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Autore: Ellery    13/02/2019    2 recensioni
Helen si incamminò verso est, seguendo il flusso della via principale. Non vi erano molti pedoni, ma tutti erano provvisti di ombrelli o impermeabili; tranne un uomo che, a pochi passi da lei, tentava di ripararsi il capo con l’ausilio di un giornale spiegazzato. L’acqua batteva incessante sulla divisa nazista, lucidando le mostrine da sottotenente.
«Signore!» lo chiamò, affrettando l’andatura per poterlo raggiungere «Vi occorre un ombrello?»
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L'uomo nella pioggia


Note: La fanfiction partecipa a:
* Cowt9, indetto da Lande di Fandom
* Week 1, Missione 3 (Missione All Stars)
* Prompt: Ombrello
* Parole: 1281



***


Helen recuperò il cappotto dal guardaroba del teatro, indossandolo frettolosamente e passando i bottoni madreperla nelle asole. Allacciò la morbida cintura di panno scuro, prima di accomodare il colletto bordato di pelo di volpe. Sorrise accondiscendente all’usciere che, dopo averle aperto la porta, le porse un grazioso ombrello a fiori.

«Desiderate che le chiami un taxi, miss?» domandò l’uomo, mentre lei si affrettava a scivolare oltre l’uscio «Piove molto, finirete col bagnarvi i piedi.»
La donna abbassò lo sguardo alle decolté lucide che indossava, risalendo poi lungo le gambe morbide avvolte da delle spesse collant bianche e, infine, all’orlo della gonna vaporosa che a malapena spuntava da quello del cappotto.

«Oh, no. Abito qui vicino, farò due passi.» atteggiò le labbra rosate in un discreto sorriso «Grazie per le vostre premure.» salutò, prima di avviarsi.

New York era splendida in qualunque stagione, anche in quell’autunno particolarmente piovoso. Le luci dei lampioni a gas illuminavano i marciapiedi e le vicine carreggiate, accompagnati dai fari di poche automobili. Lungo i muri degli alti palazzi erano state affisse locandine di propaganda, che l’acqua aveva provveduto a staccare lungo gli angoli. Quasi ovunque, la svastica del nuovo regime capeggiava sui monumenti e sulle facciate degli edifici pubblici; le bandiere rosse e nere tentavano stoicamente di resistere ai rovesci temporaleschi, ciondolando placide nel buio della notte.

Nell’aria, mescolato all’odore dei gas di scarico, si percepiva distintamente un profumo di frittelle e hot dog; alcune ambulanti, fregandosene del maltempo, avevano preferito tenere aperte le bancarelle, almeno fino alla fine dello spettacolo teatrale.

Helen si incamminò verso est, seguendo il flusso della via principale. Non vi erano molti pedoni, ma tutti erano provvisti di ombrelli o impermeabili; tranne un uomo che, a pochi passi da lei, tentava di ripararsi il capo con l’ausilio di un giornale spiegazzato. L’acqua batteva incessante sulla divisa nazista, lucidando le mostrine da sottotenente.

«Signore!» lo chiamò, affrettando l’andatura per poterlo raggiungere «Vi occorre un ombrello?»

Lui si fermò di scatto, senza nascondere un’espressione sorpresa. L’indice salì al petto, quasi si stesse indicando. Possedeva un volto squadrato, dai tratti marcati e spigolosi. Le guance scavate erano perfettamente sbarbate e il profilo dritto del naso aumentava il cipiglio marziale; gli occhi erano… verdi? Grigi? Non avrebbe saputo definire quella sfumatura, che contrastava con il colore scuro dei corti capelli arruffati.

Lo vide abbassare il giornale, mentre la pioggia batteva ancora incessantemente sulle spalle robuste e scivolava tra le pieghe dell’uniforme, sino agli stivali inzaccherati. Era alto, ma non particolarmente; rientrava nella media americana e tedesca, malgrado il fisico – per quanto modellato – non fosse certo un esempio di perfezione.

«Dico a voi.» rincarò, avvicinandosi abbastanza da permettere al giovane di ripararsi sotto metà della tela fiorata «Affrontate spesso un diluvio senza un ombrello?»

«In verità, lo avevo.» la voce era calda e cordiale, ma il tedesco conteneva una nota sporca, come un accento impossibile da eliminare «Credo, tuttavia, sia stato inavvertitamente rubato; qualcuno deve averlo scambiato per il proprio all’uscita del teatro. In fondo, era soltanto un anonimo ombrello nero.»

«Comprendo perfettamente. Purtroppo, sono disguidi che capitano.» Helen riprese a camminare, costringendo il soldato ad abituare il passo al suo «Eravate a teatro, dunque? Ci andate spesso?»

«Per la verità, non quanto dovrei, signora.» lo vide arricciare un sorriso di scuse sulle labbra sottili «Mi avevano parlato di questo spettacolo e, dietro consiglio del capitano Miller, ho deciso finalmente di vederlo.»

«Dietro consiglio o … dietro ordine?»

Di nuovo quel piccolo sogghigno scaltro:
«Non vi si può nascondere nulla, signora.» lo colse ammettere «Come accennavo, non vado spesso a teatro ed in genere mi soffermo su opere decisamente più classiche. È la prima volta che assisto ad una commedia tedesca.»

«L’avete trovata gradevole?»

«In fede…» il giovane mosse una mano, come ad indicare un “pressappoco” «…così così. Mi aspettavo qualcosa di più, ma… temo sia colpa mia. Non sono davvero avvezzo al teatro.»

«Siete fortunato, allora. A differenza vostra, le opere mi dilettano e oserei affermare che il teatro è una delle mie passioni più grandi. Sarei lieta di farvi da guida in questo mondo così complesso per voi.»

«Ne siete certa? Vi avviso… potrei accidentalmente addormentarmi sulla sedia durante il primo atto.»

Helen scosse il capo, senza trattenere una leggera risata:

«Non siate sciocco. Sono certa che imparerete ad apprezzare il teatro, a partire proprio da Heinrich von Kleist.»

«…che sarebbe?»

«L’autore di questa sera. Cielo! Non sapete proprio nulla, signor…?»

«Smith. John Smith.» il sottotenente mimò un rigido inchino, riprendendo poi a camminare al suo fianco.

«Smith non è un cognome tedesco.»

«Sono americano, signora… ma vi posso assicurare che la mia lealtà è totalmente rivolta verso il Fuhrer.»

«Lo credo bene o non indossereste questa divisa con tanta disinvoltura.» Helen tese una mano e lui si chinò frettolosamente a baciarla. Gli piaceva quel ragazzo. Era elegante, educato e senza dubbio conosceva le buone maniere. Non assomigliava affatto a quei buzzurri newyorkesi che passavano il tempo a fischiare complimenti inappropriati alle formose donne ariane «Sono Helen de Schneider Van Hohenheim».

Sorrise, al vederlo palesemente confuso. Il cognome, in effetti, era già difficilmente assimilabile dai connazionali; era logico, dunque, che gettasse scompiglio nella mentalità poco elastica di un soldato americano che, a giudicare dall’accento, non si destreggiava bene con il tedesco.
«Reputereste offensivo se vi chiamassi solo Helen?»

«No.» rispose, con una nuova risata leggera «Lo reputerei appropriato, se sarete così gentile da ricambiare il favore.»

Spostò poco dopo l’attenzione alla strada: erano giunti nei pressi di un alto edificio in mattoni rossi; sulla facciata erano incastonati numerosi balconi, le cui ringhiere in ferro battuto apparivano adorne di edera e rampicanti. Qualche luce nelle case era ancora accesa e, poco lontano, l’orologio del campanile di una chiesa segnava la mezzanotte esatta.

Helen si scostò, avvicinandosi alla tettoia offerta dal vicino condominio:
«Sono arrivata. Abito qui.» disse solo, allungando la destra per afferrare quella del giovane soldato «Prendete!» aggiunse, cacciandogli tra le dita il manico dell’ombrello «Ne avete più bisogno di me.»

«E voi?»

«Beh, non mi occorre più.»

«Ma non avrò più modo di rendervelo.»

«Partite per la guerra, signor Smith?»

Lo vide scuotere frettolosamente il capo. Entrambi sapevano che il conflitto era terminato da tempo; la vittoria dell’asse Berlino-Tokyo aveva decretato l’assoluta sconfitta degli alleati e spaccato in tre brandelli la più grande potenza mondiale. Gli Stati Uniti non esistevano più, e così la Francia, l’Inghilterra e molte altre nazioni che avevano tentato di ribellarsi. Nonostante la pace fosse fittizia, le battaglie erano cessate definitivamente.

«E allora…» riprese poco dopo, accennando all’ombrello con il mento «Tenete pure l’ombrello. Me lo restituirete la prossima volta, sempre abbiate piacere a rivedervi.»

«Sì!» il sottotenente si morse immediatamente le labbra nel cogliere la fretta e la spontaneità di quella risposta. «Volevo dire… certamente, sarebbe un onore per me. E…»

«Niente formalismi, però.»

«Ve lo prometto. Quando…?»

Gli piaceva davvero quel giovane: passava dall’impazienza più genuina, all’imbarazzo, ad una disarmante sincerità che mal si addiceva all’uniforme che indossava. Erano davvero così sempliciotto? Ne dubitava, eppure il modo impacciato con cui Smith si relazionava era quasi dolce. Non lo avrebbe fatto attendere a lungo:
«Presto. Martedì prossimo? Danno il Saul di Fischer, un drammaturgo piuttosto noto in Germania.»

«Non mancherò!» Smith le rivolse un inchino.

«A presto.» salutò, oltrepassando il portone e chiudendolo dietro le proprie spalle.

Helen contò fino a dieci, prima di schiudere il battente di legno abbastanza per lasciar scivolare fuori il capo. Le iridi corsero immediatamente all’unica figura che ancora calcava il marciapiede, incurante della pioggia e con il solo riparo di un ombrellino a fiori; la seguì con lo sguardo e con il cuore in tumulto, finché non la vide svoltare l’angolo.
 
 
 


Angolino: Salve! Metto velocemente una piccola nota a fondo testo. Sono nuova del fandom, ho terminato da poco di vedere le tre serie di TMITHC e ne sono rimasta affascinata. Ammetto che John è il mio personaggio preferito in assoluto, quindi... eccomi qui, a scrivere una one-shot sul suo primo e ipotetico incontro con Helen. Non so, il prompt mi ha ispirato questo piccolo quadretto tra i due. So che non è molto, ma è davvero la prima cosa che scrivo su questo telefilm e... niente, spero vi piaccia.
Grazie mille, a presto.

E'ry
 

 
  
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