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Autore: _Blanca_    09/02/2019    0 recensioni
| Contesto → Pacifist Route | ● | Deviant!Connor + Human!OC ♡ | ● | Reporter/Detective relationship tropes |
Nova Barton è una reporter freelance nella Detroit del 2038. La metropoli sa essere un’arena ostile e Nova si arrangia come può per sbarcare il lunario. Non era certo nei suoi piani finire invischiata nelle indagini di un tenente di polizia perennemente di cattivo umore e del suo improbabile collega: un avanzatissimo modello di androide, programmato per dare la caccia ai cosiddetti devianti. Che Nova lo voglia o meno, anche lei dovrà fare i conti con le conseguenze delle proprie scelte.
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{ 06.20 capitoli revisionati » 1 – 21 }
Genere: Science-fiction, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor/RK800, Hank Anderson, Kara/AX400, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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 019. CASSIDY'S







DATA: 7 NOVEMBRE 2038
ORA: 07:13

THIRD AVENUE, CASSIDY’S 

Nova avvicina il cellulare all’orecchio e intanto smuove con la forchetta i resti della colazione: uova strapazzate, pane tostato e bacon canadese. Mette giù la posata. Ascolta i primi i squilli, butta giù un sorso di succo d’arancia e cerca una posizione comoda sul divanetto. Il crepitio del cuscino si smarrisce nel fitto ordito di suoni nel locale: il chiacchiericcio di clienti, la musica di sottofondo, l’acciottolio di tazze e piattini, gli sbuffi e i gorgoglii di una macchina per le bevande calde.
«Nova?»
La voce all’altro capo del telefono appartiene a una donna. È matura e leggermente nasale.
«Ciao, mamma.»
«Perché non hai risposto alle mie telefonate?» esordisce la signora Roberts. «Mi hai fatto preoccupare! È successo qualcosa?»
Nova capisce sempre, e lo capisce subito, quando sua madre non è completamente in sé. Un’abilità affinata negli anni. Questa mattina la voce al telefono, per quanto piccata, è limpida e presente. 
«Scusa. Avrei voluto chiamarti prima ma il telefono ha avuto dei problemi. E poi io sono stata un po' male, negli ultimi due giorni.» Le dita di Nova tastano d’istinto il colletto del pullover. È una spiegazione generica, non una vera e propria bugia.
«Ti sei ammalata?»
«Roba passeggera.»
«Alla tua età devi imparare a riguardarti, te l’ho sempre detto che non sei capace di bad—»
«Tu come stai?»
«Bene, direi...»
«Bene.»
Una pausa. Un palpabile disagio si stiracchia da un capo all’altro della chiamata. Nova ruota il dispenser della maionese e lo allinea alla bottiglietta del ketchup.
«Come va con il lavoro?» riprende la signora Roberts.
«Così e così. Sto pensando di iniziare a proporre i miei articoli a un genere diverso di testate.»
«Il tuo vero lavoro» cinguetta sua madre.
Nova quasi si stupisce che abbia atteso un giro di convenevoli prima di sganciare il primo dissimulato insulto.
«Fai ancora la cameriera per quel messicano?»
Trovando inutile specificare che Rodriguez è venezuelano di quarta generazione, Nova si limita a borbottare un sì a mezza bocca.
«Lo sai quanto non mi piace Detroit. Non mi è mai piaciuta. Non è una città. È una fogna.»
«Nessuno ti chiede di venirci ad abitare...»
«Se tornassi tu ad Ann Arbor sarebbe meglio. Per tutti» continua sua madre, come se non l’avesse sentita. «Puoi divertirti a scrivere anche da qui. E se ti trasferissi da queste parti, potresti venirmi a trovare più spesso. Ormai non vedo quasi mai nemmeno Dale, sai? Ma lo capisco... è sposato, lui.» A dispetto del tono risentito Nova può immaginarla abbozzare un sorrisetto compiaciuto.
«Volete proprio che mi riduca a passare le mie giornate a chiacchierare con Sophia?»
Nova aggrotta la fronte. «Con chi?»
«Oh, non te l’ho detto... Ho dato via Oliver. Era diventato troppo lento. Anche Sophia non è un ultimo modello, ma l’ho presa a sconto e le hanno caricato un software di assistenza per... mh, persone con le mie difficoltà, ecco. L’ha suggerito la dottoressa Trent.»
«Mi sembra una buona idea.»
«Già, però, insomma... Lo dice sempre la dottoressa, durante gli incontri del gruppo, che il supporto dei familiari è fondamentale.»
Nova non commenta. Sta spiando fuori dalla vetrina, in parte coperta dalle lamelle di una tenda di plastica. Non nevica più. Automobili, taxi e bus scorrono lungo la Terza Strada come un unico infinito treno.
«A proposito...» riprende sua madre. «Liv si sposa. Lo sapevi?»
«No.»
«Hanno fissato la data per la fine di aprile.»
«Bello.»
Nova si è appena ricordata del perché, puntualmente, la prospettiva di conversare con sua madre le faccia venir voglia di prendere a testate la prima superficie solida a disposizione. La cara mammina trova sempre il modo di sventagliarle con garbo sotto il naso la solita lista di capi d’accusa. Lavorare come cameriera è uno spreco di tempo. Le sue aspirazioni da reporter andavano buttate nella pattumiera prima ancora di iniziare il college. La mancanza di un anello al dito, all’età di ventisette anni, dovrebbe essere fonte di un ragionevole mal di vivere. La decisione di abitare a Detroit è di un egoismo ingiustificabile.
Di norma, a questo punto della conversazione, Nova sarebbe già in lotta con il desiderio di far notare a sua madre che nemmeno la sua esistenza è costellata di successi e scelte azzeccate, nonostante l’impegno a spuntare, una per una, le caselle della brava ragazza americana degli anni Dieci. Liceo, college, sposina a venticinque anni, mompreneur a ventinove, divorziata con problemi di alcolismo prima dei quarantacinque.
Di norma, sempre a questo punto della conversazione, Nova avrebbe già dovuto soffocare la voglia di ricordarle che lei, dai quindici ai venticinque anni, non ha fatto altro che toglierle la bottiglia di mano, sorvegliarla perché non si avvelenasse accidentalmente con gli antidepressivi, accompagnarla fuori e dentro gli ospedali, da un gruppo di recupero all’altro, mentre doveva starla a guardare fare un passo in avanti e dieci indietro. Il tutto mentre doveva anche assicurarsi che Dale, il figliolo preferito, non facesse qualche prevedibile cazzata da adolescente.
Ma oggi il rancore è anestetizzato. O almeno ridimensionato. Il ciarlare di sua madre è piacevole, quasi. E inaspettatamente rassicurante. Le sta chiedendo se tornerà per il Giorno del Ringraziamento. Ci saranno Dale e Christina, e i bambini, e la cugina Liv con Noah. Nova promette e lascia che sua madre trascini la conversazione per altri due o tre minuti, prima di sentirsi autorizzata a chiudere la telefonata con la scusa di un immaginario impegno impellente.
Con sguardo imbambolato sulle venature sul display, Nova si rende conto che di avere la vista annebbiata. Strofina la punta del naso, raddrizza le spalle e inghiotte di prepotenza il nodo alla gola. Non si è mai rifugiata nel piagnucolio per affrontare lo stress e decide che non ha nessuna scusa per cambiare strategia questa mattina. 
Accede alla casella email. Seleziona il messaggio criptato. Ormai è convinta di aver ricevuto una vera e propria soffiata ma il problema è che chiunque, con una ricerca in rete, può aver trovato il suo indirizzo di posta elettronica. Prende in considerazione l’idea, lusinghiera, che “l’Imperatore” confidasse in lei per rendere pubblica la faccenda dei devianti del Gold Theater. Ma se davvero era quello l’obiettivo, perché contattare proprio lei? Non è una reporter famosa, ha lavorato solo per riviste minori e l’unico articolo che abbia scritto riguardo agli androidi non è mai stato pubblicato.
Che possa entrarci qualcosa l’aver aiutato Kara? Ma chi può esserne a conoscenza? La notizia del suo fermo dev’essere rimasta confinata negli uffici della Centrale. Però, ricorda che i dettagli dell’omicidio di Ortiz diffusi rete si sono rivelati veri, il che può significare che la polizia di Detroit non è un asso nell’evitare fughe di notizie.
Nova oscura il display, getta il telefono in borsa e torna a contemplare la strada. C’è un palazzo rosso dirimpetto al Cassidy’s; sul megaschermo, montato all’altezza del secondo piano, scorre la familiare pubblicità della Cyberlife.
‘Get yours today’
La Cyberlife adesso possiede un pezzettino di lei; a quel pensiero, la colazione nello stomaco acquista la densità di un blocco di cemento.
«Desidera altro?»
Nova si volta.
Una cameriera androide si è avvicinata al tavolo; bionda, bella e sorridente come una cheerleader pronta a diventare Reginetta del ballo. I suoi cloni si muovono per il locale, registrando ordini e servendo colazioni.
«Non adesso...»
L’androide simula un altro sorriso e si allontana. Nova non può far a meno di notare che il LED sulla tempia sia dello stesso glaciale azzurro del tubo al neon il soffitto.
Non fosse per gli androidi, il Cassidy’s sembrerebbe sputato dagli anni di Ritorno al Futuro Parte prima. Pale sul soffitto, pavimento a scacchi, divanetti color senape; un arcade di Star Wars trilla e bippa da un angolo in compagnia di uno Street Fighter e di un impianto stereo travestito da jukebox. Una suadente voce maschile canta su una base tutta batteria e chitarra synth:‘When you’re close to the edge, with a gun to your head, you must find a way.’ [1]
Nova finisce il suo succo d’arancia, lo sguardo sul piatto bianco cosparso di briciole unte.
‘Sparando al deviante, lo ha danneggiato in modo irreversibile.’
L’ho uccisa, ha pensato Nova, con il fischio dell’esplosione nelle orecchie e l’energia degli spari che le vibrava nelle ossa.
Lo pensa anche adesso, anche se si conforta con la razionalità. La SR700 era pericolosa. Le avrebbe piantato un proiettile nello stomaco senza esitazione. Avrebbe sparato ai poliziotti. E a Connor.
Era pericolosa, sì.
Ed era viva.
Viva, come Kara.
«Temevo di non trovarla più qui.»
Nova sussulta.
«Connor!»
Lei non lo ha visto entrare. Ma lui è lì, accanto al tavolo, braccia lungo i fianchi e il viso impegnato in una strana espressione: le labbra serrate, un angolo della bocca poco più su dell’altro. Sta tentando di sorridere.
Nova allunga lo sguardo fino all’entrata del Cassidy’s. Anderson non si vede da nessuna parte. Torna a fissare Connor.
«Sei da solo?»
«Sì.»
«Devi riportarmi alla Centrale?»
«No.»
«Allora che ci fai qui?»
«Per il suo invito» risponde Connor, senza rinunciare totalmente al sorriso in stato embrionale.
Nova inarca un sopracciglio.
«Ti hanno lasciato venire?»
«Con l’ordine di non allontanarmi dalla Terza Strada» aggiunge l’androide. «Nonostante i fatti di questa notte, il tenente Anderson è convinto che interagire con personalità differenti sia un valido metodo per testare eventuali limiti nelle mie capacità di adattamento.»
«Adattamento a cosa?»
«All’imprevedibilità dei comportamenti umani.»
«Mmh, se lo dice lui...»
«Posso sedermi?»
«Certo...»
C’è qualcosa di vagamente comico, o forse intrigante, nell’osservare Connor prendere posto sul divanetto all’altro lato del tavolo. L'androide incrocia le braccia e qualche grammo di postura ingessata scivola via dalle spalle rilassate; nel complesso, però, sembra un bambino che ce la sta mettendo tutta per imitare con nonchalance la posa di un uomo adulto.
Nova pianta un gomito sul tavolo e il mento sulle nocche.
«Che cosa fa un androide detective quando si prende una pausa dal lavoro?»
Connor la fissa. «Io non prendo pause.»
«Lo immaginavo.» Nova abbassa la mano. «Allora, parliamo di lavoro. Mi hai detto di essere un prototipo. Ho fatto qualche ricerca. Si trovano pochissime informazioni sul tuo modello, lo sai? Però ho dato un’occhiata a quel caso di agosto, quello della bambina presa in ostaggio da un androide domestico.» Lo sguardo di Nova va d'istinto alla sigla identificativa sul petto di Connor. «Il negoziatore sembrava un altro RK800.»
«Lo era.»
«Ma... non eri tu, giusto? L’androide ha fatto da scudo alla bambina. I giornali hanno scritto che è andato distrutto.»
«La memoria del mio predecessore è stata recuperata e installata in un nuovo supporto.»
«Intendi un nuovo corpo? Questo...» Nova stende l'indice verso il suo interlocutore. «Corpo?»
«Sì.»
«E questa procedura è la norma?»
«Intende sapere se può essere replicato?»
Nova annuisce.
«In caso di danni gravi.»
«Quindi se il deviante del multisala ti avesse sparato, per te non avrebbe fatto molta differenza» riflette Nova. Si aspetta un’altra coincisa conferma da parte dell’androide. Invece, deve accontentarsi di un prolungato silenzio e un tremolio ambrato del LED.
«Signorina, mi scusi...»
Una massiccia donna è comparsa accanto al tavolo. Ha un cartellino appuntato al blazer color senape e sta guardando Nova.
Lei la guarda a sua volta, vagamente presa in contropiede della presenza di personale umano nel locale.
«È suo?»
«Prego?»
«L’androide. Appartiene a lei?»
«No...»
«Allora devi andartene.» La donna si rivolge a Connor. «Non puoi stare qui. Non hai letto cosa c’è scritto sulla porta?»
Nova non ha idea da dove zampilli l’improvviso fastidio ma, lo avverte chiaramente, a centrifugare in mezzo al petto. Strappa la borsa dal divanetto. «Va bene, va bene... ce ne andiamo.»

/\  \/


Nova cammina senza fretta, mani in tasca e la borsa che strofina contro il fianco. Quando ha detto di voler passeggiare fino alla fermata del bus su Howard Street, credeva che l’RK800 sarebbe tornato alla Centrale, ma Connor deve aver interpretato le parole come un ordine a scortarla. Le cammina accanto, il passo adeguato al suo, senza mai sfiorare né lei né i passanti frettolosi.
Cumuli di neve sporca separano il marciapiede dal traffico della carreggiata. Le vetrine dei negozi sono già vestite a festa. Nell'aria freddissima, c’è chi fa jogging, chi va a zonzo con tutta la calma del mondo, chi corre al lavoro; molti sono seguiti dagli androidi: figure vestite di bianco, dallo sguardo assente e i movimenti silenziosi.
«Quindi ti basta analizzare gli indizi rimasti su una scena del crimine per ricostruire la dinamica?» sta dicendo Nova. Sa che la balistica forense utilizza software del genere da almeno un ventennio, ma il fatto che quella tecnologia stia passeggiando con lei merita un momento di riflessione. Sorride, senza allegria. «Mi sa che sei il primo androide che minaccia due categorie contemporaneamente. I detective e i criminali.»
Superano due WR600 che stanno grattando via il ghiaccio dal marciapiede.
«Assisti qualcun altro alla Centrale, oltre al tenente?»
«Non al momento.»
Nova morde una guarda. «Ti trattano bene?» chiede, esitante.
Negli occhi castani dell'androide tremola una fumosa perplessità... che sparisce con un battito di palpebra.
«Alcuni agenti tendono ad assumere un atteggiamento ostile in mia presenza, ma la maggior sembra reagire in maniera tranquilla e indifferente.»
Nova ride, un suono breve e sincero.
«Hai appena descritto i miei anni al liceo.»
Il LED di Connor sfarfalla; giallo, giallo e di nuovo azzurro.
Sono arrivati all'altezza di un attraversamento pedonale. Il semaforo è rosso e i musi tondi delle automobili attendono davanti alla luce verde delle strisce. In mezzo al gruppetto di pedoni, una AX400 tiene per mano un bambino che non può avere più di sei anni, zainetto in spalla e cappellino di lana calcato sulla testa riccioluta.
Nova si è fermata, in attesa che il gruppetto si disperda sul marciapiede.
«Avete notizia di Kara?»
La domanda le esce di bocca, anche se è consapevole di non avere il diritto di chiedere.
«Non abbiamo ricevuto segnalazioni nelle ultime ventiquattro ore.»
«Oh...» Nova non sa se essere sorpresa per come Kara stia eludendo la polizia — Ammesso che non sia successo qualcosa di peggio... — o per il fatto che Connor le abbia risposto. «Immagino che non c’è niente che io possa dire per convincervi a lasciarla in pace» mormora. E riprende a camminare, per poi fermarsi di nuovo, una decina di metri più avanti, dove il marciapiede si allarga in una piazzola semicircolare. Al centro della piazzola un sedile di cemento abbraccia una larga aiuola di gelsomino; i fiori gialli spuntano da un tappeto di neve. Tutt’attorno i passanti ciondolano da una vetrina all’altra di un negozio di outlet.
Nova si siede sulla panca, mettendo in fuga un piccione. Accavalla le gambe e infila le mani tra le ginocchia. Contempla la punta bianca delle sue sneakers.
Connor rimane in piedi il tempo necessario per sistemare i polsini della giacca, un gesto che lei gli ha già visto fare, e poi questa volta senza chiedere il permesso, si accomoda sulla panca, a un palmo di distanza da Nova; con le spalle basse, le mani abbandonate sulle cosce e l'interfaccia visiva puntata sul lastricato grigio.
«Quando hai detto che il deviante ti ha mandato parzialmente in corto circuito» riprende Nova,  «intendevi dire che qualcosa funzionava ancora?»
«Sì.»
«Il tuo audio?»
«È rimasto attivo.»
Nova sospira. «Quindi hai sentito cosa ha detto riguardo agli umani. Avrà anche avuto i chip fusi, però in un certo senso ha detto la verità.»
La fronte di Connor si aggrotta vistosamente.
«Quel deviante aveva subito danni molto gravi. Stava delirando.»
Una coppia di mezz’età passa accanto all’aiuola. Un androide, carico di buste, li segue a ruota.
«Connor, hai idea del perché così tante persone non sopportino gli androidi?»
«La diffidenza dell’uomo nei confronti delle intelligenze artificiali è perfettamente normale.» Il tono di Connor è più impersonale del solito, come uno scolaro che recita a memoria una risposta. «Inoltre, gli androidi sono responsabili dell’aumento di disoccupazione nel Paese.»
«No» ribatte Nova, piano. «Non gli androidi. Le persone alla Cyberlife. Sapeva l’impatto che avrebbe avuto alla lunga sul lavoro. Ma non gli è mai importato. Come non è mai importato al governo. E adesso la gente comune può prendersela solo con gli androidi, perché li ha a portata di mano. E perché chi vi ha messo in circolazione è troppo ricco e potente per essere toccato.»
Connor tace.
E Nova suppone che stia, in qualche misura, processando il suo discorso.
«Siamo circondati da oggetti tecnologici» insiste lei, «ma sono gli androidi a prendersi insulti e botte.»
Connor ancora non parla.
«Sai, io ho una teoria. Credo che parte del problema sia il vostro aspetto. Somigliate così tanto a noi che a maltrattarvi si prova la stessa soddisfazione che darebbe sopraffare un altro essere umano.»
Il cipiglio sulla fronte di Connor, accarezzata dalla ciocca solitaria, scompare. «Può essere un'idea corretta. Tuttavia, non penso sia sufficiente a spiegare la natura di tutte le relazioni tra androidi ed esseri umani.»
Nova osserva il profilo di Connor. La luce naturale del mattino rivela ogni increspatura della pelle sintetica. Hanno davvero fatto un lavoro estremamente realistico a Belle Isle.
«Lo sai che hai appena usato la parola pensare
Connor incrocia lo sguardo di Nova.
Lei sa che gli androidi devono analizzare continuamente i movimenti facciali, per raccogliere i dati che permettono loro di sostenere una conversazione, eppure per un attimo, come nell'ufficio di Fowler, ha la sensazione che gli occhi di Connor stiano cercando più a fondo del normale. Crede quasi che non sia colpa dell’aria fredda, o dei lividi, se avverte un gran bruciore alle guance. Torna a guardare la punta delle scarpe e si scrolla di dosso quella fantasia indefinita e improbabile.
«Hai scoperto qualcosa sui devianti del Gold Theater?»
«L’androide inattivo è un AL100 per la sorveglianza. È scomparso due mesi fa dal Ford Field. La SR700 è sparita tre settimane fa da un deposito della Guardia Nazionale, vicino all’Autostrada 96. Era lì in attesa di venir riparata.»
«Come ha perso il braccio?»
«Su questo non ho informazioni.»
«Per farle andare fuori di testa in quel modo, dev’essere stato qualcosa di parecchio brutto.»
«Signorina Barton, posso farle una domanda?»
«Okay.»
«Perché si è introdotta all’interno del Gold Theater da sola?»
«Perché, sorprendentemente, la mia rubrica non strabocca di contatti disposti a infilarsi in un edificio fatiscente in piena notte.»
«I contatti nella sua rubrica sembrano individui di buon senso.»
Nova fissa Connor. Cos’era? Una battuta?
«Ehi, e tutta quella filippica dell'altro giorno, su quanto io sia una persona razionale?»
«Per questo fatico a capire perché abbia preso una decisione tanto imprudente.»
Nova si gratta un ginocchio. Prende tempo. Incespica nei suoi stessi pensieri, ne raccapezza uno, sincero, e trovare il coraggio di esporlo, come una ferita sul tavolo di un chirurgo.
«Prima di andartene dal mio appartamento, hai detto che potevo essere rimasta traumatizzata dall’aggressione.»
«E lei ha negato» le ricorda Connor.
«Può darsi che stessi mentendo. Ho sempre creduto di essere una persona capace di badare a sé stessa. Insomma, una che sa quello che fa. Che ha il controllo della situazione. Ma il modo in cui quel teppista è riuscito a seguirmi fin dentro il mio appartamento. Non mi sono accorta di niente, come una stupida. E non sono stata in grado di difendermi. Quello è stato il vero trauma.»
Il LED di Connor brilla. «Ha pensato che affrontare di nuovo una situazione potenzialmente rischiosa potesse ricostruire l’idea che aveva di sé stessa.» Non è una domanda. È una diagnosi. «Se ne fosse uscita illesa, avrebbe ritrovato fiducia.»
«Dio, non l’ho pensato» sospira Nova, con un’occhiata al cielo. È di un bianco perlaceo e fastidioso da guardare. «Ma... sì, suppongo che inconsciamente... sotto sotto... le cose stessero così.»
«Ma sapeva che avrebbe trovato dei devianti?»
«No, io—»
Lo sguardo di Nova crolla su Connor.
«Stai cercando di interrogarmi?»
Il silenzio dell’androide è accompagnato da un aritmico pulsare del LED, che però non cambia colore.
Nova si risponde da sola. «Stai cercando di interrogarmi.» Fastidio e delusione arrivano e se ne vanno. Bruciano veloci come un fiammifero.
«Il tenente Anderson ha dei sospetti nei suoi confronti, ma non vuole metterla sotto interrogatorio.»
«E nemmeno tu ti fidi di me?»
«Basandomi sui suoi comportamenti passati, deve riconoscere che non posso darle completa fiducia.»
Nova scosta i capelli dietro le orecchie. Non dà torto a Connor. E nemmeno al tenente Anderson. Ma rifiuta l’idea di affidarsi alla polizia e finire estromessa dall’intera faccenda.
«Non avevo idea che ci fossero degli androidi al Gold Theater. Dico sul serio. Sono andata lì  perché ho ricevuto un messaggio anonimo. Un incontro, a mezzanotte precisa, all’interno del vecchio multisala. Non c’era altro nel messaggio.» Sostiene lo sguardo attento di Connor. «Hai ragione, sì. Dopo quello che è successo con Kara, e  poi con la pistola rubata, hai ragione a pensare che io voglia solo complicarvi il lavoro...»
Umetta le labbra. Vorrebbe da morire stringere una mano sull'avambraccio di lui.
Ma non si azzarda.
«Non è così. Questa storia del messaggio anonimo è un mistero anche per me. Datemi un paio di giorni. Troverò il mittente. E se ne viene fuori qualcosa di utile per la polizia, vi dirò tutto.»
«Lasci che sia la polizia a indagare. Disponiamo di maggiori risorse.»
«Non siete gli unici ad avere delle risorse.»
Il LED sfarfalla e Connor strizza le palpebre, come se fosse stato colpito da una fitta di dolore.
«Devo tornare subito alla Centrale.»
«Che è successo?»
«Ho ricevuto un rapporto.»
Connor si alza in piedi.
«Ancora devianti?»
«Sì.»
«Non divertirti troppo senza di me.»
Ma l’androide non accenna a muoversi. Il LED è fisso sul giallo. «Signorina Barton, Zenosyne non è forse il nome della testata giornalistica per la quale ha lavorato negli ultimi mesi?»
Nova annuisce.
«La redazione si trova sulla State Street.»
«Sì...»
«È la scena del crimine.»
«Che crimine?»
«Omicidio.»







NOTE
[1] Quando sei vicino al precipizio,
con una pistola puntata alla testa
devi trovare un modo.
Dig Down, Muse.

   
 
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