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Autore: SirioR98    04/02/2019    2 recensioni
In fisica, un sistema isolato è un sistema posto così lontano dagli altri da non interagire con loro, oppure un sistema chiuso che non ha scambi con l’ambiente circostante.
È un sistema perfetto, in equilibrio, costante.
Mi chiamo Noah e mi hanno costretto in un sistema isolato.
Noah è un sedicenne nato e cresciuto in una piccola comunità di mormoni nello Utah. Apertamente omosessuale e fiero di esserlo, si ritrova a convivere per cause di forza maggiore con Alex, la sua “persona preferita”, che si identifica come nonbinary. Esplorando la comunità LGBTQ+ di Salt Lake City e sopravvivendo alle sfide della città natale di Joseph Smith, Noah si vede costretto a crescere prima del tempo e a cercare la sua voce.
Genere: Azione, Dark, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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*Angolo dell'autrice*
Buonsalve e bentornati! Il brano di oggi è when the party's over, della giovanissima Billie Eilish. Si tratta di un brano diverso dal suo stile, in cui prevalgono le note malinconiche di piano e voce. Billie Eilish è una diciassettenne proveniente da una famiglia d'arte, la cui musica è esplosa ormai due anni fa. Da allora ha rilasciato diversi singoli e ha intrapreso un tour internazionale con la maggior parte delle date sold out. Il suo disco di debutto uscirà nel marzo di quest'anno.
Come al solito, vi auguro una buona lettura.



Capitolo 17


Gli alberi spogli, a lato di una strada altrettanto spoglia, accolgono il bus.
È questo il paesaggio che accoglie la mia nuova identità? L'aridità di una cittadina del Wyoming alle porte dell'inverno?
Devo ammettere che si accorda perfettamente con la mia situazione: un presente spoglio e davanti un inverno duro, da quanto dicono i telegiornali. Sia metaforicamente che letteralmente.
Ricordati di comprare un cappotto adatto al freddo del nord, Noah, perché quella sarà la tua meta. Credo. Non ne sono sicuro, una volta sceso potrei anche cambiare idea.
Quasi sicuramente cambierò idea.
Facciamo che sceglierò la mia meta una volta fermatomi.
Ovviamente non voglio rimanere a Evanston, è troppo vicina allo Utah. Tuttavia è la migliore scelta temporanea, se voglio scomparire in fretta e spendere poco per non dormire di nuovo in strada. Non penso sopravvivrei al pieno inverno.
Quando sono scappato con Alex era marzo inoltrato, non abbiamo dovuto affrontare il freddo a lungo. Questa sarebbe tutta un’altra storia.
“Fra poco devo scendere.” Avviso il mio compagno di viaggio, di cui, tra l’altro, non so ancora il nome.
Il ragazzo sobbalza, come se l'avessi svegliato improvvisamente, e alza lo sguardo confuso dai libri per spostarlo sul finestrino.
“Siamo già nel Wyoming?” Chiede con un filo di voce, come se lo stesse chiedendo a sé stesso.
“A quanto pare.” Rispondo indifferente, spostando il peso sul bracciolo del sedile.
Mi si sono addormentate le gambe.
“Non me ne sono accorto.”
Ridacchio sarcasticamente.
“Finché non alzi gli occhi dai libri…” Commento, attirando finalmente la sua attenzione.
Mi rivolge nuovamente un sopracciglio alzato.
“A mia discolpa: mi aspetta un esame al mio ritorno.” Ribatte con una nota di frustrazione nella voce.
Sorrido sornione.
“Questo perché hai deciso di entrare all’Università.” Lo prendo in giro.
“Errore d'impulsività, ne devo pagare le conseguenze. Che non si dica che il sottoscritto getti la spugna facilmente.” Afferma, alzando un pugno, quasi fosse un eroe che promette giustizia al cattivo di turno.
“Anche se, devo ammettere, ho pensato di abbandonare e diventare un raccoglitore di funghi professionista.” Aggiunge, abbassando sconfitto la mano e stringendosi nuovamente nelle spalle.
Raccoglitore di funghi? Che razza di professione sarebbe?
“Nel Wyoming?” Chiedo ironico.
“No, nel Maine.” risponde perplesso alla mia domanda, come se fosse ovvia la destinazione.
Un momento, adesso che c'entra quello stato?
“Perché proprio nel Maine?” Domando con una mezza risata.
Il ragazzo alza di nuovo le spalle.
“Vengo da là.”
Il mio sorriso si allarga, ricordando improvvisamente una curiosità sulla mia famiglia: siamo dappertutto.
“Davvero? Ho parenti nel Maine.”
E nel Wisconsin, nello Utah, in California, nel New Jersey, e, sono abbastanza sicuro, anche in Alaska.
Questo solo dalla parte di mio padre. Appartengo allo stereotipo della famiglia mormone numerosa, che ci posso fare? Credo di avere una trentina di cugini di primo grado, alcuni mai conosciuti. E poi ci sono io, figlio unico. Penso che, dopo avermi guardato, mia madre si sia rifiutata di avere altri figli. A quanto pare i geni suoi e quelli di mio padre non producevano risultati eccelsi.
… Ero un bambino brutto, va bene? I miei cugini sembravano tanti bambolotti, e il primo e unico figlio di mia madre è la versione latina di Chucky. Fino ai due anni, nessuno si è congratulato con lei del mio aspetto. Una volta un prete, passandoci accanto, ha guardato la carrozzina e si è fatto il segno della croce, parola di mia madre.
Meno male che sono migliorato, crescendo.
“Da che città provieni? E perché ti sei iscritto all’università proprio nel Wyoming?” Chiedo incuriosito.
Il ragazzo si gratta la nuca.
“Come ho già detto, costava meno… e mi volevo allontanare il più possibile da casa. Per quanto riguarda la città, non la conosci sicuro, è così piccola da avere più scoiattoli che persone. Si trova vicino a Presque Isle.”
Presque Isle si trova a nord, se non sbaglio. Una volta sono andato in vacanza là vicino, a trovare quei famosi parenti di cui parlavo poco fa.
“Canadese mancato, vedo.” Lo prendo in giro.
Sospira sonoramente, poggiandosi a fatica al finestrino.
“Magari fossi stato canadese, avrei avuto l’assistenza sanitaria gratuita.” Ribatte, chiudendo gli occhi.
Ancora una domanda mi frulla in testa.
“Perché vorresti diventare un raccoglitore di funghi professionista?” Domando sarcastico.
Il ragazzo socchiude un occhio.
“Perché mi piacciono i funghi.”
… che risposta è?
“Non mi sembra una ragione abbastanza solida per iniziare una carriera.”
Soprattutto una carriera che non esiste. O sì?
Si può diventare raccoglitore di funghi professionista? Mi pare ci sia chi raccoglie tartufi, valgono come funghi? Credo di sì, ma non ne sono sicuro.
Questo perché a scuola non ci insegnano nulla. Va bene, rettifico: questo perché a scuola non stavo attento. A volte mi sorprendo io stesso della mia ignoranza in alcune materie. Posso sapere di tutto su un argomento ritenuto inutile dalla maggior parte della popolazione e con nessuno sbocco professionale, ed essere completamente all'oscuro su questioni importanti.
Il ragazzo mi fissa.
“Stai parlando a uno che si è iscritto in filosofia solo perché voleva imparare a pensare, chiaramente i criteri ordinari non si addicono ai miei ragionamenti.”
Non posso dargli torto.
E se stesse scherzando?
“Dì la verità, te lo sei inventato sul momento.”
Probabilmente stava scherzando.
“No, no. Ci avrò pensato almeno una ventina di volte, fino a ora. Ho anche trovato il luogo adatto per la vendita.” Risponde, serio in volto.
“E da quanto saresti all’Università?”
Non sembra tanto più grande di me. Anche se non sono bravo a indovinare l'età di una persona dal suo aspetto, per quanto ne so potrebbe anche essere prossimo alla laurea.
Il ragazzo fa un calcolo veloce.
“Fine agosto?” Ribatte con una domanda.
Trattengo una risata.
“E dici di non gettare la spugna facilmente?” Riesco a chiedere senza scoppiargli a ridere in faccia.
L’università non può essere così difficile.
“Ho abbandonato gli studi?” Chiede, alzando un sopracciglio.
“No.”
Sorride con sicurezza.
“A punto.” Replica, sistemandosi a fatica.
Stringo le labbra. È una persona strana, sembra vivere nel suo mondo. Ci sono alcuni elementi molto bizzarri in lui, per prima cosa il suo modo di muoversi. Si muove lentamente, fin troppo lentamente, come se servisse una forza disumana per controllare il suo corpo. Oppure a scatti, quasi qualcuno lo urtasse mentre passa. Solo che è seduto vicino al finestrino, quindi nessuno può disturbarlo a parte me.
Mi domando se non abbia una qualche disabilità, un impedimento muscolare. Sarebbe scortese chiederglielo?
“Senti… per caso hai una malattia muscolare?”
…Vedo di non aver ancora sviluppato un filtro tra cervello e bocca. Bravo Noah, complimenti davvero.
Prendo il ragazzo in contropiede, arrossisce impercettibilmente.
Se fossimo in un’altra situazione e lui fosse un po' più… ancorato a terra, probabilmente ci proverei. Però io sono un fuggitivo, e lui non è il mio tipo ideale. Per carità, sarebbe una relazione interessante, ma con il mio carattere probabilmente non andrebbe bene. Ho bisogno di qualcuno che mi calmi, non da calmare.
Non lo so, mi dà l'idea di un tipo molto nervoso internamente, avete presente? Di quelli che non lasciano trapelare la frustrazione finché non scoppiano.
Io già non capisco le persone, figuriamoci qualcuno così criptico.
No grazie, ho già abbastanza problemi.
E, fra l’altro, sto già dimenticando Sayid? Va bene che il nostro è solo un flirt e, molto probabilmente, dopo il 7-Eleven non vorrà più stare con me in quel senso, però…
“Sono stato vittima di un incidente d’auto, qualche tempo fa. Ancora non mi sono ripreso bene.” Risponde il ragazzo, riportandomi nel bus.
Abbasso lo sguardo a disagio, non so come rispondere. Un ‘mi dispiace'? Sarebbe la risposta di circostanza, però mi sa tanto di scuse… e di sicuro non l'ho investito io, non ho nemmeno la patente. Certo, non mi fa neanche piacere che abbia avuto un incidente.
“Oh…” Rispondo.
Oh?
Non sai dire niente di meglio?
Bravo, Noah, un applauso.
‘Oh'… farei meglio a stare zitto.
“Quanto tempo fa?” Chiedo, cercando di non insultarmi ulteriormente. Non è un bene abbattermi tanto per una semplice risposta, dovrei cercare di non rimuginare su certe cose. E di non insultarmi più, ci pensano già gli altri.
“Tre anni il prossimo maggio.” Ribatte, mordendosi il labbro.
Segno di nervosismo, l'avevo detto io. Se non li conosco io segni del genere.
“È stato un brutto incidente, vero?”
No, Noah, si è alzato subito dopo e se n’è andato all'ospedale saltellando. Il tizio si muove a scatti, testa di banana, è ovvio che sia stato grave.
Cosa dicevo poco fa a proposito di insultarmi?
Il ragazzo alza le spalle.
“Sono finito in coma, conta. Un anno e mezzo. Penso rimarrò in terapia almeno fino al 2020.” Risponde, guardandosi le mani come se si aspettasse di vederle immobili.
Sospiro, non sapendo cosa ribattere.
“Sai… mentre ero in coma, ricordo di aver avuto il terrore di perdere tutto, di non svegliarmi. Pensavo di non rivedere più il mio migliore amico, mia madre… il solo ricordo mi mette ancora i brividi.” Mormora, mordendosi il labbro.
“Avevo capito di essere in quella condizione, di essere in pericolo. È una storia lunga, davvero, però… pensavo di non svegliarmi più. Pensavo che la mia vita sarebbe finita lì, che forse sarebbe stato meglio se fosse finita in quel modo.”
Alza lo sguardo, fissandolo nei miei occhi.
“Però sono contento di com’è andata. Sono contento di aver avuto la possibilità di scegliere. Altre persone non sono fortunate come me, sai? Alcuni non hanno quella possibilità. Altri, invece, non si accorgono di averla.”
Mi guardo le mani, incapace ancora una volta di sostenere il suo sguardo.
“Sono contento di aver fatto la scelta giusta. Qual è la tua, invece?”
Mi mordo la guancia, chiudendo gli occhi.
“Te l'ho già detto: non ho una scelta.”
Emette un verso di scherno.
“E io te lo richiedo: ne sei sicuro?”
Il bus rallenta. Guardo fuori dal finestrino, la fermata è poco distante.
Anche il ragazzo se ne accorge.
“Meglio che ti prepari, altrimenti dimenticherai qualcosa.” Mi incita.
Seguo il suo consiglio. Indosso la giacca e recupero il mio zaino.
“È stato un piacere parla con te…” Tentenno, non conoscendo ancora il suo nome
“Mitch. Mi chiamo Mitch.” Risponde con un sorriso, che ricambio volentieri.
“Noah.” Rispondo, tenendomi al portaborse accanto la mia testa per non cadere.
Il bus si ferma e le porte si aprono.
“Ciao, Noah. Spero farai la scelta giusta. In ogni caso, buona fortuna.”
Lo spero anch’io.
Lo saluto con la mano e scendo dal bus.
 
Sono circondato dal nulla.
O meglio, da nulla di accogliente. Il bus mi ha lasciato su una strada malandata, accanto a una stazione di rifornimento. Davanti a me vedo solo un autogrill e un McDonald’s.
È la tipica città di passaggio, una di quelle in cui non ci si ferma per più di qualche ora.
Bene, adesso che sono fuori dallo Utah, posso anche scegliere la mia meta definitiva. Devo fare una scelta imprevedibile, andare in una città che non ho mai menzionato o a cui nessuno che mi conosce penserebbe mai.
Ma come fare?
Anche perché partendo da qui non ho molta scelta. Mi converrebbe prendere il primo bus che lascia la stazione… ed è appena partito. Dov’è diretto?
Sull’insegna luminosa compare la scritta ‘Pocatello’.
Tolgo la modalità aereo dal cellulare, ignoro i messaggi e gli avvisi di chiamata e cerco su Google maps la città, trovando anche il percorso del bus in questione. Passava da Salt Lake City, non è che abbia perso chissà quale occasione.
Va bene, allora prenderò il secondo bus che parte dalla stazione.
Vado a controllare sul cartellone. Che poi cartellone è un parolone, si tratta in realtà di un foglio A4 attaccato con il nastro adesivo al palo. Almeno le partenze sono state scritte al computer… o colui che le ha scritte ha una grafia molto pulita.
Destinazione del prossimo bus: Fort Collins, Colorado.
Riprendo il cellulare e allargo la mappa, andando a cercare la posizione della città senza immettere il nome. Vorrei non lasciare in cronologia delle briciole di pane, non so se mi spiego. Pocatello va bene, se riescono ad accedere alla mia cronologia almeno verranno depistati, si spera.
Il bus parte domani alle nove del mattino.
Ottimo, dovrò aspettare una giornata intera in questo posto sperduto… tanto vale cercare un motel. Meno male che ho portato con me la mia vecchia carta d’identità falsa, comprata l’anno scorso a un prezzo che di sicuro non corrisponde al suo valore. Ero disperato, mi serviva.
Sempre controllando sul cellulare, trovo un motel a un quarto d’ora di distanza. Pare sia il più economico nelle vicinanze, tanto meglio! Metto nuovamente il cellulare in modalità aereo e m’incammino.
Il paesaggio è più squallido di quanto mi aspettassi. Sulla strada che sto percorrendo, che immagino essere quella principale, si trovano negozi ricavati da case a un solo piano con tetti cadenti e intonaco bianco rattoppato alla bene e meglio, laddove è ancora presente.
Sarà la mia impressione, probabilmente dovuta allo stato di fuggitivo in cui mi ritrovo, a peggiorare la vera natura di questa cittadina.
Possibilmente, in primavera, non sarebbe la peggiore del mondo, ma questo non lo scoprirò mai.
Arrivo a destinazione dopo essere passato fra l’erba secca che copre un passaggio a sottolivello. L’edificio che mi trovo davanti è un lungo rettangolo a due piani dall’insegna rossa, che, ironicamente, somiglia molto a un riformatorio senza sbarre alle finestre.
Storco il naso entrando nella piccola hall dai colori rossi e giallo mostarda, alternati a parete, e il pavimento blu.  Mi avvicino al bancone, chiamando per attirare l’attenzione.
Non risponde nessuno, quindi mi sporgo sul bancone per controllare se arrivi qualcuno dalla stanza di servizio, nascosta dal muro.
Un uomo mi spunta davanti, facendomi ritrarre di scatto.
“Scusi il ritardo, desidera?” domanda, controllando il cellulare.
Mi ricompongo, cercando di assumere l’espressione più seria che riesca a produrre. Devo dimostrare più anni di quello che ho, secondo la mia falsa carta d’identità dovrei averne diciannove.
Non riesco nemmeno a farmi crescere bene i baffi, con che credibilità dovrei avere diciannove anni?
Eppure, si fa quel che si può.
“Salve, vorrei una singola per stanotte.”
La mia voce fa alzare lo sguardo dell’uomo dal cellulare e posarsi su di me.
“Quanti anni hai, ragazzino?” Chiede diffidente, aspettandosi una bugia.
Alzando drammaticamente gli occhi al cielo, come se avessi dovuto affrontare questa scocciatura già un migliaio di volte, prendo il documento dal portafogli e glielo porgo.
L’uomo lo analizza, guarda bene la foto e poi me, sempre più sospettoso.
“È dell’anno scorso.” Mi giustifico.
L’uomo, dopo un’ultima occhiata circospetta, alza le spalle, mi restituisce il documento e accetta i miei soldi.
A quanto pare sono più disperati di quanto pensassi, se accettano qualcuno che è chiaramente minorenne. Davvero, mi ha visto? Con una faccia del genere è tanto se non mi ha chiesto se ho perso la mamma.
Tecnicamente non ho perso la mamma, è lei ad aver perso me.
La camera si trova al pian terreno, poco lontana dalla hall, e ne riprende i colori: muri giallo mostarda e rossi, pavimento blu.
È molto più carina di quanto mi aspettassi a dire il vero, è pure fornita di un fornetto elettrico e televisore. …Capisco il televisore, ma il fornetto elettrico non mi pare molto sicuro.
 Mi butto sul letto, lasciando che lo zaino cada accanto alla mia testa.
Dalla tasca anteriore, rimasta aperta dopo aver pagato, cade il portafogli, con il documento parzialmente visibile.
Lo prendo e lo osservo, portandolo in alto davanti a me.
Noah Bonham, così mi sono fatto chiamare.
Dovrò sicuramente cambiare sia nome che cellulare, altrimenti mi potrebbero rintracciare immediatamente.
Come voglio chiamarmi, questa volta? Mantengo Noah, o cambio pure quello?
Odio pensare a nuovi nomi, non sono mai stato bravo. Potrei chiamarmi Sebastian Rose… troppo ovvio?
Forse è meglio non puntare a nomi famosi, come mi aveva consigliato… Steve.
Chissà cosa penserà, scoprendo la mia fuga. So già come mi chiamerà, nella privacy della sua mente, era il suo appellativo preferito quando condividevamo la cella. Ovviamente lo diceva in modo scherzoso, non mi ha mai insultato seriamente… fino a oggi, temo.
Mi direbbe di aver sbagliato, mi direbbe che sono stato troppo impulsivo, che non ho pensato bene alle conseguenze, che ho peggiorato la situazione.
Mi direbbe che ancora non è troppo tardi per tornare sui miei passi e presentarmi davanti al giudice, perché il caso è stato fissato per le tre del pomeriggio. Mi direbbe di seguire la strada giusta, di non commettere un errore che potrebbe costarmi la vita, costringermi a uccidere la mia identità.
Mi direbbe di chiamare qualcuno e farmi venire a prendere, perché i bus per Salt Lake City partono tardi e non arriverei a presentarmi davanti al giudice.
Mi direbbe di rispondere al mio errore, di riconoscerlo e affrontare la pena a testa alta, perché sa che posso fare di meglio, sa che non è la fine della mia vita, sa che il mio futuro muore soltanto quando io decido di lasciarlo morire.
Ma Steve non è qua con me, e solo il ricordo della sua voce mi può fare compagnia.
Devo abbandonarlo, devo abbandonare tutti i ricordi.
Steve, Alex, Sayid, Marlene, Audrie, Heather, Winterfield, Emma, mio padre. Devo lasciarli andare, uccidere Noah Smith, rinascere sotto un altro nome, con un'altra storia alle spalle.
Devo iniziare la mia nuova vita, da solo. Da questo momento in avanti, sono un orfano. Sono un orfano non solo perché senza genitori, sono un orfano per scelta, per aver rinunciato ai miei amici.
Sono rimasto orfano di padre, di madre, di parenti, di amici e di passato.
Sono un orfano? E che il mio futuro sia migliore di quello di Oliver Twist, allora. Non ho bisogno di nessuno, me la sono cavata da solo per tutti questi anni, me la caverò da solo un’altra volta.
Eccetto che non sono mai stato veramente solo, e quando lo sono stato ho cercato disperatamente di aggrapparmi a qualcuno. Da solo non so vivere, ho bisogno della compagnia, ho bisogno di sapere di potermi appoggiare a qualcuno, se mai ne avessi bisogno.
Cosa farei se mi trovassi in una situazione di pericolo e non ci fosse nessuno ad aiutarmi? Cosa farei se mi mettessero all'angolo, mi arrestassero e nessuno mi reclamasse? Come posso io, un ragazzo, ricominciare una vita completamente da solo?
Come?
Non lo so, ma devo.
No, è inutile farsi prendere dalla paura, è inutile abbandonarsi all'ansia ed entrare in quel vortice di pensieri da cui non esiste scampo se non essere tramortito da attacchi di panico o medicine.
Devo rimanere vigile, attento, concentrato. Non posso permettermi di lasciarmi sopraffare dalla paura. Questa è la situazione in cui mi trovo, che mi piaccia o meno, e da solo devo trovare una soluzione.
Tanto vale eliminare le prove fisiche del passato, servono solo ad ancorarsi, non mi permettono di andare avanti.
So di avere, da qualche parte in questo zaino, ancora la lettera di Steve. Sarà il primo sacrificio per la creazione della mia nuova vita. Tutto ciò che appartiene all'esistenza di Noah Smith deve essere distrutto, altrimenti non potrò mai ricominciare, sarò sempre legato a un passato che ho dovuto abbandonare.
Proprio come immaginavo, frugando fra i vestiti, proprio sul fondo dello zaino, trovo la lettera. E insieme a questa anche un quaderno verde, con la copertina mimetica e un riquadro bianco al centro, in cui, a penna, ho scritto il mio nome.
In una delle prime pagine trovo una poesia, quello scritto per cui Sayid si è complimentato, ormai decadi fa, prima che iniziassero le proteste e i video su Twitter.
E sfogliando le pagine trovo ancora gli elenchi delle scommesse, i nomi legati alle puntate attraverso una linea tratteggiata.
E ancora dediche, pensieri, disegni, partite a tris. E una foto, a metà perfetta del quaderno, che io e Alex abbiamo scattato in una cabina al Liberty Park, uno dei primi giorni di giugno. Alex aveva ancora una sigaretta fra le dita, meno male che abbiamo perso il vizio al rifugio.
Strappare tutto, distruggere, bruciare, cancellare.
Questi ricordi devono essere eliminati.
Riunisco tutto quello che può essere considerato memoria e lo porto in bagno, buttandolo nel lavandino.
Strappare, distruggere, bruciare, annegare, ridurre in poltiglia e buttare giù per lo scarico.
Non deve rimanere niente.
Fra le lacrime inizio a strappare la lettera, ne faccio tanti pezzi, piccoli, sempre più piccoli.
Annientare, eliminare, cancellare dalla faccia della Terra.
Nulla deve rimanere. Nulla.
Coriandoli, tutto deve diventare coriandoli da usare per la mia rinascita, come alle feste, come ai concerti, farò i primi passi sul nuovo palcoscenico attraversando una nube di coriandoli bianchi, e neri, e rossi, e verde mimetico.
Oggi diventerò un assassino, oggi diventerò un creatore, plasmerò la realtà, farò scomparire un ragazzo rifiutato dai suoi stessi genitori, sfortunato nel tentativo di aiutare gli altri, impulsivo, aggressivo, delinquente, e farò nascere una persona amata da tutti, artefice del proprio destino, inarrestabile.
Io… io…
Mi aggrappo al lavabo, cercando disperatamente di prendere fiato fra un singulto e l'altro.
Il volto sorridente di Alex, la sigaretta stretta fra le dita, la mia smorfia per far ridere la mia persona preferita. Quella foto mi osserva, mi ricorda chi sono stato e chi, in fondo, sarò sempre.
Io non sono un assassino, né un creatore, né sono capace di plasmare la realtà. Non posso scappare al mio passato, tornerà a tormentarmi.
Sono solo un ragazzino immaturo e impulsivo che cerca di sopravvivere, in un modo o nell'altro.
Sono solo un ragazzino.
Non voglio uccidere Noah Smith. Non voglio.
Raccolgo il quaderno, bagnato dall'acqua residua del lavandino, la foto e quello che è rimasto della lettera, riporto tutto in camera.
Conservo i miei ricordi nello zaino e mi siedo sul letto, la schiena incurvata per la stanchezza.
Prendo il telefono, tolgo la modalità aereo, seleziono il contatto e lo porto all'orecchio.
Uno squillo.
Due squilli.
Tre squilli.
“Noah?”
Scoppio a piangere, lasciando che il dolore, finalmente, faccia la sua completa apparizione, abbandonando davanti a qualcun altro e almeno per un minuto lo scudo che avevo costruito per proteggermi dal mondo.
“Ho fatto una cazzata, papà.”
  
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