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Autore: NavierStokes    10/02/2019    8 recensioni
Questa storia è una piccola favola d'amore moderna, costellata di momenti di speranza e di momenti di tristezza, di momenti comici e di momenti tragici. Perché si sa, ciascuno di noi ha una sua personale favola ad attenderlo, basta solo saperla cogliere.
Tra allerte meteo, senza tetto, improbabili gala di beneficienza, malintesi e bugie, i nostri impavidi eroi (Alec e Magnus) saranno protagonisti di questa romantica commedia agrodolce che abbatte i pregiudizi ed i dogmi tradizionali.
Preparatevi a vedere Magnus ragazzo di strada come non lo avete mai visto in questa mirabolante avventura nata dal profondo disagio di NavierStokes.
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Izzy Lightwood, Magnus Bane, Maryse Lightwood
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2 Cambiamenti

 
Era ormai trascorsa più di un’ora da quando Magnus si era chiuso in una delle stanze fatiscenti dello squallido locale notturno in cui lavorava. Ragnor continuava a fissare con apprensione sempre più crescente le scale del piano superiore, il suo migliore amico avrebbe dovuto essere sceso già da un pezzo ed invece, dopo essere sparito con un cliente del pub, non aveva ancora fatto ritorno. Non era la prima volta che si appartava con un avventore del locale, lo faceva quasi ogni sera, eppure quella volta c’era qualcosa che non andava, il ragazzo dai capelli verdi avvertiva una sensazione scomoda, e a tratti spiacevole, all’altezza del petto e, anche se non poteva definirsi un sensitivo, era uno che si fidava delle sue impressioni. Avrebbe voluto correre da Magnus, ma non poteva farlo, quelle erano le regole, mai interrompere i clienti paganti, il datore di lavoro dell’asiatico, se così lo si poteva definire, glielo aveva intimato fin troppe volte e già era tanto se gli dava il consenso, ogni sera, di aspettare lì il suo migliore amico, a corrodersi le mani a forza di sfregarle dall’angoscia. Era ancora immerso nei pensieri più cupi quando riconobbe l’uomo con cui era sparito l’asiatico scendere le scale ed immediatamente saltò in piedi correndo nella stanza in cui sapeva avrebbe trovato il suo coinquilino. Con il fiatone per la corsa spalancò la porta e la sensazione di malessere che aveva presagito in precedenza gli si riversò addosso come lava bollente, stavolta concretizzandosi in tutto il suo orrore. Con sgomento scorse la figura piegata di Magnus, sembrava una bambola di pezza tanto era scomposto sul rigido tavolo di legno della camera, la guancia ed il torace poggiati malamente alla superficie ed il sedere ancora verso l’alto. I pantaloni e la biancheria abbassati alle caviglie ed un liquido bianco e denso a colargli squallidamente dal solco tra le natiche, che, innaturalmente rosse, si offrivano allo spettatore.
-Magnus! – gridò Ragnor, fendendo l’aria con la sua preoccupazione, precipitandosi al suo fianco e scoprendo così che l’amico non rispondeva. – Che ti ha fatto? – continuò a chiedere, scuotendolo dolcemente. Ora che si era avvicinato aveva iniziato a scorgere tutti i lividi e i lembi di pelle arrossati che quell’animale gli aveva lasciato e sarebbe corso a cercarlo per ammazzarlo se non avesse dovuto restare col suo migliore amico, momentaneamente svenuto.
I minuti passavano inesorabili e Ragnor non sapeva più cosa fare. Chiedere aiuto all’uomo che gestiva il locale notturno e quel giro di prostituzione era fuori discussione, trascinare Magnus di peso fuori di lì era impossibile e altrettanto lo era chiamare un’ambulanza considerando che quell’attività era illegale e quell’immobile abusivo: avrebbe finito solo per mettere tutti nei guai e loro due non avevano bisogno di inimicarsi altra gente. Così, fece la cosa che riteneva più sensata: scoppiò a piangere ed iniziò a pregare. Tutto nella loro vita era stato e continuava ad essere un disastro. Era stato contrario fin dal principio alla scelta di Magnus di intraprendere quella strada ed ora si ritrovava col suo corpo inerme, nudo dalla cintola in giù ed abusato, tra le braccia.
-Rag – si sentì chiamare ad un certo punto. – Perché devi sempre piangere? Ogni sera….
- Magnus! – gracchiò l’amico tra le lacrime, sporgendosi sul tavolo per incrociare gli occhi felini dell’altro. – Come stai? Cosa è successo? Stai male? Che posso fare?
- Aiutami a ripulirmi – sussurrò solo l’asiatico, trattenendo a stento una fitta di dolore mentre cercava di rimettersi in posizione retta.
- Dimmi cosa è successo – insistette ancora l’amico – perché è stato così violento? Io lo ammazzo…
- Rag ha pagato per ciò che ha avuto – rispose semplicemente l’altro.
- Come fai a parlare così? Ti ho trovato svenuto dal dolore maledizione, pieno di segni rossi!
- Questo è quello per cui aveva pagato – ripetè, con sguardo vuoto.
- Andiamo a casa – disse solo Ragnor, insistere non avrebbe avuto senso.
- Non posso ho un altro appuntamento.
- Stai scherzando vero?
Ragnor fissava sconvolto il volto del suo coinquilino. Non poteva essere serio.
-Ovviamente no.
- Cazzo! - gridò il ragazzo dai capelli verdi e Magnus lo fissò basito, lui non diceva mai parolacce e non perdeva mai la calma. – Ma ti rendi conto di cosa stai dicendo? Vuoi farti ammazzare? Sei un ammasso di dolori, lividi e contusioni!
- E allora vattene! – gli inveì contro l’amico – non ti ho mai chiesto di stare qui ogni notte!
- Hai ragione, infatti me ne andrò esattamente ora, sono stufo di supplicarti di cambiare lavoro, di assistere ogni giorno alla scena di te piegato su una qualche superficie mezzo nudo e di preoccuparmi fino a piangere ogni volta. Ammazzati come meglio credi – urlò con il volto coperto di lacrime prima di lasciare la stanza, furente.
Rimasto solo Magnus si sedette su una sedia lì accanto. Pessima idea. Il dolore al fondo schiena si propagò al basso ventre come una stilettata. L’uomo cui si era venduto per quell’ora, cercava uno sfogo che la moglie non poteva dargli, voleva essere violento e aveva offerto una cifra alta. Nessuno dei ragazzi del locale aveva voluto accettare, ma Magnus sì. Lui aveva bisogno di quei soldi. Dovevano pagare ancora mesi di arretrati e comunque dal giorno successivo sarebbero stati sfrattati dalla topaia in cui vivevano. Ma non voleva essere ancora creditore di quello schifoso del loro affittuario e non voleva che Ragnor fosse schiavo dei debiti. Non avrebbe mai permesso che il ragazzo facesse qualcosa di stupido, per questo lo aveva convinto a suonare in una band per locali, anche se il guadagno era basso almeno lo sapeva al sicuro. Mentre per lui, ormai era tardi per redimersi, era la vita stessa che si era presa ciò che più aveva di prezioso, ora almeno lo faceva consenziente.
Quando gli sembrò di potersi di nuovo reggere in piedi si spogliò ed andò verso la doccia fatiscente posta in un angolo della stanza angusta. Doveva lavarsi e rendersi presentabile per il nuovo cliente. Si sentiva vuoto, completamente privo di ogni emozione che non fosse il disgusto e, a disgustarlo più di ogni altra cosa al mondo, era proprio lui stesso. Ormai era infastidito anche dalla sua immagine riflessa negli specchi. Guardarsi negli occhi gli ricordava tutto ciò che aveva fatto e da cui non sarebbe più uscito. Aveva un passato troppo torbido da cui fuggire e non poteva in alcun modo allontanarsene perché la melma in cui era affondato lo teneva vincolato a sé come se fosse finito tra le sabbie mobili. No, non ne sarebbe uscito mai più.
Trascorse la successiva mezz’ora nel più totale silenzio, ad ascoltare i rumori che provenivano da fuori la stanza. Erano le due di notte di venerdì sera. Non avrebbe saputo dire con certezza chi sarebbe stato il suo successivo ospite, si aspettava di trovare un uomo di mezz’età, frustrato dal matrimonio e annoiato dalla moglie ed invece la porta si spalancò rivelando sulla soglia un ragazzo giovane, più o meno della sua età, dai tratti forti. Non era bello, non secondo i gusti di Magnus almeno, ma era ben piazzato e da sotto la felpa si potevano intravedere muscoli definiti. Il giovane entrò senza dire una parola, e senza degnare l’asiatico di uno sguardo, e si girò per richiudere la porta. Fu in quel momento che l’orientale lo vide. Sulla felpa blu del tipo c’era il logo della Barkley e all’improvviso un nome gli riaffiorò alle labbra, come fosse una benedizione del cielo. Alexander. Quel ragazzo forse lo conosceva o comunque aveva camminato negli stessi corridoi in cui ogni giorno camminava Alec e quel pensiero lo rese improvvisamente meno stanco, meno avvilito e meno vuoto.
-Vai alla Barkley? – domandò spontaneamente.
- Non ti pago per parlare – rispose duramente l’altro, iniziando a togliesi la felpa. – Spogliati e mettiti carponi sul letto – ordinò, allungandogli delle banconote.
Magnus sorrise mesto tra sé e si chiese se quello era il tono con cui tutti i ragazzi ricchi si sarebbero rivolti ad uno come lui. Alec si sarebbe rivolto a lui così se lo avesse visto per quello che era davvero? No, Alec non lo avrebbe fatto, pensò convinto, senza però riflettere su una cosa fondamentale: Alexander lo aveva visto per quello che era davvero e non un ragazzo che si prostituisce, il ragazzo dagli occhi blu aveva visto la sua vera anima. Quella che Magnus stesso si rifiutava di conoscere.
Era ancora immerso nei suoi pensieri e non si accorse della mossa fulminea del ragazzo della Barkley che, senza alcun preavviso, affondò nel suo corpo già abusato con tutta la forza che aveva, spezzandogli il fiato in gola e lasciandolo a boccheggiare in assenza di ossigeno.
-Che hai, puttana? Dovresti essere abituato a farti scopare – lo prese in giro, muovendosi senza la minima grazia dentro di lui, stringendolo con violenza sui fianchi già segnati dalla precedente performance.
Con orrore crescente l’asiatico capì finalmente che Ragnor aveva ragione, non era in grado di affrontare un’altra sessione, non in quelle condizioni. Il dolore era lancinante e si diffondeva con scariche acute per tutto il corpo, la vista si era ormai annebbiata e la gola aveva iniziato a dolere per le lacrime trattenute e le urla represse. Si sentiva spaccare in due e non sapeva più a quale pensiero aggrapparsi. Credé di morire seriamente quella sera e, senza sorprendersi, realizzò di non avere nessun motivo valido per non farlo. Non aveva nulla per cui valesse la pena vivere. Ma poi, il ragazzo sopra di lui lo spostò malamente sul bordo del letto, per avere un maggior accesso in profondità nel suo corpo e gli occhi felini caddero di nuovo sulla felpa getta a terra.
Barkley.
Alexander.
Se nel mondo c’erano persone come Alec, forse valeva la pena di continuare a restarci, anche solo per incrociare una volta nella vita quei meravigliosi occhi blu e fu con quegli occhi davanti, che forse in realtà era solo il blu della felpa, che strinse i denti e resistette per tutta la durata dell’amplesso.
Poi, fu il buio. Anche se giurò di aver sentito la voce del suo migliore amico chiamarlo disperato, mentre gli gridava di restare con lui, ma non poteva essere lui, Ragnor gli aveva che se ne sarebbe andato. O forse, in realtà, non lo avrebbe mai lasciato?
 
 
-Come va il braccio?
Alec si girò verso la fonte della voce. Davanti a lui c’era una giovane ragazza, se non ricordava male studiava astrofisica, ma non ricordava il suo nome.
-Ti ho visto al campo, ho visto che hai quasi preso una freccia sul bicipite – chiarì la giovane, vedendo che l’altro restava imbambolato.
- Oh, sì – rispose infine il giovane Lightwood. Non era abituato a parlare con gli altri studenti del campus e non pensava che il suo incidente al campo di tiro con l’arco fosse stato notato. – Sì ora va meglio…sono stato in infermeria.
- Bene, mi fa piacere. Io comunque sono Helen, piacere – gli sorrise affabile la ragazza, allungando una mano piccola e curata nella sua direzione.
- Alec – rispose incerto lui, presentandosi dopo un anno di corsi, alla prima persona della Barkley.
Quando fu in aula si accorse che, effettivamente, il fastidio al braccio non era passato affatto. Anzi, se possibile era peggiorato. Quell’idiota di Santiago gli aveva tirato una freccia dritta addosso. Era un tale imbranato in tutte le discipline che forse avrebbe dovuto limitarsi solo agli scacchi, in cui era un vero campione. Non capiva perché se lo doveva ritrovare dappertutto tra i piedi, solo perché venivano entrambi dalla stessa città ed erano stati amici di infanzia visto che le loro famiglie erano amiche non significava che fosse il servitore di Raphel, che era esattamente il modo in cui il ragazzo lo trattava.
-Eccoti – proruppe una voce con accento latino accanto a lui.
- Raphael – mormorò Alec, alternando lo sguardo tra il messicano in piedi accanto a lui e il professore alla cattedra. – La lezione è iniziata da mezz’ora.
- E perché non mi hanno aspettato? – domandò annoiato, con tono inquisitorio.
- Perché non si aspetta uno studente ritardatario per iniziare una lezione universitaria – lo rimbeccò sotto voce.
- Ma io sono Raphael Santiago – proruppe l’altro, con un tono di voce così fiero che sicuramente Maryse Lightwood avrebbe approvato.
- E qui non importa a nessuno chi sei!
- E allora me ne vado. Avranno notizie dai miei legali – gridò oltraggiato, girando i tacchi e sparendo così come era arrivato.
Fu solo quando le lezioni finirono che Alec si decise finalmente a recarsi al pronto soccorso. Dopo un rapido controllo l’infermiera di turno gli fasciò la ferita e gli assicurò che il bruciore era del tutto normale, la lama non aveva inciso nessun nervo e dopo un paio di giorni la ferita si sarebbe del tutto rimarginata. Stava camminando verso l’uscita, con il telefono in mano quando lo vide. Il ragazzo asiatico che aveva ospitato il mese scorso era disteso sui sedili del pronto soccorso, la testa abbandonata sulle gambe di un ragazzo dalle ciocche verdi, sembrava privo di sensi ed il suo volto era sciupato e stanco.
-Magnus – il suo nome gli rotolò fuori dalle labbra e prima di rendersene conto si stava già muovendo verso di lui.
- Non ti azzardare a toccarlo – gli ringhiò contro il ragazzo che era con lui, respingendo la mano che aveva allungato in direzione del viso dell’orientale.
- Cosa ha? Sta male? – domandò Alec, seriamente preoccupato da quella reazione, che non sapeva davvero come interpretare.
- Te ne preoccupi ora di come sta? – proruppe Ragnor, che aveva scambiato il giovane Lightwood per uno dei clienti ricchi di Magnus, dandogli così la colpa per la situazione in cui versava l’amico.
- Che significa? – domandò confuso il ragazzo dagli occhi blu. – Io non lo vedo da quando è scappato da casa mia, lasciandomi un biglietto e…
E in quel momento un lampo di consapevolezza attraversò la mente di Ragnor.
-Sei Alexander?
- Alec.
- Oh, scusa io… - iniziò a spiegare, carezzando la testa svenuta di Magnus – ti avevo scambiato per quelli che lo hanno ridotto così.
- Chi sono? Che è successo? – chiese stringendo i pugni, un moto di rabbia che si impossessava di lui.
Il resto accadde in fretta. Ragnor pensò alla bugia più credibile che gli potesse venire in mente e poi parlò.
-Magnus partecipa ad incontri clandestini di pugilato.
Poteva avere un suo senso in fondo, spiegava i lividi e l’aspetto comatoso.
-Lo fa perché non sappiamo come pagare l’affitto e, tra l’altro, da oggi siamo in mezzo alla strada perché avevamo troppi arretrati da pagare e siamo stati sfrattati. E così, non so dove portarlo.
Ragnor aveva parlato con cognizione di causa, sapeva perfettamente dove voleva arrivare e cosa voleva ottenere, sperava solo che Alexander fosse esattamente come Magnus glielo aveva descritto ed abboccasse all’amo.
-Può stare da me – si offrì prontamente il giovane, lanciando uno sguardo sinceramente preoccupato all’asiatico. – Potete stare entrambi da me.
Il ragazzo dai capelli verdi sorrise interiormente, esultando vittoria. – Io ho degli amici che possono ospitarmi, ti ringrazio, ma non sapevo dove portare Mags, gli serve totale riposo e non può nemmeno sedersi o camminare troppo…
-Perché? – domandò inarcando un sopracciglio e Ragnor sbiancò.
Che avrebbe dovuto dirgli? Che si era lasciato violentare per soldi e che ora aveva una lacerazione interna?
-Perché…si è rotto il coccige cadendo – mentì con tale fervore che dubitarne sarebbe stato impossibile.
- Può stare da me per tutto il tempo di cui avrà bisogno – annuì con convinzione Alec – posso fargli avere tutte le cure necessarie.
Ragnor gli sorrise grato e si disse che l’asiatico aveva ragione, non era difficile immaginare quel giovane ragazzo nei panni del principe azzurro, che arriva in sella al suo bianco destriero e salva la fanciulla dai pericoli che la minacciano.
 
Magnus fu svegliato da un dolce fischio, non sapeva da dove provenisse né cosa fosse, ma decretò che quel suono gli piaceva. Teneva gli occhi ben chiusi, perché, contrariamente a quanto pensava, non sentiva dolore, bensì una sensazione di caldo avvolgente e un buon profumo di lavanda. Forse era morto davvero ed era inaspettatamente finito in paradiso, oppure, semplicemente, era tutta un’allucinazione e appena aperti gli occhi si sarebbe ritrovato nella topaia che divideva con Ragnor. Eppure le lenzuola che lo cingevano erano troppo morbide e il letto che lo accoglieva troppo soffice. Con paura mista a sorpresa dischiuse un occhio, guardingo, e davanti a lui si presentò la stessa stanza che lo aveva ospitato un mese addietro, in una gelida notte di allerta meteo. Il fischio di prima tornò a catturare la sua attenzione e, come in un sogno scostò le morbide coltri del letto per sedersi. Pessima mossa, un dolore lancinante si diffuse nel suo corpo, nonostante la comodità del materasso. Doveva veramente essere ridotto male lì sotto pensò. Con un lamento si alzò in piedi e si incontrò con il suo riflesso nello specchio dell’armadio di fronte. Indossava un pigiama blu, profumato di lavanda e confortevole come la seta. Con il cuore che gli batteva all’impazzata uscì dalla stanza e si diresse là dove sapeva essere la cucina. Lì, di spalle, Alexander stava preparando la colazione e la macchinetta del caffè continuava a fischiare allegra. Era forse la visione più bella che Magnus aveva mai sperato di meritare di vedere e ancora non era del tutto convinto di non essere morto.
-Buongiorno – lo salutò con entusiasmo Alec, quando si accorse di lui. – Prego siediti – gli propose, indicandogli una sedia ben specifica su cui, Magnus notò con orrore, era adagiato un soffice cuscino alto.
Il panico lo colse in pieno. Non sapeva come, ma in qualche modo era finito in casa di Alexander, qualcuno gli aveva messo un pigiama e lo aveva poi messo a letto ed ora Alec gli indicava di sedersi su una sedia con un cuscino. Che lui sapesse? Ma come poteva sapere che era stata preso con violenza più e più volte fino a non potersi più sedere senza provare dolore? Non sapeva cosa fare, voleva solo scappare il più lontano da lì e non capiva perché Alexander continuasse a sorridergli affabile se aveva capito che era solo un poco di buono che svendeva il suo corpo.
Alec dovette cogliere il suo smarrimento e lo attribuì alle percosse che sapeva aveva preso sul ring degli incontri clandestini di pugilato.
-Come va il coccige? – domandò preoccupato.
- Il cosa? – mormorò l’altro senza capire.
- Oh già, tu non lo sai perché sei svenuto. Ti sei fratturato il coccige e devi stare in assoluto riposo.
- E come me lo sono fratturato? – domandò Magnus, senza capirci più nulla.
- Sul ring di pugilato.
- Io faccio pugilato?
Okay, la sua mente era definitivamente impazzita.
Alec lo guardò comprensivo, convinto che dovesse aver preso qualche botta in testa. – Incontri clandestini di pugilato – precisò – per pagare l’affitto. Ma come dice anche Ragnor non hai il fisico adatto.
-Ragnor? – domandò, ora iniziava a capire. Non sapeva ancora in che modo ma era sicuro che il suo migliore amico fosse responsabile di quella situazione.
- Ci siamo conosciuti al pronto soccorso. Mi ha raccontato del tuo ultimo incontro, che te la sei vista parecchio brutta e che siete stati sfrattati. Spero che non ti dispiaccia se ti ho di nuovo portato a casa mia – disse abbassando lo sguardo. In fondo Magnus era già scappato una volta da lui, cosa gli faceva credere che fosse contento di sapersi di nuovo in quella casa.
- Non avresti dovuto – ammise grave. – Ma ti ringrazio per averlo fatto. Cercherò di darti meno disturbo possibile e di trovare una sistemazione al più presto.
- No! – quasi gridò Alec e sia lui stesso che l’asiatico rimasero sorpresi da quella reazione. – No, voglio dire – tentò di ricomporsi – a me non importa se ti fermi un po’ più a lungo solo…solo stavolta salutami di persona quando te ne vai…niente più biglietti, d’accordo? – propose con un sorriso speranzoso.
- Niente più biglietti – asserì Magnus, perdendosi nei suoi occhi blu.
Raggiunse la sedia con lentezza, quasi con reverenza. Si sentiva indegno di essere seduto allo stesso tavolo di un’anima bella come Alec. Perché sì, pur avendo parlato con lui solo una manciata di ore, ormai un mese addietro, aveva capito che splendida persona pura fosse, eppure, c’era comunque qualcosa di misteriosamente malinconico in lui che lo rendeva ancora più affascinante. Quando si sedette, con cautela, ricevette uno sguardo d’incoraggiamento dal giovane padrone di casa, che si apprestò a servigli la colazione con posate d’argento e stoviglie di porcellana, su una tovaglia di lino pregiato. Magnus si sentiva in imbarazzo. E molto anche. Ragnor era stato bravo a mentire per  lui, Alec non sapeva che si concedeva a uomini diversi ogni notte dietro pagamento, né sapeva tutte le cose brutte che aveva fatto in passato. Eppure lui stesso le sapeva, lui conosceva il suo passato e non poteva fare a meno di vergognarsene, di chiedersi cosa ci facesse uno come lui con uno come Alexander. Che idea aveva Ragnor? Voleva farli finire insieme? Beh sarebbe stato impossibile. E solo rivederlo per un paio di giorni gli avrebbe fatto più male che bene. Il suo migliore amico lo aveva cacciato in un grosso guaio. In quel momento non poteva minimamente permettersi di innamorarsi e temeva che sarebbe successo nel giro di pochi giorni se fosse rimasto in quella casa, con quella meravigliosa creatura dagli occhi più blu del mare.
-Non ti piacciono le uova? – domandò il ragazzo dei suoi pensieri, con voce già mortificata e Magnus non poté che sentirsi ulteriormente indegno di lui. Era rimasto muto e fermo di fronte alla colazione che l’altro gli aveva messo davanti, facendogli credere che non fosse di suo gradimento. – Io posso prepararti dell’altro… - disse alzandosi e lasciando a metà il suo piatto.
- No – quasi trasalì l’asiatico, sporgendosi a fermarlo, trattenendolo con una mano sul suo avambraccio. Fu un contatto fugace, eppure Magnus se ne ritirò come scottato, era troppo sporco per toccare la pelle così immacolata di quel ragazzo senza peccato. Alec lo guardò stranito, chiedendosi se davvero facesse così schifo entrare in contatto con lui. – Adoro le uova – esordì l’asiatico, con la bocca mezza piena, complimentandosi per la sua cucina e cercando così di rimediare il malinteso di poco prima. I polpastrelli ancora frizzanti là dove avevano incontrato la pelle del Lightwood.
La prima settimana di quell’improbabile convivenza passò in fretta. Magnus si muoveva con circospezione mista a insicurezza in quella grande casa, come se si fosse trovato in una cristalleria in cui avrebbe potuto rompere qualcosa al minimo passo falso. Alec, invece, cercava in ogni modo di far sentire il suo ospite apprezzato e ben accudito. Il ragazzo infatti era timoroso che da un momento all’altro l’asiatico potesse di nuovo andarsene, lasciandolo ancor più solo nella sua immensa solitudine. C’era una magica connessione tra loro, nessuno dei due avrebbe saputo definirla a parole, ma entrambi la sentivano e se Alec la viva con timida speranza, Magnus l’affrontava con enorme paura. Alexander poteva ancora permettersi di sperare in qualcosa, anche se la vita gli aveva tolto tanto, ma Magnus non poteva più permetterselo, perché la vita gli aveva tolto troppo e così, mentre Alec lasciava che dei sentimenti affiorassero in lui, l’asiatico li reprimeva tutti.
-Io vado all’università – annunciò Alec entrando in cucina, dove Magnus stava pulendo. – Non c’è bisogno che pulisci continuamente, mia madre paga una domestica per quello.
- Lo so – mormorò pensieroso l’orientale, cercando di non pensare a quanto, in prima mattina, gli occhi del giovane Lightwood fossero più abbaglianti e i suoi capelli più selvaggi.
- Non sei in prigione – gli sorrise avvicinandosi e Magnus fu avvolto dal suo costoso profumo mischiato al suo odore dolce. – Puoi uscire, vedere la tv, leggere, non fare niente.
- Non mi sembra corretto – ripeté l’asiatico per la centesima volta quella settimana. – Non è un albergo casa tua.
- Mi fa piacere che tu sia qui…ok? – ammise sinceramente Alec. – A te fa piacere essere qui?
E Magnus, perso in quegli occhi e nel timbro di quella voce virile, non poté che dire: - Sì.
La loro ormai era una routine consolidata, Alec andava all’università e poi tornava a casa, dove Magnus lo aspettava sempre con qualcosa di cucinato, con un film da vedere o con le impressioni di un libro da condividere. Visti dall’esterno sembravano due migliori amici che condividono casa, ma nei loro pensieri sapevano benissimo di non considerare affatto l’altro un amico. Lentamente l’asiatico si era sbloccato, iniziando a prendere più sicurezza. Ormai non sussultava più di sorpresa ogni volta che Alec era gentile con lui, anche perché Alec era sempre gentile con lui e sussultare continuamente era diventato snervante. E Alec, del canto suo, aveva capito che Magnus non era abituato a qualcuno che si prendesse cura di lui, che avesse delle attenzioni nei suoi confronti e questo non faceva che spingerlo a voler conoscere di più del suo passato, ma l’altro restava in silenzio ogni volta che provava ad affrontare l’argomento. Per questo aveva deciso di lasciar perdere per il momento, perché, in fondo, non gli interessava sapere cosa ci fosse stato prima nella vita di Magnus, anche se immaginava non fosse niente di buono. Quel che sentiva di volere era di proteggerlo, di farlo stare bene e Alec sapeva cosa significava: si stava invaghendo del misterioso sconosciuto che aveva portato a casa, quello che, fin dal primo momento in cui l’aveva visto, l’aveva stregato con i suoi occhi da gatto e la sua bellezza fuori dal comune.
-Che hai fatto oggi all’università?
-Oggi Santiago mi ha quasi investito – raccontò sedendosi elegantemente sul costoso divano della sala principale. – Si è fatto regalare l’auto sportiva più costosa in commercio e non la sa guidare.
- Questo Santiago deve essere uno parecchio fuori di testa – commentò divertito Magnus, che ormai conosceva il messicano grazie a tutti gli aneddoti che Alec gli raccontava a fine giornata.
- Tu che hai fatto? – domandò poi con sincero interesse e l’asiatico si sentì invadere il cuore da una sensazione tiepida, ancora non era abituato a qualcuno all’infuori di Ragnor che si interessasse a lui.
- Ho letto – iniziò a dire, sedendosi poco distante sul divano – e poi ho dormito un po’ – ammise con un leggero velo di imbarazzo. Alec faceva sempre così tante cose nella sua giornata: studiava per diventare un avvocato, praticava tiro con l’arco, andava all’università. Lui, invece, mangiava, dormiva, leggeva e vedeva la TV.
- Devi riposarti ancora Magnus, non voglio che ti affatichi – si raccomandò il giovane Lightwood e l’asiatico capì che quando tutto quello fosse finito gli sarebbe mancato terribilmente.
Con il passare dei giorni l’orientale iniziò a fidarsi sempre più e ad aprirsi. Il primo tra i due a confessare i fantasmi del passato fu Alec, era una sera di pioggia quando raccontò di Maxwell Lightwood e di come la sua tragica scomparsa avesse inesorabilmente lasciato una ferita inestinguibile nella sua famiglia. Qualche sera dopo, mentre stavano seduti sul tappeto a leggere, Magnus raccontò del suo passato in orfanotrofio, del suo incontro con Ragnor e di come avesse trascorso quegli ultimi anni tra piccoli furti e lavori saltuari. Omise la parte della prostituzione, ma provò comunque enorme vergogna ad ammettere di aver rubato, seppur solo poche monete o generi di prima necessità. Alec gli strinse la mano, in un chiaro segno di conforto, come a dirgli che da quel momento le cose sarebbe andate meglio. Nello sguardo con cui gli bruciò l’anima c’era un evidente significato sottinteso: ora che ti ho trovato mi prenderò io cura di te. E, quella volta, la mente di Magnus decise di avere un po’ di fede, perché per quegli occhi blu poteva anche tornare a sperare.
 
-Hai preso tutti i libri? – domandò per la terza volta l’asiatico, agitato.
- Sì, Mags. Ho tutto devi stare tranquillo.
- Non riesco a stare tranquillo – confessò l’asiatico, stringendosi le mani.
- Ho studiato, sono preparato. E’ solo un esame.
- Ma è il più importante del semestre.
- Magnus stai cercando di mettermi ansia?
- No, assolutamente no. Solo ricordati di stare calmo e concentrato.
Alec gli sorrise dolcemente in risposta. – Sei tu quello che deve stare tranquillo.
-Sì, hai ragione. Credo che preparerò una camomilla mentre ti aspetto – disse accompagnandolo sull’uscio. – Chiamami appena esci dall’aula – gli raccomandò.
- Sarai il primo che chiamerò – promise solennemente.
- Allora buona fortuna – gli augurò e poi si sporse verso Alec e, del tutto inaspettatamente, gli scoccò un bacio a fior di labbra sulla guancia, per poi ritrarsi bruscamente.
Negli istanti successivi Magnus si chiese cosa diavolo avesse fatto. Loro erano solo due amici. Anzi non erano nemmeno amici. Alec lo aveva ospitato, perché di buon cuore, visto che era in difficoltà e lui cosa faceva? Lo baciava sul portone di casa, come se fossero stati una coppia di sposini.
-Io… - provò a dire, sicuro che il giovane Lightwood non avesse gradito quel contatto.
- Grazie – lo interruppe però l’altro, con gli occhi blu carichi di una sfumatura nuova per Magnus. – Ti telefono dopo – disse solo prima di allontanarsi, lasciandolo sulla soglia di casa.
Lentamente si richiuse la porta alla spalle, continuando a passarsi l’indice sulle labbra, dove avvertiva ancora il calore e il sapore della pelle candida di Alec. Improvvisamene ogni voglia di camomilla era svanita. Con decisione si diresse in camera del padrone di casa, non era mai entrato senza di lui, non si era mai permesso di violare la sua privacy, ma in quel momento aveva un disperato bisogno di perdersi nel suo profumo e così, con passi felpati nonostante fosse solo, varcò la soglia ed entrò nel letto di Alexander. Sentiva di stare commettendo una specie di effrazione, perché non avrebbe dovuto entrare così, senza permesso e avvolgersi in quelle lenzuola che odoravano così tanto di quel suo buon odore. Era così in estasi che una sua mano si mosse quasi di volontà propria a scendere verso il basso ventre, ma poi si riscosse da quella beatitudine. No. Non avrebbe fatto quello nel letto di Alec, pensando a lui. Assolutamente no, ribadì portandosi le coperte fin sopra la testa. E, pochi minuti dopo, si addormentò cullato da quell’aroma che ormai aveva associato a casa.
-Fratellone! – un urlo acuto ed un ginocchio conficcato nella pancia fecero scattare Magnus che, nella foga di riemergere dalle coltri, sbatté la testa contro la fronte della giovane ragazza che gli era appena saltata addosso sul letto.
- Ma tu non sei Alec! – commentò ovvia la giovane, massaggiandosi la fronte, per nulla intenzionata a togliersi da sopra il ragazzo steso sul letto.
Magnus era nel panico. Sapeva chi fosse la bellissima ragazza che non accennava a volerglisi togliere di dosso, l’aveva vista nelle foto sparse per quella casa e gliene aveva parlato Alec. Quel che non sapeva era come spiegare ad Isabelle Lightwood per quale motivo fosse nel letto di suo fratello. Era ancora impegnato a fissare la giovane in cerca di idee, quando questa urlò felice. – Mi piaci! – dichiarò abbracciandolo. – Sono contenta che Alec abbia un così bel ragazzo.
L’orientale avrebbe volentieri sotterrato la testa sotto cumuli di terra pur di non dover affrontare davvero quella situazione. Isabelle credeva che fosse il ragazzo di suo fratello, comprensibile visto che lo aveva trovato a dormire in pigiama nel suo letto, e di li a breve avrebbe detto tutto ad Alec.
-Non sono il ragazzo di Alec – si affrettò a dire, sentendo un fremito sulla lingua alla parola ragazzo. Una parte di lui avrebbe voluto così tanto che fosse possibile.
- Ah no? – chiese lei, togliendosi di dosso a lui e sedendosi poco più in là. – E chi sei allora?
- Un suo amico?
- Lo chiedi a me?
- No, cioè sono un suo amico.
- Che dorme nel suo letto?
- Sì. Cioè no – e poi alla fine scelse la via della sincerità. – Per favore, Isabelle, puoi non dire mai a nessuno quel che è successo oggi?
- Sai il mio nome? – chiese la giovane inclinando la testa e facendo così ondeggiare i lunghi capelli neri sulle spalle.
- Alec mi ha parlato di te.
- Alec ti ha parlato di me – mormorò lei pensierosa. – Alec ha parlato della sua famiglia con te, devi essere speciale per lui allora. E quindi sarai speciale anche per me e questo sarà il nostro segreto – garantì con un sorriso, a cui Magnus rispose con un altro sorriso.
- Magnus, piacere – si presentò allora il giovane, allungando la destra.
- E così, Magnus – disse la ragazza, mentre si incamminava verso la cucina seguita dall’orientale – ti piace mio fratello.
- Cosa? No! – mentì quasi strozzandosi con la sua saliva.
- Non era una domanda – spiegò lei con sguardo furbo – era una costatazione. Eri nel suo letto – disse ovvia, con un alzata di spalle ed un occhiolino malizioso. – Che ci facevi?
- Avevamo detto che non avremo parlato di questo.
- Oh no – rispose lei furbescamente – ho promesso di non dirlo a nessuno, ossia ad Alec, non che non ne avremo parlato noi due.
- Ok, senti, sto attraversando un momento difficile – si arrese il ragazzo alzando le mani – tuo fratello mi sta aiutando ospitandomi ed io ero così stanco oggi da aver sbagliato letto.
- Sì, come no – gli fece eco Isabelle, estremamente divertita da quella situazione.
Nonostante la malizia delle sue accuse la giovane Lightwood si dimostrò una compagnia piacevole, completamente diversa dal fratello, così sensibile e a tratti malinconico, era un uragano di energia, estroversa e solare. Magnus era sicuro che avrebbe potuto parlare per ore se Alec non l’avesse interrotta con il suo arrivo.
-Izzy, cosa ci fai qui? – domandò sorpreso prendendo al volo la sorella che gli si era lanciata contro.
- Ti ho fatto una sorpresa – spiegò – oggi avevi l’esame più importante del semestre e così pensavo che avremmo dovuto festeggiare insieme.
- E come facevi ad essere sicura che ci sarebbe stato da festeggiare? – chiese lui, scettico.
- Oh fratellone, solo tu non credi in te stesso! Non esiste esame che non passeresti con il massimo dei voti.
- Com’è andata? – chiese una voce alle loro spalle. Magnus era in piedi poco distante dai fratelli, con uno sguardo commosso per quella manifestazione di amore familiare che lui non aveva mai avuto il privilegio di provare.
- Ho preso il massimo – gli rispose Alec con un sorriso, incatenando i loro sguardi e lasciando così che il suo blu mare si perdesse nel verde dorato dell’altro.
Isabelle, a cui non era sfuggito quel languido scambio di sguardi, pensò bene che avrebbe dovuto smuovere un po’ quella situazione. Perché, in fondo, quei due non erano in grado di scambiarsi più che semplici sguardi. Che idioti, pensò.
-Come vi siete conosciuti? – domandò a bruciapelo. Magnus le aveva detto che al momento non aveva una sistemazione, che Alec lo stava ospitando, ma non aveva precisato nulla di più e quello era il momento di vederci chiaro.
-Amici di amici – mentì il giovane Lightwood.
- Ho avuto una situazione economica difficile e mi ha dato una mano, come ti ho accennato prima – gli diede manforte l’asiatico.
Non avrebbero saputo raccontare il loro primo incontro, né volevano. Era il loro primo incontro, una coincidenza unica, che non volevano condividere con altri.
-E ti fermerai molto? – insistette Isabelle.
- Finché non mi sistemerò.
- Tra due settimane diamo un ballo a New York. Alec, porterai Magnus?
Il giovane Lightwood sbatté le palpebre un paio di volte. Aveva completamente dimenticato il ballo. Portare Magnus non era sicuramente una buona idea, sua madre avrebbe dato di matto nel sapere che avesse invitato un poveraccio, ma in fondo perché avrebbe dovuto saperlo? Avrebbero potuto fingere che fosse qualcun altro e così Alec avrebbe potuto avere un amico ed una compagnia piacevole durante la permanenza a casa.
-Vuoi venire? – domandò allora, guardandolo con gli occhi blu carichi di pensieri.
- Ad un ballo dell’alta società? – sibilò Magnus, per farsi sentire solo dal ragazzo. – Sei impazzito? Si accorgeranno tutti che vengo dalla strada.
- Izzy – si rivolse a lei il fratello. – Quanto ti fermi?
- Fino a domani.
- Bene, domani allora andrai a fare shopping con Magnus. Non ha nulla di adatto per venire a New York.
- Alexander, io non credo che sia una buona idea… - provò a farlo ragionare l’asiatico.
- E’ un’idea grandiosa! – lo interruppe la giovane, perforandolo con le sue iridi nere. – Ci divertiremo da impazzire.
E Magnus fu seriamente spaventato da quello sguardo, perché se aveva imparato una cosa dai Lightwood era che quando nei loro occhi brillava determinazione allora sarebbero andati fino in fondo nella loro promessa. Ed Isabelle non si sarebbe fermata fintanto che non avesse ottenuto un risultato soddisfacente sul suo outfit.
 
-E’ una pessima idea – ripeté Magnus, per la centesima volta dopo la partenza di Isabelle.
- Perché? Isabelle ha detto che avete comprato tutto il necessario.
- A parte che poi dovrò anche restituirti i soldi – si lamentò l’asiatico – non mi sentirei a mio agio. Rischi di rovinare la tua reputazione a farti vedere con me. Ci sarà anche la stampa.
- Rovinare la mia reputazione? Ma dai Magnus! E poi ti ho detto che non devi ridarmi nulla.
- Io penso che distrarti ti farebbe bene – si inserì nel discorso Ragnor, seduto nel salotto di Alec.
- E quando mi presento cosa dovrei dire? Piacere Magnus, sono un poveraccio?
- Dovresti creare un personaggio – riflettette Ragnor, inclinando la testa con fare pensieroso. – Potresti essere il figlio di un ricco industriale indonesiano.
- Ragnor ti ha dato di volta il cervello forse?
- Non ha tutti i torti – disse Alec. – Potrebbe essere una buona idea.
- Cosa? Ma siete tutti pazzi? – esclamò allibito Magnus. – Non ci crederà nessuno.
- Lo vedremo subito – asserì Alec, controllando l’orologio. – Tu calati nella parte, sei il figlio di un proprietario terriero indonesiano e sei qui per un soggiorno di studio all’estero. Se supererai questa prova allora andrà bene.
- Prova, quale prova? – chiese l’asiatico sempre più confuso.
In quel momento suonò il campanello ed Alec lasciò soli i due amici per andare ad aprire. Quando ricomparve in sala con lui c’era un bel ragazzo, dai tratti chiaramente messicani, con addosso quante più marche costose possibile. Era uno a cui piaceva decisamente ostentare penò Magnus, notando che avesse indossato abiti e scarpe che presentavano loghi e firme degli stilisti ben in vista.
-Chi sono questi due? – esordì il nuovo arrivato, con un tono di voce annoiato e l’accento spagnolo, indicando con un elegante cenno del capo i due ragazzi seduti nel salotto, indugiando però con lo sguardo specialmente su Ragnor.
- Ragazzi, vi presento Raph… - iniziò a dire Alec quando fu bruscamente interrotto.
- Raphael Santiago, ereditiere – si presentò quello da solo – e statemi lontano che disprezzo il genere umano.
L’asiatico nascose una risata dietro un colpo di tosse. Era la prima volta che vedeva il latino di persona dopo i racconti del giovane Lightwood e doveva ammettere che era ancora più stravagante di come avesse immaginato.
- Bene, ti sei presentato da solo – sospirò Alec. – Loro due invece sono Magnus e Ragnor – disse Alec, sorridendo furbo. – Magnus è qui per un periodo di studio all’estero, viene dall’Indonesia, suo padre è un proprietario terriero.
Lo sguardo prima totalmente disgustato di Raphael si accese di un minimo interesse, ma poi si accigliò quando capì che Alec non avrebbe continuato. – E tu? – chiese allora lui stesso al ragazzo dalle ciocche verdi.
-Io? – fece quello e poi diede un’occhiata ai suoi vestiti. Aveva dei jeans scoloriti dal tempo ed una felpa bucata su un gomito. Chi poteva dire di essere se non un ragazzo di strada? Magnus almeno indossava i vestiti da casa di Alec, sembrava di più alta estrazione sociale e poi aveva quel non so che felino ed elegante, che invece lui non aveva affatto.
Fu l’asiatico a venire in suo soccorso, perché poteva giurarci che quel Santiago stava guardando con un certo interesse il suo amico. – Lui è un musicista. Conosci l’etichetta discografica Fell&Son? Lui è il son – spiegò con tale fermezza che nessuno avrebbe detto fosse una bugia.
Raphael li squadrò con un’espressione atona in volto, mentre i tre ragazzi trattenevano il fiato di fronte al verdetto della prima messa in scena della loro farsa. Poi, quando parlò, tutti rilasciarono un sospiro di sollievo. – Mi hanno fatto la multa, dicono che non posso parcheggiare nello spazio degli autobus.
Se l’era bevuta.
-Beh quello spazio è riservato agli autobus – rispose Magnus.
- Ma gli autobus sono per i poveracci – disse ovvio il messicano – noi siamo ricchi e possiamo pagare ogni cosa, anche lo spazio dell’autobus, anche l’autobus stesso.
- Non credo funzioni proprio così – fece Alec.
- Gli farò causa allora.
- All’autobus? – chiese l’orientale.
- No, all’emerito imbecille che mi ha fatto la multa. Ma ora che mi ci fai pensare potrei fare causa anche a tutti i trasporti pubblici – affermò calcando con disgusto sulla parola “pubblici”.
- Una volta ha fatto causa ad una gelateria perché non aveva il suo gusto preferito – raccontò Alec.
- E come è andata a finire? – domandò Magnus sinceramente curioso.
- Hanno chiuso.
- Hai vinto la causa? – chiese esterrefatto.
- No, ma tramite la causa sono emersi pagamenti arretrati e tante altre questioni illecite legate a quella attività e così hanno dovuto chiudere – spiegò soddisfatto, con un ghigno saccente. - Tu non parli mai? – domandò ad un tratto rivolto a Ragnor che, per tutta risposta, sbatte gli occhi un paio di volte.
- Non saprei cosa dire – rispose impacciato. Quello non era il suo mondo, non sapeva come muoversi con persone dell’alta società e non si sentiva a suo agio. Aveva impiegato settimane per sentirsi rilassato in presenza di Alec, ma aveva ancora paura di commettere qualche errore, di sbagliare una parola o magari di assumere una postura goffa.
Il pomeriggio trascorse veloce e, quando infine venne la sera, Alec, Ragnor e Magnus, di nuovo soli, si complimentarono tra loro per l’ottima riuscita della farsa. E, quando il ragazzo dalle ciocche verdi se ne andò, l’indonesiano cercò di muovere la conversazione con il giovane Lightwood in modo da indurlo a portare anche Ragnor con loro a New York. Non gli era sfuggito come l’amico avesse guardato quello svitato del messicano, ma, ancor più, non gli era sfuggito come l’altro lo avesse guardato. E, così, si ritrovarono ben presto tutti e tre all’aeroporto. Ragnor ed Alec erano andati insieme e si trovavano già vicino al gate di imbarco.
-Non vedo Magnus da nessuna parte – disse il ragazzo dagli occhi blu.
- Mi ha scritto poco fa. Dovrebbe essere qui a momenti. Aveva delle commissioni da sbrigare.
Alec era assorto nella contemplazione del tabellone di volo quando Ragnor emise un’imprecazione decisamente stupita. Confuso si guardò intorno, per capire la causa di quell’esclamazione colorita e poi, infine, lo vide. Magnus camminava a passo sicuro tra la folla che, inevitabilmente, non poteva fare a meno di fissarlo. Vestito con i pantaloni di pelle più stretti che Alec avesse mai visto e la giacca più fluorescente che potesse esistere, sembrava uscito da una rivista di moda. I capelli impeccabilmente acconciati verso l’alto, gli occhi contornati da una linea di matita nera, le ciglia innaturalmente lunghe, la bocca sensuale illuminata da un velo di gloss. Sembrava brillare di luce propria ed Alec non gli aveva mai visto prima di quel momento un’espressione tanto sicura di sé in volto. Sembrava un’altra persona.
-Fiorellino – scandì quando gli fu di fronte, penetrandolo con gli occhi felini così seducenti sotto il trucco – ti piace quel che vedi? – domandò con voce più bassa del normale, scoccandogli un occhiolino.
Sia Ragnor che il giovane Lightwood rimasero interdetti a fissarlo. Sapevano che avesse fatto acquisti con Isabelle, ma non sapevano che acquisti fossero e, tanto meno, che avrebbero avuto un effetto così drastico sulla sua personalità. Sembrava che Magnus avesse indossato una maschera, che lo rendeva sfuggente, sicuro di sé ed estremamente sensuale ed Alec non riusciva davvero ad articolare una frase di senso compito. Che fine aveva fatto il ragazzo indonesiano schivo e timido?
-Sei diverso – disse solo, percorrendo la sua figura slanciata con gli occhi blu.
- Mags sei uno schianto – fischiò Ragnor, in apprezzamento del suo migliore amico, mentre si incamminavano verso l’aereo per New York.
   
 
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