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Autore: _aivy_demi_    11/02/2019    7 recensioni
"Sposto lo sguardo su di te, sul tuo corpo; poggio la mano sul tuo petto, muovendo delicatamente le dita. Percepisco sotto i polpastrelli le ferite richiuse appena, la pelle rovinata da centinaia di scontri, il battito lento e regolare (fortunatamente regolare...): tutto ciò sussurra "sono vivo". Non posso essere più felice di così, in questo momento."
Il terzo capitolo partecipa alla challenge del gruppo Boys Love "Midnight in the Garden of Good and Evil"
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kakashi Hatake, Obito Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Questo terzo ed ultimo capitolo partecipa alla challenge di febbraio

del gruppo Boys Love:

"Midnight in the Garden of Good and Evil"


Scelta della maschera: VERDE - INTROSPEZIONE





3- Ricerca te stesso




La notizia dell'attacco alle porte di Konoha aveva allarmato l'Hokage, portando un'altra squadra in sostituzione dei feriti: Kakashi e Obito vennero esonerati dal servizio il tempo adatto per le cure, e dopo un paio di notti in cui la loro situazione si era stabilizzata, vennero trasferiti al villaggio e ricoverati in ospedale. L'Uchiha fu tenuto in terapia intensiva per tre giorni prima di poter essere portato in reparto, mentre l'Hatake poté cominciare la dura fase riabilitativa, con il pensiero cosciente di non sapere quando avrebbe potuto parlare di nuovo con il compagno di team.





«Mi viene da vomitare, vaffanculo.»

«Tenga, prenda questa bacinella e ringrazi di essere ancora vivo.» La dura voce dell'anziana infermiera risultò più un sospiro di sollievo mascherato, piuttosto che un vero e proprio richiamo severo. L'aveva scampata certo, quel paziente, e per un pelo.

Obito poggiò lentamente il contenitore sul tavolinetto accanto al letto, mugugnando per la presenza della flebo ancorata al braccio; gli stava provocando un gran fastidio, ma ogni sorta di dolore era sinonimo di vita per lui.

"Chissà come stai..."

Steso e cosciente, debole e dalla bocca impastata, aveva tempo a disposizione per pensare, e parecchio. Tentava di muovere un muscolo o due, ma più ci provava più le fitte di dolore si facevano sentire prepotentemente. Una volta era stato beccato nel tentativo di scendere dal letto, e ne era uscito un rimprovero decisamente meritato.

"Pretendono che me ne stia qui a guardare il soffitto tutto il giorno, come se potessi continuare così. Adesso basta, se entro oggi non mi permettono di alzarmi, me ne vado dalla finestra!" Tra sé minacciava e si lamentava, ma dentro sapeva d'essere stato fortunato: un altro al suo posto sarebbe potuto tranquillamente morire sul campo, senza via di scampo. Lui non solo era sopravvissuto, ma aveva pure la certezza che il suo amato era riuscito a scampare all'agguato. Non smetteva ogni giorno di ringraziare il fatto che Kakashi fosse ancora lì, anche se non lo aveva ancora visto dal loro ritorno a Konoha.

Allungò l'orecchio nel tentativo di percepire qualche suono: i passi rapidi e decisi di chi ripercorreva quei corridoi tutti i giorni, qualche incerto colpo di tosse provenire dalle stanza con le porte socchiuse, ma il cambio turno del personale medico era il momento più entusiasmante della giornata. E con questo aveva detto tutto.

Voleva fare qualcosa, davvero. Non era certo abituato a tutta quell'inattività fisica e mentale, era stato addestrato per essere sempre pronto a tutto, in ogni momento.

Si addormentava spesso durante il giorno, e nella notte uguale, accompagnato dalla noia e dall'alternarsi di antidolorifici e altri liquidi che gli circolavano in corpo; aveva persino perso il conto di quante volte avessero cambiato il contenuto vuoto della flebo. Il suo solito conteggio delle mattonelle del pavimento venne interrotto da una voce famigliare.

"Sei tu!"

«Si può?»

Kakashi entrò in punta di piedi dopo aver pregato l'infermiera di turno di poter visitare un paziente al di fuori dell'orario di visite: non dovette insistere poi molto, bastarono un sorriso sfoderato al momento giusto ed uno sguardo carico di promesse (non vere).

«Cosa vuoi? Stavo riposando.»

«Facciamo i brontoloni? Sei qui fermo tutto il giorno, avrai tempo più tardi per dormire. Allora, come ti senti?»

Obito finse disinvoltura, nonostante la sensazione crescente di disagio. Chissà poi per quale motivo, pensò, visto che alla fine tra loro non era successo nulla o quasi. Quel quasi era ciò che lo stava destabilizzando, più del dolore stesso. Quel quasi era rappresentato da un bacio a fior di labbra dato in bilico tra la vita e lo spegnersi da un momento all'altro.

Quel quasi avrebbe voluto dire tutto, ma probabilmente per l'altro non era stato nulla. Lo sfiorarsi che bramava da tanto tempo gli aveva scaldato il cuore, donato un battito in più, rinsaldato la sua voglia di ricominciare a vivere nonostante le ferite sempre più profonde e difficili da sopportare.

«Sono in forma, abbastanza per poter avere voglia di uscire di qui.» Perché non riusciva a parlargli in modo rilassato, con la dovuta cautela? O almeno un po' di comprensione. «Tu invece? Come va la gamba? Mi auguro ti stia riprendendo.»

L'Hatake sorrise scoraggiato, mostrando le stampelle con chi si muoveva ovunque in quel reparto: pure lui si sentiva come un animale in gabbia, chiuso in camera, e passava la maggior parte del tempo a zoppicare per le varie camere, incontrando pazienti vecchi e nuovi, e fermandosi a flirtare malamente con le inservienti. «Potrebbe andare meglio, ma almeno sono vivo.» Si avvicinò poggiando le grucce contro il muro accanto al letto. Si sedette sbuffando nel piegarsi, e si aprì in un sorriso completamente disarmante.

Obito non poté fare a meno di arrossire vistosamente, augurandosi che la reazione non venisse recepita. Tentava di staccarsi da lui, dall'idea di amarlo, dalla volontà di stargli accanto ogni momento; ci stava provando, e risultava soltanto un idiota. Ne era sicuro.

«Sono vivo grazie a te, e non potrò mai dimenticarlo. Obito, grazie. Sul serio. Sarei morto se non mi avessi fatto da scudo.» Avvicinò il viso al suo petto fasciato, sfiorandogli con la fronte la zona ancora pulsante per colpa del dolore e dei punti. Soffiò le ultime parole in un sussurro, il capo chino e gli occhi tremolanti di chi stava per piangere. Ciò che disse, l'Uchiha non lo avrebbe mai dimenticato: «Non so cosa farei senza di te.»

Il silenzio che seguì un'affermazione simile pesò sui due con fare prepotente, pesò così tanto da portarli a non muoversi d'un fiato, finché il moro non ebbe il coraggio di riprendere a parlare, ingoiando in malo modo.

«Non dire cazzate, sono stati i medici. Ti hanno sistemato la gamba, le ossa, i nervi, tutto. Ti hanno riassestato per bene, e te ne sei uscito con delle stampelle da usare per un po'. Dai, ti è andata più che bene no?» La risata amara che uscì dalla sua bocca ricordava parte del terrore orribile che aveva provato nel momento in cui si rese conto di dover intervenire, per non veder assassinato di fronte a sé l'uomo che amava. «E poi cosa dovrei dire io, che mi hai portato con te anche se eri ferito?»

«Che avrei dovuto fare? Abbandonarti lì mezzo morto? Non ce l'avresti fatta se non ti avessi portato via.»

La certezza di quelle parole lo colpì nell'anima come uno schiaffo: s'erano salvati la vita a vicenda, e pure per un soffio. Di loro erano rimasti la paura, il sangue versato e il dolore nelle ferite non del tutto chiuse; parole celate che nascondevano molto più che un semplice sentimento non detto.

Il silenzio venne interrotto nuovamente da Kakashi, che improvvisamente finse indifferenza. Ciò che disse lasciò a bocca aperta Obito per un momento. Si costrinse a riprendersi in fretta e a trovare qualcosa con cui rispondere alla proposta assurda appena ricevuta, prima di insospettire l'uomo che lo stava osservando incuriosito.

«Mi vuoi dire che dovremmo vivere assieme d'ora in poi?»

L'altro gli sorrise inclinando il capo: non aveva bisogno di rispondere.

«Non ci posso credere. Questa è la soluzione migliore che hanno trovato? Mi avessero consultato almeno.» Perché stava fingendo d'essere offeso? Il tono non rispecchiava per nulla ciò che davvero stava pensando, eppure non riuscì ad esprimere una sola delle cose che gli stavano vorticando pericolosamente all'interno della testa. Avrebbe voluto dirgli cose come "convivere con te sarebbe davvero meraviglioso", "sono anni che aspetto una occasione simile"; oppure cose meno smielate ma molto più pratiche del tipo "potremmo avere finalmente del tempo per stare soli, e chissà... un giorno trovare il coraggio di dichiararmi senza paura."

Il flusso ininterrotto della mescolanza confusa trovò un momento di quiete nell'affermazione che seguì: la nonchalance con cui il grigio si espresse non poté fare a meno di spiazzare l'uomo che tentennava ancora a stare seduto in equilibrio.

«Veramente l'ho proposto io.»

Si sentiva osservato, sondato. Stava tentando di comprenderlo in qualche modo, di oltrepassare la barriera mentale che aveva innalzato il giorno del risveglio dall'incidente.

«Perché avresti dovuto?» Altra domanda legittima quanto idiota. Il ricordo del bacio, delle lacrime e della forza di vivere che si era nuovamente insinuata in lui dopo aver constatato che Kakashi era sopravvissuto all'attacco, si era riversato prepotente nel petto, facendolo sussultare. Avrebbe voluto reagire diversamente, ma non ci riuscì; l'orgoglio, o qualcos'altro, lo stava trattenendo. «Ok, lasciamo stare. Adesso come dovrebbe funzionare?»

L'uomo sorrise complice, avvicinandosi con quell'espressione da eterno ragazzino e facendolo avvampare; Obito indietreggiò istintivamente, piegandosi poi in avanti nel tentativo di riprendere fiato dopo l'ennesima fitta di dolore.

«Visto? È anche per questo che io e Tsunade abbiamo optato per il tuo trasferimento. Il recupero è lungo, ed è meglio tu avvia qualcuno accanto almeno nel primo periodo.»

Era andato a scomodare persino la più alta carica di Konoha. Si sentiva con le spalle al muro e la certezza di non poter fare altrimenti.

«Aspetta un momento, perché anche?»

«Cosa?»

«Hai detto che è anche per questo che tu e l'Hokage avete scelto di farmi trasferire. Ci sono altri motivi?»

«Io non ricordo assolutamente di aver detto "anche".» Mimò delle virgolette con le dita, prendendolo in giro riguardo a presunte medicine date impropriamente da parte dei medici. Si avvicinò al volto del moro, sfiorandolo con le dita e solleticandolo sul collo: «non ti preoccupare, mi prenderò cura di te.»





Tremò stringendo le lenzuola convulsamente. I polpastrelli facevano male nello spingersi uno sull'altro, muovendosi nell'affannosa ricerca di un appiglio. Obito gridò alzandosi di scatto, tentando poi di soffocare un gemito che uscì per metà senza ritegno. Imprecò con tutto il fiato che aveva.

Dall'altra stanza una voce rotta dalla preoccupazione rispose, assicurando che andava tutto bene e che non era successo nulla di grave. «Arrivo!»

Passi ovattati si rincorsero fino all'apertura di uno spiraglio all'uscio: un fascio di luce si irradiò nella stanza scura, complice una figura famigliare che intervenne sottovoce. «Obito, tutto bene?»

La fronte imperlata di sudore, i nervi e le vene gonfi per lo sforzo: per niente bene. «Non preoccuparti, è tutto a posto.»

Il volto di Kakashi tradì la tensione nonostante il sorriso delicato dipinto sulle labbra.

«Tutto a posto un cazzo, ti ho sentito gridare fino in sala. Colpa del dolore?»

Annuì con un lieve sentore di vergogna, difficilmente lo avrebbe ammesso ad alta voce.

«Dovrai aspettare ancora un paio d'ore, ma vedrai che alla prossima dose andrà meglio.»

L'Uchiha riprese fiato ed un sibilo velenoso si impossessò della sua voce: «è da ieri che me lo prometti.»

Il compagno di team sbuffò sconsolato invece di rispondere, notando le condizioni dell'altro, consapevole di quanto potesse essere difficile e doloroso tentare di guarire da una ferita simile. Si sedette accanto a lui, smuovendo un poco con il suo peso le lenzuola stropicciate. Le lisciò con fare distratto prima di riprendere a parlare.

Obito non fu in grado di capire tutto ciò che stava dicendo, fermo in piena notte nel dormiveglia: si sentiva cullato da parole di cui non riusciva neppure a cogliere il significato. Una mano passò a districare i capelli umidi e una pezza bagnata tamponò la fronte sudata. Il collo, le guance, le clavicole: dita gentili detersero la pelle accaldata e febbricitante.

«Ora dormi, e vedrai che domattina ti sentirai meglio. Passerò tra poco con le medicine, non ti preoccupare.»

Le ultime sillabe sparirono nell'incoscienza del sonno profondo.



La luce filtra attraverso le palpebre.

Mi passo una mano sugli occhi nel tentativo di cacciare la fastidiosa sensazione. Sto decisamente meglio ora. Se penso a tutto quello che è successo l'altra notte... assurdo. Come cazzo abbiamo fatto a farci fregare così? Proprio come due bambini. Che razza di idioti. Fortunatamente anche tu stai meglio, e siamo sani e salvi.

A proposito, chissà dove sei finito?

Ti chiamo ma non rispondi.

C'è un tale silenzio qui.

Richiamo più forte, eppure ancora niente. Forse sarai uscito. Non sei certo in missione, anche perché siamo stati congedati per le ferite riportate. Boh, sarai andato a fare la spesa. Mi fa strano essere a casa tua, sai? Non è certo la prima volta che mi capita di entrarci, ma mai così.

...

Mhn? Cosa è stato quel cigolìo? Sarai tornato, bene! Cioè, non proprio visto che non so esattamente di cosa parlare. Dopo quello che è successo, dopo il bacio in quella tenda di fortuna, dopo aver pregato chiunque per fare il modo che tu potessi salvarti... cosa potrei dire? Guardarti negli occhi e far uscire un "ti amo" tremolante, forse? Oppure semplicemente tenermelo per me, così da non rovinare tutto?

Forse sarebbe davvero più facile così: stiamo bene io e te. Siamo affiatati, ci sosteniamo a vicenda, lavoriamo bene in squadra e siamo ottimi amici.

Dovrebbe bastarmi, no?

Ecco, il problema invece è proprio questo: essere amici.

Se davvero trovassi il coraggio di dirti ciò che penso, cosa ne sarebbe di noi?

«Sei il solito.»

Sobbalzo sul letto, girandomi verso sinistra. Cosa ci fai qui? Non ti ho neppure sentito arrivare.

«Tanti problemi solo per parlarmi?»

Allora la tua è proprio una fissazione! Appari e scompari come un fantasma, arrivi e fai finta di sapere tutto...

«Perché io so già tutto.»

Sbruffone.

«So che sei turbato, so che vorresti dirmi qualcosa ma non sai neppure tu come farlo. So che non ne saresti in grado, se non fosse per qualcosa di estremamente speciale, o decisamente grave. Dimmi, se io fossi in procinto di morire, riusciresti finalmente a parlare?»

Kakashi, ma che cazzate stai dicendo?

«Se fossi stato io quello ad essere colpito in missione, e non tu, saresti riuscito a dirmi davvero ciò che provi?»

Ok, smettila. Non è per niente divertente.


Sbatto gli occhi e sono nel bel mezzo di una radura famigliare: cadaveri di shinobi di altre terre sono sparsi disordinatamente sul terreno. Il sangue impregna le mie mani, e l'odore metallico di quel liquido mi ammorba fin dentro lo stomaco.

Ti vedo, sei davanti a me.

Sorridi.

Sto per rimettere, inghiottendo il conato ed espirando con poca convinzione.

Il tuo corpo inerme è accasciato contro un albero.

Sputi sangue tossendo, tenendoti la mano ferita sul corpo, poco sotto lo sterno.

Mi avvicino e tu gridi di andarmene, di lasciarti qui a morire, di scappare da quel massacro e di salvarmi ricongiungendomi agli alleati.

Non posso, non posso lasciarti lì così, cazzo! Se solo avessi agito prima...

Se solo fossi stato abbastanza veloce.

«Sono stato un idiota...»

Mi inginocchio di fronte a te, nonostante il tuo tentativo di farmi allontanare: porto sul tuo petto entrambi i palmi delle mani. Chiudi gli occhi e inspiri forzatamente, mascherando l'immensa sensazione di dolore con l'ombra di un sorriso.

«Per fortuna, tu... stai bene...»

Le lacrime scendono senza che me ne accorga neppure, scendono mentre le mie dita tremano tingendosi di rosso. Si sfiorando viscose, premono ancora nell'inutile tentativo di fermare l'emorragia.

Poggi la nuca contro la dura superficie rugosa del tronco, in attesa. La morte forse? Un aiuto portato dagli altri ninja di Konoha? Non lo so, e credo non lo sappia neppure tu, perché dalle tue palpebre mezze schiuse le iridi stanno perdendo parte della loro solita lucentezza.

Ti scuoto tentando di mantenerti sveglio, smuovo il tuo corpo avvicinandolo al mio; chiamo il tuo nome più e più volte, sempre più forte, con la consapevolezza di dover fare assolutamente qualcosa.

Ti sto perdendo, lo sento.

Dove cazzo sono gli altri? Perché non arriva nessuno?!

Grido ancora mentre ti accasci senza forze sulle mie cosce, arrancando ed annaspando.
Cosa posso fare per te Kakashi? Dimmelo ti prego, ti prego! Dimmi cosa posso fare per salvarti cazzo!

Ho paura, cosa devo fare?!

Kakashi rispondi, rispondi per favore, non andartene...!

Ti scuoto ancora, ma il tuo capo ricade mollemente senza più la muscolatura tesa a reggerne il peso.

Non riesco a respirare.

Non ce la faccio, tento di stringerti ancora e riportarti qui, eppure non ci riesco.

Aria, l'aria non passa, mi sento soffocare.




Un sussurro...


Mi volto e vedo il nulla.

Mi volto ancora, la sensazione del tuo volto poggiato sulle gambe non c'è più.

Non c'è più nulla: non ci sono gli alberi, non ci sono nemmeno più i cadaveri. Non ci sei neppure tu.

Annaspo nel tentativo di riempire nuovamente i polmoni di ossigeno, e nel farlo mi guardo le mani tremanti.

Candide.

Nessuna traccia di sangue.

Nessun odore.

Niente.


«Obito, Obito Obito, sei il solito. Appena ti lasci andare succede un disastro.»

Kakashi? Kakashi sei tu?

Boccheggio ancora, ed il cuore pulsa fino a far dolere le costole. La tua voce sembra serena, sembra non sia accaduto nulla.

Com'è possibile?
«Ti vedo confuso.»

Spaventato, incazzato, terrorizzato proprio! Confuso è l'ultima cosa che avrei scelto di dire, se me l'avessero chiesto.

Ti avvicini ancora, zoppicando e tenendoti lo stomaco con la mano sinistra; da essa cola un liquido bianco e brillante, che si perde nel biancore di un pavimento che non esiste neppure.

«Come... come stai?» Che domanda idiota ti ho fatto. Stavi morendo, e stavi disgregandoti piano piano.

«Come stai tu?»

Che domanda del cazzo è?
Una stilettata mi costringe in ginocchio, tossendo e sospirando.

Male, dannatamente male.

Sto male e non riesco a farlo passare.

«Lo so, è doloroso. Lo so perché posso capirti, lo so perché io sono te.»

Rido, mentre scarico il peso sull'avambraccio rovesciato a terra.

Rido perché stai dicendo un mare di cazzate, rido perché sono io quello che sta male.

Rido perché sono io quello ad essere stato colpito a morte, non tu.

Rido, perché in realtà eri stato tu e solo tu a salvarmi, a urlare, a bagnarti le mani di sangue e a vedermi riverso sul terreno senza più respiro in corpo. Eri tu quello che mi ha raccolto, che mi ha trascinato sulla tua schiena trasportandomi lontano dal campo di battaglia, fino ad incrociare sul percorso la tenda del campo base.
Rido, perché io ho il corpo squarciato, io stavo morendo, io desideravo restare vivo per poterti vedere ancora.

«Ridi perché sai di amare e non hai il coraggio di ammetterlo. Non cambierai mai.»



Si svegliò nuovamente madido di sudore. Inghiottì a vuoto mandando giù poca saliva e tanta angoscia. Notò Kakashi seduto di fianco al letto, il capo appoggiato al materasso.

Dormiva profondamente.

Obito allungò la mano, scostandogli con delicatezza i capelli argentei dal viso. Si sporse in avanti stringendo i denti e trattenendo un colpo di tosse mascherandolo a bocca chiusa.
Non voleva svegliarlo in ogni modo, e andava bene così.
Poggiò le labbra sulla testa ferma, godendo del ritmico respiro lento e del tepore irradiato dal corpo addormentato.

Sussurrò poche parole, per poi ricollassare malamente sulla schiena e stringere le dita dell'uomo tra le sue.

«Ti amo.»

Non sarebbe stato facile ammetterlo di nuovo a cuor sereno e completamente desto, ma al momento sentiva sarebbe stato più che sufficiente. Scivolò nuovamente nel sonno, riequilibrando il battito ed espirando con estrema lentezza. Nel dormiveglia sentì un tocco leggero sfiorargli le bende sul corpo.

«Anche io.»

Non era sicuro di averlo sognato.

Non era certo di averlo sentito davvero.

Era l'unica consapevolezza che aveva: s'era salvato, s'erano salvati entrambi, per poter stare finalmente uno accanto all'altro.




Eccomi! Intanto chiedo perdono per aver impiegato così tanto tempo nel concludere questa minilong, ma ho trovato perfetta la challenge di febbraio del gruppo Boys Love per riuscire a finirla.

Ne ho approfittato per il terzo capitolo, visto il poco tempo e i tanti progetti. È andato tutto come sarebbe dovuto essere? Sì cazzarola, volevo proprio finisse così, ma non senza turbamenti in mezzo, ehehehe! :D
Ringrazio chi ha avuto la pazienza di aspettare fino adesso (secondo inchino di scuse), e ringrazio chiunque abbia avuto un attimo per me e le mie storie. Tutti voi lettori date vita alla mia voglia di continuare a scrivere sempre di più, e ancora grazie anche a chi ha deciso di spendere due parole per recensire questi miei deliri.

Alla prossima (e questa è una minaccia XD)

-Stefy-


   
 
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