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Autore: atsogaovlas    07/02/2019    1 recensioni
Mi sono sempre chiesto come ci si sente quando si ama qualcuno, specie se quella persona e anche noi stessi abbiamo un vuoto dentro da riempire, forse io e la mia ex, "Anna" eravamo la risposta ai vuoti reciproci o forse no. Gabbiano non è altro che la mia storia e la sua, la storia di un ragazzo che vorrebbe planare sulle cose dall'alto, senza esserne troppo coinvolto, ma che si trova a dover fare i conti con la tempesta e la burrasca di una rottura dolorosa, dettata da premesse peggiori.
E' quasi tutto uno sfogo, sulla quale vorrei costruire una storia e imparare a scrivere cimentandomi direttamente con un pubblico online, tutto qua.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tirai una lunga boccata dalla sigaretta, e pensai a come il mio fiato si era ridotto nel corso del tempo, al fumo che impregnava i miei polmoni di catrame e a come respiravo, a mio dire, poco e niente.
Era da una settimana che non uscivo di casa, stavo male e stavo lentamente finendo nella spirale di ansia, depressione, xanax e tabacco in cui mi infilavo quando qualcosa mi turbava. Cercavo terribilmente qualcosa che mi distraesse dal filo dei miei pensieri ma sembrava non riuscissi a trovare nulla. Tirai un altra boccata e diedi un occhiata al telefono, non c'erano novità. Lo guardavo costantemente per controllare se Anna avesse cambiato immagine profilo e se quest'ultima potesse darmi informazioni sul suo stato d'animo o su quello che volesse. Di tanto in tanto controllavo pure se avesse risposto al lungo monologo con la quale risposi quando decise di lasciarmi, controllavo nonostante sapevo di averla bloccata subito dopo, speravo quasi di non averlo fatto, ma era troppo tardi per tornare indietro. Il fatto che non ci fossero novità al telefono – adesso aveva caricato un altra delle sue immagini enigmatiche che ti facevano capire solo che non stava bene, ma nient'altro – mi incupì ancora di più. La testa mi stava esplodendo e l'influenza sembrava non lasciarmi in pace.

“E' assurdo che io mi sia ridotto così – pensai – alla fine è evidente che non stavamo bene insieme.”

E d'altro canto era così, no? Insomma, se una storia finisce lo fa per un motivo, c'è sempre un motivo. Finisce perchè si è diversi: si hanno visioni differenti della vita, delle cose che compongono il mondo. La poltiica, società, famiglia o magari si hanno semplicemente idee differenti sull'amore e sugli affetti, sul modo in cui ci si dovrebbe comportare gli uni con gli altri, insomma, c'è sempre un buon motivo, che è meglio accettare anziché tentare a tutti i costi di sistemare le cose. Ma accettare le cose  - o per meglio dire, anche solo capirle - non era da me.

Spensi la sigaretta nel posacenere e mi guardai attorno.

Niente aveva un senso. La casa in cui vivevo, non era altro che un vecchio ufficio di mio nonno, adibito ad abitazione da mio padre quando ero più piccolo, per evitarci continui trasferimenti da un quartiere all'altro della città. Nella sua struttura era disordinata e spesso mi dava un senso di povertà opprimente che poteva solo essere alleviato dall'accettazione di vivere lì adesso, ma non per sempre.
Osservai le cose sulla mia scrivania, aldilà di tutta l'immondizia sparsa di qua e di là: -pacchi di tabacco e vecchi pacchi di cartine o di filtri oramai vuoti, la mia sigaretta elttronica con del liquido stagnante dentro, bottiglie di profumo e di acqua vuote, fogli con scarabocchi sui diversi workout che ho fatto il mese precedente – c'era un letto di tabacco dappertutto. Quando il mio sguardo si posò sui pavimenti e sulle mura, non potei fare a meno di notare come il vizio del fumo mi avesse fatto inondare di cenere i primi e di ingiallire i secondi. La polvere dominava incontrastata e qua e là erano sparse buste di plastica piene di cicche di sigarette, ma nonostante ciò, il mio posacenere strabordava. Era tutto sporco e, in questo momento, non avevo voglia di pulire. Non avevo voglia fare nulla.

Tirai un profondo sospiro.

Era oramai da qualche mese che cercavo di sistemarmi: mi ero iscritto in palestra, le visite con la psichiatra andavano meglio e lo xanax non era più un obbligo così come la paroxetina. Eppure sembrava tutto stesse andando a puttane e tutto quello su cui avevo mantenuto così faticosamente il controllo mi stesse scivolando dalle mani lentamente come a ricordarmi che alla fine in realtà, quella sensazione di riprendersi stava facendo posto a quella che sembrava essere la mia costante. Stare male. Il gioco era finito, l'essere positivo era finito, e lo aveva fatto bruscamente, come quando ci si sveglia da un bel sogno e all'improvviso si viene trascinati nella realtà degli eventi, dove tutto e difficile e niente va come si vuole al primo colpo, anzi, mai.

Pensai ad Anna, perchè mi aveva lasciato? Mi guardai attorno e, lentamente, tirai un altro profondo sospiro.

Avevo smesso di fumare e adesso fumavo di nuovo, avevo incominciato ad allenarmi e adesso non avevo neanche voglia di smuovere un muscolo, avevo incominciato ad essere sensibile verso le necessità e i bisogni e l'affetto di cui io e gli altri necessitavamo e adesso, improvvisamente, sentivo che tutto quello che ero stato si stava spegnendo e stava morendo così come era morta la mia relazione. Tutto incominciava a vorticare fuori controllo in una spirale che mi conduceva dritto dentro un profondo abisso, un abisso tetro che avevo già vissuto troppe volte. E al centro di questo abisso si trovava lei, Anna, e i suoi ricci meravigliosi. E più tutta la mia vita vorticava, più tutto sprofondava, più lei sembrava apparire distante e sparire lentamente come uno spettro lasciando il posto a quello che ero stato e che non volevo essere più. Tutto d'un tratto il posto in cui lei si trovava nella mia mente, si trovò vuoto e questo vuoto lo sentivo in testa, nel petto e sembrava che l'unica cosa che riuscisse a fermarlo fosse essere triste, fumare, e assumere xanax. La rabbia incominciò a ribollirmi nelle vene: “Che egoista di merda! - esclamai a voce alta – lo sapeva già da tempo che non voleva stare con me, se no che senso avrebbe avuto prendersela tanto per una cosa così? Uscire decine di vecchi litigi per cosa? Accusarmi di negligenza e menefreghismo quando non ho fatto altro che starle accanto tutto il tempo? Egoista di merda!”

Ed era vero. Era stata egoista. Era stata egoista e io l'amavo comunque. Era da undici mesi che non facevamo l'amore e dovevo stare estremamente attento ai suoi bisogni emotivi, che mi maltrattavo da solo come un cane per come l'avevo fatta stare, che mi chiedevo cosa potessi fare per riparare a tutto quanto, che mi sentivo dire da lei: “Non so come mi stento” , “Sto male”, “Non mi sento bene”, lei, lei, lei, LEI! Non si parlava altro che di lei e solo di lei, non avevo mai avuto delle scuse per ciò che mi feriva ma a lei le si dovevano, lei e i suoi fottuti bisogni. Esisteva solo lei, mi ero auto-annientato per farle spazio, eppure la amavo ancora. La amavo ancora e avevo fatto tutto quello che potevo, ma non aveva importanza, mi aveva lasciato comunque. Mi aveva lasciato nonostante le scuse, nonostante gli spazi, nonostante tutta la fatica che posi per salvare il nostro rapporto, mi aveva lasciato seppure avessi tentato il mio meglio, che a quanto pareva, non era mai stato abbastanza.

La testa mi scoppiava e sentii il sangue pulsare nelle tempie. Presi tre pasticche di xanax e me le schiaffai in gola. Le mani mi tremavano e non riuscivo a distinguere più la mia tristezza dalla mia rabbia. "Finalmente un emozione che conosco" dissi, rassegnato.
Fissai il muro coi miei e i suoi disegni. Erano ancora lì, appesi. Quasi a ricordarmi cosa si fosse perso. Sbeffeggiavano me e le mie emozioni.
Ma lentamente, col passare del tempo, tutto prese calore.
Tutto sembrava chiaro e semplice. Non per questo era meno schifoso, ma andava bene comunque e io, dovevo fare solo quello che potevo fare, dovevo impegnarmi per stare meglio. "Andrà meglio, si..." spostai la mano e mi sembrava pesasse trecento chili. Ero strafatto. Mi sentivo stanco come avessi corso la maratona di New York, quindi andai nella stanza di mio padre e mi buttai sul materassone king size, il materasso sembrava quasi avvolgermi. Mi buttai la coperta addosso e aprì Netflix sullo smartphone, misi Bojack Horseman. Volevo fumare una sigaretta, ma dimenticai il tabacco nella mia camera, così me ne restai lì, infreddolito, influenzato e completamente rilassato, sentendo quasi il mio corpo squagliarsi sul materasso. Pensai ad Anna, alle sue piccole mani, ai suoi ricci e al profumo che faceva, un profumo che mi faceva sentire a casa ovunque fossi. Immaginai di mettere il mio viso sul suo collo caldo, come facevo quando ci abbracciavamo a letto e improvvisamente mi sentì bene. La baciai con la mente ancora una volta, promettendomi che sarebbe stata l'ultima. "Ti amo ancora , per oggi":

 

Tirai un profondo sospiro e dormì un sonno senza sogni.

   
 
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