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Autore: PandorasBox    12/02/2019    2 recensioni
Tutta la tensione che sente nelle vene non ha senso, le persone a cui vuole rivolgersi capiranno comunque, non è lì per vincere o sentirsi dire bravo.
Cerca di convincersi che è solo adrenalina da palco, niente di cui preoccuparsi davvero, forse deve solo riprenderci mano.
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«Canti meglio di come parli. » è la prima cosa che ricorda, il ghigno del tizio col collo tatuato mentre scende le scalette, quel paio di occhi azzurri che lo segue mentre si allontana.
La prima volta in cui lo vede, sì, pensa proprio che sia uno stronzo.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Adam Parrish, Blue Sargent, Richard Campbell Gansey III, Ronan Lynch
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La storia partecipa al CoWT 9, missione 1: TENSIONE.





 

La prima volta che l’ho visto ha pensato che fosse un testa di cazzo

 

Venti anni, quattro traslochi, un buon numero di notti insonni e otto stesure diverse: questo è quel che è servito per avere quella canzone, quel microfono tra le mani.

Otto anni per una manciata di parole scarabocchiate sotto ad un pentagramma su cui riposano note altrettanto scarabocchiate, esili omini dalla testa nera, sempre alta -- hanno qualcosa in comune, lui e quelle note, forse doveva solo arrivare al momento in cui le avrebbe scritte per bene.

Venti anni, quattro traslochi, un buon numero di notti insonni e quella, l’ottava, non può che essere la stesura giusta. Perché non sente di poter aggiungere altro, non pensa di poter usare parole migliori per raccontare quel che non ha mai voluto raccontare perché lui è molto di più.

È tanto più di quella generalizzazione in cui vogliono rinchiuderlo.

«Se quest’intervista è per parlare delle mie labbra spaccate o del grasso che avevo sotto le dita a quindici anni, per quanto mi riguarda può finire qui.» aveva detto appena un paio di settimane prima durante l’ennesima intervista, sorbendosi scuse infinite da parte della conduttrice ed una baraonda di post sui social, titoli scomodi su quotidiani che neanche legge.

L’ira di Blue.

Deve essere difficile curare le sue pubbliche relazioni.

Lui, però, è lì per parlare di quella canzone che è nata dopo vent’anni di mal di stomaco e ricordi scomodi, muscoli tesi e parole che si sono scocciate di essere mormorate.

È lì per parlare di un passato che continua a definirlo nonostante se lo sia lasciato dietro da così tanto tempo, per mostrare che può esserci qualcosa in un futuro non obbligatoriamente lontano.

« Ma quindi, Adam, dicci: quanto la tua vita ha influito sulla tua produzione? »

« Quanto c’è di autobiografico nelle tue canzoni, Adam? »  

« Non pensi che sia facile fare successo con canzoni così? »  

« Quanto c’è di vero in quel che canti? »

Odia ogni singola domanda dei giornalisti.

Su quel palco, in quel preciso istante, non esiste la stampa, le domande dei conduttori, ché lui non è lì per parlare con loro.

Tutta la tensione che sente nelle vene non ha senso, le persone a cui vuole rivolgersi capiranno comunque, non è lì per vincere o sentirsi dire bravo.

Cerca di convincersi che è solo adrenalina da palco, niente di cui preoccuparsi davvero, forse deve solo riprenderci mano.

Sapeva sarebbe stato difficile, dopotutto.

«È un atto catartico, lo faccio per me, non ho intenzione di vincere.»  aveva detto, sei mesi prima, e Gansey, con la chitarra già in braccio, aveva solo stretto le labbra, aveva aggiunto un veloce “Solo se ne sei sicuro”, s’era fatto bastare il suo silenzio come conferma.

Adam non ne era sicuro, non lo è tutt’ora, ancora una volta si chiede se non sarebbe stato meglio passare quella canzone a qualcun altro, sentire qualcun altro dar voce alle sue parole e non sentire le spalle tese e l’aria elettrica tutto intorno a lui.

« Questa non puoi cantarla che tu, l’hai scritta perché sia impossibile per chiunque altro. » Blue era stata implacabile ed Adam non aveva davvero insistito: vuole tornare a cantare, vuole smettere di scrivere per gli altri, ora che sa che può farlo non vuole smettere ma è difficile farlo davanti a tutti.

Sente nella cuffietta il metronomo scandire il tempo per l’attacco, sa che, non appena arriverà al battere, sarà tutto vero.

Dopo quasi otto anni, con un orecchio in meno, a sentire di nuovo la tensione e l’adrenalina che ti fanno tenere le spalle dritte.

Non credeva sarebbe riuscito a sentirsi di nuovo vivo, posare la penna e riprendere il microfono per qualcosa di diverso che un paio di demo da mandare a questo o quel cantante.

Chiude gli occhi.

Arriva il battere.


«Canti meglio di come parli. » è la prima cosa che ricorda, il ghigno del tizio col collo tatuato mentre scende le scalette, quel paio di occhi azzurri che lo segue mentre si allontana.

La prima volta in cui lo vede, sì, pensa proprio che sia uno stronzo.

   
 
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