Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: EuphemiaMorrigan    12/02/2019    1 recensioni
Storia scritta per il Jotaro month 2019.
Una semplice What if…? in cui tutti sono sopravvissuti al viaggio in Egitto; può essere considerata sia pre-slash che no.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jotaro Kujo, Noriaki Kakyoin
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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In Inverno le Stelle sembrano riaccendere i loro fuochi.

A Jotaro pareva di aver quasi dimenticato il clima rigido della propria Nazione durante la stagione Invernale; indossava una maglia bianca a maniche corte, che lasciava esposte le braccia muscolose e la pelle abbronzata, ancora riarsa dal Sole cocente del deserto, faticava ad adattarsi al freddo venticello di metà Novembre.
Seduto fuori l’engawa osservava con tedio l’ampio e antico giardino zen a cui tanto teneva la madre. La donna infatti sosteneva fosse elegante e rilassante, lui neanche sotto costrizione avrebbe provato a cercare chissà quali risposte nella sabbia bianca o nelle rocce coperte di muschio.
Durante la solitudine imposta a se stesso, il pensiero vagò così tanto da ricadere su ciò che gli aveva riferito la psicologa della fondazione Speedwagon in una delle loro precedenti sedute, l’ultima prima di rifiutarsi di tornare a sprecare tempo in quelle stupidi sessioni di chiacchiere.
È come se il tuo corpo e la tua mente fossero rimasti in Egitto.
Abbassò la visiera del cappellino, sdegnato.
Quante stronzate avrebbe dovuto sentire prima che lo lasciassero in pace?
Erano trascorsi mesi da quel maledetto viaggio, ciononostante veniva obbligato a ricordarne ogni dettaglio dai racconti di suo nonno, dai medici e durante la lunga riabilitazione.
Il ripensarci lo infastidiva.
Tornati miracolosamente tutti vivi, detestava l’idea di rivangare i punti in cui s’erano spezzati; ormai lontani ma legati da un passato eccessivamente gravoso, aveva la netta impressione non avrebbe mai potuto farli scomparire dalla propria esistenza. Neanche volendo.
Era innegabile crescesse in lui una voragine di timore e incertezze, causate dalle lotte affrontate una dopo l’altra; era stato spaventoso, difficile, forse un peso enorme da portare sulle spalle per dei semplici ragazzi. E per quanto Jotaro in apparenza sembrasse inaffondabile, aveva cominciato a faticare a rimanere a galla proprio da quando era tornato in Giappone.
Come se non avesse più uno scopo.
Quanto tempo prezioso aveva sprecato a mostrarsi un bullo senza sentimenti? A non rivolgere mai una buona parola alla madre? Al nonno? Ai suoi compagni?
Avrebbe potuto perderla, perdere tutti loro, e il suo ultimo ricordo sarebbe stato amaro e simile al nauseante sapore provato in quel momento sul fondo della gola.
Permise alle labbra di lasciarsi sfuggire un profondo sospiro, ma poco dopo aggrottò la fronte al sentire un fruscio fra gli alberi poco distanti; scattò in piedi, durante i cinquanta giorni di viaggio aveva imparato a rimanere in allerta persino mentre dormiva e, malgrado non fosse stato informato di possibili portatori di Stand nelle vicinanze, non riusciva a rimanere tranquillo. Non più.
Alle sue spalle una serie di passi lenti e cadenzati stavano avanzando sulla ghiaia, così si voltò rapido, i pugni stretti lungo i fianchi e Star Platinum minaccioso accanto a sé.
«È così che di solito accogli gli amici?».
Noriaki.
Ritirò lo Stand non appena lo riconobbe, rimase in silenzio e lo scrutò fingendo disinteresse.
Non era un mistero la sincera preoccupazione provata da Kakyoin nei suoi riguardi, come il fatto che avesse intuito il fragile stato mentale e la difficoltà ad adattarsi di nuovo a quello stile di vita.
Jotaro desiderò avere il coraggio di scostare il viso, soffermarsi troppo su di lui accentuava il senso di colpa.
Orgoglioso e forse un pizzico masochista, seguì con attenzione ogni movimento lento e quasi snervante; spesso aveva visto i tentacoli dello Ierofante sostenere il proprio portatore, circondargli l’addome e la schiena alla quale aveva subito innumerevoli operazioni, e nonostante queste mai sarebbe stato più lo stesso.
Il corpo di Kakyoin era simbolo del suo sacrificio, e degli errori di Jotaro.
Se solo fossi arrivato in tempo…
«Mi stai ascoltando?» parlò ancora, stavolta indispettito.
«No».
L’espressione assunta da Noriaki pareva un misto di divertimento e frustrazione.
«Almeno sei sincero» affermò con un sorriso.
«Cosa ci fai qui?». Non era in vena di chiacchiere.
Con disinvoltura appuntò il ciuffo rosso dietro l’orecchio, poi allungò una busta di plastica verso di lui, porgendogliela: «Mi sono concesso di compiere un’azione illegale».
Kujo aggrottò la fronte e, abbassando gli occhi chiari, notò all’interno del fagottino due lattine di birra.
«Le hai prese dal tuo frigo» disse, lo conosceva bene.
Lui alzò le spalle. «Mio padre non se ne accorgerà».
La solita, accogliente, sensazione di pace e benessere invase il corpo di Jotaro, rilassando anche la postura precedentemente rigida. Magari si sarebbe sentito per sempre la causa di ciò che Dio aveva fatto all’amico, ma averlo accanto – vivo –, poter confrontarsi con Noriaki o semplicemente limitarsi ad ascoltare il suono della sua voce, rendeva quell’esistenza meno pesante e solitaria.
«Seguimi».
Senza neppure aspettare risposta, grazie al pronto intervento di Star Platinum, costrinse Kakyoin a raggiungerlo sul tetto dell’abitazione, umido per via della pioggia. Sedette tranquillo sul legno scuro e tirò fuori una birra fredda dal sacchetto, aprendola sotto lo sguardo irritato dell’altro.
«Dì al tuo Stand di lasciarmi andare».
Li adocchiò per un attimo: le braccia muscolose di Star Platinum circondavano delicate la vita e le spalle di Noriaki, attento a non farlo scivolare o perdere l’equilibrio. Aveva pensato di prenderlo in braccio, lo ammetteva, ma preferiva non stuzzicarlo oltre e farsi quindi tagliuzzare come un pezzo di salmone per il sashimi da Hierophant Green.
«Hai sempre pessime idee, Jotaro» gli disse mentre, incerto su dove mettere i piedi, si avvicinava.
«Da qui si vedono bene le stelle» ribatté, il mento già all’insù.
Ore prima c’era stato un forte temporale, eppure al tramonto, fortunatamente, le nuvole s’erano diradate abbastanza per mostrare un piccolo spicchio di cielo notturno.
Noriaki mugolò, pareva poco interessato: «Il signor Joestar mi ha riferito che hai smesso d’incontrare la tua psicologa».
«È per questo che sei qui? Ti ha mandato mio nonno?» domandò infastidito.
Quel vecchiaccio si metteva in mezzo anche quando non era necessario.
Gli lanciò un occhiataccia. «Non sono il messaggero di nessuno. Sono venuto qui per capire quanto idiota potesse essere il mio migliore amico, e ti informo che hai superato qualsiasi aspettativa. Complimenti».
Jotaro socchiuse le palpebre, stanco della conversazione.
Aveva già visto Kakyoin arrabbiato, soprattutto nei riguardi di Polnareff, il francese era capace di fargli saltare i nervi con mezza parola, ma era la prima volta che la sua voce appariva così velenosa e sarcastica.
«Quindi cosa vuoi?».
«In questo momento prenderti a pugni» dichiarò, aveva addirittura storto la bocca, tanto da mostrare i denti.
Sorrise malinconico. «Nelle tue condizioni non ci riusciresti».
«Lo so» dichiarò tristemente, la consapevolezza di non essere più gli stessi di quando erano partiti per l’Egitto bruciava nel petto di entrambi.
«Ho capito cosa stai cercando di fare, Jojo. Hai allontanato Polnareff, Abdul, non rispondi nemmeno alle chiamate del signor Joestar e nell’ultimo periodo stai facendo di tutto per infastidirmi...».
Jotaro deglutì, rumoroso, e i pugni ai lati del corpo si strinsero per bloccare il tremore che li aveva colpiti, mentre Kakyoin continuava a parlare: «Vuoi rimanere solo? E non intendo nell’immediato futuro, ma sempre».
«Non farla così drammatica».
«È l’impressione che hai dato».
Jotaro si voltò a guardarlo, cogliendo tutta la sua angoscia, seppur fosse ben nascosta dal viso impassibile e serio. Al che sincero risposte: «Sto cercando di capire me stesso e cosa voglio, ho solo bisogno di tempo per farlo».
«Ed è necessaria questa solitudine auto-imposta?».
«Evidentemente sì, per un po’. In più,» sbuffò divertito «mi pare che tu sia ancora qui».
Kakyoin si premette le dita sulle tempie. «Il tuo orgoglio finirà per uccidermi».
Di nuovo Jotaro si rilassò, i gomiti puntellati sul legno bagnato e lo sguardo rivolto al cielo stellato. «Cosa vuoi faccia per far sì non avvenga?».
«Occupati di te» disse Kakyoin, stendendosi accanto a lui «e dì a Polnareff di smetterla di lagnarsi al telefono con me perché il suo amichetto non gli risponde».
Dal petto di Jotaro si liberò una breve risata e, quando un soffio di vento più forte gli smosse il berretto, confessò calandolo sul viso: «Sai Noriaki, penso di aver freddo».
«Vuoi che ti scaldi?» disse apparentemente innocente, sulle labbra rosate l’accenno d’un sorriso.
Jotaro spalancò le palpebre, incerto sull’aver capito o no tutte le implicazioni di quella domanda; rimase immobile nel momento in cui Kakyoin si sporse, così vicino poteva sentire persino il suo buon profumo.
Ci mise diversi secondi a comprendere cosa stava accadendo, almeno finché la guancia non venne a contatto con il tiepido metallo della lattina di birra, che Noriaki stava premendo contro la sua pelle mentre lo scrutava divertito.
«Bevi, Kujo, l’alcool ti scalderà».
La afferrò, voltò il viso dall’altra parte e lasciò al cappello il compito di coprire il velo d’imbarazzo che gli aveva imporporato gli zigomi.
«Yare, yare...».

Angolo autrice:
Siamo al mese del compleanno di Jotaro, o meglio ormai è quasi finito, ma mi sembrava carino scrivere qualcosina su di lui, o meglio loro ^^
Vi ringrazio per la lettura <3

   
 
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