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Autore: Spark of Shadow    08/02/2019    1 recensioni
Dopo la Quarta Grande Guerra Ninja, il mondo è in pace.
Sono finiti i tempi in cui i villaggi si davano battaglia per prevalere l’uno sull’altro.
Ora si può guardare al futuro con più serenità, all’insegna della cooperazione e nel rispetto di ciascuno.
Vero?
Nei Paesi si sta spargendo la notizia.
Bambini stanno scomparendo da tutto il mondo ninja e riappaiono misteriosamente.
Nessuno riesce a trovare una spiegazione, nè un colpevole.
Quando ad essere rapita sarà una piccola Hyuga, saranno gli Shinobi di Konoha a dover intervenire.
Le domande sono queste:
Perché i bambini vengono rapiti?
Perché semplicemente riappaiono?
Chi si cela dietro a questo mistero?
Perchè quando Sasuke Uchiha vede Hinata Hyuga si sente come se il cielo gli sia caduto addosso?
Cosa succederà quando assieme ai loro compagni dovranno indagare sul sequestro di quei bambini?
Sasuke e Hinata.
Shikamaru e Temari.
Spark of Shadow
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Sasuke, Shikamaru/Temari
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la serie
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Petrichor
Capitolo 8
Stanza numero 37
 
 
 
 
 


 




Le strade di Konoha erano in fervore.
Ovunque era un continuo trasferire pacchi e montare gazebo.
Tutto quel trambusto dovuto alle urla degli operai e al loro martellare stava dando non poco fastidio ad alcuni anziani che sedevano imbronciati ai tavoli dei locali lì intorno, desiderosi solo di giocare a carte, ricordare le gesta dei loro giorni più gloriosi e criticare le nuove generazioni.
Ma l'unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era il dolce sorriso soddisfatto della ragazza accanto a sé.
Naruto era rimasto molto sorpreso dalle abilità organizzative di Sakura.

-Devo ammetterlo! Sei stata davvero brava.-

Il biondo non era elettrizzato all'idea di un meeting per nuove armi; era un ninja vecchio stampo, come molti altri al villaggio e non gli andava proprio a genio che tutti potessero definirsi abili combattenti solo perché avevano accesso a nuove tecnologie.
Dove era finito il duro lavoro? Le arti marziali, le arti magiche e le arti illusorie?
Ci si poteva davvero definire ninja oggigiorno, pur non padroneggiando le tecniche che di fatto caratterizzano uno shinobi?
Ma Naruto sapeva che doveva far buon viso a cattivo gioco.
In quanto miglior candidato alla carica di futuro Hokage, doveva imparare anche ad accettare lo sviluppo della tecnologia e l'avanzamento dei tempi.

-Grazie, Naruto. È stata una faticaccia, ma il duro lavoro premia!-

I due stavano camminando per le strade del villaggio, osservando i vari stand qua e là mentre finivano di essere preparati, in questo modo la ragazza avrebbe potuto dare qualche ultimo ritocco, laddove servisse.
Il biondo vide la ragazza curvarsi un po' in avanti.

-Sakura, sei affaticata?- Chiese in pensiero.

La rosa, dall'alto della sua formazione ninja, si sentiva punta nell'orgoglio.
Non era accettabile sentirsi stanchi dopo aver fatto una semplice passeggiata.
Fosse stata più indietro con la gravidanza, forse, avrebbe accelerato il passo ad un commento simile, lasciando a Naruto solo la possibilità di scusarsi, mentre cercava di raggiungerla.
Ma purtroppo era all'ottavo mese e cominciava anche lei a sentire la stanchezza.

-Un po'.- Si arrese, infine.

Naruto fece sedere delicatamente Sakura su una sedia sotto uno dei gazebo già montati e questa cominciò a riprendere fiato, controllata dallo sguardo preoccupato di qualche passante.
Un operaio molto gentile le aveva offerto dell'acqua e lei aveva accettato, grata.
Portò la bottiglia alle labbra e nello stesso momento un incontenibile senso di fame si fece largo in Sakura.
Ancora le voglie.
Erano gli ormoni lo sapeva bene, ma la fame combinata ad una leggera ansia presero il sopravvento in quell'istante e la ragazza cominciò a singhiozzare senza un vero motivo.

Naruto fu preso dal panico.
Che sta succedendo?

Si guardò attorno alla ricerca di una risposta. Cosa doveva fare?

-Sakura, che succede? Perché piangi?-

-N-non lo so... Ho- ho fame...-

Il biondo tirò un sospiro di sollievo. Era una questione risolvibile.
Poco lontano, infatti, c'era il locale di Teuchi.

-Ti va del Ramen?-

La ragazza ci pensò un attimo, ferma a domandarsi se una ciotola di Ramen avrebbe potuto placare i suoi sensi.
Pensò a tutte le varie aggiunte che avrebbe potuto richiedere nel piatto, scacciando nei meandri della sua testa le sagge e fastidiose parole dei medici riguardo al seguire un'alimentazione sana e bilanciata.

-Si, ok.- Sorrise, asciugando la lacrima che si era formata sotto l'occhio destro.

Il biondo la aiutò a rimettersi in piedi e tenendola sotto braccio la invitò ad avanzare.
In poco tempo arrivarono a destinazione.

Il profumo del brodo e della carne appena cotta e di tutti gli altri ingredienti aleggiava per l'ambiente e arrivava al naso di Naruto, inebriandolo.
Il ragazzo, in questo ristorante, si riscopriva critico gastronomico e già pregustava una ciotola della sua tipologia di ramen preferita, grazie alla memoria delle papille gustative.

-È tutto occupato...- Fece notare Sakura.

Ma il bello di essere l'eroe di Konoha era che non gli era poi così difficile trovare posto.
Era sempre leggermente imbarazzato per tutta quella cortesia (che in realtà adorava), ma Teuchi c'era sempre stato per lui, sempre pronto ad offrirgli da mangiare quando era troppo piccolo per possedere dei soldi e troppo solo per essere invitato da qualcuno a cena.

Quando Ayame li vide, corse ad accoglierli con un sorriso a trentadue denti.

-Naruto che piacere!-

Al suono di quel nome, tutte le persone sedute ai tavoli nel raggio di dieci metri ammutolirono.
Come fossero in un cartone animato, contemporaneamente tutti spalancarono gli occhi.
Un ultimo istante di silenzio e la tempesta esplose con lo stupore e la loro devozione nei confronti del biondo.

Sakura, dal canto suo, era terribilmente infastidita.
Aveva fame. Voleva mangiare. Non aveva nessuna voglia di socializzare.

La ragazza si voltò verso la figlia di Teuchi e le chiese se fosse possibile avere un posto a sedersi, ignorando il ragazzo che veniva tirato rozzamente di qua e di là preso per la giacca, mentre sentiva i suoi fan offrirgli, urlando, un posto al loro tavolo.

In quel momento si aprì la porta del locale e la campanella attaccata all'uscio che avvisava l'arrivo di un cliente quasi non si sentì.
Al di fuori della costruzione non si sentiva tutta la confusione che vi era all'interno.
E quando Shikamaru mise piede nella prima sala, sentì il bisogno di scappare alla vista di quel putiferio.

-Perché c'è tutta questa confusione?- Alzò la voce Temari per farsi sentire dal fidanzato sopra tutto quel rumore.

Quello la sentì appena, ma riuscì a pensare solo a due possibilità che potessero efficacemente rispondere alla domanda.
E la prima che gli venne in mente fu confermata inequivocabilmente quando notò le familiari e colorate teste dei due amici.

Fece un passo in avanti, seccato e cercò di riportare Naruto con i piedi per terra, sapendo che se non avesse fatto qualcosa lui, quel poveretto avrebbe continuato ad essere sballottato da un angolo all'altro del locale fino a fine giornata.

-Buongiorno.-

L'Uzumaki si voltò e quando i suoi occhi incrociarono lo sguardo del Nara, questi si riempirono di graditudine.

Temari scoccò un'occhiata fulminante agli spettatori in subbuglio che sembrarono cominciare a calmarsi.

-Ragazzi! Come state?- Sakura si avvicinò loro.

-Dovete ancora pranzare?-

-Si stavamo per sederci... Ah! Ayame, avreste un tavolo per quattro?- Si volse verso la coppia.
-Vi va bene se condividiamo il tavolo?-

-Nessun problema.- rispose la Kunoichi della Sabbia, desiderosa solo di appoggiare il suo enorme ventaglio da qualche parte e finalmente far riposare la schiena.

Il moro notò che nel rispondere alla rosa, la sua ragazza non aveva mai staccato gli occhi dalla figura del portatore del Kyubi.
Ora che ci pensava, Temari portava ancora rancore per la mancata presenza di Naruto alla missione diplomatica e sotto il sorriso educato che stava esternando, scorse un sottile desiderio di vendetta.

Un brivido gli corse lungo la schiena.
Ah, che seccatura!

Il gruppetto aspettò per un paio di minuti che un tavolo si liberasse e infine si sedettero, stanchi e affamati.

Shikamaru e Naruto osservavano le due ragazze confabulare qualcosa sulla gravidanza dell'Haruno, mentre, svogliatamente, facevano finta di girare le pagine del sottile menù plastificato.

-Si sa già una data approssimativa per il parto?-

La rosa era entusiasta e i suoi occhi brillavano nel parlare del suo bambino.
Il biondo non poté fare a meno di scrutare il grembo gonfio della ragazza.
Era felice per Sakura, davvero, ma a volte non poteva fare a meno di pensare a cosa sarebbe successo se lei avesse accettato i suoi sentimenti e se quel bambino, che accarezzava dolcemente attraverso la stoffa del vestito premaman, fosse stato suo.

Hinata non è stata l'unica a soffrire.
Quella frase stazionava sulla punta della sua lingua da tempo.
All'inizio non ci aveva fatto troppo caso; ma da quando Tsunade aveva diagnosticato la sterilità della Hyuga, tutto il loro mondo aveva cominciato a bruciare, rendendo cenere, pezzo dopo pezzo, ogni certezza.

-Non siamo ancora sicuri della data esatta, ma dovrebbe mancare meno di un mese.-

Sasuke la rendeva così raggiante.
E ancora una volta il biondo si ritrovò sconvolto da due sentimenti contrastanti.
Non poteva non sentirsi felice per la vita che i suoi migliori amici stavano costruendo insieme,
ma quanto gli sarebbe piaciuto essere lui stesso l'artefice di quel sorriso a trentadue denti?

Il ragazzo cominciò a giocherellare col bordo del bicchiere davanti a lui, aspettando che la conversazione si spostasse su di un argomento in cui potesse esprimere opinioni, assolutamente d'accordo con l'idea di tacere quando non si sa nulla sull'argomento di cui si sta parlando.

Shikamaru, invece, sembrava perso nella sua mente, che, forse, doveva essere più interessante e meno noiosa della realtà.

-Naruto.- Si sentì chiamare.

Quello quasi perse l'equilibrio mentre se ne stava gomiti sul tavolo e pugni sulle guance a contare le sedie, osservando di tanto in tanto gli altri clienti lanciargli qualche sguardo d’intesa.
Quando si girò vide un cameriere perfettamente dritto e con i talloni ben piantati a terra.
Teneva in mano un block notes e una penna consumata a metà, che attendeva la sua ordinazione.

-Voi avete già ordinato tutti?-

-Si, manchi solo tu.-

Il ragazzo ordinò una ciotola extra-large del suo Ramen preferito e ringraziò mentalmente quell'uomo per aver fatto cambiare "l'aria".

-Naruto, com'è andata la tua missione?- Lui fissò gli occhi sul Nara.

-Non sono sicuro se potesse andare meglio. È stato una specie di buco nell'acqua...-
Si grattò il dorso del naso.

-Ma temo di non poter dire di più, mi dispiace...-

Sakura drizzò le orecchie.

-Non preoccuparti, Kakashi ci ha "inseriti" nella missione.-

-Davvero?-

-Si.- Rispose blanda, Temari.  -Devi sapere che durante la festa del Daymio (quella a cui tu non hai partecipato), ci siamo imbattuti in alcune strane situazioni."

L'Uzumaki aggrottò le sopracciglia.

-Che tipo di situazioni?-

Il Nara sospirò.

-Non sono sicuro ancora, quindi non saprei se ci sia realmente bisogno del tuo intervento. Però è importante che tu sappia che al meeting informativo saranno presenti molti imprenditori. Alcuni di loro sono stati anche alla festa.- Continuò Shikamaru.

-Non capisco dove tu voglia arrivare.-

-Uno di loro... non apprezza la nobiltà della Foglia.-

Sakura non ci capì molto.
Sapeva che non avrebbe dovuto sentire quella conversazione, ma trovandosi là, gli altri avevano deciso di parlare senza veramente spiegare cosa stesse succedendo.

Il problema è che anche Naruto era confuso.

-Non è un ordine dell'Hokage. Anzi non è nemmeno un ordine, ma penso che la cosa più saggia da fare sia tenere d'occhio la situazione.-

-Non ci ho capito molto, ma penso di poter convincere il maestro Kakashi a darmi il ruolo di supervisore, se volete.-

-Bene.- Annuì la bionda.

-Quest'uomo ha problemi con... Sasuke?- Sakura cercò di strappare qualche risposta.

Ma quello che ottenne fu solo una mera informazione, pallida ombra di una vera spiegazione.

-Quest'uomo sembra avere dei trascorsi piuttosto problematici sia con gli Uchiha, sia con gli Hyuga.-

Dannato Shikamaru. Perché devi essere così furbo e subdolo?

-Mi spiace davvero di non poterti dire altro, ma sono gli ordini.-

-Il maestro Kakashi ti ha ordinato di non dirmi niente?-

-Mi ha ordinato di non parlarne con nessuno al di fuori di una cerchia ristretta.-
Si leccò il labbro, umettandolo.

-Ed essendo tu in maternità, sei annoverata tra i civili fin quando non tornerai al lavoro.-

-Mi rendo conto, ma state dicendo che mio marito potrebbe essere in pericolo e se è in pericolo lui, potrebbe essere in pericolo anche il mio bambino. Credo di avere il diritto di saperne di più.- La rosa provò a giocarsi quest'ultima carta.

-Hai ragione, Sakura. Ne avresti il diritto. Ma gli ordini sono ordini e non possiamo disobbedire.-

La Haruno distolse gli occhi, sospirando.
La situazione la stava irritando.
Non riusciva a smettere di pensare a Sasuke e ad Hinata. Perché doveva centrare anche lei.
Perché doveva sempre centrare lei?

Non riusciva ad accettare che la mora fosse riuscita a penetrare nel cuore di Sasuke.
Era lei quella che teneva a lui.
Era lei che lo aveva sempre supportato.
Era lei che era sempre stata lì per lui.
Era lei che lo aveva cercato per anni, quando era scappato.

La semplice idea di Hinata che senza fare nulla fosse riuscita a conquistarlo, le aveva sempre fatto ribollire il sangue.
Ma non poteva nemmeno comportarsi con gelosia.

Sakuke aveva sposato Sakura, non Hinata.
Sasuke aspettava un figlio da Sakura, non da Hinata.

E però, mentre dall'esterno la rosa sembrava la sfavillante vincitrice, non poteva fare a meno di accarezzare il suo grembo, sentendosi completamente sconfitta, ma almeno non da sola.

Il Ramen arrivò a destinazione.
E dopo quel discorso, la fame, che l'aveva quasi obbligata ad entrare nel ristorante, l'aveva abbandonata.

Cominciò a mescolare il brodo con le bacchette, non sapendo cosa fare.
Gli altri avevano cominciato a parlare di altre cose, dopo essersi scambiati uno sguardo eloquente.
Il tipo di sguardo che dice: Dopo spiegherò tutto.

E si sentì tagliata fuori.

-Naruto, spero che tu ti sia trovato bene assieme agli altri, mentre IO svolgevo il nostro lavoro...- Se gli sguardi (privi di abilità oculare) potessero uccidere, quello che Temari stava scoccando al biondo lo avrebbe trapassato da parte a parte.

-M-ma n-non c'era Shikamaru?- Il ragazzo sentì un brivido corrergli su per la schiena.
Perché tutte le kunoichi erano così maledettamente spaventose?

-Non importa se c'era Shikamaru! Quello era il TUO lavoro.-

Shikamaru sapeva che Naruto non l'avrebbe passata liscia e per un attimo considerò che forse avrebbe fatto meglio a lasciarlo in balia dei suoi fan, poco prima, invece di condannarlo ad una delle terrificanti sfuriate di Temari.

Sakura, invece, non riusciva a concentrarsi.
Tutto era troppo fastidioso.
Non riusciva a tollerare che solo perché era incinta, dovesse essere trattata alla stregua di un civile o peggio, alla stregua di un ninja di basso livello.
Era un ninja medico, allieva di Tsunade e di Kakashi.
Ed era molto orgogliosa.

Ora. Poteva capire la necessità di mantenere la segretezza di molte missioni, ma se qualcuno voleva fare del male a Sasuke, ora non c'era più lo scontro diretto come unica carta da giocare.

Sasuke Uchiha aspettava un figlio.

E la consapevolezza che il marito e il bambino potessero essere in pericolo la paralizzava dalla paura.
E non poteva fare niente, perché non era autorizzata ad avere informazioni.
Fermò le mani una al lato sinistro del grembo e l'altra sopra l'ombelico, sentendo il piccolo scalciare.
Sospirò.

-Ragazzi, lo so che non dovrei sapere niente, lo so che avete degli ordini precisi, ma per favore, almeno ditemi se Sasuke è al corrente della situazione!-

Tutti e tre si girarono verso di lei.

Sakura aveva parlato a bassa voce, insicura se dare davvero forma a quelle parole, ma l'avevano sentita lo stesso.
Shikamaru sembrava non sapere cosa fare.
Temari la guardava, empatica.
Naruto avrebbe voluto stringerla tra le braccia e far sparire tutte le sue preoccupazioni.

Lei cercava di sostenere lo sguardo degli amici, mascherando il fiatone ansioso e aspettando una risposta.
Sperando in una risposta.

-Si, l'Hokage ha avvisato Sasuke.-

L'Haruno osservò grata le labbra del Nara, mentre davano vita al responso, ma un attimo dopo il sollievo di essere stata ascoltata scemò.
Kakashi aveva avvisato suo marito.
E Sasuke non le aveva detto niente.



 





Le pareti erano tinte di quel verde menta sbiadito tipico di tutti gli ospedali e qua e là, tra una lampada accesa e alcuni faretti fulminati, i muri erano ricoperti da file di grandi cuscini.
Ogni spigolo che si potesse incontrare all'interno della struttura era protetto da strati di morbida gomma.

Erano bastate poche occhiate, ma era chiaro che ogni precauzione fosse stata presa per evitare che qualcuno si ferisse.
Ma perché qualcuno si sarebbe dovuto ferire?

In alcune stanze, al suolo, pezzi di moquette grigio topo rattoppavano buchi sul pavimento consumato.
Certo non era un hotel a cinque stelle.

Sasuke continuò ad avanzare, lento, osservando ogni particolare.
Aprì una pesante porta che dava su un ampio atrio e da lì altri corridoi, tutti identici a quello che aveva appena percorso.
Ma ora cominciava ad intravedere del movimento.

Alcune persone erano vestite con un camice bianco o con una divisa azzurrina, che stonava fastidiosamente con l'asettico colore alle pareti; altre erano vestite tutte in maniera diversa e sembravano impegnate in "attività" varie.

All'Uchiha, però, non piaceva ciò che stava vedendo.

Una donna alla sua sinistra continuava ad entrare e uscire dalla stessa porta incessantemente, mentre contava ad alta voce il numero dei passi che stava facendo, saltandone alcuni e ripetendone altri. E rideva, schiaffeggiandosi la fronte a ritmo della musica che proveniva da una radio settata a basso volume.

Da alcune porte aperte poteva vedere altri pazienti stesi nel letto a piangere e altri a fissare con occhi vuoti il soffitto.

Un'altra ancora cercava di comporre i segni ninja, ma le sue dita continuavano ad intrecciarsi tra loro, rendendo impossibile la tecnica.

Sasuke strinse il polso sinistro mentre, passo dopo passo, superava ogni porta, ogni urlo, ogni imprecazione, malato dopo malato.

Perché Hinata doveva trovarsi qui?

Il ragazzo aveva preso una decisione quel giorno.
Sakura era uscita con Naruto e anche dopo aver parlato con Kakashi, non riusciva ad uccidere quel pensiero che gli risuonava costante nella testa come i rintocchi acuti di campane di bronzo ossidato.
Aveva bisogno di risposte.
Era uscito di corsa, incurante se avesse chiuso la porta di casa o meno e si era fiondato a ripercorrere i passi che lo avevano portato, ignaro, verso quell'infausto luogo.
Espressione illeggibile in volto e volontà di ferro.
Ma cosa si aspettasse di trovare, non ne aveva idea.

Un uomo sulla cinquantina, con un'importante pelata, era seduto per terra, nell'angolo formato da un pilastro, schiacciandosi contro il muro il più possibile e affondando la testa tra le ginocchia scosse da tremiti, mentre mugugnava qualcosa sottovoce. Una parola: “Madara.”

Il ragazzo deglutì, cercando di allentare quel nodo che gli si era formato in gola alla vista di quelle persone. Tutto era così confuso, ma non era lì per osservarle.

Distogliendo l’attenzione dall’uomo, si ritrovò di fronte ad una porta di legno chiaro dalla serratura rotta.
Era socchiusa e nessun rumore proveniva dall'interno, a differenza delle altre stanze.
Qualcosa lo spinse a guardare dallo spiraglio, quasi come se fosse stato lasciato apposta per lui dagli dei, perché potesse vedere all'interno.
E forse era proprio così.

Una figura era seduta su di un letto non troppo grande, illuminata dalla luce che entrava da una finestra di fronte a lei, chioma scura che celava una testa inclinata in avanti a fissare, concentrata, il vuoto.

Era lei.
E non gli era mai sembrata più piccola.

Non bussò, ma, deglutendo silenziosamente, cercò di entrare.

Un respiro gli rimase mozzato in gola.
Un passo dopo l'altro, piano, da vero ninja.
Ma guardare lei, vedere lei, con i suoi stessi occhi in quel posto, lo stava facendo tremare.
Si sentiva come se fosse ipnotizzato.

Occhi bianchi si posarono di scatto sulla sua figura nel momento in cui, distratto, diede un calcio ad un qualche oggetto che si trovava per terra.
Questi si spalancarono, raddoppiandone l'ampiezza e rimanendo immobile.

Per qualche secondo non fecero altro che fissarsi, con un' intensità tale che una lacrima si formò sotto l'iride perlacea di lei, costringendola, infine, a battere le ciglia e a distogliere lo sguardo.

-C-cosa ci fai qui?- Era sconvolta.

Sasuke aprì bocca per parlare, ma non disse nulla. Mantenendo semplicemente gli occhi su di lei.
Cosa poteva risponderle?

-C-come hai saputo che ero qui?- Si portò una mano alla fronte, quasi a nascondersi.

L'Uchiha stava cercando di uscire da quello stato di shock che lo teneva congelato.

-Ti ho seguita... l'altro giorno.- Disse lento e pacato, con l'assordante paura di dire qualcosa di sbagliato.

Lei annuì debolmente.
Cercò di calmarsi, prendendo un paio di profondi respiri.

-Perché sei in un posto del genere?- Cercò di reprimere la necessità che sentiva di attivare il suo Sharingan.

E fu la Hyuga a tacere ora.

-Dimmelo.-

Nessuna risposta.
E Sasuke sentì montare una rabbia travolgente dentro di sé, inglobandolo come se fosse il suo stesso Susanoo. Non era mai stato un tipo paziente.

-Qui dentro ci sono matti e malati. Li ho visti! Perché tu dovresti stare in un posto del genere?-

Hinata stava guardando fuori dalla finestra, incapace di sostenere quella conversazione, o forse era lontana mille miglia, persa.

Un passo in avanti e il cuore colmo d'angoscia, Sasuke alzò una mano verso quel corpo che cominciava ad essere scosso da fremiti.

-Hinata...-

Al suono del suo nome, detto, così dolcemente, infine tornò nella stanza e intrecciò nuovamente lo sguardo in quello onice di lui.
Per un istante i suoi occhi si rifecero distanti, persi nell'immensità di un altro mondo o nella serica morbidezza di un ricordo felice.
Ora tacere era troppo. Era troppo tardi per tentare di ricucire un'altra volta le ferite. Ingoiare il nodo gordiano e sorridere educatamente era qualcosa che, sentiva, non sarebbe riuscita a fare questa volta.

Era faccia a faccia con Sasuke, il suo Sasuke e non c’era nessun altro all’infuori di loro.
E qualcosa raffiorò. Veloce, spontaneo, come una dichiarazione persa nel tempo e nello spazio.

-Il mio nome è più bello... quando lo chiami tu.- Socchiuse gli occhi, che si illuminarono di lacrime.

Una frase.
Una singola, semplice frase e tutto andò in fumo.
Sasuke non ce la fece più.
Sconvolto dai suoi ricordi, dai suoi sentimenti e da quelle parole che non pensava potessero uscire dalla sua bocca, cadde in ginocchio davanti a lei. Trattenne il respiro.

Le prese la mano e la portò sul suo polso sinistro risonante del suo battito, potente e ritmato (in perfetta sincronia con lei) e con un unico agile slancio, l'abbracciò.
La strinse forte tra le sue braccia e sentì calde lacrime inumidirgli la maglia.

Rimasero così per un po’, troppo stanchi per spostarsi e troppo feriti per parlare, lasciando che le lacrime scendessero e li riportassero alla pace.
E Sasuke si sentiva in pace. Adesso.


Ma dopo qualche minuto un sussurro, flebile, coperto dal cigolio ferroso del letto, mosso dal tremare di Hinata, toccò i suoi timpani.

-Ti prego, va via.-

Lui la strinse di più, incapace di concepire l'idea di doversi staccare da lei.

Perché?

Non poteva staccarsi, non voleva.

Lei invece si?

-È davvero questo che vuoi?- Chiese, con una punta di risentimento e la voce incrinata.

-Si.- Rispose di getto, senza darsi tempo per pensare, senza darsi tempo per desiderare che lui rimanesse.

Sasuke si alzò piano. Confuso.
Un dolore lancinante nel bel mezzo del petto. Non voleva andarsene, ma desiderava che fosse lei a volere che restasse.

E Hinata sentì il suo corpo spostarsi e lo rivolle subito su di lei, ma non disse nulla, stringendo le mani in preghiera.

Lui afferrò la maniglia della porta, ancora socchiusa, notando l'uomo di prima osservarli con occhi pieni di inquietudine.
Non ci badò e si girò a lanciarle un ultimo sguardo.

-Tornerò.-

E uscì, velocemente, sbattendo la porta dietro di sé, impedendosi di rientrare e di riportarsela addosso a respirare il suo profumo.
Osservò quella porta.
Stanza numero 37.

E corse via, di nuovo lungo quel corridoio pullulante di tristezza e dolore, impregnato dell'odore acre e pizzicante di alcool e psicofarmaci.



 





-Gli esperimenti sono nettamente migliorati, signore.-

Il tamburellio di alcune dita sul bracciolo in pelle di una monotona sedia d'ufficio rimbalzava ritmicamente tra le pareti della stanza.

A parlare era una donna quasi di mezza età, un po' gobba e coperta da un camice bianco, che stava davanti alla scrivania, guardando il retro della poltrona.

Non si aspettava una risposta, anzi, l'uomo per cui lavorava non aveva mai aperto bocca durante l'orario di lavoro, che lei ricordasse.

Circa ogni due settimane entrava in quell'ufficio bianco e pulitissimo, illuminato da una serie lineare di faretti dalla luce fredda e intensa che dava l'idea di voler accecare chiunque entrasse.
Riportava i risultati al suo capo, come facevano molti altri studiosi in quel laboratorio e se ne andava, senza aspettarsi una risposta e lasciando una relazione sulla scrivania perfettamente sgombra. Esattamente al centro.

Quell'uomo misterioso sembrava essere ossessionato dalla pulizia e dalla perfezione.
Esattamente dove voleva che fossero lasciati i documenti da controllare, aveva fatto incollare quattro sottili bordi in ottone lucidato, così che tutti potessero perfettamente centrare le carte sul tavolo.

Un millimetro più a destra o a sinistra e avrebbe avuto una crisi di nervi.
O almeno questa era la leggenda che aveva sentito in bagno durante la sua prima settimana di lavoro.

Susumu sapeva di non poter avvicinarsi, pur volendolo disperatamente.

Lui era frustrato, lo percepiva benissimo, non serviva vedere il suo viso.
Lavorava per questa effimera persona da mesi ormai ed era arrivata a capire come fosse fatta.
Sia in ufficio dove era un'inquietante figura, sia in altri contesti dove era stata straordinariamente richiesta e il suo capo si comportava più apertamente e con più tranquillità.

-I nostri studi stanno diventando più veloci, signore. Presto saremo in grado di sintetizzare una nuova abilità oculare.-

Susumu non poteva vederlo, ma l'uomo lanciò un ghigno soddisfatto.

-Penso, però, che non sarebbe stata una pessima idea rispolverare le conoscenze di Orochimaru-sama, signore.-

L'uomo allontanò il proprio braccio dal corpo in modo che fosse visibile alla donna e lo scosse.
Era il segnale di congedo.

Pur volendo continuare a parlare ed esprimere tutti i suoi pensieri, Susumu era consapevole che quello non fosse il momento adatto.
E uscì richiudendo piano la porta dietro di sé.

La donna si appoggiò delicatamente all'altro lato dell'uscio e sospirò.

Il suo capo era stato chiaro attraverso quella circolare che aveva spedito in laboratorio.
Non voleva che si guardasse agli esperimenti di Orochimaru.
Tutto doveva assolutamente essere ricostruito da zero. Tutto doveva essere originale.
Nessuno degli scienziati operanti aveva capito il senso di quella decisione.
Gli studi del Sennin erano di una preziosità unica.
Tutti sapevano che la stessa Tsunade, per quanto inorridita, non aveva potuto fare a meno di esprimere stupore per tutte le nuove conoscenze che il ninja aveva svelato.

Quando tutto lo staff aveva sonoramente protestato per quell'assurda richiesta, proprio Susumu era stata scelta come ambasciatrice per dare voce al gruppo.

Quella fu la prima interazione con il suo capo. E la lasciò fulminata.
Non aveva mai visto occhi così determinati e pieni di fuoco.

La donna scostò una ciocca biondo cenere dal viso e cominciò a pensare a quale potesse essere il prossimo passo.








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