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Autore: Smeralda Elesar    10/02/2019    4 recensioni
Una delle (tante) notti di Shen durante il suo esilio dalla città dei Gong, tra rabbia, rancore, e progetti di vendetta.
Il titolo è lo stesso della canzone di Rasputin in "Anastasia"
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lord Shen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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In the dark of the night


... e non potrai più mettere piede nella citta dei Gong...”

... l'esilio sarà la tua punizione...” “No!”

... non appartieni più a questo posto... ciò che hai fatto è indegno di te...”

... Era giusto! Era la cosa gusta da fare, perché non lo capite?!”

... La mia vita! Non potete togliermi la mia vita... vi odio!”

... … ripensaci, Shen... fai ammenda...” “NO!”

NO! NO! NO!


Shen si scosse di soprassalto.

Era sudato, le tempie gli martellavano, e l'eco del suo ultimo “no” lo tormentava anche da sveglio.

Ma lui non stava dormendo.

O forse sì.

Era tra i suoi cuscini, in quelle che erano le sue stanze private nel suo rifugio tra le montagne, eppure si era mai addormentato?

Fuori dalla finestra di carta di riso non filtrava la minima luce, e se da quella finestra che era rivolta ad est era tutto buio voleva dire che si trovava ancora nel bel mezzo della notte.

Il suo battito gli rimbombava nella testa, il respiro era corto.

Gli sembrava che non sarebbe mai più riuscito a respirare normalmente mentre tentava di inghiottire grosse boccate d'aria e di forzarla dentro i polmoni che parevano chiusi.

La veste era stropicciata ed incollata alle piume dal sudore.

Aveva freddo e caldo insieme.

Rabbrividiva di tensione e paralisi.

Che incubo maledetto, che tornava a tormentarlo!

Incubo? O memoria?

Si sentiva sveglio e vigile come se lo avessero attaccato in quel momento, e invece non c'era nessun rumore. Era tutto nella sua testa.

Le urla, il fuoco, la sfuriata contro i suoi...

-Basta!-

Gridò nella stanza vuota.

La testa gli stava scoppiando.

Saltò giù dal letto e si strappò di dosso la veste fradicia di sudore.

Il freddo gli fece accapponare tutte le piume e subito lui iniziò a tossire.

Maldizione!

Maldetto posto! Maledetto fumo della fabbrica di metallo, maledetti quelli che gli avevano tolto il suo rango per scacciarlo in mezzo alle montagne!

Li odiva tutti!

La furia che provava era la stessa di quando si era lasciato alle spalle la torre della Sacra Fiamma per l'ultima volta.

Lo avevano esiliato credendo di fargli un favore.

Quel codardo di suo padre non aveva nemmeno avuto il fegato di condannarlo a morte!

E sua madre, ipocrita e smidollata quanto lui, che piangeva in un angolo senza nemmeno guardarlo.

Li odiava... li odiava!

La sua coda urtò qualcosa quando si girò di scatto.

Aveva sentito un rumore fuori dalla finestra, ma forse era solo il turno di guardia. Se stava cambiando la guardia doveva essere o mezzanotte o le tre del mattino.

Shen non voleva saperlo.

Non voleva sapere più niente.

Voleva solo riprendersi tutto quello che era suo e che quegli idioti gli avevano tolto solo per essere stati troppo stupidi per capire l'ovvio.

Lui era destinato a fare grandi cose, ed era suo diritto spazzare via ogni tipo di intralcio.

Così deve agire un re.

I re non sono contadini, lui era nato re e dunque perchè avrebbe dovuto rischiare che un branco di flaccidi, lardosi contadini bianchi e neri si mettesse di traverso sulla sua strada?

E loro non lo avevano capito!

Non avevano capito niente!

Nel buio e nel suo agitarsi nella stanza Shen inciampò in qualcosa e rovinò a terra.

Per un attimo non ebbe la forza di fare nulla, come se il suo corpo e la contusione pesassero tonnellate.

Certo!

La sua stanza adesso doveva essere nella fabbrica, ed era tutta colpa loro!

Lui meritava di meglio, e invece il suo alloggio era ricavato nell'ala più lontana della fabbrica, almeno per non sentire il rumore del metallo e la puzza di fumo.

Non era giusto!

Lui meritava di meglio!

Con uno sforzo immane scattò in piedi per scacciare quel momento di debolezza ed i suoi speroni urtarono altro metallo.

Aveva inciampato nel suo guandao.

Shen lo afferrò e per un attimo si sentì di nuovo padrone di sé stesso.

Ma gli era rimasto solo quello!

Lui avrebbe dovuto a vere a disposizione l'intera armeria della città dei gong!

Ed invece aveva solo il suo guandao e un branco di cani rognosi di cui aveva comprato la fedeltà lasciando loro saccheggiare quello che volevano.

Dei... lupi!

I mercenari che si vendevano!

Avrebbero potuto essere di chiunque, quei cani rabbiosi, non erano degni di essere la guardia personale del principe della città dei Gong!

Per la rabbia menò nel buio un fendente che colpì e spaccò qualcosa.

Non gli importava.

Continuò a colpire alla cieca, contro tutto e tutti senza curarsi di cosa distruggeva.

Contro il suo destino, contro i suoi genitori, contro la vita che era sua e gli era stata rubata, contro lo schifo che si trovava a sopportare ogni giorno.

Si fermò solo quando lo sforzo fisico lo fece tremare ed il guandao gli scivolò tra le ali che non avevano più forza di reggerlo.

Si sentiva esausto, spossato.

Il respiro gli bruciava in gola adesso, ma almeno la sua testa non pulsava più di penseri.

Si trascinò fino ai cuscini e si lasciò cadere a peso morto.

Un giorno lui sarebbe tornato.

Un giorno si sarebbe ripreso la sua città, il suo rango, tutto quello che era suo di diritto.

Li avrebbe riconquistati a costo di riprenderseli con la forza.

Si lasciò cullare dal pensiero della sua arma che apriva la strada attraverso la città fino al palazzo della Sacra Fiamma, e poi di tornare vittorioso, invincibile, dove lo avevano scacciato.

Finalmente potè chiudere di nuovo gli occhi e poco dopo si addormentò di colpo, troppo esausto per rendersi conto del passaggio dalla veglia al sonno.

Nel buio rimase solo il suono del suo respiro affannato che somigliava a dei singhiozzi.


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Cantuccio dell'Autore


Mi mancava il Lord Shen psicopatico al meglio della sua instabilità mentale.

Ho scritto questa cosa praticamente di getto per rendere l'idea dei suoi pensieri ossessivi, sconnessi e deliranti.

Spero di non avervi traumatizzato troppo.


Makoto





   
 
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