Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: shirupandasarunekotenshi    11/02/2019    0 recensioni
Fanfic ambientata in seguito agli eventi raccontati nell'oav "Message". Ryo e i nakama si sono ritrovati e capiscono che non possono più separarsi e che il senso della loro esistenza lo troveranno solo nello stare insieme. Ma Realizzare tale sogno potrebbe non rivelarsi così semplice.
Dinamiche polyamorose. Non si trova tra la opzioni così lo diciamo nell'introduzione: possiamo definirla una fivesome più che threesome :P
Questa fanfic andrebbe letta dopo la nostra "Owari no mae ni owari".
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Threesome
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CAPITOLO 4
 

Quella notte, Shu senza Shin non poteva dormire. Aveva sonno, ma... Shin non c'era. Non era con lui.
Così Shu si alzò, soffocando uno sbadiglio e seguendo i passi leggeri di Shin che già era uscito nel giardino: rabbrividì non appena mise piede fuori. Marzo era ancora inverno e di notte il freddo si percepiva ancora con troppa forza. Ed essere dimagrito così tanto dall'inverno precedente, beh... non aiutava certo.
“Shin-chan?”.
La voce arrivò fino al ragazzo che, accovacciato vicino alla polla, giocava con l'acqua immergendovi la punta delle dita, sorridendo languido alle koi che salivano a baciargli i polpastrelli. Aveva freddo, le mani gli si stavano congelando, ma era ciò di cui aveva bisogno.
Al richiamo di Shu i sensi tornarono alla realtà e il gelo gli si infiltrò nelle ossa.
Rabbrividì.
“Scimmietta...” bisbigliò “sono qui...”.
“Non riesci a dormire?” bisbigliò Shu in risposta, chiudendosi la porta-finestra alle spalle. “Sei... nervoso?”.
Lo guardò nell'oscurità, la sua silhouette si distingueva perfettamente alla luce della luna: si avvicinò a piccoli passi, finendo per sedersi sull'orlo di uno scalino.
Shin si strinse nelle spalle, mantenendo quello strano sorriso, le dita sempre nell'acqua e lo sguardo fisso al fondale oscuro.
“Lo sai che faccio sempre fatica quando sono... troppo stanco”. Si interruppe, poi riprese, ridacchiando: “Sono un controsenso vivente”.
“Affatto... è che l'agitazione funziona in maniera diversa su ognuno di noi”.
Shu si strinse le ginocchia, per cercare un po’ di calore e, mentre osservava Shin toccare l'acqua della polla, ebbe un brivido.
“I pesciolini non hanno mai freddo?”.
“I pesciolini veri no... io sì, ma l'acqua è la mia vita... e loro sono così belli...”.
Shu si strinse ancora di più alle proprie ginocchia: il freddo era davvero pungente, anche in una metropoli.
“Shin... sei felice, vero? Perché io lo sono... tanto... lo siamo... tutti”.
Shin sussultò e lo guardò con occhi grandi, inquieti e persino angosciati.
“Perché continui... continuate a dubitare di me?”.
Shu alzò il viso, stavolta il panico l'aveva preso.
“N-n-non volevo dire... ecco io... Shin... io...” Shu riabbassò il capo, con aria colpevole. “È che quando... quando eravamo lontani non facevo che pensare se... se eri... almeno un po’ felice e io... io...”. Non era egoista quello che stava pensando? Però non voleva nascondere certi pensieri, non ora. “...io speravo c-che lo fossi anche se... anche se...” ingollò, con tanta fatica. “...ero così stupido... così idiota da pensare che... che... che se noi... se noi non eravamo con te allora, forse... insomma...” si sfregò il viso con forza, incapace di completare una frase senza zoppicare qua e là in se stesso. “Io non lo ero... non riuscivo ad esserlo e... pensavo che anche tu... anche gli altri...”.
E Shu si quietò, incapace di andare oltre.
Shin si chinò in avanti, assunse una posizione prona sul prato e tornò a fissare l’acqua, a giocare con essa; avrebbe voluto correre da Shu ed abbracciarlo, ma sentiva anche il bisogno di parlare, di tutto, fino in fondo.
“Io ho voluto provare a crederci, che per tutti voi sarebbe stato meglio... stare separati, intendo... a credere che era il nostro stare insieme a farci del male, la maledizione delle yoroi che si attivava ogni volta che ci trovavamo insieme. Io ero... rassegnato. Sapevo che la felicità mi sarebbe stata impossibile, mi preparavo a trascinarmi in una vita vuota, ma speravo che voi, che siete tanto più forti di me, ce l’avreste fatta, che fosse per il vostro bene e speravo anche che questo pensiero mi avrebbe dato la forza per resistere”.
“Credo che... sia un pensiero che abbiamo fatto tutti, abbiamo cercato di convincerci... dell'impensabile”.
Con quel sussurro, Shu si levò in piedi, fece quei pochi scalini che lo dividevano dal giardino e poggiò i piedi nudi sull'erba. Rabbrividì di nuovo.
“Posso abbracciarti?”.
“Aspetta, Shu”.
Glielo disse con dolcezza estrema, non che non lo desiderasse, non voleva che Shu pensasse quello.
“Vieni qui vicino a me, ma se mi abbracci ora... ecco... sento che crollerei e non voglio crollare, prima di parlare tra persone pacate”.
Shu si fermò, rabbrividì ancora, ma annuì lentamente e si avvicinò a lui: non avrebbe fatto ulteriori passi senza che Shin lo volesse.
Il compagno non lo guardò, ma percepì la sua presenza, percepiva anche che Shu rimaneva in piedi; era timido con lui?
“Ti prego, siediti, stammi vicino”.
E Shu si lasciò cadere sul prato, a gambe incrociate, le braccia abbandonate su di esse, negli occhi curiosità ed ansia a farsi guerra.
Shin sospirò, si decise a tirare fuori le mani dall’acqua e rimase in posizione prona, intrecciò le dita sul prato e vi posò sopra la guancia, mentre le gambe si sollevavano e abbassavano alternativamente, come se non riuscisse a stare del tutto fermo.
Sorrise con languore:
“Scusami... è che lo so, sono rassegnato, non perderò mai la paura di perdervi ancora, ma voglio godere ogni istante in cui siete qui con me”.
Le labbra di Shu si schiusero, respirò a fondo l'aria frizzante e ingollò, prima di parlare.
“Non devi scusarti, ci sono dei momenti in cui nemmeno io... nemmeno io riesco a rendermi conto... che ora siamo assieme... e forse la paura rimarrà... ancora un po’…”.
Il sorriso scomparve dalle labbra di Shin, i suoi occhi socchiusi, ora, fissavano un punto distante da lì.
“Shu... posso parlarti... di quel che ho sentito quand’ero nel buio della yoroi? Forse... parlare delle mie emozioni mi aiuterà a...”.
Deglutì, per lui era difficile, lo era sempre stato, parlare lucidamente delle emozioni, per questo evitava spesso di farlo; raccontare le sue emozioni significava, troppo spesso, lasciarsi sopraffare da esse. Ma sapeva anche, lo aveva imparato stando accanto ai suoi nakama, che se non l’avesse fatto, con loro, avrebbe finito per esplodere interiormente. Probabilmente sarebbe accaduto lo stesso, ma, almeno un po’, le avrebbe liberate.
“Certo che puoi” riuscì finalmente a dire Shu.
Avere di nuovo davanti a lui, nelle proprie mani, il cuore di Shin, la sua totale fiducia...
Per quanto tempo aveva atteso un momento simile?
Avrebbe voluto dire, addirittura, un 'devi!'.
Ma temeva che quella piccola apertura si sarebbe trasformata in un minuscolo riccio inespugnabile.
Shin non riprese subito a parlare; in quella posizione, immerso nell’immobilità e nel silenzio, dava l’idea di essersi addormentato, ma c’era quel tremore che faceva ricredere, dovuto al freddo? O forse ad altro?
La sua voce uscì come un leggero scrosciare d’acqua:
“Raramente mi sono sentito solo come in quel buio, prima, mentre Suzunagi mi parlava... poi quando mi ha guidato con l’inganno fino alla yoroi. Mai il mondo della yoroi è stato così scuro, così vuoto. Era come il mare quando... quando muore...”.
Si fermò, perché la sua voce stava diventando instabile.
Shu rimase fermo, in ascolto. Tremava. Tremava al solo ricordo di quello che era stato per lui.
Per lui la yoroi... lui voleva solo...
“Poi l’ho sentito... come un piccolo soffio di vento, ma così flebile. Avevo trovato Touma... o meglio, mi ero ritrovato in trappola con lui. Eravamo vicini, così vicini, eppure... eppure non smettevo di sentirmi solo, perché era anche lontano, sentivo anche voi, come un flusso lontano, distante. Non importava la vicinanza fisica tra Touma e me, perché... dentro eravamo soli con noi stessi, come non eravamo mai stati. E io volevo allungare una mano, toccarlo, rassicurarlo, ma non sapevo come fare, non... non potevo...”.
Shu allungò una mano, che andò a posarsi, delicata, su quella di Shin più vicina.
Niente abbracci, d’accordo. Ma sembrava che stesse rivedendo... ora, come poco, pochissimo tempo prima... la medesima cosa.
E Shu voleva che Shin si rendesse conto del tutto che quelli erano ricordi e che ora poteva toccare lui e sentire che non c'era più disperazione. Non più vuoto. Non più tristezza.
La mano venne accettata, anzi, venne decisamente afferrata dalle dita di Shin che, in essa, cercava il sostegno di cui aveva bisogno per continuare.
“Sentivo anche voi... non sapevo dov’eravate, cosa facevate, ma il vostro dolore lo sentivo. Sembrava quasi... che l’unica cosa di voi che potessi sentire dentro, ormai, fosse la vostra agonia, la vostra disperazione, che si univa alla mia”.
Deglutì, i suoi occhi si aprirono un po’ di più a fissare quel nulla che il cuore gli ricordava. Strinse talmente forte la mano di Shu che, per un attimo, temette di fargli male.
 
E loro che non sapevano nulla, né di Shin, né di Touma. Loro... non li sentivano. Più.
Loro... lui... aveva pensato... già... per quello...
Cominciò a piangere silenziosamente, nemmeno si rendeva conto di quello che stava succedendo.
Ricordava solo il vuoto che aveva sentito.
Ed era un vuoto diverso da quello che per mesi aveva percepito, era... come se loro non fossero mai esistiti.
Cancellati.
La paura, la disperazione... la pazzia.
Talmente veloce era stato il percorso che la sua mente aveva fatto, che ricordava solo il momento in cui Suzunagi l'aveva afferrato.
“Poi... poi ci sei stato tu, è stata come una pugnalata che mi ha squarciato il petto il momento in cui tu... tu eri così disperato che l’unica cosa che percepivo di te era un grumo di pensieri contorti, di terrore e confusione... volevo essere al tuo fianco, non capivo cosa ti stesse accadendo, non riuscivo a leggere in tutto quel dolore e non sapevo come fare, non sapevo... cosa stavi per fare, ma mi facevi paura!”.
Andava infervorandosi, poi i suoi occhi si puntarono, vivi d’angoscia, in quelli di Shu.
“Mi dispiace, io non voglio farti soffrire, non voglio che tu rinnovi tutto quello, ma... ma... se non esprimevo tutto questo... io...”.
Ingoiò ancora, le parole gli morirono in gola, se avesse emesso un solo, ulteriore suono, sarebbe soffocato nel suo stesso pianto trattenuto.
“Io...”.
Era così difficile parlare.
Era così difficile confessare l'inconfessabile.
Cosa aveva fatto quel giorno era un segreto che avrebbe voluto portarsi nella tomba.
Non ne andava fiero. Non sapeva nemmeno come era arrivato a tanto.
Ma sapeva con nitida chiarezza che avrebbe ripetuto ogni cosa, se si fosse tornati a un momento simile.
Era vero allora ed era vero adesso: senza di loro non avrebbe mai potuto vivere.
“Non vi sentivo più, era come se foste... morti”. Si passò una mano sulla bocca, la sentì bagnata di lacrime. “Non sapevo cosa fare, non sapevo... non sapevo più... più nulla...”. Si era fatto il vuoto dentro di lui. “E ho... ho voluto tentare l'im-impossibile”.
Shin si mosse, per la prima volta, da quella posizione nella quale si era come irrigidito, si mise carponi.
Cosa cercava di fare Shu, una confessione? Cosa aveva fatto, realmente, quel giorno?
“Io non lo so... non lo so cosa hai fatto, ma a un certo punto, so di avere urlato... non realmente, la mia voce non usciva, la mia anima urlava, di disperazione, ma anche di rabbia, perché... la mia anima era arrabbiata con te e non so perché, non riuscivo a capire e non me lo perdono!”.
Shu trasalì. Aveva paura. Paura di dirlo, a se stesso, a Shin. Perché allora avrebbe significato che tutto era reale.
Che davvero l'aveva fatto.
Realmente.
Ma si era ripromesso, per Shin, solo per lui, tutta la sincerità di cui aveva bisogno.
Che lo perdonasse.
“Ho tentato di... raggiungervi” si morse il labbro, chiuse gli occhi, tale era la vergogna. “Dove credevo che... foste”.
Shin si sollevò, rimanendo in ginocchio.
“Di... raggiungerci? Co... come? Tu dove... dove credevi che noi...” bisbigliò, stranito. “Ho una vaga immagine di te, in alto... troppo in alto, ma eri... vicino... eppure era come se ti stessi allontanando, come se stessi andando... in un altro posto”.
“Io vi credevo... morti...”.
“Non so… non lo so cos'eravamo... non era morte, non era vita... io volevo solo che tu, Seiji e Ryo vi salvaste... ma poi tu sei arrivato da noi, ma non riuscivo a capire, ero confuso: come per Touma, non ti raggiungevo del tutto. Come sei arrivato fino a noi? Tu volevi raggiungerci, non sapevi se eravamo vivi o no, e allora come... come ci hai raggiunti? Perché ero così arrabbiato?”.
Faceva bene ad essere arrabbiato. Avrebbe dovuto essere furioso con lui.
Ma lui non sapeva... non sapeva che niente era perduto per sempre.
“Ero... sulla cima di un palazzo e io ho voluto... volevo sapere se... se davvero eravate morti o... prigionieri... e dovevo saperlo” un singhiozzo, la bocca di Shu cominciò a tremare. “Dovevo saperlo... e potevo... ma... ma solo... solo se mi fossi gettato”.
“Ti sei...” Shin era stranito, incapace anche solo di immaginare quello che udiva. “Cosa vuol dire che... ti sei gettato? In che senso? Dov'eri? Cos'hai fatto?”.
La sua voce era ridotta a un bisbiglio appena udibile.
Non era più tempo di tergiversare.
Lo doveva a Shin... lui era stato sincero.
E lui... lui doveva essere chiaro.
“Mi sono gettato... dal palazzo p-per vedere s-se eravate... s-se voi... eravate ancora... vivi...”.
E Shin continuava a fingere di non capire, non voleva capire.
“Che... che palazzo?”.
Lo domandò con tono assente; che domanda sciocca, che importava?
Ma era per spezzare quello che... sentiva montare in lui, quello tsunami che arrivava, preceduto da una calma irreale.
 
Non aveva ancora... compreso? Non riusciva a comprendere? Eppure lui l'aveva fatto, anche se ora tutto appariva irreale.
“I-Il Keio... d-davanti a-al Metropolitan”.
Il Keio... davanti a...
Era... davanti a loro. Forse guardava verso di loro mentre...
Faceva cosa?
Il Keio Plaza Hotel era alto, così alto e lui aveva... si era...
“Che cosa hai fatto?!”.
La voce ora troppo acuta, stridente... ecco lo tsunami.
Shu parve ritrarsi su se stesso, ma non si zittì del tutto.
“Dovevo sapere... se eravate vivi... e se non lo foste stati...”.
Allora... allora...
“... allora non aveva più senso... la mia vita...”.
Lo tsunami giunse, ormai impossibile da fermare; Shin era terrorizzato, dalla propria mano che si mosse fuori del proprio controllo, terrorizzato dall'immagine, che gli giunse vivida, di Shu sopra quel tetto, Shu che si lasciava cadere nel vuoto.
"Baka!" gridò, disperato.
Impossibile comprendere se fosse giunto per primo il grido o il rumore della sua mano che colpiva, con violenza inaudita, la guancia di Shu.
Nella testa di Shu risuonò solo il grido di Shin, negli occhi scorse quello che era successo quel giorno.
Vivi... morti... nessuno sapeva.
Nessuno sentiva.
Non vi era certezza.
E dopo tutto quello che avevano trascorso, la morte era più certezza della vita.
Aveva preso il respiro, aveva chiuso gli occhi e aveva pensato solo a loro: vivi o morti... aveva solo desiderato di raggiungerli, nient'altro.
L'aria intorno a lui... il vuoto... cadere, cadere nel vuoto... senza yoroi, senza poteri... solo in balìa della natura...
A ripensarci adesso... il vuoto lo terrorizzava.
La mano di Shin era rimasta, tremante, sollevata a mezz'aria, gli occhi bagnati fissi su Shu.
Baka...” bisbigliò ancora, ma lo diceva a se stesso o all'altro ragazzo?
Non si era ripromesso che non l'avrebbe mai più colpito, che non avrebbe mai più sollevato una mano su uno dei suoi nakama?
Baka!” gridò ancora gettandogli le braccia intorno al collo, scoppiando in singhiozzi disperati.
L'aveva sentito, sì, lo schiaffo. Ma solo ora che Shin gli si era gettato tra le braccia.
Non aveva fatto male, lo schiaffo in sé.
Ma tutto quello che aveva detto con quel gesto, tutto quello che non era riuscito a dire a se stesso...
Shin l'aveva detto.
Le sue braccia stringevano forte Shin, lo sentiva tremare, ne percepiva attraverso la pelle i singhiozzi che il fiato di Shin gli respirava addosso.
“P-perdonami...”.
Doveva perdonarlo.
Perché l'aveva fatto.
Ma non poteva chiedergli di non rifare una cosa simile.
Perché se di nuovo... di nuovo... non li avesse sentiti... percepiti... se nuovamente avesse capito che loro... non erano più...
Lui l'avrebbe rifatto.
Il viso di Shin affondò nella sua spalla, contro la quale si strofinò, senza smettere di singhiozzare:
“Perché, perché, perché?”.
Un sospiro, o forse un respiro preso, a pieni polmoni.
“Perché senza di voi... di te... io... io non... volevo... andare avanti…”.
La stretta di Shin si fece convulsa, violenta quanto lo era stato il precedente schiaffo.
“Ma io ho paura... ho paura!”.
“Anche io ne avevo molta. Ma se in un modo... o nell'altro... potevo rivedervi, allora...”.
Shu scosse la testa, poggiando la fronte su una spalla di Shin.
“Avevo paura che non vi avrei... mai più visti, tanta paura che... quando mi sono trovato su quel palazzo, non sapevo... nemmeno come ci ero arrivato”.
Accecato, annichilito.
Come in una bolla d'aria... una bolla tutta scura, attraverso la quale non giungeva nulla.
Solo il proprio dolore si sentiva e urlava come una banshee prima di una lotta.
Shin strofinò il naso contro di lui, con i pugni si aggrappò alla sua maglia.
“Io non voglio... temere così di perdervi, non voglio... che vi accada... nulla...”.
Ogni parola un singhiozzo.
Se era già accaduto, sarebbe accaduto ancora, le yoroi erano purificate, ma esistevano ancora: ciò significava che il loro ruolo esisteva ancora e che rischi simili li avrebbero seguiti... ancora... per sempre.
E ora che la loro unione era definitivamente consolidata, più che mai, il solo pensiero di perderli...
Si rannicchiò contro Shu, tremando come l’acqua sotto di loro, increspata dal vento che si era alzato, più forte e più freddo.
“Nemmeno io. Nessuno di noi lo vuole...”.
Non era empatico come Seiji e Shin. Non lo era e non lo sarebbe stato mai, ma i suoi compagni, i suoi nakama... loro, ormai, li conosceva tanto bene da percepire i loro pensieri, gli strani e intricati percorsi che facevano.
E Shin... era il suo Shin. Avevano condiviso così tanto, si erano uniti e quindi...
“Io... lo so che ci saranno battaglie. Lo so perché lei ci ha affidato... una preghiera”. Shu sospirò, strinse le mani di Shin e si morse nervosamente le labbra. “Ma non... io non credo che lei... che lei ci avrebbe affidato questa sua preghiera così preziosa sapendo che avremmo perduto, che noi... che noi avremmo perduto anche noi stessi”. Era complicato, Shu non era fatto per certi discorsi. E poi era un pensiero che solo in quel momento si era risvegliato in lui.
Lei, Suzunagi, li aveva messi di fronte alle loro mancanze, ai loro dubbi, alle loro più intime e inconfessate paure.
Shu aveva sentito, con un brivido sulla pelle, la tristezza di quella bambina.
La rabbia, l'odio, la disperazione, tutto per quella solitudine e la violenza che l'avevano resa uno spirito furioso.
Ma se quella furia era divenuta solo tristezza e poi comprensione, speranza... allora...
“C'è speranza. Lei lo sa. Io lo so. Lo so che non ci perderemo mai. Non dopo tutto quello che è successo”.
Shin lo sapeva che doveva ascoltare quelle parole, lo sapeva che erano vere, voleva disperatamente crederci, ma l’aver saputo del gesto di Shu lo aveva messo di fronte, ancora una volta, al suo terrore più profondo ed era difficile liberarsene del tutto, non ne era capace.
“Abbracciami... stringimi forte... aiutami a sperare, perché da solo io non ci riesco... a far tacere tutta questa paura che ho dentro”.
Shu non si fece pregare e lo strinse a sé con tutta la forza e il calore che aveva in corpo; passò una mano sulla schiena, lentamente, come si fa con un passerotto caduto dal nido che trema terrorizzato per la propria sorte: sapeva che doveva usare quella delicatezza con Shin, perché era così semplice far piangere l'Acqua.
Era come dirle di respirare.
“Ora siamo assieme. E lo saremo per sempre. E questo deve cancellare ogni tua paura... ogni nostra paura”.
“Lo so... lo so, ma io temo che non sconfiggerò mai la mia paura. In questo Suzunagi aveva ragione, io sono un vigliacco, da solo ho paura di tutto, solo voi mi spingete ad andare avanti, ma se seguirvi in battaglia significherà anche rischiare di vedervi...”.
Non riuscì a proseguire, le parole si stavano ingarbugliando le une sulle altre e la sua lucidità andava, attimo dopo attimo, scomparendo.
 
Vigliacco? Il suo Shin?
“Tutti l'abbiamo. Forse siamo bravi a non mostrarla, forse la controlliamo meglio di te... ma non credere...” Shu strinse gli occhi, sentiva le lacrime pungerli, “non credere che noi non abbiamo paura... sarebbe da pazzi non averne”.
Shin si abbandonò, scivolando contro di lui: dava l’impressione che le sue membra si stessero sciogliendo a contatto con il corpo di Shu e con tutto l’amore che da quell’abbraccio percepiva diffondersi in lui.
“Coraggio... significa anche saperle vincere le paure. E tutti voi avete sempre mostrato di saperlo fare... io... ne sono sempre meno in grado”.
Lo scosse un brivido più forte.
“Credevo di saperle affrontare molto meglio, finché non sono caduto nel tranello di Naaza. È stato in quel momento che ho capito fino a che punto io, senza di voi, sono nulla. Da solo non riesco proprio ad affrontare nulla senza provare terrore”.
“Eppure se noi fossimo in pericolo, tu verresti a salvarci. Faresti qualunque cosa per noi, perché... ci ami”. Shu abbassò il capo, arrossendo. “Il coraggio viene dalla paura... di perdere chi si ama e tu faresti qualunque cosa... per noi”.
Lo sapeva... anche a costo di perdere la propria vita, Shin l'avrebbe fatto.
Perché questo, soprattutto, era Shin. Questo era il suo amore.
E amava Shin per quello, anche se odiava il fatto che avrebbe potuto perdere la propria vita per lui, per loro.
Ma era Shin e se anche odiava quel suo lato estremo, lo amava, tanto. In maniera disperata.
“Ciò non toglie che sono anche giunto ad abbandonarvi... a causa delle mie paure. Forse, nonostante tutto, non me lo sono mai perdonato ed è più che sufficiente per farmi dare ragione a Suzunagi riguardo a quel che pensava di me. Non ha disprezzato nessuno più di quanto abbia disprezzato me... e faceva bene a farlo”.
La sua voce era sempre più ridotta ad un sussurro lontano.
“Disprezzare?” una mano di Shu andò a scostare un ciuffo che era caduto sugli occhi bagnati di Shin. “Se lei ti disprezzasse, credi che ti avrebbe donato la nuova yoroi? Lei l'ha creata, lei te l'ha donata... e tu pensi che ti abbia disprezzato?”.
Il suo Shin, pieno di tanta paura da non lasciare spazio ad un po’ d'amore per se stesso… “Ci ha solo messo davanti... davanti a quello che non riuscivamo ad affrontare, ci ha scosso, ci ha fatto muovere, ci ha dato modo di... risvegliarci... e cercarci, nuovamente e alla fine... eccoci qui”, si chinò a baciare Shin, a fior di labbra, socchiudendo gli occhi. “Siamo insieme... e lo rimarremo per sempre”.
Il samurai di Hagi non riuscì a dire nulla; era in uno di quei momenti in cui lo sconvolgimento emotivo gli impediva di vedere le cose con chiarezza e di trovare persino qualcosa da dire. Si limitò a stringersi a lui e a piangere ancora, tremando per l’emozione, per il freddo, così si raggomitolò, raccogliendo le ginocchia sul petto, per racchiudersi meglio tra le braccia di Shu.
Shu lo sentì tremare tra le sue braccia, lo strinse ancora un poco, poi bisbigliò:
“Non credo di poterti tenere al caldo... come prima”.
E ridacchiò, un po’ tra sé, un po’ perché il tutto gli sembrava assurdo, un po’ perché voleva togliere a Shin quell'insopportabile tristezza.
“Tu sei sempre caldo” gli rispose un sussurro quasi inconsistente.
Shu si morse le labbra, accarezzò la guancia di Shin.
“Sei tu che mi rendi tanto caldo”.
Il viso di Shin scomparve nel suo petto.
“Shu...”.
“Dimmi”.
“Io credo... di essere tanto stanco... sai?”.
Shu sorrise nell'ombra.
“È ora di dormire tutti assieme... al calduccio”.
“È che non so... come fare”.
“A dormire?”. Shu inclinò il capo. “Dormiamo assieme”.
“Sono... tanto stanco, ma non so come... come...”.
Sembrava un po' delirante.
Shu si alzò, trascinando con sé il corpo quasi abbandonato di Shin: lo fece appoggiare al proprio petto, ritrovandosi comunque più basso di lui.
“Sei molto stanco, forse troppo, per questo non riesci a dormire”.
Shin si sentiva davvero instabile in effetti, se Shu non l’avesse sorretto probabilmente non sarebbe stato in grado di rimanere in piedi da solo; era arrivata all’improvviso, tutta la spossatezza di quella giornata, senza lasciargli via di scampo. All’improvviso, sul suo corpo, gravava tutta la tensione, la paura, la fatica che l’ultima avventura si trascinava dietro.
Si riservava su di lui con quei tremori che lo scuotevano tutto, con le membra che si rifiutavano di obbedire e, allo stesso tempo, sugli occhi, che non volevano saperne di chiudersi.
“Non so... come... riposare...”.
Shu percepì tutta la spossatezza e, infilato un braccio attorno alle spalle di Shin e l'altro sotto le sue gambe, lo sollevò a mezz'aria.
“Non sarò in forma come prima, ma almeno riesco a portarti in casa da solo”.
E così fece, con passi magari non sicurissimi, ma testardi.
Shin gli circondò il collo con le braccia, appoggiando la testa alla sua.
“Sei ancora forte, Scimmietta, e lo sarai sempre... ma attento, ora io... sono più pesante... cioè... tu sei più leggero... cioè... voglio dire...”.
Shu soffocò una risatina stanca.
“Che sono più leggero... sì... ma non di te... anche se sei più alto di me”.
“Ho messo su un po’ di muscoli, sai?” borbottò Shin, fingendo uno scherzoso broncio, ma era troppo stravolto per riuscirci del tutto.
“Mangiando poco come al solito e studiando per l'università”. Shu lo adagiò su uno dei futon ancora liberi dalle braccia di Touma e dalle gambe di Ryo. “Quindi con il triplo dello stress sulle spalle. Certo, sei molto più pesante”.
Era un bisbiglio, ma tanto divertito.
“Tu hai mangiato di sicuro molto meno di me” bisbigliò di rimando Shin, rimanendogli attaccato in maniera morbosa, quasi temesse di vederlo svanire. “E poi non ho... studiato... molto...”.
Di sicuro molto meno di quanto avrebbe dovuto, la testa non era molto concentrata dopotutto.
“Ma sei uno studente universitario, sicuramente hai studiato. Anche se sei sempre stato bravo”.
Aveva capito che Shin non voleva lasciarlo. E chi voleva staccarsi da lui? Anche a costo di dormire in posizioni assurde, non l'avrebbe lasciato. Così si lasciò andare lentamente a terra, avvinghiato a Shin e Shin avvinghiato a lui.
Shin si raggomitolò sotto la coperta del futon, ma non riusciva a smettere di tremare.
“Te l’assicuro, non ho studiato, non... molto... ma... ho mangiato... per nervosismo... reazione contraria... alla tua...”.
Le parole erano instabili, sussurrate un po’ a singhiozzo, segno che la sua mente quasi dormiva, ma il corpo non ne voleva sapere.
“Io ti trovo leggero come prima... ma ancora più bello di prima”.
Shu accompagnò quelle parole con un bacio lieve su una guancia di Shin e gli si strinse ancora più addosso.
“Perché sei di parte e sei... romantico”.
Un brivido intenso scosse il corpo di Shin e i pugni chiusi sul petto di Shu si serrarono con più intensità.
“Io dico le cose che penso e so di aver molta ragione... con te”.
Una mano di Shu andò a chiudersi su un pugno di Shin, l'altra andò tra i suoi capelli, lieve e tenera.
Nei successivi istanti, la parlantina di Shin sembrò spegnersi, non così i movimenti nervosi delle sue membra, che non trovavano requie.
Poi, dopo un po’...
“Shu...”.
Shu si era quasi addormentato, ma si risvegliò subito, rispondendo con un sussurro al richiamo di Shin.
“Dimmi...”.
“Sembra che il mio corpo... non voglia fermarsi... non lo faccio apposta, ma non sta... fermo”.
“Forse, se mi parli, si tranquillizza lui e tu... ti addormenti”.
“Ma se parlo io... tu ti addormenti e... lo so che sei stanco, che devi riposare, ma io... non...”.
“Io voglio ascoltare la tua voce...” la bocca di Shu si ritrovò su un angolo della gola di Shin, il respiro caldo l'accarezzava lento. “L'ho sognata così tanto”.
“Anche io... la tua”.
Il punto sfiorato dalle labbra di Shu ebbe un singulto che fece uscire un po’ strozzate le parole.
“Allora dobbiamo parlare in due?”. Shu baciò, stavolta non ebbe ritrosie, il suo collo e mormorò a fior di pelle: “Io lo farei...”.
“Shu” piagnucolò, lamentoso, Shin. “Se fai così come fa il mio corpo... a fermarsi?”.
E dopo il bacio giunse la punta del suo naso a sfiorarlo e un mugolio leggero.
“Ma gli do... un motivo... almeno”.
Una gamba di Shin scattò senza preavviso e il ginocchio raggiunse il fianco di Shu.
“Andiamo su, nel... mio letto?”.
Shu spalancò gli occhi, alzandoli verso Shin con aria quasi sorpresa.
Era Shin, era sensualità, amore, desiderio timido... così era...
“Sì...” sussurrò, sollevandosi appena a sedere sul futon e guardando nella penombra la silhouette leggera del nakama.
Shin sgusciò via dal groviglio di corpi e solo quando ebbe raggiunto la parte libera di pavimento si alzò, un po’ barcollante, per poi tendere una mano verso Shu.
Shu copiò i movimenti di Shin, con meno grazia, ma si alzò senza risvegliare nessuno e afferrò la mano offerta.
Lo guardò, le labbra tremanti, tese tra il sorriso e quella sorta di anticipazione che certi sguardi di Shin provocavano da sempre in lui.
Fu Shin a guidarlo, con dolce lentezza, dovuta in parte alla fatica e in parte all’insicurezza che certi momenti sempre conferivano al suo animo, finché giunsero alla stanza che, da quel momento in poi, non sarebbe più stata unicamente sua.
Aprì silenziosamente la porta e sgusciò dentro, Shu al seguito, le mani ancora allacciate, poi richiuse la porta alle loro spalle.
Fermò i propri passi, si girò verso Shu e raccolse anche l’altra sua mano, sul viso lo sguardo più adorante e intenso che Shu potesse aspettarsi.
Shu rabbrividì: meritava tanto dal suo Shin? A volte gli sembrava che ogni cosa dolce che Shin gli regalasse fosse troppo.
Troppo bella.
Troppo simile a un sogno.
Troppo, solo per lui.
Si chiedeva sempre se riuscisse a trattenere tutta quella grandezza dentro di sé nel modo giusto, senza lasciarla traboccare per perderne anche solo un pezzetto.
Voleva essere abbastanza grande da poter contenere tutto e trasformarlo in quell'amore che Shin creava con un solo sguardo.
Shu socchiuse la bocca, pareva voler dire qualcosa, ma credeva che, per come era ridotta la sua mente, avrebbe detto solo banalità.
E allora si avvicinò, strinse entrambe le mani di Shin ed alzò il viso; quando furono abbastanza vicini chiuse la bocca dell’altro ragazzo con la propria.
Gli occhi di Shin si chiusero e dalle sue labbra, al contatto, uscì un sospiro d’abbandono; ma poi sfuggì al tocco del compagno e si ritrasse, con la medesima espressione, ma ancor più languida. Sollevò le mani di Shu e, camminando all’indietro, lo tirò, un passo dopo l’altro, verso il letto.
 
Lasciarsi... trascinare.
Shin... solo lui... solo loro...
“Amore... mio…”.
Senza lasciarlo, sempre all’indietro, Shin si arrampicò sul letto e si inginocchiò sul materasso; sollevò le mani di Shu fino alla propria bocca e, dopo averle baciate con occhi socchiusi ed espressione estatica, le condusse in basso, dal collo, fino al petto, ai fianchi, invitandolo così, senza parole, a carezze che gli mancavano da troppo tempo.
Shu ingollò tante, troppe volte.
Quella visione, quei dolci gesti, il profumo di Shin... le promesse che quel silenzio assordante portava.
Deglutì quando mosse timidamente una mano sul suo collo, tracciandone i contorni, mentre l'altra scivolava dietro, sui capelli, affondando in essi.
“Scivolano lunghi sulle tue spalle...”.
Il capo di Shin si muoveva ad ogni tocco delle mani di Shu, per assecondare i loro gesti, per rendersi recettivo e ancora più morbido ad ogni sfioramento.
“Te l’avevo promesso... ricordi? Ma non sono ancora cresciuti molto...”.
Il viso di Shu si avvicinò al collo, lo baciò, mentre i fili rossicci dei capelli si intrecciavano su un dito.
“Lo ricordo koi e sono... bellissimi... e morbidi e…” il dito si avvicinò alla bocca di Shu e i suoi capelli ne furono baciati. “Profumati di te, di buono... di acqua e di vita...”.
Sopraffatto da tutto quell’amore, da quelle parole che gli erano mancate per mesi, Shin si lasciò cadere in avanti, le sue braccia circondarono il collo di Shu che nella posizione che avevano assunto risultava ancor più basso.
“Vieni qui con me... vienimi vicino... subito subito”.
E Shu si tese tutto verso di lui, fronte contro fronte, petto contro petto, anche se rimaneva sempre più basso di lui.
“Subito... e non ti lascerò mai... mai più”, un respiro, Shu chiuse gli occhi. “Non mi staccherò mai più da te... mai più”.
Perché dirlo, perché ripeterlo?
Ne aveva bisogno. Continuava ad averne bisogno.
Shin lo abbracciava con foga, strofinava il viso e il petto contro di lui.
“Sali sul letto… qui... ti prego, fallo subito!”.
C’erano affanno e urgenza, ora, nella sua voce.
Quando usava quel tono, Shu sentiva giungere un'improvvisa paura, legata a tanta, troppa ansia: ma eseguiva ogni richiamo alla lettera, come se fossero ordini.
E non lo erano.
Ma per il suo cuore erano ordini, quelli che avrebbe sempre eseguito, anche in mezzo al fuoco... o nel più profondo oceano.
Salì sul letto, lentamente e si avvicinò a lui con il viso appena chinato, la bocca solo dischiusa.
E Shin sentiva ogni terminazione nervosa vibrare di bisogno, sete, desiderio, era interiormente disidratato per mancanza d’amore, tutto quello che in quei mesi non era stato in grado di chiedere, di ricevere. Per questo le sue carezze lungo il corpo di Shu si fecero frementi, insistenti, i baci erano una ricerca affannata di linfa vitale sulle membra del ragazzo di fronte a lui.
Amore... amore... amore... bisogno assoluto di quello che cercava con sempre più frenesia.
“Shu... Shu... Shu...”.
Shu non ricordava nemmeno come si erano ritrovati senza nulla addosso. Non ricordava nemmeno come si era ritrovato a piangere, silenziosamente, mentre sentiva, per la prima volta dopo mesi, il calore del corpo di Shin addosso al proprio. Era stato il richiamo alla vita, a Shin, all'amore, a tutto ciò che credeva ormai scomparso.
Era come rinascere... dolce e terribile allo stesso tempo.
Ma ad ogni carezza, ad ogni bacio, ad ogni sussurro, preghiera, dichiarazione, il ricordo del dolore scompariva e lasciava solo un silenzioso urlo di gioia, pieno di lacrime.
  
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