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Autore: moira78    11/02/2019    4 recensioni
Questa storia è il sequel di "Dove volano i miei desideri".
Le coppie sono formate ormai, gli anni passano e le cose cambiano per tutti, nel bene e nel male. La nuova generazione di artisti marziali di Nerima si è appena affacciata al mondo e già dovrà affrontare nuove sfide.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.'
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Grazie ancora di cuore alla mia fidatissima beta Tiger Eyes per le sue puntuali correzioni e osservazioni.
 
 
Cap. 10: VERITÀ
 
Quando Kasumi rientrò era ora di pranzo.
 
"Mamma, posso rimanere fuori ad allenarmi?", chiese Daiki tirandole la gonna. Per lui allenarsi significava arrampicarsi sull'albero in giardino o fare dei piegamenti sulle braccia per emulare suo padre.
 
"Certo, ma vieni non appena ti chiamo per il pranzo", rispose con un sorriso.
 
"Posso rimanere a guardarlo?". Akio rimaneva spesso in giardino con la scusa di osservare il fratello, nella speranza che Misaki passasse con Shampoo da quelle parti. Forse era accaduto un paio di volte, ma la ferrea speranza del bimbo non si era mai esaurita.
 
"Sì, tesoro, vi chiamerò non appena è pronto in tavola".
 
Rientrò in casa con un'ansia crescente nel petto, che si placò solo quando riuscì a scorgere i figli dalla finestra. Anche dalla cucina poteva vederli, tuttavia...
 
"Il pranzo è già pronto, l'ho lasciato in caldo". La mano di Ono si posò sulla sua spalla all'improvviso e lei sobbalzò un poco.
 
"Hai avuto il tempo di preparare il pranzo?", chiese stupita.
 
"L'ultimo paziente è andato via più di mezz'ora fa, così ne ho approfittato per precederti in cucina", spiegò alzando le spalle. Kasumi sapeva che suo marito era bravo a cucinare, avendo vissuto da solo per tanto tempo. Tuttavia i suoi pasti erano sempre frugali anche se era migliorato molto durante la sua gravidanza e il primo anno dopo la nascita dei gemelli, quando era stata impegnata con due bambini appena nati. Ora era praticamente bravo come lei.
 
"Grazie, caro, allora chiamo i bambini", fece per voltarsi ma lui la trattenne gentilmente.

"Prima dovremmo parlare", le disse.

Kasumi lo guardò attenta, cercando di capire se fosse preoccupato, triste o nervoso. Le parve che il suo volto riassumesse tutte quelle emozioni allo stesso tempo.

"Quando sei andata via ho capito che la storia di Mayumi e del rapimento non era ancora chiusa del tutto. Parlamene, tesoro, sei ancora arrabbiata con me?".

Kasumi sospirò, a disagio. Era abituata a sorridere sempre, sorvolando sulle questioni o affrontandole una volta sola con ferma dolcezza. Aveva imparato a comportarsi così dopo la morte della mamma, quando ne aveva preso le veci per le sue sorelle più piccole. Il suo carattere era molto simile a quello di sua madre ed aveva sempre tentato di emularne il più possibile i tratti per loro, ma anche per suo padre e... per se stessa. Le sembrava che, così facendo, sforzandosi di essere simile a lei, l'avrebbe avuta sempre vicina. 

E aveva tentato di fare lo stesso anche dopo il rapimento dei suoi bambini, ma non era riuscita a dissimulare bene come al solito. Dopotutto, avevano rischiato la vita i suoi stessi figli e lei li amava sopra ogni altra cosa al mondo.

"Oh, mi dispiace che le sia accaduto...", cominciò, poi gli occhi le si riempirono di lacrime e lanciò ancora un'occhiata alla finestra per vedere se Akio e Daiki stessero bene, prima di coprirsi il volto con le mani.

Ono l'abbracciò: "Va tutto bene, cara, anche a me dispiace un po', però...".

"Invece non mi dispiace affatto, santo cielo!", esclamò improvvisamente, sciogliendosi dall'abbraccio e guardandolo negli occhi. Suo marito indietreggiò, evidentemente colpito dalla sua veemenza. "La verità è che non ho mai sopportato quella donna, fin da quando ti mise gli occhi addosso e la sopporto ancora meno da quando si è permessa di mettere le sue mani sui miei bambini!".

Suo marito la guardò senza parlare, con l'espressione seria e composta di chi non vuole interrompere ma accusa il colpo ad ogni parola.

"Io... non riesco ad essere serena, perché l'evento di stamattina mi ha solo evocato ricordi negativi e non sono riuscita a sentirmi dispiaciuta. Mi ha anche ricordato che non riesco a perdonarti del tutto per quello che è accaduto. Mi ripeto in continuazione che se mi avessi parlato di quella dannata lettera, forse tutto questo non sarebbe accaduto! Temo di essere diventata una persona orribile, perché provo risentimento e non riesco a perdonare come una volta le persone che amo".

Ono deglutì rumorosamente: di certo lo aveva sconvolto con parole quali "non la sopporto" e "dannata lettera". Non poteva biasimarlo, lei stessa era sconvolta da ciò che provava. L'odio era rimasto un sentimento sconosciuto per tutta la sua vita, fino a quando Mayumi non aveva osato toccare ciò che più amava: la sua famiglia. Allora qualcosa dentro di lei si era spezzato per sempre e Kasumi Tendo aveva conosciuto l'oscurità.

"Non sei una persona orribile, tesoro, sei solo umana. Ammetto che un po' mi ha destabilizzato conoscere questo tratto di te, ma allo stesso tempo ti amo di più".

Kasumi tremò, mentre le lacrime le rigavano le guance. Provava, forte e deciso, il senso di colpa. Ma si sentiva anche svuotata, come se avesse buttato fuori del veleno e ora fosse nuovamente pura.

"D-davvero?", chiese, incredula.

"Sì, perché stai facendo i conti con un momento difficile e sei stata abbastanza forte da ammettere ciò che provi, anche se va contro la tua natura. È sempre complicato accettare le proprie debolezze  e tu sei stata molto forte".

Il suo sguardo sincero, innamorato nonostante tutto, la fece piangere ancora più forte. Si nascose il viso tra le mani e singhiozzò: "Oh, mi vergogno così tanto! Odiare una persona che è morta...". Aveva detto odiare? Era veramente arrivata a dire quella parola? Sussultò non appena se ne accorse, ma di nuovo non provò altro che sollievo.

"Anche io la odio", disse Ono improvvisamente, sorprendendola. "Mi sono ripetuto più volte, da stamattina, che sono un medico e dovrei solo dispiacermi quando una vita si spezza. Ma anche io non sopporto che si tocchino i miei bambini, o comunque le persone che amo. Quella donna ti ha fatto soffrire in più di un'occasione e ha fatto stare in pena anche me. Forse, col tempo, riuscirò a perdonarla, ma attualmente non è la sua morte a farmi cambiare idea. Anche io sono umano, dopotutto". Sorrise, e Kasumi lo imitò, asciugandosi gli occhi.

Si sentiva davvero più leggera: "Grazie, ora va molto meglio. Per quanto riguarda noi... passerà, ho solo bisogno di tempo. Sono certa che non mi nasconderai più nulla", disse sinceramente baciandolo con dolcezza. Guardò i suoi bambini fuori e si rese conto che il desiderio  di Akio, dopotutto, era stato esaudito.

***

Shampoo spinse i vestiti nella valigia nell'intento di farli entrare meglio e si volse a guardare Misaki, che la scrutava timidamente dalla porta.

"Vieni ad aiutarmi", le disse con un sorriso.

La bambina sorrise a sua volta e si mise a spingere la biancheria in un angolo. L'amazzone guardò il visino intento, le manine piccole ma forti, i capelli che le ricadevano sulle orecchie e fu invasa di nuovo da quel sentimento d'amore che pareva spezzarla in due. 

Aveva fatto pace con lei e suo marito, piangendo con loro, pregandoli di perdonarla per la sua frase dettata soltanto dalla fatica e dalla preoccupazione. Non pensava assolutamente quelle cose, ma sapeva di avere bisogno di aiuto per risolvere i conflitti interiori che l'avevano portata a quel punto. La nascita traumatica di Misaki che le aveva tolto per sempre l'opportunità di avere figli, la vista di Mousse che peggiorava... e, forse, a monte di tutto, la mancanza della sua bisnonna che le facesse da guida nei momenti difficili: tutto aveva giocato un ruolo fondamentale che le aveva logorato i nervi. Non le rimaneva che riprendere le fila della sua vita, una ad una.

"Tesoro, hai visto la mia valigia grande?", le urlò Mousse dall'altra stanza.

"Ora ti aiuto a cercarla", rispose di rimando, facendo cenno alla bambina di seguirla. "Andiamo a cercare la borsa di papà".

In Cina, fortunatamente a qualche miglio di distanza dalla loro città natale, viveva un collega del dottor Tofu, che poteva intervenire efficacemente sugli occhi di suo marito. L'amicizia che lo legava al dottore giapponese avrebbe permesso loro di pagare una cifra irrisoria e, soprattutto, forse Mousse non avrebbe avuto bisogno di un'operazione che poteva anche rivelarsi pericolosa. Il medico conosceva molti modi di intervenire sul ki per risolvere problemi fisici e Shampoo era intenzionata a chiedergli se poteva lenire anche i dolori interiori operando sulla mente. Qualcuno avrebbe obiettato che erano tecniche superate e obsolete, ma lei era certa che si trattasse di uno dei pochi esperti di medicina cinese che le conoscevano ancora e le sapevano applicare al meglio. Non per niente era anziano quasi quanto quel vecchiaccio maniaco di Happosai.

Tirò fuori la valigia di Mousse dal ripostiglio e fecero i bagagli tutti e tre, come una vera famiglia. Quel viaggio avrebbe risolto i loro problemi in tutti i sensi, se lo sentiva. 

"Bene", disse Mousse spegnendo le luci del locale e appendendo fuori un cartello che diceva 'chiuso a tempo indeterminato', "andiamo a salutare i nostri amici". Non avevano detto a nessuno le loro intenzioni, anche perché la decisione era stata presa in tempi molto brevi, ma non volevano neanche dare l'impressione di essersi dati alla fuga. Sarebbero passati a salutare tutti, con la promessa di tornare non appena Mousse avesse risolto il suo problema agli occhi.

***

"Sono felice che abbiate preso questa decisione, mi spiace solo aver fatto quella gaffe, l'altra sera...". Ono Tofu era ancora sconvolto dalle rivelazioni di sua moglie, anche se comprendeva perfettamente i suoi sentimenti, ma era stato ben felice di vedere Shampoo e Mousse sereni e in partenza.

"Oh, non lo dica nemmeno. Il problema era nostro e ci siamo chiariti, la ringraziamo di cuore, anzi, per quello che sta facendo per noi", disse Shampoo sorprendendolo. L'amazzone era stata sempre molto testarda e orgogliosa. Era cambiata molto, negli anni, questo sì: non era più la ragazzina folle che correva dietro a Ranma per tutta Nerima cercando di accaparrarselo con ogni mezzo, lecito e non. Però, dopo il parto di Misaki, era diventata stranamente nervosa e irascibile, pronta a scattare per qualunque cosa. Avevano pensato tutti che si trattasse di depressione post-partum, il che poteva essere abbastanza normale, ma quando anche lui, da medico, aveva tentato di parlarle, lei si era richiusa a riccio. Ranma e Akane gli avevano raccontato di volerla andare a trovare in ospedale, dopo la nascita della bambina, ma lei si era rifiutata e quel periodo era rimasto sempre un po' avvolto nel mistero per tutti. Tofu si era domandato spesso se ci fossero state complicazioni, ma non aveva insistito ed era sempre stato discreto, volendo rispettare la privacy della coppia.

"Sono contento di avervi potuto aiutare. Il dottor Ning ha già ricevuto la tua cartella clinica, Mousse, e ti aspetta a braccia aperte".

Il ragazzo annuì e vide Shampoo tormentarsi le mani e mordersi il labbro, prima di dire: "Il dottor Ning... cura qualsiasi malattia? Voglio dire... ha poteri anche sulla mente?".

Si rese conto che le era costato molto fare quella domanda, tanto più che si era accertata che Kasumi, poco distante con i bambini, non potesse udirla. Le sorrise, professionale e paterno al contempo: "Il dottor Ning è un luminare, nel suo campo, è intervenuto su difetti fisici, malattie del corpo e della mente e non mi stupirebbe se avesse anche un rimedio per le vostre maledizioni, ora che ci penso! Provate a chiederglielo, di certo non guasta. Non voglio dire che fa miracoli, è un uomo e ha i suoi limiti, ma di sicuro è il migliore nel suo campo". Non sapeva se effettivamente avesse la possibilità di guarire dalla maledizione di Jusenkyo, ma aveva volutamente inserito le malattie mentali al centro della frase e rivolto l'attenzione ad altro per toglierla dal suo imbarazzo e darle al contempo un'informazione importante. 

Il viso di Shampoo si illuminò e Ono capì di aver fatto centro. 

***

Akane rifletteva sul concetto di libertà da quando avevano messo piede nella casa nuova. Erano soli. Davvero soli. La casa era abbastanza pulita, ma aveva necessità di alcuni aggiustamenti nella disposizione dei mobili e le loro cose non erano ancora tutte al loro posto. Quella mattina aveva saltato gli allenamenti per sistemare tutto, ma Ranma se n'era andato senza neanche chiederle se volesse aiuto. Quando era tornato, però, si era messo a riordinare anche lui e poi avevano cucinato insieme: ora era stremata.

Si accasciò sul futon della loro camera da letto nuova e guardò il soffitto per qualche istante prima di chiudere gli occhi. Aveva urlato contro suo padre, sfogando una rabbia repressa che non credeva di avere e forse aveva anche fatto bene. Ma sentiva di aver esagerato. Da quando era morta sua madre, l'uomo aveva sempre cercato di proteggere lei e le sue sorelle, a modo suo. A modo molto suo. Ad esempio, combinando il suo matrimonio. Certo, alla fine era andata bene: se veramente lei e Ranma non fossero stati fatti l'uno per l'altra si sarebbe ribellata molto più duramente e non avrebbe mai ceduto. Ma era stato un caso fortunato. Non ci si innamora a comando. E non si facevano i figli a comando. Né le analisi e i test di gravidanza con tutta la famiglia in attesa del verdetto come in uno show televisivo di dubbio gusto. Come aveva potuto permetterlo? Come era arrivata a farsi sopraffare così da quella che doveva essere la sua famiglia e proteggerla, e invece violava i suoi più intimi diritti? 

Akane pensò di sapere il motivo: in casa non c'erano donne a parte Nabiki. E lei, occupata com'era a raggirare Taichi e a divertirsi con i suoi soldi, aveva perso interesse per quel gossip che in altri tempi l'avrebbe coinvolta completamente. Si limitava ad ammiccamenti e commenti sulle notizie da rivendere, ma non faceva mai sul serio: aveva in ballo qualcosa di più grosso, ovvero farsi sposare dal rampollo di casa Kuno. E, sospettava, sarebbe stata disposta persino a farsi mettere incinta volutamente. Era davvero questo che era accaduto? E quando lui aveva rifiutato era rimasta così sconvolta da non volerne più sapere di quella creatura innocente? E dire che lei, a volte, avrebbe voluto tanto essere al suo posto e avere figli. A volte, non sempre, in effetti ancora non si era decisa pienamente su quel punto. Come aveva detto a Ranma stava bene anche così e non le dispiaceva aspettare ancora un po': in fondo era giovane e stava ancora affinando le arti marziali. Talvolta, però, le montava dentro il timore che il suo corpo avesse qualcosa di sbagliato, visto che non rimaneva incinta neanche provandoci e il desiderio di avere un figlio diventava più forte. Per poi svanire quando tornavano a farle pressione.

Sentì Ranma entrare nella stanza ma non si disturbò ad aprire gli occhi. Aveva bisogno di riposare qualche minuto, invece se lo ritrovò steso accanto: "Dormi?", le chiese.

Scosse la testa, sorridendogli: "Hai finito di riassettare la cucina?".

"Sì, mancano solo alcune stoviglie da riporre e i nostri vestiti", disse indicando una pilla di scatoloni poco distante.

Akane sospirò: "Per fortuna che avevamo poche cose, non riesco a immaginare cosa sarebbe accaduto se...".

Ranma la interruppe all'improvviso, con un bacio che le mozzò il fiato. Si strinse a lui, incapace di sottrarsi. Quando finalmente il bacio finì, mormorò: "Ranma...?".

"Siamo soli, no? Completamente. Sarebbe il caso di... uhm, approfittarne, non trovi?". Akane non poté fare a meno di ridere: dopo tanti anni, il baka arrossiva ancora e sembrava in imbarazzo.

"Beh, direi che si può fare", decise rotolando su di lui e dicendosi che, forse, non era poi così stanca. "Alla fine, non...". La sua frase fu interrotta da un urlo che la riportò indietro nel tempo di parecchio.

"Ayaaaaa Lanma!". 
   
 
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