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Autore: VenoM_S    12/02/2019    1 recensioni
Una ragazza la cui vita sta per essere stravolta da poche parole, da una cerimonia.
Secondo il popolo è quasi una prescelta, ma il suo cuore e la sua mente non fanno che urlare il contrario.
Nessuno, però, li sentirà.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al "COWT" di Lande di Fandom!
Settimana: prima
Missione: M3
Prompt: Cerimonia
N° parole: 1382 

Loro non sanno
 

È una splendida mattina, a giudicare da quel poco che posso scorgere dalle pesanti tende tirate sulle finestre. Rondini e fringuelli allietano il mio risveglio con frullar d’ali e cinguettii intonati.
Ma loro non sanno.

Un nugolo di ancelle spunta da dietro la pesante porta di legno scuro, avvicinandosi al letto quasi all’unisono. Due di loro si voltano poi repentine, dirigendosi alle finestre per cambiare l’aria. Le tende verde scuro vengono tirate di lato e la calda luce del sole invade la stanza - la mia stanza - mentre mi alzo dal letto. Avrei voluto sentire il freddo pavimento sotto le piante dei piedi, per poter dire con certezza che sia tutto reale, per poter sentire qualcosa, ma le puntualissime ancelle mi hanno già anticipato e mi ritrovo invece avvolta nelle mie morbide ciabattine di raso.

Mie.

Assaporo quella parola nella mente, cercando in qualche modo di iniziare ad assimilarla, a renderla normale. Con fatica.
Un turbinio di stoffe e vesti intricate prende a danzarmi intorno, mentre le ancelle procedono alla mia vestizione. Non sono mai stata vestita da nessuno e inizio a sentirmi quasi stupida mentre incespico tra le stecche della gonna ampia, perdo quasi il respiro quando mi stringono il corsetto con forza. Mi ritrovo a cercare smarrita lo sguardo di almeno una di quelle ragazze per un po’ di conforto, magari un timido sorriso o uno sguardo che mi indichi cosa fare, o cosa dire.
Niente. Sono tutte chine, preoccupate solo di agire in fretta rispettando i tempi convenuti per questa giornata, per questa cerimonia.
Loro non sanno.
Mi siedo davanti ad un raffinato mobiletto di legno per la toletta, dal corpo scuro come la porta d’ingresso della stanza ed impreziosito da un piano di candido marmo, in cui è scavata una bacinella per l’acqua. Mi lavo il viso e le mani, e finalmente l’acqua fredda mi scuote dal torpore. Finalmente qualcosa.

Vengo accuratamente preparata, pettinata, i miei lunghi capelli sono intrecciati ed acconciati in una forma complessa. Una ragazza si premura di accentuare ancora di più il colore già di per sé diafano della mia pelle con un grosso piumino morbido, lasciando spazio e risalto al blu intenso dei miei occhi. Giri su giri di perle mi intrappolano il collo, ed io mi sento rabbrividire al contatto con ognuna di quelle sfere, tanto gelide quanto perfette.
Ma non mi muovo, non parlo mai.
Ascolto, penso ed ascolto i flebili rumori che provengono da fuori. Fuori.

Torno indietro, ad un tempo così vicino eppure così incommensurabilmente lontano. Penso alle lunghe distese dorate dei campi, al grano che sta via via crescendo. Mi immagino bambina, mentre corro tra quelle spighe sottili che mi solleticano il viso. Tra poche settimane sarebbe iniziata la raccolta, ma questa volta non mi sarei rimboccata le maniche insieme ai miei cari.
Penso alla mia casa, così piccola e semplice nelle sue assi di legno, nella sua unica stanza comune che fungeva da cucina, sala da pranzo e camera da letto per la nostra piccola famiglia, che nulla aveva a che vedere con l’immensa costruzione in cui mi trovavo adesso. Penso a mio padre che intagliava statuine da scarti di legname, a mia madre che rimestava nella grande pentola sul camino, il viso lucido per il calore ed i capelli biondi quanto i miei. Quella era Casa.
Ma da oggi, non più.

La porta scura si apre di nuovo facendomi sobbalzare sulla sedia. Quattro guardie bardate nelle loro armature tirate perfettamente a lucido mi fanno cenno di seguirle, accompagnandomi lungo quell’intricato labirinto di corridoi, stanze e giardini interni che costituiscono il castello. Costretta al centro di quelle quattro figure, mi guardo di nuovo intorno per cogliere qualche rumore, per distrarre i miei pensieri.
Nessuno però parla, o ride. Sento gli sguardi di tutti addosso e l’unica cosa che riesco a provare è imbarazzo.

Usciamo, il Giardino d’Ingresso si apre dinnanzi a noi, magnifico come la prima volta che l’avevo visto. Di un verde intenso, quasi irreale, picchiettato d’aiuole ricolme di fiori dei colori più disparati, fontane e statue di purissimo marmo. Tutto maniacalmente curato, eppure finalmente sento di percepire qualcosa di vivo. Inspiro profondamente, lascio che il profumo misto di quelle centinaia, forse migliaia, di corolle entri nei miei polmoni senza che io riesca a distinguerne la provenienza - rose? viole? tulipani? -  lascio che i miei occhi seguano due rondini che, a turno, scendono in picchiata per bere al volo da una piccola fontana.
Questo, forse, posso sentirlo mio.

Vengo quasi spinta nella carrozza, sto facendo tardi. Le guardie ormai impazienti non mi degnano della minima attenzione, mi sento quasi alla stregua di un baule di biancheria, di un bagaglio da portare a destinazione.
Loro non sanno.
Il viaggio è breve, troppo, ed io mi soffermo ad osservare le vie lastricate che scorrono sotto le ruote, le case susseguirsi veloci e la città svegliarsi. Si percepisce l’aria di festa, vedo ovunque le bandiere con i colori del Regno sventolare sulle finestre, o attaccate a lunghe corde all’ingresso e all’uscita dei ponti. Coriandoli di vari colori, ormai slavati e sporchi per il calpestìo di troppe persone ricoprono le strade, a testimonianza della grande festa che si è tenuta la sera prima in città.

⟪Il Re si sposa, il Regno avrà una Regina. È bellissima, lo sai?⟫

E d’un tratto la Cattedrale si staglia immensa davanti a me, sopra di me. Le guglie appuntite mi incutono timore, non riesco a non immaginarla come una grossa creatura di pietra e legno che sta per inghiottirmi. La folla si sta già radunando per entrare dalle piccole porticine laterali, accalcati in una fila scomposta, spintonandosi per riuscire a raggiungere un posto il più avanti possibile, per assistere a questo lieto e meraviglioso evento, il primo matrimonio dalla formazione di questo Regno neonato.
Anche loro, non sanno.

Ed eccomi, a percorrere la lunga navata, nessuno al mio fianco, bellissima e perfetta come mai sono stata prima d’oggi, il meraviglioso vestito avorio e blu che ondeggia ad ogni mio passo, il corpetto ricoperto di pizzo e brillanti luccica alla luce delle enormi vetrate a mosaico. I capelli intrecciati stanno iniziando a tirarmi la cute, provo fastidio, caldo, fatica per il peso immenso di tutti quegli strati, quelle stecche. Ma non lo do a vedere, non posso farlo.
Ed eccolo, Lui, già in attesa di fronte all’altare, in un meraviglioso abito cui il mio si abbina alla perfezione, ma confezionato in modo da risaltare maggiormente. Potrei sicuramente dire che sia bello, un uomo alto dai capelli bruni e dall’aspetto austero ed impenetrabile, gli occhi verdi che mi guardano senza vedermi davvero.
Questo è l’uomo che mi ruberà al mondo. Lui sa.
Mi ha scelta con un semplice gesto della mano, come si farebbe con un cavallo al mercato cittadino.

⟪Lei è sicuramente la ragazza più bella che abbia mai visto in questo Regno, per questo voglio che diventi la mia Regina. Portatela al castello, vestitela e preparatela⟫

Ho lasciato la mia famiglia senza concedermi il privilegio di un saluto, di un addio. Tutti pensano che io sia fortunata. Prescelta. Miracolata, quasi, da quest’uomo che ha scelto una comune cittadina come consorte.
Ma no, io no.
Verrò privata della mia essenza, costretta a nascondermi sotto una maschera di cera, o di marmo come quelle statue nel Giardino d’Ingresso del palazzo. E non ho scampo.
Il Cardinale intanto parla, benedice, congiunge due anime e due corpi sconosciuti per l’eternità mentre io non riesco ad ascoltare, a tenere il tempo delle litanie. Lui posa la sua mano sulla mia, fredda, e perdo un battito tornando alla realtà mentre cerco nei suoi occhi un po’ di dolcezza, un accenno di un sorriso che però non arriva.

⟪Per i poteri che mi sono stati donati..⟫

Inizio a pregare quel Dio che lui rappresenta di fermarlo, fermare tutto, far sparire tutta quella folla che mi guarda con adorazione, invidia, curiosità. Ma c’è solo il silenzio ad accompagnarmi.

⟪Dichiaro questa donna tua sposa, e così Regina.⟫

La città esplode in grida di giubilo mentre una piccola tiara d’argento viene posta sulla mia testa, mentre mi volto verso l’uscita ed inizio a camminare di fianco al mio consorte che finalmente concede un sorriso ai suoi sudditi, mentre li guarda compiacendosi della loro reazione.
Io, invece, muoio.
Loro non sanno.
Nessuno saprà.

 
  
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