Il
Gioiello del Vaticano
Capitolo
12 - La Forza
Nei Tarocchi,
la carta della
Forza emana energia interiore, psichica. Ciò che si scatena nel corpo
fisico
può essere domato. Si uniscono sentimenti e ragione per imbrigliare
l’istinto.
È intelligenza che sottomette la brutalità. Indica il coraggio
tranquillo, la
forza spirituale e morale, il controllo. La forza d’animo viene
espressa con
attività ragionevole.
Al negativo, però, può indicare un eccesso di temerarietà, collera
incontrollata. Può significare crudeltà e insensibilità.
La
risata soddisfatta di Leonardo risuonò per tutto il corridoio, sotto lo
sguardo
confuso e perplesso di Nico. Il povero apprendista riuscì a malapena ad
annuire, mentre il suo maestro gli spiegava tutti i simboli contenuti
nel
ritratto di Cosimo de’ Medici, fino ad arrivare alla sua teoria: il Mago altro non era che un Figlio di
Mitra, ed ogni dettaglio di quel quadro riprendeva l’invocazione tipica
dell’ordine.
«Sono figlio della terra e del cielo
stellato. Di sete son arso. Vi prego, fate che io mi disseti alla
fontana della
memoria».
Leonardo
rise di nuovo soddisfatto, mentre si passava le mani tra i capelli e
fissava il
dipinto come se avesse appena trovato le risposte a tutte le sue
domande.
«Sembra
che tutte le mie ricerche convergano. È… è quasi… una ragnatela
immensa, un
merletto filato con perizia, talmente vasta e antica che sto
cominciando solo
ora ad afferrarne il fine», ragionò l’artista ad alta voce, mentre
spostava lo
sguardo sul ritratto del Magnifico. «Ho… ho dato prova di chi io sia, a
Lorenzo, guadagnando la sua fiducia. È ora che lui mi ripaghi il
favore»,
proseguì, più serio.
«Facendo
cosa?», chiese Nico, che intanto doveva ancora elaborare tutte quelle
informazioni.
«Finanziando
una spedizione, nella terra indicata sulla mappa dell’ebreo. Con una
nave e
provviste per il viaggio», rispose da Vinci, con risolutezza. «La Volta
Celeste
è di certo là fuori, Nico, con il Libro delle Lamine e la conoscenza in
esso
contenuta. Sento già che mi sta chiamando. E sarà proprio il Mago a
condurmici»,
e mentre lo diceva, corse ad abbracciare il suo apprendista, tanto era
preso
dall’entusiasmo.
«Dovremmo
parlare con il Magnifico, allora», gli consigliò Nico, ricordandosi
solo in
quel momento della festa organizzata in onore di Leonardo.
«Certo,
certo», rispose l’artista poco attento, osservando il quadro. «Tu… tu
vai pure,
io arrivo tra poco», aggiunse, dandogli una pacca sulla spalla.
Il
biondino sorrise e si allontanò verso la sala dei ricevimenti, in cui
già molti
ospiti erano arrivati e aspettavano solamente l’ospite d’onore.
Leonardo però
preferì rimandare ancora un po’ il suo ingresso alla festa, la sua
mente già
lontana ad immaginare il viaggio che avrebbe potuto intraprendere.
Era
totalmente concentrato ad ammirare il ritratto, quando sentì dei passi
lenti e
calcolati alle sue spalle, e pensò che qualcuno fosse stato inviato da
Lorenzo
per trovarlo e portarlo di peso alla celebrazione.
«Solo
un momento, per favore», disse, senza nemmeno voltarsi o distogliere
l’attenzione dal quadro.
«Stavo
per chiedervi lo stesso, artista», e Leonardo sbarrò gli occhi
all’istante,
riconoscendo la voce alle sue spalle.
Lentamente,
lasciò cadere l’attenzione per il dipinto e si voltò, trovando la
contessa di
fronte a sé.
«Sicuramente
omettendo il Per favore, ma la richiesta
sarebbe stata la stessa», precisò Gemma, con un sorriso soddisfatto dei
suoi.
Leonardo
però a malapena la sentì, mentre il suo sguardo la percorreva dalla
testa ai
piedi. Era a dir poco frustrante come la sua attenzione evaporasse
all’istante
ogni volta che si incontravano, ma quanto più lui si riprometteva di
sviluppare
una sorta di immunità nei confronti del suo fascino, tanto più lei si
impegnava
a distruggere anche la sua più piccola sicurezza.
E
se l’aspetto e le provocazioni non bastavano, sicuramente Gemma sapeva
come
valorizzare al meglio anche il suo corpo.
L’abito
che indossava, di un lucido e brillante velluto viola, fasciava ogni
centimetro
del suo corpo, sottolineando ancora una volta le sue indiscusse doti
come guerriera
e come i suoi costanti allenamenti la mantenessero in splendida forma.
Il
corpetto era succinto ed aderente, fin
troppo succinto ed aderente per l’autocontrollo di Leonardo, per
nulla
aiutato dalla luccicante scollatura, squadrata e tempestata di piccole
e
luccicanti pietre preziose. La silhouette del vestito le sottolineava
il punto
vita, avvolto da una fascia anch’essa tempestata di gemme, e seguiva da
una
gonna morbida e sinuosa.
Allo
stesso modo, le maniche erano aderenti dalle spalle ai gomiti, per poi
scendere
dolci e drappeggiate fino ai polsi. Altrettanto soffici e liberi da
costrizioni
erano i capelli, acconciati in morbidi e delicati boccoli, appena
appena
raccolti all’altezza delle tempie, mettendole in risalto il viso e,
soprattutto, il trucco degli occhi, leggermente più scuro e marcato del
solito.
Come se i suoi sguardi non fossero già sufficientemente magnetici.
Leonardo
nemmeno si sforzò di interrompere quel silenzio, poco lusinghiero per
la sua
arroganza, ma sapeva già in partenza che i suoi tentativi di articolare
qualche
parola sarebbero andati a vuoto.
«Vedo
che nemmeno tentate di opporvi a questo colloquio», commentò Gemma,
congiungendo le mani davanti a sé, all’altezza della vita. «Né prestate
troppa
importanza ad un eventuale ritardo alla festa organizzata in vostro
onore».
Prima
di ribattere, Leonardo dovette ricorrere ad uno sforzo notevole per
recuperare
saliva e deglutire, altrimenti quelle che avrebbero voluto essere
parole si sarebbero
trasformate in mugolii indefiniti.
«Lorenzo
può aspettare», mormorò, sorprendendo addirittura sé stesso per essere
riuscito
a risponderle.
La
vide sorridere soddisfatta e chinare di poco la testa di lato, prima di
mordersi il labbro inferiore. E così facendo, distrusse un altro po’
del suo
già scarso autocontrollo.
«Ottimo»,
mormorò Gemma. «Volete seguirmi?», lo invitò, indicando con un cenno
del capo
il proseguire del corridoio dei ritratti di famiglia.
Da
Vinci nemmeno si sforzò di assecondarla a parole, semplicemente la
raggiunse in
pochi passi, e la contessa si incamminò lentamente lungo la
balaustra.
«Ho
notato che il Magnifico ha particolarmente a cuore questa
manifestazione della
sua gratitudine nei vostri confronti», esordì Gemma, sciogliendo le sue
mani
intrecciate solo per congiungerle dietro la schiena, assumendo così una
postura
estremamente elegante e regale.
L’artista
a malapena la sentì: il suo sguardo scivolò lentamente sulla scollatura
del
vestito e, soprattutto, lungo la linea del collo. Non poté nulla contro
i
ricordi dell’altra notte, del loro piccolo scontro lungo le vie
fiorentine e
della sensazione di avere i loro corpi l’uno a contratto con l’altro,
senza
alcuna distanza.
Aveva
dovuto faticare parecchio per scoprire anche un solo lembo di pelle,
nascosta
sotto la sciarpa e il colletto della camicia, mentre in quel momento
ogni
barriera era sparita, e Leonardo iniziava a chiedersi se fosse in grado
di
resistere ad una simile tentazione.
«Come
noto che, al momento, non mi state nemmeno ascoltando», proseguì la
giovane
donna, scoccandogli un’occhiataccia di rimprovero.
Era
più che temprata ad affrontare qualsiasi impedimento, ma la mancanza di
attenzione da parte del suo interlocutore era ancora qualcosa che
riusciva ad
irritarla parecchio.
«Colpevole»,
ammise lui, alzando le braccia in segno di resa.
«Non
credete che io meriti la vostra attenzione, Messere?», domandò Gemma,
ma più
che una domanda suonava proprio come una minaccia.
«Oh,
vi posso giurare che al momento avete la mia completa attenzione»,
mormorò
Leonardo, la voce bassa e roca mentre il suo sguardo la percorreva da
capo a
piedi per l’ennesima volta.
«Mi
fa piacere saperlo», rispose la giovane Riario, continuando lentamente
a
camminare. «In tal modo, il nostro incontro procederà senza
difficoltà».
«E
quale sarebbe lo scopo di questo incontro, contessa?», domandò
Leonardo,
avvicinandosi notevolmente al viso di Gemma, in modo da poterle
sussurrare
quella domanda all’orecchio.
Con
una punta di sorpresa, ma senza intaccare il suo atteggiamento sicuro e
controllato, la nobildonna interruppe il proprio cammino e si voltò
verso l’artista,
in modo da poterlo guardare dritto negli occhi.
«Avervi»,
rispose semplicemente, con una risolutezza a dir poco disarmante. E a
Leonardo
si bloccò il respiro in gola.
In
un’altra situazione, liberi dai loro ruoli e della loro avversità,
probabilmente da Vinci non avrebbe esitato a mandare tutto al diavolo e
a
cedere, soprattutto di fronte a colei che, ultimamente, rappresentava
una delle
sue più grandi ossessioni.
Eppure,
per qualche misterioso motivo, si ricordò che la contessa Riario era
dannatamente brava a manipolare le persone, e altrettanto brava a
mantenere
l’attenzione sui suoi obiettivi. E, sfortunatamente per lui, ciò a cui
lei ambiva
era sottometterlo per raggiungere la Volta Celeste e il Libro delle
Lamine.
Nonostante
tutto, pensarlo non riuscì completamente ad inibirlo, e il suo corpo
agì di
vita propria, avvicinandosi di qualche passo a Gemma e facendola così
indietreggiare verso il parapetto del corridoio.
«E
come pensate di avermi, contessa?», mormorò lui, con una punta di
malizia e il
suo caratteristico sorrisetto da schiaffi.
Leonardo
non si sorprese di vederla comunque calma e rilassata, come ormai in
tanti
altri loro incontri, ma ancora non aveva rinunciato a tentare di
destabilizzarla come lei faceva con lui ogni singola volta.
«Sono
certa di essere in grado di persuadervi», rispose Gemma, anch’ella con
la voce
ridotta ad un sussurro, e un brivido di soddisfazione le percorse la
schiena
vedendo l’artista tremare appena, combattuto tra la tentazione di
cedere e il
buon senso.
«In
questo caso, vi conviene cominciare subito», la incoraggiò da Vinci,
con un
ulteriore passo avanti, facendo arrivare la contessa con la schiena
appoggiata
alla balaustra.
Per
quanto tentata di prolungare ulteriormente quel loro, ormai tipico,
gioco di
provocazioni e velate allusioni, Gemma ricordò il vero motivo che
l’aveva
spinta a presentarsi lì, e decise di accantonare momentaneamente
quell’aspetto
giocoso per ritornare a questioni più serie.
«Mentireste
dicendomi di aver sempre avuto l'appoggio che i Medici vi stanno
dimostrando
stasera, e solo per celebrare una vittoria a loro favorevole invece
della
vostra genialità», iniziò lei, e il leggero indurirsi nei lineamenti di
Leonardo le bastò come conferma di aver colpito nel punto giusto. «Ma
posso
assicurarvi che, seguendomi, riceverete tutto il supporto e le
attenzioni che
meritate».
Una
punta di delusione intaccò il classico sorrisetto arrogante e
presuntuoso dell’artista,
capendo che dietro ad ogni loro incontro c’era sempre e comunque lo
zampino del
Vaticano e della missione affidatale da papa Sisto, ma innegabilmente
una
seconda motivazione stava amplificando quell’amarezza: la
consapevolezza che
Gemma aveva ragione, che i Medici non si erano dimostrati mai
totalmente
entusiasti del suo lavoro come ingegnere militare, e che quel fervore
era nato
solo dopo la vittoria di Firenze su Roma.
La
contessa notò immediatamente quell’ombra nello sguardo dell’artista, e
ne
approfittò per calcare la mano e proseguire.
«Risorse,
fondi, manodopera… Concedeteci la vostra collaborazione, e potrete
avere
qualsiasi cosa desideriate», mormorò lei, concludendo la frase con un
sorriso
malizioso.
«Qualsiasi?»,
ripeté Leonardo, mentre il suo sguardo le percorreva il viso,
soffermandosi
inevitabilmente sulle labbra.
«Qualsiasi»,
confermò Gemma, le parole ridotte a un sussurro caldo e vellutato.
Lo
vide chiaramente combattuto tra la tentazione di rifiutare la sua
offerta a
prescindere, per la sua fedeltà verso Firenze, e quella di pensare solo
a sé
stesso e seguire la via più facile. Perché era vero, e lo sapevano
entrambi:
accettare l’offerta del Vaticano avrebbe ridotto drasticamente i tempi
necessari
a preparare il viaggio, ma significava anche tradire la fiducia di
Lorenzo,
dopo tutti i suoi sforzi per conquistarla.
«Vi
basta condividere con noi le informazioni in vostro possesso, e da quel
momento
non dovrete fare altro che chiedere per avere», proseguì la contessa,
inclinando di poco la testa di lato, e a Leonardo bastò uno dei suoi
sguardi
per sentirsi completamente stordito.
Suo
malgrado, l’espressione dell’artista si fece improvvisamente
interessata, ma che
lo fosse nei confronti di quell’offerta o della persona che la stava
proponendo, ancora non lo sapeva.
Gemma
intrepretò quella mossa come una reazione positiva, e il suo sorrisetto
si fece
soddisfatto.
«Dunque
siete disposto ad accettare e a seguirmi senza alcuna esitazione? Ad
assecondare
ogni mia richiesta?», chiese lei, alla ricerca di una conferma
definitiva per
sigillare l’accordo.
Nonostante
Leonardo sapesse benissimo che quella domanda era riferita alla sua
collaborazione con il Vaticano, si ritrovò incapace di ragionare
lucidamente, e
le parole successive lasciarono le sue labbra troppo in fretta per
essere
fermate.
«Per
voi farei questo e altro», le rispose, la voce ridotta ad un sussurro e
lo
sguardo che scivolava lentamente lungo tutto il suo corpo.
«Esattamente
quello che desideravo», mormorò la giovane Riario, in un sospiro che
mise a
dura prova la concentrazione dell’artista.
Talmente
tanto che Leonardo non riuscì a fare nulla per tenere a freno la sua
mano, che
lentamente scivolò lungo il fianco della contessa, fino a cingerle la
vita, e
la guidò lontana dal parapetto, verso la colonna alle sue spalle.
«Sto
assecondando bene i vostri desideri, Gemma?», mormorò da Vinci,
sporgendosi con
il suo corpo tanto da imprigionarla con la schiena contro il freddo
marmo del
pilastro.
Fu
chiaro ad entrambi che l’argomento che aveva aperto la conversazione
era ormai
un lontano ricordo, ma nessuno dei due mostrò l’intenzione di farlo
notare.
«Avete
ampio margine di miglioramento, artista», rispose la contessa, con uno
sguardo
di finto dispiacere.
«Permettetemi
di dimostrarvi il contrario», ribatté prontamente Leonardo, giungendo
ad un
soffio dal suo viso.
«Che
cosa avete in mente?», domandò lei, trattenendo a fatica l’istinto di
mordicchiarsi il labbro tra i denti.
«E
voi, Gemma?», sussurrò l’artista, lo sguardo concentrato lungo la linea
del suo
collo, una volta tanto libero dalle costrizioni della divisa vaticana.
«Io,
voi… Stanotte…», mormorò la giovane donna, la voce ridotta ad un
bisbiglio.
«Stanotte,
dite?», ripeté Leonardo, con un improvviso nodo alla gola per lo sforzo
che
stava compiendo nel tenere sotto controllo il suo corpo.
Lo
sguardo di Gemma lo studiò con attenzione, prima di essere macchiato da
una
vena di finta perplessità.
«La
considero l’idea migliore, ma possiamo sempre rimandare, se a voi fa
piacere».
«Io
lo farei anche subito», si lasciò sfuggire Leonardo, prima che la gola
si
facesse troppo secca per dire qualcos’altro.
Invece
in Gemma il dubbio si mutò in stupore, a quella risposta, ma tanto
quanto prima
era evidente la finzione di quelle espressioni.
«Perdendovi
la cerimonia organizzata proprio in vostro onore?», gli chiese.
«Per
avere il privilegio di passare un po’ di tempo in vostra compagnia?»,
ribatté da
Vinci, come se quello fosse un dettaglio tutt’altro che indifferente.
«Certamente»,
confermò con voce roca.
«Nessuna
limitazione, artista. Avremo più tempo di così», lo rassicurò Gemma,
riassumendo la sua caratteristica espressione vispa e maliziosa.
«Tutta… la
notte…», precisò, scandendo molto bene le parole, e a Leonardo sfuggì
un
pesante sospiro.
Ad
ogni respiro di Gemma, l’abito le si stringeva attorno al petto e, per
quanto
da Vinci si fosse sforzato di mantenere il controllo, a quel punto
nemmeno
tentò di frenare il suo sguardo dallo scivolare lungo la scollatura del
vestito,
catturato dal luccicare delle gemme che tempestavano il tessuto.
«E
molto, molto di più», proseguì la contessa, notando immediatamente che
cosa
avesse catturato l’attenzione dell’artista, e colse al volo
l’occasione. «Qualcosa
che non implichi l’impedimento causato da quest’abito».
«Il
vestito che avete addosso è magnifico, ma trovo anche io che sia un
impedimento»,
rispose con prontezza Leonardo, la mente improvvisamente affollata da
immagini
tutt’altro che innocenti.
«Siamo
finalmente d’accordo su qualcosa, dunque», replicò Gemma, con una vena
di
sorpresa.
«Sì,
lo siamo», affermò da Vinci, avvicinandosi pericolosamente alle sue
labbra.
Ma
all’ultimo istante chinò leggermente il capo e si spostò, posando un
lungo
bacio sul collo. Si concesse qualche secondo per inspirare
profondamente il
profumo della sua pelle, per imprimerlo nella memoria, assieme
all’inebriante
sensazione di quel contatto con il suo corpo, prima di iniziare a
deporre una
fitta scia di baci.
Gemma
non lo avrebbe mai ammesso, neppure sotto tortura, ma quei tocchi erano
deliziosamente piacevoli, delicati ma allo stesso tempo caldi e
stuzzicanti. Avrebbe
dovuto fermarlo, sapeva che era la scelta migliore, ma appartati in
quel
piccolo angolino e protetti da occhi indiscreti, si disse che non c’era
niente
di male nell’aspettare qualche altro momento prima di proseguire la
conversazione su un piano più professionale.
Soprattutto
se aiutata dal tepore del respiro di lui sulla sua pelle, dal contrasto
tra le
sue labbra così calde e la sua pelle così fredda, da quei baci che
delicatamente stavano risalendo tutta la linea del collo, verso
l’orecchio.
«Sarà
mia premura levarlo e relegarlo altrove, non dovete temere», proseguì
la
contessa, senza accorgersi di aver chiuso gli occhi, soggiogata da
quelle
attenzioni, né che le sue mani erano corse a percorrere con le dita il
cordoncino che Leonardo aveva attorno al collo, legato alla chiave.
Dal
canto suo, da Vinci si rese conto di aver firmato la sua condanna a
morte
nell’istante in cui aveva iniziato a baciarla, perché assaggiarla era
solo il
principio: non sarebbe mai stato abbastanza, non avrebbe mai avuto la
forza di
arrivare tanto vicino ad averla per poi desistere.
Ogni
pensiero stava sfumando. Svanì tutto quello che non contemplava varcare
quella
linea e porre fine alle sue strazianti sofferenze, dimenticarsi di
tutto e
tutti e ridursi a loro due soltanto.
Con
ogni probabilità, fu proprio il progressivo sparire di ogni idea anche
solo
minimamente razionale a sentenziare le parole successive di Leonardo,
tra un
bacio e l’altro.
«C’è…»,
mormorò, prima di posare di nuovo le labbra sulla sua pelle. «…una
stanza…», e
la baciò ancora. «…inutilizzata…», di nuovo un altro bacio. «…poco
lontano», e
proseguì, raggiungendo l’incavo del collo.
«Una
stanza, artista?», mormorò Gemma, vagamente confusa. Che lo fosse di
proposito,
da Vinci non avrebbe mai potuto saperlo, né tanto meno vederlo o
notarlo.
«Una
stanza…», precisò, posando un bacio sulla clavicola, vicino alla
scollatura del
vestito. «…con una scrivania», aggiunse, a bassa voce.
Ignorando
il retrogusto amaro che la sorprese, la contessa Riario capì che il
punto di
non ritorno era ormai troppo vicino; si costrinse quindi a riaprire gli
occhi e
ad indossare di nuovo il suo ruolo.
«Temo,
purtroppo, che voi abbiate mal compreso la mia proposta».
E
a quelle parole, Leonardo sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene, ma
rimase
ancora qualche istante immobile.
«Avremo
certo bisogno di tutta la notte…», proseguì Gemma, a voce bassa. «…per
iniziare
il nostro viaggio verso Roma».
Il
pungente sapore della delusione colpì da Vinci fino in gola e gli diede
la
forza di allontanarsi, abbastanza da poterla guardare in volto.
«Ecco
da dove arrivava tutta questa vostra accondiscendenza», commentò
Leonardo, con un
bel po’ di veleno nel tono della voce. «I miei complimenti, contessa,
per
essere riuscita ad ingannarmi un’altra volta», aggiunse, con una dose
non
indifferente di sarcasmo.
«Avete
detto voi stesso di essere pronto ad assecondarmi in ogni mio
desiderio»,
ribatté Gemma, in una precisazione che quasi suonava come una
giustificazione,
e da Vinci risposte con una risata impregnata di amarezza.
«Ci
vediamo ai festeggiamenti, contessa», si congedò lui, allontanandosi
definitivamente dalla giovane donna.
Sicuramente
non si aspettò di sentire una presa forte e decisa stringersi attorno
al suo
braccio e trattenerlo lì dov’era.
«Non
così in fretta», lo fermò Gemma, improvvisamente più seria.
«Che
altro c’è?», borbottò Leonardo seccato.
Fu
una sorpresa ritrovarsi improvvisamente nel ruolo opposto, quando Gemma
lo
spinse con la schiena contro la colonna alle sue spalle, e un accenno
di
stupore trapelò dal suo sguardo.
«Preferite
la schiettezza, artista? Non dovete fare altro che chiedere», iniziò la
contessa Riario, con tutta la franchezza caratteristica della sua
reputazione.
«Roma avrà anche lasciato andare la presa su Firenze, oggi, ma posso
darvi la
mia parola che non lascerà quella su di voi».
Riconoscendo
nient’altro che minacce, Leonardo non fece nulla per celare uno sguardo
ben
poco amichevole, in risposta, sperando così di incentivarla a
concludere il
prima possibile quella conversazione.
«Sono
qui per offrirvi una via di salvezza, da Vinci», proseguì Gemma,
rivelando
definitivamente il vero motivo della sua visita.
«Preferirei
la morte che concedermi a Roma», ribatté immediatamente l’artista,
nella
speranza di convincerla ad andarsene.
«Sapete
anche voi che esistono destini ben peggiori della morte. E per vostra
sfortuna,
Roma ne ha già uno in serbo per voi», proseguì imperterrita, sempre più
seria. «È
la vostra ultima possibilità», sentenziò infine, abbassando il braccio
con cui
l’aveva bloccato e liberandolo.
In
tutta risposta, Leonardo scoppiò in una sonora risata, ma che fosse
sincera o
un tentativo di fuggire dall’amarezza, non poteva saperlo.
«Sono
certo di avervelo già detto, ma ve lo ripeterò: per nessun motivo,
nemmeno per voi
o per la vostra cara città, rinuncerei mai alla mia libertà».
L’espressione
della contessa si fece piuttosto seccata, enfatizzando quel sospiro
annoiato provocato
dalle sue parole.
«Siete
stato avvisato», gli rispose, in un tono che suonava come un
avvertimento,
tanto che Leonardo iniziò a chiedersi se non ci fosse davvero qualcosa
sotto,
ma scelse di ignorare quel presagio.
«Dovreste
cercare di rilassarvi e di godervi la festa, come farò io», le suggerì,
riassumendo il suo tipico atteggiamento sfrontato e presuntuoso. «E
mettetevi
l'anima in pace: io non mi piegherò mai a voi», precisò, con aria di
sfida.
Non
si aspettò certo di vederla accennare un sorriso dei suoi, mentre si
torturava
il labbro inferiore con i denti.
«Sapete,
sono d’accordo con voi», rispose Gemma, inclinando la testa di lato.
«Dovreste
godervi gli ultimi momenti di libertà che vi restano», precisò poi,
tornando
più seria.
Leonardo
invece scelse di nuovo di ignorare le minacce della giovane donna, e
capì che
era il momento di porre fine all’incontro.
«Buona
serata, contessa», mormorò, accennando un inchino di cortesia. «Mi
aspetto le
vostre congratulazioni, a fine serata», aggiunse poi, con un sorrisetto
provocatorio.
«Sono
certa che avrete un’interessante sorpresa, prima
della fine della serata», rispose invece Gemma, per nulla toccata dalle
sue
parole o dal suo tono, ma anzi assolutamente calma e tranquilla. «Buona
serata
a voi, artista», aggiunse, prima di vederlo incamminarsi verso la sala
del
ricevimento.
Una
volta sicura che se ne fosse andato, si incamminò nella direzione
opposta,
pronta ad incontrare i Pazzi e le Guardie della Notte: la denuncia e
l’arresto
sarebbero scattati.
Angolo
dell’autrice
Buonsalve
a tutt*!
Quanti
capitoli preferiti mi è lecito avere in tutta la storia? Perché questo
non
posso non inserirlo nella lista, mi dispiace. Cose dette e non dette,
sottintesi più o meno velati, provocazioni verbali e fisiche… Ho un
vero debole
per tutto ciò.
Ma
presto o tardi si deve tornare con i piedi per terra. Nel caso di Gemma
verso il
suo artista preferito, con delle catene attorno a polsi e/o caviglie,
chiuso in
una cella del Vaticano. E a tale scopo casca la famosa denuncia, che
tra l’altro
c’è stata veramente nella storia. Povero Leonardo…
Ci
rileggeremo alla fine del mese!
Un
bacione
Amy
W. Gildeary