Ti porto via

Non è facile lasciarti lì dentro, ogni maledetta domenica. Sapere che per rivederti dovrò aspettare un altro mese, perché i miei non mi permettono di venire più spesso.

I pomeriggi insieme scorrono come quei vecchi film accelerati, troppo densi, troppo rapidi. Mi nutro delle tue espressioni – sono una miriade, tutte diverse – e le tue risate di ragazza-bambina sembrano riempire i miei vuoti interstiziali, ma è tutto effimero: quando non ci sei mi divorano il nulla e la rabbia.

Non te lo dico – ti risentiresti – ma sovente non ti ascolto quando parli. Seguo l'andamento del tuo cicaleccio e osservo la tua reazione quando attendi una risposta che non arriva: mi guardi e poi ti riscuoti, frullando le spalle come ali. Non ti ascolto perché mi fa più male che bene: se vedo il futuro secondo i tuoi occhi mi sembra di avere potere sui sogni, di poterli costringere a terra con facilità. Invece dovrò combattere, affilare unghie, denti e cuore.

Si accorgeranno che non rinuncio, che non so dimenticare né perdonare.

Lasci sempre a me il compito di dire «È ora di tornare» e quando lo faccio diventi grigia come il cielo di questa città umida e spenta. Taci mentre usciamo dal parco e percorriamo il viale ed è l'unico momento in cui vorrei saper dire qualcosa di futile.

Quando varchi la cancellata ti vedo esitare, ogni volta. Ci siamo già salutati, ma so che farai cinque passi, ti volterai e tornerai indietro. Tra il quarto e il quinto passo serro il cancello ma resto lì aggrappato, ad attendere che le tue dita si intreccino alle mie.

Brucia, brucia tutto il resto a quel contatto, l'unico che ti concedo. Bruciano le ragazze del tuo collegio che sghignazzano alla finestra e ti tormenteranno con le loro velenosità, brucia la donna che attende alla porta e con materna ragionevolezza ti tiene lontana da me, brucia la mia famiglia che ha preferito condannarti alla solitudine piuttosto che prendersi carico della bambina dei vicini diventata orfana. Divampa il rancore per lo sguardo di scherno di chi mi disse «Affidarla... a te?» e la collera per il mio sentirmi troppo giovane, inadeguato, ancora incapace di assicurarmi di che vivere, infine incapace di esprimere a parole, e di sostenere contro gli altri, quello che a te basta uno sguardo per comprendere.

Che sei la cosa più importante per me.

Che io non ti dimentico.

Stringi forte la mano e alzi lo sguardo, fragile e tenace come un fiore di campo.

«Ciao Sesshomaru. Torna presto a trovarmi!» Con un sorriso seppellisci la sofferenza dove non la possa vedere.

Sciolgo il nodo delle dita e rinsaldo la promessa.

«Torno e ti porto via.»



 

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Bentrovati!

Questo brano partecipa al secondo turno del contest “Gara di Flash San Valentino 2019” indetto dal gruppo Takahashi fanfiction Italia.

Il promp assegnato alla seconda sfida è l'immagine che avete trovato alla fine del testo.

Come la precedente, questa storia mi ha riempita e svuotata: dover comprimere le emozioni in poche parole mi mette in uno stato di percezioni alterate, le sensazioni deflagrano e lasciano indietro solo un rimbombo. L'ho scritta di getto, rileggerla domani mi costringerebbe a tornare in luoghi della mente che si visitano solo di notte, quindi la pubblico così com'è.

Vi ringrazio. Abbiate pazienza se vi ammorbo ancora con Rin e Sesshoumaru, ma su questi due riempirei pagine e pagine di incipit.

Baci, belle e belli di notte.

Vostra elerim