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Autore: Amy W Gildeary    13/02/2019    2 recensioni
Il conte Girolamo Riario una volta disse: «Quando si deve trasmettere un messaggio, preferisco servirmi di mezzi che gli altri non userebbero».
Una donna, ad esempio.
E se papa Sisto IV non avesse avuto un figlio, ma una figlia?
E se il bellicoso Santo Padre avesse deciso di sfruttarla come arma per i suoi subdoli piani, approfittando dell'effetto sorpresa?
Cosa sarebbe successo se avesse avuto lei il compito di attaccare Firenze e di ottenere i servigi del geniale artista Leonardo da Vinci?
-
«Sapete chi sono?», domandò la giovane donna, chinando di poco la testa di lato; la voce morbida e vellutata, senza alcuna traccia di turbamento. «Sono Gemma Riario. Contessa di Imola, guida della Santa Romana Chiesa e nipote di Sua Santità, papa Sisto IV».
[...]
«Sì, lo so», commentò la contessa, con un sospiro annoiato. «Rimangono tutti sempre molto sorpresi di vedere una donna», continuò, con una naturalezza e una tranquillità a dir poco disarmanti, ben poco appropriati al contesto. «Volevano un figlio maschio. Lo avrebbero chiamato Girolamo. Ma poi sono arrivata io».
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leonardo da Vinci, Nico, Nuovo personaggio, Zoroastro
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender
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Il Gioiello del Vaticano
Capitolo 12 - La Forza

 

 

 

Nei Tarocchi, la carta della Forza emana energia interiore, psichica. Ciò che si scatena nel corpo fisico può essere domato. Si uniscono sentimenti e ragione per imbrigliare l’istinto. È intelligenza che sottomette la brutalità. Indica il coraggio tranquillo, la forza spirituale e morale, il controllo. La forza d’animo viene espressa con attività ragionevole.
Al negativo, però, può indicare un eccesso di temerarietà, collera incontrollata. Può significare crudeltà e insensibilità.

 

 

 

La risata soddisfatta di Leonardo risuonò per tutto il corridoio, sotto lo sguardo confuso e perplesso di Nico. Il povero apprendista riuscì a malapena ad annuire, mentre il suo maestro gli spiegava tutti i simboli contenuti nel ritratto di Cosimo de’ Medici, fino ad arrivare alla sua teoria: il Mago altro non era che un Figlio di Mitra, ed ogni dettaglio di quel quadro riprendeva l’invocazione tipica dell’ordine.

            «Sono figlio della terra e del cielo stellato. Di sete son arso. Vi prego, fate che io mi disseti alla fontana della memoria».

Leonardo rise di nuovo soddisfatto, mentre si passava le mani tra i capelli e fissava il dipinto come se avesse appena trovato le risposte a tutte le sue domande.

            «Sembra che tutte le mie ricerche convergano. È… è quasi… una ragnatela immensa, un merletto filato con perizia, talmente vasta e antica che sto cominciando solo ora ad afferrarne il fine», ragionò l’artista ad alta voce, mentre spostava lo sguardo sul ritratto del Magnifico. «Ho… ho dato prova di chi io sia, a Lorenzo, guadagnando la sua fiducia. È ora che lui mi ripaghi il favore», proseguì, più serio.

            «Facendo cosa?», chiese Nico, che intanto doveva ancora elaborare tutte quelle informazioni.

            «Finanziando una spedizione, nella terra indicata sulla mappa dell’ebreo. Con una nave e provviste per il viaggio», rispose da Vinci, con risolutezza. «La Volta Celeste è di certo là fuori, Nico, con il Libro delle Lamine e la conoscenza in esso contenuta. Sento già che mi sta chiamando. E sarà proprio il Mago a condurmici», e mentre lo diceva, corse ad abbracciare il suo apprendista, tanto era preso dall’entusiasmo.

            «Dovremmo parlare con il Magnifico, allora», gli consigliò Nico, ricordandosi solo in quel momento della festa organizzata in onore di Leonardo.

            «Certo, certo», rispose l’artista poco attento, osservando il quadro. «Tu… tu vai pure, io arrivo tra poco», aggiunse, dandogli una pacca sulla spalla.

Il biondino sorrise e si allontanò verso la sala dei ricevimenti, in cui già molti ospiti erano arrivati e aspettavano solamente l’ospite d’onore. Leonardo però preferì rimandare ancora un po’ il suo ingresso alla festa, la sua mente già lontana ad immaginare il viaggio che avrebbe potuto intraprendere.

Era totalmente concentrato ad ammirare il ritratto, quando sentì dei passi lenti e calcolati alle sue spalle, e pensò che qualcuno fosse stato inviato da Lorenzo per trovarlo e portarlo di peso alla celebrazione.

            «Solo un momento, per favore», disse, senza nemmeno voltarsi o distogliere l’attenzione dal quadro.

            «Stavo per chiedervi lo stesso, artista», e Leonardo sbarrò gli occhi all’istante, riconoscendo la voce alle sue spalle.

Lentamente, lasciò cadere l’attenzione per il dipinto e si voltò, trovando la contessa di fronte a sé.

            «Sicuramente omettendo il Per favore, ma la richiesta sarebbe stata la stessa», precisò Gemma, con un sorriso soddisfatto dei suoi.

Leonardo però a malapena la sentì, mentre il suo sguardo la percorreva dalla testa ai piedi. Era a dir poco frustrante come la sua attenzione evaporasse all’istante ogni volta che si incontravano, ma quanto più lui si riprometteva di sviluppare una sorta di immunità nei confronti del suo fascino, tanto più lei si impegnava a distruggere anche la sua più piccola sicurezza.

E se l’aspetto e le provocazioni non bastavano, sicuramente Gemma sapeva come valorizzare al meglio anche il suo corpo.

L’abito che indossava, di un lucido e brillante velluto viola, fasciava ogni centimetro del suo corpo, sottolineando ancora una volta le sue indiscusse doti come guerriera e come i suoi costanti allenamenti la mantenessero in splendida forma.

Il corpetto era succinto ed aderente, fin troppo succinto ed aderente per l’autocontrollo di Leonardo, per nulla aiutato dalla luccicante scollatura, squadrata e tempestata di piccole e luccicanti pietre preziose. La silhouette del vestito le sottolineava il punto vita, avvolto da una fascia anch’essa tempestata di gemme, e seguiva da una gonna morbida e sinuosa.

Allo stesso modo, le maniche erano aderenti dalle spalle ai gomiti, per poi scendere dolci e drappeggiate fino ai polsi. Altrettanto soffici e liberi da costrizioni erano i capelli, acconciati in morbidi e delicati boccoli, appena appena raccolti all’altezza delle tempie, mettendole in risalto il viso e, soprattutto, il trucco degli occhi, leggermente più scuro e marcato del solito. Come se i suoi sguardi non fossero già sufficientemente magnetici.

Leonardo nemmeno si sforzò di interrompere quel silenzio, poco lusinghiero per la sua arroganza, ma sapeva già in partenza che i suoi tentativi di articolare qualche parola sarebbero andati a vuoto.

            «Vedo che nemmeno tentate di opporvi a questo colloquio», commentò Gemma, congiungendo le mani davanti a sé, all’altezza della vita. «Né prestate troppa importanza ad un eventuale ritardo alla festa organizzata in vostro onore».

Prima di ribattere, Leonardo dovette ricorrere ad uno sforzo notevole per recuperare saliva e deglutire, altrimenti quelle che avrebbero voluto essere parole si sarebbero trasformate in mugolii indefiniti.

            «Lorenzo può aspettare», mormorò, sorprendendo addirittura sé stesso per essere riuscito a risponderle.

La vide sorridere soddisfatta e chinare di poco la testa di lato, prima di mordersi il labbro inferiore. E così facendo, distrusse un altro po’ del suo già scarso autocontrollo.

            «Ottimo», mormorò Gemma. «Volete seguirmi?», lo invitò, indicando con un cenno del capo il proseguire del corridoio dei ritratti di famiglia.

Da Vinci nemmeno si sforzò di assecondarla a parole, semplicemente la raggiunse in pochi passi, e la contessa si incamminò lentamente lungo ­­la balaustra.

            «Ho notato che il Magnifico ha particolarmente a cuore questa manifestazione della sua gratitudine nei vostri confronti», esordì Gemma, sciogliendo le sue mani intrecciate solo per congiungerle dietro la schiena, assumendo così una postura estremamente elegante e regale.

L’artista a malapena la sentì: il suo sguardo scivolò lentamente sulla scollatura del vestito e, soprattutto, lungo la linea del collo. Non poté nulla contro i ricordi dell’altra notte, del loro piccolo scontro lungo le vie fiorentine e della sensazione di avere i loro corpi l’uno a contratto con l’altro, senza alcuna distanza.

Aveva dovuto faticare parecchio per scoprire anche un solo lembo di pelle, nascosta sotto la sciarpa e il colletto della camicia, mentre in quel momento ogni barriera era sparita, e Leonardo iniziava a chiedersi se fosse in grado di resistere ad una simile tentazione.

            «Come noto che, al momento, non mi state nemmeno ascoltando», proseguì la giovane donna, scoccandogli un’occhiataccia di rimprovero.

Era più che temprata ad affrontare qualsiasi impedimento, ma la mancanza di attenzione da parte del suo interlocutore era ancora qualcosa che riusciva ad irritarla parecchio.

            «Colpevole», ammise lui, alzando le braccia in segno di resa.

            «Non credete che io meriti la vostra attenzione, Messere?», domandò Gemma, ma più che una domanda suonava proprio come una minaccia.

            «Oh, vi posso giurare che al momento avete la mia completa attenzione», mormorò Leonardo, la voce bassa e roca mentre il suo sguardo la percorreva da capo a piedi per l’ennesima volta.

            «Mi fa piacere saperlo», rispose la giovane Riario, continuando lentamente a camminare. «In tal modo, il nostro incontro procederà senza difficoltà».

            «E quale sarebbe lo scopo di questo incontro, contessa?», domandò Leonardo, avvicinandosi notevolmente al viso di Gemma, in modo da poterle sussurrare quella domanda all’orecchio.

Con una punta di sorpresa, ma senza intaccare il suo atteggiamento sicuro e controllato, la nobildonna interruppe il proprio cammino e si voltò verso l’artista, in modo da poterlo guardare dritto negli occhi.

            «Avervi», rispose semplicemente, con una risolutezza a dir poco disarmante. E a Leonardo si bloccò il respiro in gola.

In un’altra situazione, liberi dai loro ruoli e della loro avversità, probabilmente da Vinci non avrebbe esitato a mandare tutto al diavolo e a cedere, soprattutto di fronte a colei che, ultimamente, rappresentava una delle sue più grandi ossessioni.

Eppure, per qualche misterioso motivo, si ricordò che la contessa Riario era dannatamente brava a manipolare le persone, e altrettanto brava a mantenere l’attenzione sui suoi obiettivi. E, sfortunatamente per lui, ciò a cui lei ambiva era sottometterlo per raggiungere la Volta Celeste e il Libro delle Lamine.

Nonostante tutto, pensarlo non riuscì completamente ad inibirlo, e il suo corpo agì di vita propria, avvicinandosi di qualche passo a Gemma e facendola così indietreggiare verso il parapetto del corridoio.

            «E come pensate di avermi, contessa?», mormorò lui, con una punta di malizia e il suo caratteristico sorrisetto da schiaffi.

Leonardo non si sorprese di vederla comunque calma e rilassata, come ormai in tanti altri loro incontri, ma ancora non aveva rinunciato a tentare di destabilizzarla come lei faceva con lui ogni singola volta.

            «Sono certa di essere in grado di persuadervi», rispose Gemma, anch’ella con la voce ridotta ad un sussurro, e un brivido di soddisfazione le percorse la schiena vedendo l’artista tremare appena, combattuto tra la tentazione di cedere e il buon senso.

            «In questo caso, vi conviene cominciare subito», la incoraggiò da Vinci, con un ulteriore passo avanti, facendo arrivare la contessa con la schiena appoggiata alla balaustra.

Per quanto tentata di prolungare ulteriormente quel loro, ormai tipico, gioco di provocazioni e velate allusioni, Gemma ricordò il vero motivo che l’aveva spinta a presentarsi lì, e decise di accantonare momentaneamente quell’aspetto giocoso per ritornare a questioni più serie.

            «Mentireste dicendomi di aver sempre avuto l'appoggio che i Medici vi stanno dimostrando stasera, e solo per celebrare una vittoria a loro favorevole invece della vostra genialità», iniziò lei, e il leggero indurirsi nei lineamenti di Leonardo le bastò come conferma di aver colpito nel punto giusto. «Ma posso assicurarvi che, seguendomi, riceverete tutto il supporto e le attenzioni che meritate». ­­­­­

Una punta di delusione intaccò il classico sorrisetto arrogante e presuntuoso dell’artista, capendo che dietro ad ogni loro incontro c’era sempre e comunque lo zampino del Vaticano e della missione affidatale da papa Sisto, ma innegabilmente una seconda motivazione stava amplificando quell’amarezza: la consapevolezza che Gemma aveva ragione, che i Medici non si erano dimostrati mai totalmente entusiasti del suo lavoro come ingegnere militare, e che quel fervore era nato solo dopo la vittoria di Firenze su Roma.

La contessa notò immediatamente quell’ombra nello sguardo dell’artista, e ne approfittò per calcare la mano e proseguire.

            «Risorse, fondi, manodopera… Concedeteci la vostra collaborazione, e potrete avere qualsiasi cosa desideriate», mormorò lei, concludendo la frase con un sorriso malizioso.

            «Qualsiasi?», ripeté Leonardo, mentre il suo sguardo le percorreva il viso, soffermandosi inevitabilmente sulle labbra.

            «Qualsiasi», confermò Gemma, le parole ridotte a un sussurro caldo e vellutato.

Lo vide chiaramente combattuto tra la tentazione di rifiutare la sua offerta a prescindere, per la sua fedeltà verso Firenze, e quella di pensare solo a sé stesso e seguire la via più facile. Perché era vero, e lo sapevano entrambi: accettare l’offerta del Vaticano avrebbe ridotto drasticamente i tempi necessari a preparare il viaggio, ma significava anche tradire la fiducia di Lorenzo, dopo tutti i suoi sforzi per conquistarla.

            «Vi basta condividere con noi le informazioni in vostro possesso, e da quel momento non dovrete fare altro che chiedere per avere», proseguì la contessa, inclinando di poco la testa di lato, e a Leonardo bastò uno dei suoi sguardi per sentirsi completamente stordito.

Suo malgrado, l’espressione dell’artista si fece improvvisamente interessata, ma che lo fosse nei confronti di quell’offerta o della persona che la stava proponendo, ancora non lo sapeva.

Gemma intrepretò quella mossa come una reazione positiva, e il suo sorrisetto si fece soddisfatto.

            «Dunque siete disposto ad accettare e a seguirmi senza alcuna esitazione? Ad assecondare ogni mia richiesta?», chiese lei, alla ricerca di una conferma definitiva per sigillare l’accordo.

Nonostante Leonardo sapesse benissimo che quella domanda era riferita alla sua collaborazione con il Vaticano, si ritrovò incapace di ragionare lucidamente, e le parole successive lasciarono le sue labbra troppo in fretta per essere fermate.

            «Per voi farei questo e altro», le rispose, la voce ridotta ad un sussurro e lo sguardo che scivolava lentamente lungo tutto il suo corpo.

            «Esattamente quello che desideravo», mormorò la giovane Riario, in un sospiro che mise a dura prova la concentrazione dell’artista.

Talmente tanto che Leonardo non riuscì a fare nulla per tenere a freno la sua mano, che lentamente scivolò lungo il fianco della contessa, fino a cingerle la vita, e la guidò lontana dal parapetto, verso la colonna alle sue spalle.

            «Sto assecondando bene i vostri desideri, Gemma?», mormorò da Vinci, sporgendosi con il suo corpo tanto da imprigionarla con la schiena contro il freddo marmo del pilastro.

Fu chiaro ad entrambi che l’argomento che aveva aperto la conversazione era ormai un lontano ricordo, ma nessuno dei due mostrò l’intenzione di farlo notare.

            «Avete ampio margine di miglioramento, artista», rispose la contessa, con uno sguardo di finto dispiacere.

            «Permettetemi di dimostrarvi il contrario», ribatté prontamente Leonardo, giungendo ad un soffio dal suo viso.

            «Che cosa avete in mente?», domandò lei, trattenendo a fatica l’istinto di mordicchiarsi il labbro tra i denti.

            «E voi, Gemma?», sussurrò l’artista, lo sguardo concentrato lungo la linea del suo collo, una volta tanto libero dalle costrizioni della divisa vaticana.

            «Io, voi… Stanotte…», mormorò la giovane donna, la voce ridotta ad un bisbiglio.

            «Stanotte, dite?», ripeté Leonardo, con un improvviso nodo alla gola per lo sforzo che stava compiendo nel tenere sotto controllo il suo corpo.

Lo sguardo di Gemma lo studiò con attenzione, prima di essere macchiato da una vena di finta perplessità.

            «La considero l’idea migliore, ma possiamo sempre rimandare, se a voi fa piacere».

            «Io lo farei anche subito», si lasciò sfuggire Leonardo, prima che la gola si facesse troppo secca per dire qualcos’altro.

Invece in Gemma il dubbio si mutò in stupore, a quella risposta, ma tanto quanto prima era evidente la finzione di quelle espressioni.

            «Perdendovi la cerimonia organizzata proprio in vostro onore?», gli chiese.

            «Per avere il privilegio di passare un po’ di tempo in vostra compagnia?», ribatté da Vinci, come se quello fosse un dettaglio tutt’altro che indifferente. «Certamente», confermò con voce roca.

            «Nessuna limitazione, artista. Avremo più tempo di così», lo rassicurò Gemma, riassumendo la sua caratteristica espressione vispa e maliziosa. «Tutta… la notte…», precisò, scandendo molto bene le parole, e a Leonardo sfuggì un pesante sospiro.

Ad ogni respiro di Gemma, l’abito le si stringeva attorno al petto e, per quanto da Vinci si fosse sforzato di mantenere il controllo, a quel punto nemmeno tentò di frenare il suo sguardo dallo scivolare lungo la scollatura del vestito, catturato dal luccicare delle gemme che tempestavano il tessuto.

            «E molto, molto di più», proseguì la contessa, notando immediatamente che cosa avesse catturato l’attenzione dell’artista, e colse al volo l’occasione. «Qualcosa che non implichi l’impedimento causato da quest’abito».

            «Il vestito che avete addosso è magnifico, ma trovo anche io che sia un impedimento», rispose con prontezza Leonardo, la mente improvvisamente affollata da immagini tutt’altro che innocenti.

            «Siamo finalmente d’accordo su qualcosa, dunque», replicò Gemma, con una vena di sorpresa.

            «Sì, lo siamo», affermò da Vinci, avvicinandosi pericolosamente alle sue labbra.

Ma all’ultimo istante chinò leggermente il capo e si spostò, posando un lungo bacio sul collo. Si concesse qualche secondo per inspirare profondamente il profumo della sua pelle, per imprimerlo nella memoria, assieme all’inebriante sensazione di quel contatto con il suo corpo, prima di iniziare a deporre una fitta scia di baci.

Gemma non lo avrebbe mai ammesso, neppure sotto tortura, ma quei tocchi erano deliziosamente piacevoli, delicati ma allo stesso tempo caldi e stuzzicanti. Avrebbe dovuto fermarlo, sapeva che era la scelta migliore, ma appartati in quel piccolo angolino e protetti da occhi indiscreti, si disse che non c’era niente di male nell’aspettare qualche altro momento prima di proseguire la conversazione su un piano più professionale.  

Soprattutto se aiutata dal tepore del respiro di lui sulla sua pelle, dal contrasto tra le sue labbra così calde e la sua pelle così fredda, da quei baci che delicatamente stavano risalendo tutta la linea del collo, verso l’orecchio. ­­­­

            «Sarà mia premura levarlo e relegarlo altrove, non dovete temere», proseguì la contessa, senza accorgersi di aver chiuso gli occhi, soggiogata da quelle attenzioni, né che le sue mani erano corse a percorrere con le dita il cordoncino che Leonardo aveva attorno al collo, legato alla chiave.

Dal canto suo, da Vinci si rese conto di aver firmato la sua condanna a morte nell’istante in cui aveva iniziato a baciarla, perché assaggiarla era solo il principio: non sarebbe mai stato abbastanza, non avrebbe mai avuto la forza di arrivare tanto vicino ad averla per poi desistere.

Ogni pensiero stava sfumando. Svanì tutto quello che non contemplava varcare quella linea e porre fine alle sue strazianti sofferenze, dimenticarsi di tutto e tutti e ridursi a loro due soltanto.

Con ogni probabilità, fu proprio il progressivo sparire di ogni idea anche solo minimamente razionale a sentenziare le parole successive di Leonardo, tra un bacio e l’altro.

            «C’è…», mormorò, prima di posare di nuovo le labbra sulla sua pelle. «…una stanza…», e la baciò ancora. «…inutilizzata…», di nuovo un altro bacio. «…poco lontano», e proseguì, raggiungendo l’incavo del collo.

            «Una stanza, artista?», mormorò Gemma, vagamente confusa. Che lo fosse di proposito, da Vinci non avrebbe mai potuto saperlo, né tanto meno vederlo o notarlo.

            «Una stanza…», precisò, posando un bacio sulla clavicola, vicino alla scollatura del vestito. «…con una scrivania», aggiunse, a bassa voce.

Ignorando il retrogusto amaro che la sorprese, la contessa Riario capì che il punto di non ritorno era ormai troppo vicino; si costrinse quindi a riaprire gli occhi e ad indossare di nuovo il suo ruolo.

            «Temo, purtroppo, che voi abbiate mal compreso la mia proposta».

E a quelle parole, Leonardo sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene, ma rimase ancora qualche istante immobile.

            «Avremo certo bisogno di tutta la notte…», proseguì Gemma, a voce bassa. «…per iniziare il nostro viaggio verso Roma».

Il pungente sapore della delusione colpì da Vinci fino in gola e gli diede la forza di allontanarsi, abbastanza da poterla guardare in volto.

            «Ecco da dove arrivava tutta questa vostra accondiscendenza», commentò Leonardo, con un bel po’ di veleno nel tono della voce. «I miei complimenti, contessa, per essere riuscita ad ingannarmi un’altra volta», aggiunse, con una dose non indifferente di sarcasmo.

            «Avete detto voi stesso di essere pronto ad assecondarmi in ogni mio desiderio», ribatté Gemma, in una precisazione che quasi suonava come una giustificazione, e da Vinci risposte con una risata impregnata di amarezza.

            «Ci vediamo ai festeggiamenti, contessa», si congedò lui, allontanandosi definitivamente dalla giovane donna.

Sicuramente non si aspettò di sentire una presa forte e decisa stringersi attorno al suo braccio e trattenerlo lì dov’era.

            «Non così in fretta», lo fermò Gemma, improvvisamente più seria.

            «Che altro c’è?», borbottò Leonardo seccato.

Fu una sorpresa ritrovarsi improvvisamente nel ruolo opposto, quando Gemma lo spinse con la schiena contro la colonna alle sue spalle, e un accenno di stupore trapelò dal suo sguardo.

            «Preferite la schiettezza, artista? Non dovete fare altro che chiedere», iniziò la contessa Riario, con tutta la franchezza caratteristica della sua reputazione. «Roma avrà anche lasciato andare la presa su Firenze, oggi, ma posso darvi la mia parola che non lascerà quella su di voi».

Riconoscendo nient’altro che minacce, Leonardo non fece nulla per celare uno sguardo ben poco amichevole, in risposta, sperando così di incentivarla a concludere il prima possibile quella conversazione.

            «Sono qui per offrirvi una via di salvezza, da Vinci», proseguì Gemma, rivelando definitivamente il vero motivo della sua visita.

            «Preferirei la morte che concedermi a Roma», ribatté immediatamente l’artista, nella speranza di convincerla ad andarsene.

            «Sapete anche voi che esistono destini ben peggiori della morte. E per vostra sfortuna, Roma ne ha già uno in serbo per voi», proseguì imperterrita, sempre più seria. «È la vostra ultima possibilità», sentenziò infine, abbassando il braccio con cui l’aveva bloccato e liberandolo.

In tutta risposta, Leonardo scoppiò in una sonora risata, ma che fosse sincera o un tentativo di fuggire dall’amarezza, non poteva saperlo.

            «Sono certo di avervelo già detto, ma ve lo ripeterò: per nessun motivo, nemmeno per voi o per la vostra cara città, rinuncerei mai alla mia libertà».

L’espressione della contessa si fece piuttosto seccata, enfatizzando quel sospiro annoiato provocato dalle sue parole.

            «Siete stato avvisato», gli rispose, in un tono che suonava come un avvertimento, tanto che Leonardo iniziò a chiedersi se non ci fosse davvero qualcosa sotto, ma scelse di ignorare quel presagio.

            «Dovreste cercare di rilassarvi e di godervi la festa, come farò io», le suggerì, riassumendo il suo tipico atteggiamento sfrontato e presuntuoso. «E mettetevi l'anima in pace: io non mi piegherò mai a voi», precisò, con aria di sfida.

Non si aspettò certo di vederla accennare un sorriso dei suoi, mentre si torturava il labbro inferiore con i denti.

            «Sapete, sono d’accordo con voi», rispose Gemma, inclinando la testa di lato. «Dovreste godervi gli ultimi momenti di libertà che vi restano», precisò poi, tornando più seria.

Leonardo invece scelse di nuovo di ignorare le minacce della giovane donna, e capì che era il momento di porre fine all’incontro.

            «Buona serata, contessa», mormorò, accennando un inchino di cortesia. «Mi aspetto le vostre congratulazioni, a fine serata», aggiunse poi, con un sorrisetto provocatorio.

            «Sono certa che avrete un’interessante sorpresa, prima della fine della serata», rispose invece Gemma, per nulla toccata dalle sue parole o dal suo tono, ma anzi assolutamente calma e tranquilla. «Buona serata a voi, artista», aggiunse, prima di vederlo incamminarsi verso la sala del ricevimento.

Una volta sicura che se ne fosse andato, si incamminò nella direzione opposta, pronta ad incontrare i Pazzi e le Guardie della Notte: la denuncia e l’arresto sarebbero scattati.

 

 

 

Angolo dell’autrice

Buonsalve a tutt*!

Quanti capitoli preferiti mi è lecito avere in tutta la storia? Perché questo non posso non inserirlo nella lista, mi dispiace. Cose dette e non dette, sottintesi più o meno velati, provocazioni verbali e fisiche… Ho un vero debole per tutto ciò.

Ma presto o tardi si deve tornare con i piedi per terra. Nel caso di Gemma verso il suo artista preferito, con delle catene attorno a polsi e/o caviglie, chiuso in una cella del Vaticano. E a tale scopo casca la famosa denuncia, che tra l’altro c’è stata veramente nella storia. Povero Leonardo…

Ci rileggeremo alla fine del mese!

Un bacione

Amy W. Gildeary

   
 
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