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Autore: Le VAMP    13/02/2019    1 recensioni
Pidìppa, Didìppa o che si dir voglia –si faceva chiamar così in amicizia–, era una giovane estremamente accidiosa.
A voi che apprezzate le storie: le dicerie narrano di come si sia ritrovata per sempre dormiente nel suo stesso letto.
Benvenuti a Strampalandia!
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Peccato d’accidia

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Mi sia permesso di consigliare questo bel brano per accompagnar il vostro sguardo; vi ospiteremo come degni gentiluomini e gentildonne fanno.
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Pidìppa, Didìppa o che si dir voglia –si faceva chiamar così in amicizia–, era una giovane estremamente accidiosa.
Ogni qual volta poteva evitare di tirare le tende ed alzarsi non si azzardava a muovere un solo muscolo, delle volte la pigrizia vinceva pur nel semplice rigirarsi nel letto per cambiare posizione.

I gentili lettori potranno aver compreso almeno una volta quel bel torpore che forse qualcuno potrebbe aver dimenticato: quando si pensava ai soli giuochi, o quando fra una fuga e l’altra capita di trovar quella comoda panchina su cui riposare e attendere e sperare che passino le ore dimenticandosi di esistere; quelle erano sensazioni che quella indolente ragazza auspicava a provare, e le avrebbe volute provare in eterno.  

Però non fu sempre così: qualcuno dice ch’ella fu costretta a desiderarlo. Sì, si dice di averla vista in un giorno particolare che era accaduto qualcosa nella sua casetta di paglia e legno rosso.

Certo, come ogni buon narratore sarà allora mio compito dirvi di quest’altre voci!

Ecco cosa si racconta.

Anni or sono, forse ormai sarann passati secoli, tendeva a riempire di vita ogni istante della propria giornata, e guai erano se quegli istanti non venivano rispettati: puliva i diamanti all’alba che giungeva, tingeva le tende di casa ogni dì, nutriva i polli, allenava destrieri, si assicurava che ciascun pesce rosso dell’acquario avesse il proprio chicco di mangime, sgrassava il sangue dalle bacinelle del ripostiglio che sembrava riformarsi ogni notte, appuntava ogni cosa, riaggiornava più volte la sua agenda, e venerava l’orologio che teneva al polso come suo unico dio.

Grossi, terribili guai.
Ogni cosa necessitava un suo posto perché se mai un pesce fosse dovuto morire o un cavallo fuggire, o una ciotola sporca, o una tenda fuori posto, o un diamante sporco, o una bacinella non ripulita dal sangue, non solo lei, ma loro l’avrebbero saputo!

Una mattina però era accaduto qualcosa: appena svegliata non trovò lo straccio per pulire, lo cercò ovunque. Provò ad allontanarsi dalla casetta, ma non riuscì proprio a capire dove fosse.
Tornò a casa, e vide i pesci morti. Stette ferma a fissarli per circa due ore –contò meticolosa i minuti facendo differenze di tempi grazie al suo piccolo orologio–, poi con grande grazia afferrò la vasca e la gettò a terra. Ora tutto il pavimento era pieno d’acqua: quando il sole sarebbe giunto in alto a mezzogiorno avrebbe asciugato tutto ed il pavimento avrebbe brillato.
Sorrise soddisfatta, ed andò ad occuparsi dei cavalli.
Se ne stette impalata ancora una volta, perché c’era qualcos’altro di diverso quel giorno: uno dei box era vuoto, lo sportello aperto.

Il destriero, quello bianco, più bello, doveva essere fuggito.

Fissò per un po’, poi guardò l’orologio che aveva al polso e fece spallucce: si accinse a liberarne un altro da domare.
Il bel cavallo nero però sembrò non voler collaborare. Al momento di prenderlo con sé, mentre ella tirava la corda si fu vista spinta a terra giù: la bestiola si era innervosita e, levandosi quasi per aria tanto era maestoso, le mollò un calcio alle spalle.

Le facevano male ora.
A terra, prese ancora qualche minuto per comprendere di che colore fosse il fango, attese che le spalle smettessero di dolerle.

Si mise seduta, osservò l’animale rimanere immobile e fissarla.
Lei lo fissava. Egli la fissava.
Non c’era nessuno all’infuori della giovane e del cavallo.

Infine Pidippa si alzò e se ne andò, massaggiandosi le anche.

Tornata a casa vide il pavimento che frattanto si era asciugato. Andava bene così. Pidippa non aveva nemmeno voglia di sgrassare le bacinelle: tanto si sarebbero rincrostate l’indomani di sangue.

Si guardò il polso, ma dell’orologio non c’era più traccia. Probabilmente doveva esserle scivolato quando era caduta.
Stette per un po’ a osservare il muro, seduta al tavolo, si accorse di non aver più tempo da donare. Provò allora costruire un castello di carte, un mazzo che teneva conservato in un cassetto pieno di polvere.
Stette fino a sera a costruirlo, ma questo crollò. Da qualche parte si sentiva una risata –doveva provenire fuori dalla finestra–.

Si, più in là c’era un monello che ora era fuggito, ben attento ad evitare di schiacciare il cadavere della mucca.

Da quando quel giorno andò a dormire, si dice non si sia più voluta alzare. E si pensa addirittura che non l’abbia mai fatto!
Chissà quali odori ospiterà quella casa. Vi sconsiglio di visitarla! È vomitevole, monsignori.  

E questo era quanto da dire su Pidìppa, amabile e indolente contadinella di Strampalandia!
 

   
 
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