Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: shirupandasarunekotenshi    05/02/2019    0 recensioni
Questa fanfic va inserita subito dopo la nostra "Namida no rhapsody". Gli eventi descrivono il nostro modo di interpretare l'apparente distanza che si è instaurata tra i cinque ragazzi all'inizio del terzo OAV.
Il titolo della fanfic significa "La fine prima della fine"
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Threesome
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EPILOGO
 
Era passata una settimana, una sola e, per quel breve lasso di tempo, le notti e i giorni di Touma erano stati lunghissimi.
Poche confuse parole avevano insinuato pensieri e paure che non riusciva a cacciare dalla sua stupida mente: che fossero cose che desiderava ma non poteva avere, persone che non poteva vedere ma che... desiderava... pensieri fastidiosi che la stanchezza avrebbe dovuto cancellare...
Nemmeno il sonno, il suo beneamato sonno riusciva ad aiutarlo.
A dire il vero erano settimane che il suo sonno non era più lo stesso. Non voleva ammetterlo, ma era da quando non li vedeva più, da quando non li sentiva più che... niente era più lo stesso.
L'unica cosa che rimaneva come punto fisso, per quanto ripetuto, era la scuola: diversamente da come era stato in passato, andava praticamente tutti i giorni a scuola, stupendo compagni e insegnanti, partecipando a ogni lezione come se fosse, però, una specie di fantasma, assente anche a se stesso. Rispondeva, certo, se interrogato, ma solo all'inizio: gli insegnanti smisero presto di interpellarlo, trovandolo sempre preparato, ma spento.
I compagni che meno lo conoscevano pensavano che quell'assenza fosse noia, qualcuno di quelli che con lui avevano scambiato qualche parola in passato lo guardavano inquieti, impreparati a un atteggiamento ancora più strano, ancora meno affrontabile del solito.
Così Touma si ritrovava più solo che mai. E le visite a Tokyo, da Nasty, dopo che Shin se ne era andato, si erano fatte rare.
Quella telefonata era stata un fulmine a ciel sereno, una voce nota finalmente, anche se per portare notizie inquietanti.
Il nuovo anno era passato; sua madre si era fatta sentire da Londra, anche se presto sarebbe ripartita per Berlino, nuova capitale della Germania riunificata. Era strano che si fosse ricordata degli auguri, ma non era stato strano che lei non si fosse accorta di come lui... stesse davvero.
Suo padre si era fatto vedere qualche giorno più tardi, per un cambio d'abiti e degli auguri confusi e confusionari: quell'uomo, come sempre, era fuori dal mondo.
Davvero, Touma non si era mai sentito così solo. E, sebbene la telefonata di Nasty l'avesse messo in agitazione, attendeva il suo pacchetto anche con una grande aspettativa: qualcosa di diverso, qualcosa che tenesse la sua mente occupata, a pieno ritmo.
Sperava solo che... non succedesse nulla.
Era fine febbraio, gli ultimi giorni di vacanza prima del nuovo anno, il terzo.
Un anno importante, si diceva.
A Touma, sinceramente, non importava. In quei giorni il suo pensiero era su quel manoscritto, su quel pacchetto in viaggio da Tokyo per lui.
Un sabato mattina, mentre pioveva una pioggia fitta e gelida, il campanello suonò e, in un impeto di energia, Touma corse al citofono a rispondere. Era il postino.
Corse giù dalle scale e, quando aprì il portone d'ingresso del palazzo, l’uomo sobbalzò di sorpresa.
“È il pacchetto?!” urlò quasi il ragazzo.
L'uomo allungò con aria stranita l’involto, che gli venne quasi strappato dalle mani, ricevendo un veloce e urlato grazie, prima di ritrovarsi il portone chiuso in faccia.
Touma corse su per le scale, il pacco costretto fra le dita, il viso pallido e il fiato decisamente corto per un cuore troppo di corsa. Aveva il fiatone quando giunse in casa, chiuse la porta spingendola con la schiena e scivolò a terra, sedendosi con il pacco in grembo. Lo guardò senza far nulla per una manciata di secondi, poi aprì, quasi strappando l'involucro e dallo squarcio comparì un manoscritto: diverse pagine ingiallite, molto vissute, con il lieve odore di fumo e incenso, piccole e quasi nascoste bruciature sui lati già segnati da anni di oblio e trascuratezze.
Così si presentava quel documento che tanto l'aveva turbato e che ora, tra le sue mani, rimaneva stranamente quieto, senza trasmettergli nulla, come se fosse muto.
Era strano.
Nelle mani di Touma anche un semplice libro parlava, se lo si sapeva ascoltare.
Ma Touma poteva e sapeva ascoltarlo. Eppure non sentiva nulla.
E questo lo inquietava ancora di più.
Con mano tremante girò la prima pagina di quel manoscritto privo di titolo o copertina. A un occhio attento non sfuggiva la sua appartenenza alla primissima era Meiji o, forse, alla fine di quella Tokugawa. Il confine era piuttosto sottile in quegli anni in cui nulla era ancora certo. Anche un manoscritto.
Ingollando a forza, Touma prese il primo foglio tra le mani: era privo di titolo e di autore, stranamente, la carta era pesante e spessa.
Girando il primo foglio scoprì i primi kanji, scritti con mano ferma e decisa, una calligrafia chiara e pulita, ma priva di leziositá.
Dalle prime parole capì che si trattava di uno scritto teatrale che andava a situarsi nell'era più difficile del Giappone antico, forse prima della guerra tra gli Heike e i Taira. Ma non era del tutto sicuro. Qualche elemento poteva dar adito a un periodo, altri a quello precedente.
Tuttavia non era quello che Touma teneva in considerazione. Era curioso di sapere come quella storia antica potesse aver smosso paure recondite in Nasty arrivando fino a lui.
S'immerse nella lettura fin da subito, con la voracità del grande lettore e l'inquietudine che pesava sulle spalle. Quasi non mosse un muscolo, mentre voltava con delicatezza le pagine, una dopo l'altra. La bocca, dapprima chiusa in concentrazione, cominciò a socchiudersi, seccandosi a poco a poco, mentre le iridi, da veloci che erano nel divorare quella storia si fecero lente, come se fosse stata messa la modalità rallentata del videoregistratore.
Una mano salì verso la bocca, tremante, incapace di far altro. Si chiuse appena sulle labbra secche, mentre le pupille si dilatavano a dismisura.
E le pagine scorrevano, di nuovo veloci, con movimenti sempre più congestionati ed erratici.
“Ma... cos-a...”.
Un grido soffocato uscì dalla sua bocca coperta, le pagine del manoscritto si sparsero a terra, mentre cercava di rialzarsi, i muscoli totalmente distaccati dal corpo, incapaci di rispondere ai suoi ordini. Strisciò praticamente fino al mobile del telefono e allungò la mano sulla cornetta.
Si fermò non appena ebbe toccato la superficie fredda del ricevitore.
“N-no... non posso... non posso chiamarli, d-devo vedere... devo... verificare che sia... tutto vero...”. Scosse la testa, le braccia si andarono a stringere attorno al corpo: tremava. Tremava come mai aveva fatto.
“Devo calmarmi! Calmar-mi...”. Scosse ancora la testa, chiuse gli occhi stavolta. “Devo essere coraggioso... non posso tremare come un bambino... devo farlo... Nasty ha chiamato me... sono io che devo trovare la verità... non posso avvertire gli altri, se nulla c'è di vero... però...”.
Touma riaprì gli occhi, guardando con aria perduta il pavimento ai suoi piedi.
“Ma se dovesse... se dovesse essere vero...”. Ingollò, concentrandosi a forza su un'evoluzione a spirale grigia sul pavimento in marmo. “Se dovesse essere vero... loro... devono sapere...”.
Gli occhi cobalto, colmi di tremore e di una sorta di rassegnazione, tornarono a posarsi su quei fogli abbandonati.
“Lo manderò a Ryo... e se non sarà niente lo chiamerò e mi scuserò con lui e...”. Si morse le labbra, scuotendo un'ultima volta il capo. “Se sarà... quello che temo... allora avrò fatto ciò che dovevo... fare”. Con uno sforzo incredibile, Touma impose alle proprie gambe di collaborare e quelle si fecero forza, dandogli modo di alzarsi. Poggiò una mano al muro e scivolò a inginocchiarsi a terra, la mano libera ad afferrare una ad una le pagine del manoscritto, fin troppo ruvide e fredde sulle sue dita callose.
Quando si rialzò, stringendo al petto il manoscritto, il suo sguardo cadde sulla pagina dell'Asahi Shinbun che aveva comprato qualche giorno addietro.
La foto dell'articolo, in bianco e nero, mostrava la nuova costruzione appena aperta al pubblico nel cuore di Shinjuku, il Tokyo Government Building: quell'autunno, quando ne aveva parlato coi ragazzi era in fase di completamento. E ora era già funzionante.
Era passato tanto tempo. Era evidente.
Ricordava come non piacesse a Seiji e Shin, dicevano che... trasmetteva delle brutte... sensazioni.
D'un tratto Touma seppe dove andare. Tokyo sarebbe stata troppo grande da esplorare, cercando... qualcosa di indefinito.
Ma quello... nel cuore di Shinjuku...
Aveva l'aria di un ironico scherzo del destino ed era come un richiamo, il tintinnio di un campanello nella sua mente.
“Uno schifoso scherzo...” mormorò tra sé, una smorfia di disgusto sul volto.
Quel pomeriggio Touma spedì con corriere espresso il pacchetto, indirizzato a Ryo, nella prefettura di Yamanashi; poi andò a comprare il biglietto dello shinkansen che l'avrebbe portato a Tokyo il prima possibile.
Quando rientrò a casa, dopo aver camminato sotto un freddo acquazzone, non riuscì a fare altro che gettarsi sul divano. Accese la televisione, il volume basso, in un mormorio poco fastidioso: voleva un sottofondo ai suoi pensieri confusi e traballanti. Voleva un sottofondo alla stanchezza che l'aveva aggredito, dopo aver affidato il pacchetto al corriere. Libero da un peso, messaggero di ben altra entitá insopportabile.
Scivolò in un sonno profondo e senza sogni, lungo e stancante, come mai aveva fatto.
Al risveglio avrebbe dovuto essere un Touma più forte, più coraggioso... avrebbe dovuto essere di nuovo samurai.
Di nuovo.
 
***

Il suono del campanello strappò piuttosto bruscamente Ryo al sonno e a quel sogno terribile. Non aveva voglia di fare molto altro che dormire da quando si era trasferito a Tokyo, in uno spoglio bilocale di Shinjuku.
Per Ryo non si trattava di un ambiente stimolante e il nuovo anno scolastico non era ancora iniziato. Aveva trovato un lavoro serale in un bar poco distante, nei pressi del nuovo edificio del governo metropolitano, un inquietante mostro di cemento alle percezioni di Ryo. Avrebbe potuto impiegare il tempo a scoprire ogni angolo dell'immensa capitale in attesa che iniziasse il nuovo anno scolastico, ma non ne aveva voglia; quando ancora abitava in montagna, si erano diradate le sue passeggiate nei boschi, adesso l 'ambiente urbano favoriva la sua reclusione tra quattro mura grigie e spente.
Il sonno era diventato suo compagno, lui che non aveva mai capito come Touma riuscisse a dormire tanto...
Touma...
Il sogno…
Era sicuro di aver urlato risvegliandosi o era l’urlo di Touma quello?
Il pensiero dell'amico giunse a lui in maniera struggente mentre si alzava come un automa per andare alla porta.
In quei mesi la sua mente si era pian piano anestetizzata; non che riuscisse a non pensare del tutto a loro, a... Byakuen... ma in qualche modo aveva eretto un muro tra i propri pensieri spontanei e la consapevolezza con la quale li percepiva.
Quella mattina il suono del campanello era giunto a spezzare quel sogno, ma non aveva cacciato la fitta dolorosa alle tempie e al petto.
Il trillo acuto si era fuso con quello che gli era sembrato il grido d'agonia del nakama e aprire gli occhi e percepire un forte senso di disagio era stato tutt’uno.
Un sogno, un maledetto sogno, si sforzò di convincersi, mentre il suono si ripeteva, più insistente.
“Arrivo!” gridò, soffocando uno sbadiglio.
“Sono il postino, il cancello era aperto e sono entrato direttamente!”.
La persona dall'altra parte non aveva ancora finito di parlare che Ryo aprì la porta e si trovò davanti un giovanotto che lo fissava con aria stranita.
In effetti il ragazzo di Yamanashi non aveva un aspetto molto raccomandabile: trasandato, con indosso i soli pantaloni del pigiama, capelli lunghissimi e scarmigliati che se ne andavano in tutte le direzioni e espressione imbronciata, che poteva apparire anche un po' truce agli occhi di chi non lo conosceva. Sembrava più che mai il ragazzo selvaggio cresciuto tra i monti.
Il postino gli porse una lettera e un pacco.
“Ho due raccomandate per questo indirizzo, mi scusi se l'ho svegliata, ma essendoci il cancello aperto ho pensato di consegnarle subito a lei, magari è urgente”.
Quanto zelo, pensò Ryo, borbottando un ringraziamento.
Nel prendere in mano la posta, Ryo riconobbe subito il padre come mittente della lettera, ma doveva ammettere che, ad incuriosirlo, era soprattutto il pacco: non sapeva spiegare perché, ma non gli trasmetteva una bella sensazione.
Sbuffò mentre rientrava in casa: perché inquietarsi per un ammasso di carta?
Buttò tutto sul letto sfatto e si sedette; nonostante il pacco esercitasse su di lui un'irresistibile attrattiva, decise di aprire prima la lettera del padre. La spiegò davanti ai propri occhi e cominciò a leggere:
 
“Mio caro Ryo, come stai? Spero che tu ti stia ambientando bene a Tokyo. Quando riceverai questa lettera io, probabilmente, sarò in Hokkaido, per un nuovo servizio fotografico, ma se vorrai rispondermi troverò la tua lettera al ritorno. In realtà vorrei riuscire a chiamarti prima, per parlare un po' a voce. Insieme alla lettera ti arriverà, spero lo stesso giorno, un pacco che avevano spedito qui per te. Credo sia da parte di uno dei tuoi amici. Mi è sembrato strano, non li hai avvisati del tuo trasferimento? Per fortuna l'hanno recapitato mentre ero a casa e ho potuto così inoltrartelo, spero si tratti di un bel regalo per te. Adesso ti lascio che devo finire in fretta i preparativi per il viaggio, ma prometto di farmi vivo presto. Ti abbraccio forte,
Otoosan”.
 
Un sorriso condito d'amarezza piegò le labbra di Ryo: non importavano gli ultimi sviluppi, doveva accettare il fatto che suo padre non sarebbe mai cambiato. D'altronde chi era lui, per pretenderlo?
Mise da parte la lettera e rivolse la propria attenzione al pacco; da parte di uno dei suoi amici, gli aveva scritto Otoosan...
Quale amico?
Lui aveva avuto pochi amici nella sua vita: una tigre che celava in sé uno spirito millenario, quattro coetanei con i quali aveva condiviso esperienze spaventose, una ragazza più grande e un bambino.
E di quegli amici non ne era rimasto nessuno.
Ma il pacco? Qualcuno che gli mandava un regalo? Ma chi, e perché?
Allungò una mano e sfiorò la carta, con circospezione, quasi con diffidenza, poi la ritrasse di scatto, chiedendosi a cosa fosse dovuta la sensazione sgradevole che, simile a una dolorosa scossa, si era diffusa dalle dita lungo tutto il suo corpo.
Corrugò la fronte e cercò, con gli occhi, il nome del mittente.
E quegli stessi occhi si aprirono in tutta la loro grandezza quando lo trovarono, così come le labbra, in una muta esclamazione di stupore e sgomento.
Perché una tale reazione? Un pacco inviato da Touma avrebbe dovuto renderlo felice.
Eppure c'era stato quel sogno, quella brutta sensazione al risveglio, quel grido che si era accompagnato al nome del nakama e c'era, adesso, quell'atmosfera straniante che permeava tutto ciò che lo circondava dal momento stesso in cui quell'involucro aveva varcato la soglia della sua casa.
“Avanti” si impose, “non posso restare qui a contemplarlo senza fare nulla”.
Allungò entrambe le mani, esitò ancora qualche istante, poi afferrò il pacco e lo sollevò, come se dovesse strapparlo a forza da qualcuno. Se lo posò sulle cosce e il cuore nel petto fece una bizzarra capriola.
“Insomma, è carta... e dentro c'è qualcosa che mi manda Touma, il mio caro Touma... va tutto bene...”. Quel1'ultimo pensiero fu accompagnato dal suono sgradevole della carta che si lacerava sotto le sue dita. I suoi occhi fissi sul contenuto si strinsero un poco.
“Cosa diavolo mi ha mandato? Roba da leggere?”.
Tanta roba da leggere, a giudicare dalla pila di fogli.
Sopra di essi, tuttavia, ne campeggiava uno scritto con una calligrafia che riconobbe immediatamente. Lo prese con mani tremanti.
Era incredibile come tanti particolari rimanessero impressi nella memoria, in maniera indelebile... la calligrafia di Touma era uno di questi particolari: Ryo era convinto che l'avrebbe riconosciuta anche dopo anni di reciproca assenza.
Non poté impedirsi di sorridere con tenerezza: kanji e sillabe accumulati gli uni vicini agli altri, caotici e confusionari come poteva esserlo la sua mente geniale.
Raccolse le gambe sul letto e si mise a leggere, tenendo quel pezzo di carta tra le dita come se stesse maneggiando un fragile tesoro.
 
“Ryo… spero che tu stia bene.
Volevo scriverti con questo sentimento nella mente.
Ryo… le yoroi sono scomparse insieme alle due Kikutei e le battaglie dovevano essere concluse. Potrebbe essere che qualcosa debba ancora accadere?
Esaminerò la questione. Controllerò e mi assicurerò che le nostre battaglie siano finite.
Touma”.
 
Le mani di Ryo ricaddero ai lati del suo corpo, abbandonate sul lenzuolo malamente raggomitolato; la lettera sfuggì al controllo delle dita e si perse, anch' essa, tra le pieghe sul materasso.
Rimase immobile per qualche istante prima che si decidesse a guardare il manoscritto, ulteriori, lunghi attimi occorsero perché si convincesse a prenderlo in mano.
Era chiaro, Touma 1'aveva chiamato nel sonno, Touma, inviandogli lettera e manoscritto, aveva chiesto il suo aiuto, la sua collaborazione in quanto leader dei Samurai Troopers.
Touma…
Touma era in pericolo, stava soffrendo.
Per quanto fosse spaventoso pensare a se stesso in questi termini, la prospettiva di tirarsi indietro non era da prendere in considerazione.
Con il cuore in gola, le quattro mura che gli vorticavano intorno, cominciò a sfogliare le pagine, immergendosi in un incubo che si concretizzava in inquietante realtà.
 
Qualche ora più tardi, il telefono squillò a Sendai, nella casa della famiglia Date. Seiji era già accanto al telefono, pronto ad usarlo lui stesso; al primo squillo già sapeva chi avrebbe trovato dall'altra parte.
Anche lui aveva sognato, anche lui era terrorizzato e pensava a Touma…
Touma che soffriva, che gli era giunto in sogno, le mani affondate nei capelli, il grido di chi si sente perduto sulle labbra.
Sollevò la cornetta e rispose, formale come sempre, seppur consapevole della voce che avrebbe udito all'altra estremità del filo.
“Ciao Seiji... sono Ryo; ci siamo sbagliati. Non è finita”.
 
 
Non conterò più sul diario i giorni che ci uniscono.
Su quella pagina bianca scriverò solo la parola "fine".
Quella maledetta parola che ci ha divisi.
  
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