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Autore: Lily710    07/02/2019    4 recensioni
I capitoli di questa storia (precentemente conosciuta come "The Epic War: this is YOUR end!") stanno subendo una totale fase di riscrittura, con aggiunta di nuove scene ed eventi chiave. Per saperne di più, leggete l'avviso che trovate al primo capitolo.
Non fu mai ben chiaro come la "semplice" copia di uno smeraldo del Chaos, in grado di permettere il viaggio nel tempo, potesse essere capace di sconvolgere a tal punto le vite dei nostri protagonisti. È riuscito a salvare una riccia proveniente dal futuro, Darkly the Hedgehog... ma se dopo tale evento lo smeraldo non si fosse distrutto, come invece lei stessa credeva?
Se fosse finito altrove, avesse fatto viaggiare tre individui nel tempo e nello spazio in epoche completamente diverse e, solo allora, si fosse effettivamente disintegrato?
Un mistero vissuto per anni, forse secoli prima che i nostri eroi venissero al mondo, nell'ombra... la stessa “ombra” che, ormai da giorni, tormenta i sogni della povera Amy. La stessa che metterà in pericolo l'Universo.
La stessa che apparirà nella luce o sparirà nel calore ardente... un po' come quello generato dalla lava.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cream the Rabbit, Miles Tails Prower, OC, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo della vecchia versione della storia
•Tails•
 
Un fischio fastidioso risuonò nei miei timpani, stonandomi il cervello.
Nel frattempo, sentii qualcosa di bagnato piombare sul mio viso: prima una volta, poi due, poi dieci. Non smetteva di picchiettarmi nemmeno per un attimo, anzi, la sua velocità si intensificava sempre di più ad ogni secondo che passava.
Pochi attimi dopo compresi che effettivamente si trattava di semplice pioggia - freddissima, aggiungerei - accompagnata da un vento gelido che mi fece tremare come una foglia.
Quei brividi attraversarono ogni strato della mia pelle, da quello più superficiale a quello più in profondità.
Non percepivo nient'altro oltre quello. Solo suoni confusi, mentre la vista mi rimaneva completamente annebbiata.
 
Cominciai a sbattere le palpebre, a fatica per via del mal di testa martellante che mi disturbava in quel momento; appena i miei occhi furono aperti ruotai le mie iridi in ogni dove, riuscendo a scorgere intorno a me solo un'infinità di alberi molto compatti tra di loro, che pareva fossero aceri, mentre la notte oscura contribuiva a rendere quello scenario ancora più raccapricciante.
Il buio era la cosa che possedeva maggiore dominanza, e per via di quello non riuscivo a notare nessun dettaglio che mi poteva, forse, far capire dove diamine fossi finito.
Quel posto mi era, infatti, del tutto sconosciuto... ma chissà: magari non avevo ancora scoperto per intero il mio pianeta.
 
Mi alzai stanco dalla terra, umida e ricoperta da erba verde scuro, con una spalla un po' dolorante.
Quelle scosse mi avevano lasciato il segno, in tutti i sensi.
Mi doleva tutto il corpo: mi ero davvero messo in pericolo, ma sapevo di averlo fatto a fin di bene - nonostante avessi fallito miseramente.
Un perdente. Ecco quello che ero in realtà.
Dopo un po', cominciai sul serio a realizzare che nessuno dei miei amici era lì insieme a me.
 
«Ma dove sono finiti tutti...?» mugugnai a bassa voce confuso, ma in un certo senso anche tranquillo poiché consapevole di avere l'E-427 a portata di mano.
Li avrei rintracciati tutti senza problemi: del resto, quell'invenzione non falliva mai!
Ma girandomi ad ogni angolazione possibile, essendo complicato vedere l'ambiente circostante, non trovai alcuna traccia dello zaino o comunque di qualsiasi altra cosa avessi portato poco prima da casa.
Niente di niente.
Misi le mani sulle guance dalla disperazione: mi sentivo perso, solo...
Abbandonato dal mondo.
 
‘Amy, Knuckles, Dash...
Cosmo...
Dove sono tutti?’
 
E Sonic?!
Dove diamine era finito Sonic?!
Mio fratello... il mio tutto.
Chissà cosa mi sarebbe successo se non mi avesse salvato la vita in quella maledetta prigione.
I sensi di colpa mi stavano uccidendo: non sarei dovuto fuggire lasciandolo da solo lì, in agonia. La sua espressione, sorridente e addirittura rassicurante - quando, in realtà, mascherava oscura sofferenza - ce l'avevo ancora impressa nella mente come un tatuaggio. Non aveva intenzione di andar via.
Dovevo pensare anche a lui.
Dovevo portarlo con me.
E soprattutto, non dovevo lasciare che si trasformasse in Dark, mettendosi così in serio pericolo.
Se avessi fatto tutto ciò, probabilmente in quel momento sarebbe stato al mio fianco.
E invece ero rimasto in quel posto ignoto, inquietante, freddo, piovoso e anche dispersivo da solo, mentre di lui non avevo alcuna traccia.
 
Sospirai giù di morale, mentre mi alzavo a fatica per andare a cercare i miei amici.
Nonostante la mia vista fosse alquanto compromessa, l'unica e fievolissima fonte di luce non proveniva da un luogo preciso...
Bensì nasceva in mezzo agli alberi.
E non ne riuscivo assolutamente a capire l'origine, poiché nessun animale o essere vivente - eccetto quelle rigide piante - vagava in quel luogo così lugubre.
Non vi era difatti alcun rumore, esclusi il frusciare delle foglie e lo schiantarsi della pioggia sul suolo - e sul mio pelo, ormai inzuppato d'acqua.
 
Ma poi, d'improvviso, vidi apparire tra due ceppi uno stranissimo e insolito spirito, di una tonalità tendente al bianco...
che cominciò a dirigersi verso di me.
E così capii al volo cosa fosse quella mistica fonte di luce.
 
A quella vista cacciai un urlo, sorpreso e al contempo spaventato a morte;
così camminai all'indietro il più rapidamente possibile, per cercare di allontanarmi ma averlo sotto il mio sguardo allo stesso tempo. Involontariamente pestai delle foglioline cadute, ma fu l'ultima cosa a cui diedi peso nel momento in cui il mio respiro, ormai, diveniva sempre più affannoso.
Era tutto inutile: si avvicinava a me sempre più velocemente.
 
‘Cosa diamine è?!
Un fantasma?!’
 
Nella foga inciampai, cadendo col bacino sul terreno, indietreggiando poi, impanicato, con i palmi delle mani rivolti verso la terra bagnata, servendomi quindi di movimenti quadrupedi.
Poi si fermò, e io mi bloccai subito dopo.
Per un attimo il mio cuore smise di battere, riprendendo l'attimo dopo ad un ritmo vertiginoso.
 
“No, non spaventati...
Miles.
Sono io...”
 
Una voce, che mi parve immediatamente familiare, mi parlò con un tono talmente grave e soprattutto inusuale che mi fece tremare di paura.
Se c'era qualcuno che mi chiamava Miles, e non Tails...
Era mia madre.
 
‘Sono morto?!’
 
«M-mamma sei tu?!» domandai urlante ed esasperato, con voce tentennante perché ormai sul punto di piangere.
La prima cosa che mi venne in mente in quel momento di confusione fu che gli occhi azzurri che avevo ereditato erano identici ai suoi; forse era solo un'allucinazione quella che avevo davanti, ma non mi importava: ne ero completamente offuscato.
Me lo disse mio padre, una volta: “hai gli occhi di tua madre*.”
E da quel giorno l'avrei ricordata ogni volta che mi sarei guardato allo specchio.
 
Non la vedevo da quando avevo sei anni: mi aveva lasciato troppo presto.
Era volata via come una foglia da un albero in un giorno di inverno, per poi essere cullata dal vento freddo come se stesse semplicemente danzando.
La guardai nuovamente, mentre una lacrima scivolava sulla mia guancia più rapidamente di quella pioggia, che appesantiva i miei pensieri con la stessa semplicità di come cascava giù dal cielo.
Ma quando mi fermai un attimo per osservarla meglio...
 
Notai qualcosa di strano.
Aveva uno strano luccichio nello sguardo.
Però probabilmente quello che stava svisionando ero proprio io, poiché poco dopo giunse un altro spirito che si mise di fianco all'altro.
 
Aveva preso le sembianze di mio padre.
‘Sì, sono decisamente morto.’
 
Eppure io...
Mi sentivo VIVO.
Le mie palpebre si muovevano ancora, avvertivo la dilatazione e il restringimento dei polmoni durante la respirazione, percepivo le palpitazioni del mio cuore.
E questo, qualcuno di morto non avrebbe dovuto sentirlo. Forse.
 
‘Sto sognando, svisionando...
o soltanto vivendo?’
 
Lui però non sorrideva, anzi: in quegli occhi, grigi come la cenere, si leggeva un lieve turbamento causato da qualcosa.
O da qualcuno.
E lui si dimostrava sempre allegro, qualsiasi cosa gli accadesse.
 
Appena pochissimi secondi dopo non riuscii ad osservare più niente nel particolare, poiché venni circondato da talmente tanti individui che non capii nemmeno se, a dire il vero, fossi proprio io l'illusione.
Venni con una pesantissima angoscia oppresso e circondato dalla folla, che si avvicinò verso di me a passi lenti ma al contempo percettibilmente.
Mi sentii soffocare.
 
Erano tutti degli spiriti, che avevano sembianze a me molto familiari.
C'erano tutti: i miei nonni, i miei fratelli...
Ma anche i miei amici.
Ebbene sì, tra quello che pareva essere un ammasso di creature immateriali vidi anche Dash, Amy, Knuckles...
Cosmo...
 
E Sonic.
Il battito cardiaco accelerò improvvisamente;
Zikos ci aveva uccisi tutti?
 
E poi accadde tutto talmente in fretta che se avessi visto un filmato a velocità aumentata avrei capito di più.
Tutti, compresa la Seedrian più innocente dell'Universo, mi fissarono con sguardo truce.
Un ghigno malvagio si dipinse su quello che, in teoria, doveva essere il loro volto, ma che realmente si presentava scomposto e delineato.
Nessuno di loro presentava alcun tipo di carattere naturale.
 
Il mio petto sembrò esplodere.
Mi mossi quieto e tremolante, cercando - invano - di sfuggire al panico che si stava evolvendo in me un po' TROPPO in fretta.
 
Addirittura giurai di vedere, per un momento, cambiare improvvisamente i loro tratti somatici; le orecchie di Amy divennero arancioni e si rimpicciolirono notevolmente, mentre due rose nere appena sbocciate trovarono posto ciascuna di fianco a ognuna di quelle.
Gli occhi di Sonic tramutarono in rosso sangue, che celavano quella che mi parve un'inquietante e macabra sete di vendetta; invece il musetto di Dash modificò la propria forma colorandosi nel frattempo di grigio, e in quanto al suo naso quello si alterò in una piccola spirale.
 
E poi, di tutto quel trambusto paranormale, dopo appena pochi attimi che nemmeno riuscii a percepire non vidi più nessuno...
ma mi rimase solo una strana sensazione... che mi fece soffrire come se qualcuno mi avesse squartato a metà.
Una risata cupa, malvagia e tetra rieccheggiò insieme ai tuoni che rimbombavano in quella foresta.
 
Qualcosa era passato attraverso il mio corpo.
 
Mi sentii come svuotato, mentre lacrime amare cominciarono a scendere solitarie dai miei occhi.
Presi aria, e poco dopo il mio urlo disperato si diffuse in ogni dove, nella speranza che qualcuno avesse potuto udirmi...
Facendomi fuggire da lì.
 
***
 
Dopo minuti che mi parvero ore ad aver fissato il nulla, cercai di farmi forza e riprendermi da uno degli shock più traumatizzanti che avessi mai vissuto.
Mi sembrò di essere finito negli Inferi.
 
Sospirai, cercando di ritornare connesso alla situazione attuale, nonostante il cervello non mi aiutò poi un granché.
Così cominciai a volare basso scoraggiatissimo e totalmente immerso nel buio, supplicando di riuscire a scorgere qualcosa che mi avrebbe aiutato, almeno un minimo, a tornare sui miei passi.
Quegli alberi erano infinitamente alti: dopo la loro lunga e voluminosa chioma pareva esserci solo il vuoto, ma non osai guardare cosa effettivamente ci fosse per evitare di incastrarmi in altri guai.
Ci mancava solo quello.
E in più il freddo stava aumentando gradualmente, in aggiunta a quella pioggia intramontabile che mi fece tremare ancora una volta.
 
Durante il tragitto però scorsi qualcosa di insolito, che mi suscitò immediatamente curiosità e mi sorprese notevolmente, spazzando via – per pochi attimi – la tristezza.
Avevo notato una luce, ma era ben diversa rispetto alla precedente: pareva fosse emanata da una lanterna, poiché di un colore simile al giallo, che mi schiarii la vista quello stretto necessario che mi bastò per vedere, una volta avvicinato a quel bagliore, qualcosa che non mi sarei mai immaginato di incontrare.
Così poggiai i piedi a terra, sbirciando da dietro un tronco bello grosso.
 
Una tenua casetta di legno scuro, come quello su cui tenevo le mani poggiate in quel momento, ricoperta da alcuni lumi accesi e adornata da piccole cascate di fiori colorati, spuntò fuori, in una zona con meno alberi, proprio come un bocciolo in pieno inverno; una cosa parecchio rara ma non impossibile, che avrebbe fatto nascere gioia nel cuore di chiunque avesse visto quella scena.
Una bella sensazione nacque nel mio petto.
Sentivo di non essere da solo; forse avrei potuto usufruire di una mano d'aiuto altrui.
 
E se invece non ci fosse stato nessuno lì dentro?
O peggio, se ci fosse stato effettivamente qualcuno...
Ma che in realtà avesse avuto intenzione di uccidermi, magari per ordine di Zikos?
 
Mi avvicinai nonostante le domande prudentemente alla costruzione – fregandomene di tutto per via della disperazione lampante – cercando di non fare rumore per osservarla così da vicino: non aveva una porta, ma ne presentava soltanto la forma.
All'ingresso possedeva degli scalini affatto ripidi del medesimo materiale, dai quali si poteva sbirciare l'interno del luogo, che appariva modesto e allo stesso tempo accogliente.
Infatti lo stanzino presentava, dal poco che riuscii a scorgere da lì, un tavolino di vetro al centro con sopra poggiato un vaso porcellanato, contenente dei fiori; al muro alla mia destra vi erano sistemate due librerie molto alte, che contenevano una quantità indefinita di volumi, mentre sulla parete adiacente a quella dove erano situati quei due mobili giaceva una scrivania, di un colore simile al ciliegio, sulla cui superficie si trovavano alcuni opuscoli aperti.
 
Così salii ansioso i gradini facendo scricchiolare il legno, e a passi lenti ridussi totalmente le distanze, posizionandomi il più silenzioso possibile alla soglia dell'uscio.
E vidi qualcosa.
Anzi, qualcuno.
 
Una creatura, che mi parve subito una ragazza, avente una chioma azzurra acconciata in uno chignon disordinato, indossava un tenero vestitino nero ricoperto da tantissime decorazioni floreali, il quale le arrivava un po' più sopra delle ginocchia, abbinato a due scarponcini invernali rosa cipria.
Era immobile davanti alla finestra, intenta a contemplare quella pioggia dalla durata indeterminata.
Come se lo facesse da sempre.
Feci alcuni passi in avanti, provocando a mio malgrado un baccano immenso per via di quel pavimento non molto innovativo.
 
Ma poi di colpo, una volta arrivato a metà stanza, l'individuo mistico – avendo sentito quei rumori – si voltò, colpendomi alla sprovvista;
Sobbalzai a quella scena e un urlo scappò via dalla mia bocca.
Mi maledissi per essermi fidato così tanto.
Tentai di correre via da lei il più rapidamente possibile, ma quando ormai ero a pochi centimetri dalla porta...
Improvvisamente quella mi apparve di fronte.
Come per magia.
Pareva bruciassero due fiamme al posto dei suoi occhi, in quel momento fissi malvagiamente su di me.
Avente ormai lo sguardo puntato addosso al mio, impotente camminai all'indietro senza badare a dove andassi -sbattendo infatti distrattamente le spalle contro la libreria più vicina all'ingresso.
E così un libro mi cadde sul cranio stordendomi notevolmente, mentre la creatura mi puntò alla gola quella che sembrava essere una bacchetta, assumendo un'aria pressoché minacciosa.
Mi stava col fiato sul collo.
Serrai le palpebre pur di fuggire a quello scenario, abbastanza pauroso dal mio canto.
 
‘E adesso?’
 
«C-chi sei?! Non ti ho mai visto prima! Sei un oswildiano vivente, un alieno, o COSA?!» sibilò tesa la sua voce, rivelatasi parecchio arrabbiata.
 
Vi fu un silenzio quasi assordante.
Escludendo il frastuono della pioggia, l'unico rumorino che aleggiava nello stanzino era provocato dalle gocce d'acqua che, scivolando dal mio pelo, cadevano poi consecutivamente sul pavimento ligneo.
Un brivido mi percorse violento le spalle, ma da cosa fu causato esattamente non me lo seppi spiegare.
Sbirciai, aprendo per metà un occhio: aveva uno sguardo preoccupato, rivelante probabilmente il panico di essere attaccata da me.
Ma suvvia, ero più disperato di lei!
 
Allora mi feci coraggio e, sospirando e sbattendo le mie palpebre per bene, guardai in viso la sconosciuta.
Aveva gli occhi di un colore misto tra il dorato e il marroncino, cioè color ambra.
Le orecchie, anch'esse azzurre e leggermente a punta -che non avevo precedentemente notato- le quali confinavano perfettamente con la forma dei suoi occhioni tondi, apparivano leggermente tese per via del suo stato d'animo; ma quel musetto lineare che la ritraeva possedeva, però, caratteristiche alquanto familiari.
Difatti sembrava una mobiana: una riccia, per la precisione.
Però che ci faceva in quel luogo?
E soprattutto, riguardo cosa stava blaterando?
 
Mi bloccai, e per un attimo divenni inamovibile.
Non sapevo cosa dire né cosa fare: quell'oggetto anomalo mi incuteva non poca ansia, e se non l'avesse riposto via avrei usato le maniere forti...
O magari sarei semplicemente rimasto lì, in agonia.
 
«O-oh, aspetta.» si bloccò poi quella all'improvviso, togliendomi per fortuna la strana arma di dosso.
Finalmente ero più sollevato.
Successivamente continuò, perplessa.
 
«Hai un aspetto familiare... sembri un mobiano. Ma come cavolo è possibile...?» farfugliò, fissandomi ancora circospetta negli occhi, con mille domande che le si leggevano nello sguardo.
Eravamo l'uno più confuso dell'altra.
 
«M-ma com'è possibile cosa?! I-io non so nemmeno se sono ancora vivo in questo momento!» esclamai balbettante, a disagio e ulteriormente confuso, massaggiandomi nel frattempo il bernoccolo causato da quella terribile botta...
Ricordando però nel frattempo, amareggiato, l'evento vissuto circa venti minuti prima.
 
«Certo che sei vivo! Anche se, onestamente, non so dirti se sei stato fortunato o meno...» affermò sincera, fissando per un attimo altrove.
Mi sentii esplodere dalla rabbia per quella risposta un po' concisa, continuando a fissarle nel frattempo quelle iridi mezze dorate.
 
«E allora perché prima delle ANIME, con le stesse sembianze dei MIEI AMICI, mi sono passate ATTRAVERSO?!» urlai con voce spezzata, mentre la vista mi diveniva nuovamente appannata per via del pianto.
Quella situazione, tutt'altro che normale, stava arrivando al limite della sopportazione.
Poi ella si voltò nuovamente verso di me, stupita, avendo probabilmente compreso a cosa mi stessi riferendo.
 
«È una storia troppo lunga, caro... volpino,» esordì seria, squadrandomi;
«ma sicuramente posso confermarti che quelli non erano i tuoi amici.»
Mi mancò un battito: e chi caspita erano allora?
Assunsi un'aria seccata, lievemente impaurita e al contempo anche dubbiosa: così cercai di capire che intenzioni avesse con me.
 
«Allora mi dici cosa sta succedendo, chi sei e perché sembra che tu voglia andarmi contro?» azzardai irritato bombardandola di domande, stufato da quella situazione che, a mio modesto parere, tramava qualcosa di molto oscuro.
Mise le mani sui fianchi, passiva.
 
«Potrei farti le stesse domande. Tanto per cominciare, come sei arrivato qui?» mi canzonò poi diretta, alzando gli occhi al cielo e allontanandosi da me di qualche centimetro.
Un'espressione truce e misteriosa si dipinse sul suo viso: per un attimo riuscii a immaginare un probabile fulmine tra i nostri sguardi.
Incrociai le braccia, mentre le mie labbra si piegarono lievi a formare un ghigno dispettoso.
 
«Mhh... sicuramente allo stesso modo in cui sei arrivata tu qui, immagino» proferii appoggiandomi con le spalle al mobile, ipotizzando che anche lei fosse stata nei dintorni nella fabbrica al momento della divulgazione di quello strano buco nero.
Avendo finalmente compreso dove volessi andare a parare sbuffò, seccata, rompendo quell'aria di sfida creatasi e dandomela per vinta.
 
«Okay, adesso basta. Abbiamo capito che siamo entrambi in una situazione di merda, per cui è meglio se troviamo un punto d'incontro. Te lo ripeto ancora una volta: come ci sei arrivato qui?» mi disse, con un tono ben più autoritario rispetto a prima.
Poi sfilò nuovamente la bacchetta dalla sua tasca e, con un solo e minimo movimento della mano, avvolse il libro caduto alla mia sinistra con un'aurea luminosa di un colore azzurrino tendente al bianco, facendolo fluttuare in aria e riponendolo nello scaffale di origine.
 
La guardai sconvolto, non avendo mai visto nulla del genere.
Poi ricordai come ella, pochi minuti prima, si era teletrasportata dinnanzi ai miei occhi, e mille sensazioni mi investirono in un colpo solo.
Allora cercai di allontanarmi, ma in parte ero rimasto quasi affascinato da quello strano potere che la sconosciuta domava, motivo per cui non mi mossi.
 
‘Magia...?
Per un momento non riuscii quasi a risponderle, troppo incredulo.
 
«Che c'è? Sembra che tu abbia appena visto un fantasma» mi chiese divertita, avendo notato il mio strano comportamento -per lei inusuale.
Certo, come se fosse una cosa giornaliera vedere una ragazza, scovata in un luogo perfettamente sconosciuto, effettuare incantesimi!
 
Ignorai il suo SIMPATICISSIMO commento sbuffando, rispondendo quindi alla domanda precedente.
 
«Proverò a spiegartelo, a patto che tu mi dica che fine abbiano fatto i miei amici, dove sono finito... e che quella, qualunque cosa sappia fare, non mi tocchi nemmeno per sbaglio» le ordinai, serissimo e alquanto intimorito, indicandole l'oggetto che stava in quel momento conservando nella tasca destra del suo vestitino.
Sul suo volto si dipinse un ghigno buffo, come quasi a ridicolizzare la mia "paura" verso la sua abilità.
O forse voleva semplicemente prendersi gioco di me.
 
«Va bene. Affare fatto. Tanto per cominciare a rispondere alle tue precedenti domande...
Io sono Tracy, Tracy la riccia» affermò con un tono determinato ma allo stesso tempo pacato e quieto, porgendomi la sua mano destra con un lieve sorrisino tra le guance.
Fidandomi, feci altrettanto e successivamente gliela strinsi, ricambiandole l'espressione.
 
«Mi chiamo Miles Prower.
Ma chiamami Tails, è meglio.»
 
***
 
«Ma sei proprio sicuro che quel tipo si chiami Zikos?» proferì ella grave, seduta su una poltroncina bianca -poggiata al muro opposto rispetto alle librerie- dove mi fece poi cenno di sedere.
 
«Sì, certo che sì... ma perché, lo conosci?» le domandai curioso, continuando ad asciugarmi il pelo con una tovaglietta fornitami dalla riccia, avvicinandomi nel frattempo al piccolo divano e sedendomi poi accanto a lei.
La guardai nuovamente negli occhi, impaziente di sapere la sua versione.
 
«No, non può essere lui... sarà per forza una coincidenza» bisbigliò la ragazzina tra sé e sé, assumendo un'espressione corrucciata e fissando il pavimento, riflessiva.
‘Coincidenza?’
 
«Puoi dirmi di più, su di lui?» mi domandò la streghetta, questa volta con un tono preoccupato, continuando a tenere lo sguardo basso.
Che sapeva qualcosa di macabro di cui non ero a conoscenza?
Così, perplesso, decisi di fidarmi, sperando in un suo probabile aiuto: chissà, magari sarebbe stata veramente dalla mia parte.
 
«Ci ha raccontato che i suoi genitori, che credo si chiamassero John e Erthia, furono uccisi durante una strana ribellione, avvenuta sessantacinque anni fa nella prigione dove siamo finiti casualmente per salvare la nostra amica.» le risposi quindi, serio e il più dettagliatamente possibile.
 
Tracy strabuzzò gli occhi.
Alzai un sopracciglio, con le idee troppo confuse.
Che cosa stava succedendo?
Poi mi guardò in viso.
Questa volta la sua espressione era diversa da prima: appariva quasi impaurita...
Come se, indirettamente, avesse desiderato dirmi qualcosa di parecchio profondo.
Fatto sta che quelle perle dorate dalle sfumature marroncine tumultarono il mio sesto senso, facendomi capire che c'era effettivamente qualcosa che non tornava.
 
«Allora, arrivati a questo punto, credo che tu debba effettivamente sapere cosa sia successo, sessantacinque anni or sono, sul nostro pianeta...
E del perché sia io, ormai diciottenne dal 1952, che tutte quelle anime... siamo finiti qui.» terminò rassegnata e con un tono un po' triste, come se non avesse mai voluto toccare quel tasto.
Ma, alla fine, cominciò a raccontare.
 
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*= frase celebre della saga di “Harry Potter”.
 
Angoletto dell'autrice: ultimamente i capitoli non riescono a venire fuori più corti di così (anzi, si allungano ogni volta sempre più), cavoli! xD
Ciao, ragazzi! A parte gli scherzi, vi avviso dicendo che questa volta l'angoletto è un po' più lungo (ma non troppo) del normale, poiché ci tenevo a dirvi alcune cose importanti. Allora...
Ci tenevo a ringraziare quei pochi che si sono presi la briga di commentare questa storia, ma anche chi ne ha soltanto letto i capitoli: come si dice, pochi ma buoni. :D
Ringrazio poi chi l'ha inserita tra le seguite e ancor di più chi l'ha inserita tra le preferite. Mi date un sostegno enorme, sul serio. ;)
A volte, infatti, mi capita di pensare che non debba continuarla, per svariati motivi che non sto qui a dire, però sono questi i momenti in cui rileggo le vostre recensioni... che, lo ammetto, mi spingono a portarla avanti nonostante tutto. :3
Infatti volevo ringraziare soprattutto i recensori (nessuno escluso ^^) che hanno commentato questa storia, ma in particolare Rory, che mi ha sempre fatto notare gli errori facendomi crescere davvero molto (credo che non ti ringrazierò mai abbastanza, ciccia <3), e Queen (<3) e Melody (<3), che stanno seguendo con interesse questa storia così complicata per me che a momenti nemmeno io so dove sbattere più la testa, talmente ho intrecciato le vicende. O.o Davvero, grazie ragazzi. ;3
Bene, mi dileguo qui. Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere se trovate errori o frasi non fluide, per qualunque consiglio sono a vostra disposizione e alla prossima!
Baci, Lily :3
   
 
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