneo.
Il suo angelo custode, così lo aveva soprannominato.
«Danzare sotto la pioggia...».
«Che cosa stai dicendo, Ben?».
La voce alle sue spalle lo fece sobbalzare. Quasi si era dimenticato di trovarsi nella stanza di Semir, assorto come era rimasto, a un tratto, tra i suoi pensieri.
Il più giovane sorrise, avviandosi nuovamente verso il letto dell’amico, che era semi-seduto nonostante quella posizione ancora per lui non fosse affatto comoda.
«Nulla, niente di importante. Ieri ho rivisto un amico, sai Semir?».
Il turco aggrottò la fronte.
«Sarebbe?»
«Un signore... è una storia lunga. Però sai, parlare con lui mi ha fatto bene.»
Semir alzò gli occhi al cielo, immaginando dove l’altro volesse andare a parare.
«Mi ha detto che è proprio quando rimaniamo in silenzio che in realtà avremmo più bisogno di parlare.» concluse Ben, sedendosi accanto al letto e guardando l’amico negli occhi.
«Ben, piantala.» fece Semir, distogliendo lo sguardo.
Se pensava a tutto ciò che avrebbe voluto dire, a tutto ciò che avrebbe voluto gridare, la testa cominciava a girargli e un nodo strettissimo cominciava ad attanagliargli la gola. Non voleva, non voleva parlare. Non voleva pensare.
«Semir, guardami. Puoi guardarmi un momento?» replicò Ben, con decisione, scuotendo leggermente il braccio dell’amico per attirare la sua attenzione.
Il turco si voltò verso di lui, riluttante, attendendo che il più giovane continuasse.
«Sono passati trentotto giorni, Semir. Da quando mi hai parlato per la prima volta dei tuoi problemi con Andrea. Li ho contati. Trentotto giorni.».
«E quindi?» fece Semir, nonostante sentisse il nodo in gola stringersi e stringersi sempre di più.
«Trentotto giorni da quando mi hai parlato di voi, trentasei da quando è riemerso Keller dal passato. Ventisette da quando siete stati rapiti. Ventidue da quando... da quando...».
«Ben, ti prego.» lo interruppe l’altro, sforzandosi di non lasciarsi sopraffare dall’emozione «Lasciami in pace, smettila.».
Ma Ben non aveva alcuna intenzione di lasciar perdere. Voleva aiutare il suo migliore amico, e se sbattergli in faccia ciò che era successo, nonostante fosse doloroso, fosse servito, avrebbe fatto anche quello.
«Quando eravate in quell’edificio, dopo averti rapito, Keller ti ha fatto scegliere tra me e Andrea. Me l’ha raccontato, Semir. E prima ancora di fare questo ti ha fatto sentire in colpa per tutto quello che sarebbe accaduto. Ti ha rinfacciato che se le cose tra te e Andrea non andavano più era stata solo colpa tua, non è così? E poi ti ha detto anche...».
«Basta... Ben...» lo interruppe Semir.
La voce gli tremava.
«Semir, voglio solo che tu capisca che hai bisogno di parlare. Che hai bisogno di sfogarti, altrimenti...».
Il turco lo interruppe di nuovo. Il nodo in gola era stretto, si sentiva soffocare.
«Vattene, Ben. Vattene.».


«E poi, mamma, mi manca un po’ Lily.» continuò Aida, china sul letto di Andrea «In realtà mi manca tanto... zio Ben dice che lei sta bene e che mi guarda da lontano... però io non potrò più giocare con lei e aiutarla a fare i compiti. E anche se mi dava fastidio io le volevo bene... secondo te, mamma, Lily lo sa che le voglio bene?».
La bambina si passò una mano sugli occhi, asciugandosi una lacrima silenziosa che si preparava a percorrerle la guancia.
«Io spero che lo sappia. Mamma, ma tu non ti svegli perché vuoi raggiungere Lily?» domandò ancora, come se effettivamente la donna potesse darle una risposta.
Ma a risponderle era sempre e soltanto il silenzio.
«Se è vero che Lily sta bene, tu non potresti rimanere con noi? Papà non sta bene senza di te...».

Ben sospirò e, con calma, voltò le spalle all’amico, avviandosi verso la porta. Forse aveva esagerato. Forse, per cercare di aiutarlo, aveva fatto peggio. Avrebbe solo voluto che lui si sfogasse, ma forse era sbagliato, forse semplicemente avrebbe dovuto aspettare che il dolore facesse il suo corso.
Posò la mano sulla maniglia e la abbassò.
Ma, improvvisamente, la voce del collega alle sue spalle lo fermò.
«Ben...» lo richiamò Semir, in un sussurro.
Il giovane si voltò, sorpreso che l’altro lo stesse fermando. Ma non appena vide i suoi occhi pieni di lacrime, mollò la maniglia e tornò di corsa a sedersi accanto al suo letto.
«Socio, che cosa succede?».
«Scusami... non ce l’ho con te, scusami...» mormorò il turco, mentre una lacrima silenziosa gli rigava il viso.
«Lo so, Semir, non ti preoccupare.».
«Ben... Lily è morta.».
Il ragazzo annuì, piano. Gli prese la mano.
Sapeva che quel momento sarebbe arrivato. Sapeva che prima o poi l’amico avrebbe realizzato tutto ciò che era effettivamente accaduto e da un certo punto di vista aveva addirittura sperato che quel momento arrivasse il più presto possibile.
«Lily è morta.» ripeté Semir, in un sussurro.
Ben continuò ad annuire, guardandolo negli occhi e stringendogli la mano, sperando solo che lo sentisse vicino.
«Lily è morta  e Andrea sta morendo.» continuò lui «E io... io non potrò più camminare.».
«Ma Aida sta bene.» disse il giovane ispettore di rimando, tutt’a un tratto «Aida sta bene e ha bisogno di te. Devi essere forte, socio.».
Semir scosse il capo con forza «Ma Ben, non mi posso muovere! E Lily...».
«Sì, Semir, ma tu devi essere forte e so che puoi esserlo, che lo sei. Aida sta bene, quindi devi farlo per lei.».
«Dovevo morire io...».
«Ehi, socio, non dire così. Non è vero.».
«Lily è morta...» ripeté lui, mentre le lacrime bagnavano il cuscino.
Ben continuava a stringergli la mano, mentre gli occhi anche a lui diventavano lucidi.
Ma l’amico non rispondeva alla stretta. Non ne aveva la forza.
«Ben, è tutta colpa mia. È solo colpa mia.».
«No, socio, non è così. Non è così, devi credermi.».
Semir scosse il capo, distolse lo sguardo dagli occhi dell’altro ispettore. Aveva resistito a lungo perché voleva che lui non lo vedesse così, voleva che nessuno lo vedesse così. Non voleva parlare con nessuno. Ma non ce la faceva più a tenere tutto dentro, non ci sarebbe più riuscito.
«Ben, non voglio vivere così.» disse, piano, mentre i singhiozzi lentamente si calmavano, ma gli occhi rimanevano lucidi.
Ben si morse il labbro.
Nonostante tutta la sua buona volontà, una lacrima fece capolino anche sulla sua guancia.
«Socio, non dire così... ti prego...».
«Non voglio vivere così, non ce la faccio.» ripeté il turco. La disperazione nella sua voce era tangibile, ma la sicurezza con cui aveva pronunciato quella frase gettò il più giovane nel panico.
«Ce la fai, ce la farai. Ti aiuterò io. Ma devi volerlo, Semir, e so che in fondo lo vuoi, perché non lasceresti sola Aida. Non la lasceresti mai.».
Semir scosse il capo, stringendo i pugni, senza provare più a impedire che le lacrime scendessero.
«Non ce la faccio...».
«Semir...».
«Dovevate lasciarmi andare, Ben, ti avevo chiesto di lasciarmi andare. Perché non mi avete lasciato morire?».


«Papà senza di te sta male.» ripeté Aida, con gli occhi lucidi e la mano ancora stretta attorno a quella immobile della madre.
«Comunque io ora vado, vado a trovare papà. Gli porto un bacino da parte tua, va bene mamma?» fece la bambina dopo un attimo di silenzio, baciando la donna sulla guancia.
Poi fece per ritrarre la mano dal letto per allontanarsi e avviarsi verso l’uscita, ma qualcosa la trattenne.
La piccola inizialmente non capì che cosa fosse. Si voltò di nuovo verso la mamma distesa, che era sempre immobile e a occhi chiusi.
Eppure, qualcosa l’aveva trattenuta.
La mano.
Con il cuore che cominciava a battere a mille, Aida si riavvicinò al letto, sempre tenendo la sua manina attorno alla mano di Andrea.
Perché quella mano si era mossa.
Sua mamma si era mossa, ne era sicura.


Ben non rispose a quella domanda.
Perché non mi avete lasciato morire?
Il giovane ispettore sentì una morsa strettissima allo stomaco e non seppe che cosa rispondere.
Infatti rimase in silenzio, immobile, a guardare con gli occhi sbarrati l’amico che a sua volta lo guardava negli occhi.
«Ero sotto una colonna, Ben. Potevate lasciarmi morire.» ripeté Semir, in un sussurro.
«Non dire così...» bisbigliò il più giovane «Non puoi dire così, socio. Tu sei...».
Ben si bloccò, interrotto da un rumore.
Corrucciò la fronte e si voltò verso la porta della stanza, che proprio in quel momento si aprì di scatto.
Chris Schneider comparve trafelato sulla soglia.
Non lo guardò nemmeno, si rivolse direttamente a Semir.
Ma prima di parlare dovette respirare e riprendere fiato.
Si aggiustò gli occhiali sul naso poi, tratto un profondo respiro, si appoggiò allo stipite della porta, fissando i propri occhi chiari in quelli del suo paziente.
«Ispettore... Ispettore, è appena accaduto un miracolo.».

 

N.d.A.
Non sono molto soddisfatta di questo capitolo, ma eccomi qua.
Ancora quattro o cinque capitoli e siamo alla fine, grazie a chi ancora resiste!
A presto,
Sophie

  
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