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Autore: VenoM_S    14/02/2019    1 recensioni
La bambina non aspettava altro e un po’ correndo, un po’ saltellando arrivò davanti alla stalla. La grande porta metallica scorrevole si innalzava davanti ai suoi occhi, unico grande ostacolo che la separava da chissà quali meraviglie.
Era la prima volta che suo nonno la portava con sé durante un suo giro di lavoro, fino ad ora i suoi genitori non glielo avevano mai permesso, nonostante lei li pregasse quasi costantemente, fino a sfinirli.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al "COWT" di Lande di Fandom!
Settimana: prima
Missione: M3
Prompt: Stupenda mucca marrone
N° parole: 2428 

Ursulo

Era una mattina limpida, l’odore dell’erba era pungente e si insinuò prepotentemente nelle narici della bambina appena mise il piede fuori dall’auto. Aveva circa cinque anni, i riccioli castano scuro le ricadevano scompigliati ai lati della testa, ribelli dopo un taglio abbastanza radicale, ed i vivaci occhi, anch'essi scuri, guizzavano a destra e sinistra come impazziti, cercando di identificare qualunque cosa le capitasse davanti. Il motore dell’auto si spense con un borbottio, ed un uomo sulla sessantina scese dalla vecchia Fiat rossa cercando di non perdere di vista quella specie di piccolo turbine a due gambe.

«Nonno! Nonno!»

Gridò la piccola stendendo le braccia appena lo vide in piedi. Aveva una specie di adorazione per lui, un uomo che il tempo sembrava non aver fretta di scalfire, con i capelli ancora folti e nerissimi, il viso sempre sbarbato e povero di rughe ed il sorriso perennemente sulle labbra. Non era troppo alto, ma era forte e robusto, e per il suo lavoro serviva davvero. L’uomo la prese in braccio, caricando la bimba sulla destra mentre con la sinistra chiudeva la portiera della vecchia auto, ancora fedele nonostante le scarpinate quasi quotidiane per le campagne, in barba a qualunque intemperia.

Da quella posizione più elevata, la bambina potè ammirare con più attenzione il paesaggio che li circondava: campi coltivati si susseguivano in ogni direzione, andando a ricoprire la morbida collina su cui si trovavano. Guardandosi alle spalle ed ai lati, altre colline incorniciavano la visuale, ricoperte di campi, piccoli boschetti verde scuro e paesini arroccati sulle cime. E più lontano ancora, alte montagne appuntite completavano quel quadro, con gli sparuti rimasugli di neve sulle cime.

«Vedi, lì a destra?»

Le disse il nonno indicando un piccolo agglomerato di case in pietra, sormontate da una grande torre medioevale

«Lì c’è il paesino dove vivevo insieme alla nonna, a tua mamma e i tuoi zii quando erano ancora piccoli!»

La bambina aguzzò la vista, provando ad indovinare dove potesse essere, in mezzo a tutti quei piccoli edifici, la casa di cui parlava. Poi il suo sguardo, indirizzato dal nonno che girava su se stesso con lei in braccio, cambiò soggetto. Le colline scendevano dolcemente sotto di loro, lasciando spazio ad una piccola città dalla trama regolare, ed in lontananza, un po’ sbiadito, si stagliava il mare. Un celeste intenso caratterizzava la parte più bassa, fino alle file di scogli che delimitavano lo spazio riservato ai bagnanti che d’estate lo affollavano; poi, con una sfumatura appena percettibile nel mezzo, diventava blu scuro là dove invece avevano accesso solo le imbarcazioni. Le piaceva il mare, il suono che faceva a seconda del tempo, l’odore che nei giorni cattivi si faceva più intenso. Ma non era di certo per guardare il paesaggio che erano lì, quella mattina, su quel campo coltivato.

Poco distante dalla macchina, alla fine di una stradina sterrata che nei giorni di pioggia doveva trasformarsi in un vero e proprio pantano, stava una grande costruzione di legno e metallo. Un forte profumo di fieno proveniva da quella direzione, così come il rumore calmo e regolare di tanti animali accalcati a mangiare.

Il nonno mise giù la bimba, chiedendole di aspettare qualche secondo prima di avviarsi da sola verso l’edificio; si voltò di nuovo verso l’auto, andando ad aprire il portabagagli che conteneva tutti i suoi attrezzi. Era un vero disastro, a dirla tutta, un piccolo spazio completamente ricolmo di oggetti, cassettiere, scatole di farmaci, un secchio con una spugna che teneva sempre a portata di mano, un cumulo di corde robuste, un enorme attrezzo metallico di cui la bambina non riusciva proprio a capire la funzione. L’uomo trafficò qualche secondo mezzo immerso tra tutti quegli oggetti, infilandone di tanto in tanto qualcuno in una grossa cassetta per gli attrezzi di plastica, mugugnando tra sé e sé per decidere cosa potesse servire e cosa no. Quando tutto fu pronto, si voltò sorridendo e le fece cenno di seguirlo.

La bambina non aspettava altro e un po’ correndo, un po’ saltellando arrivò davanti alla stalla. La grande porta metallica scorrevole si innalzava davanti ai suoi occhi, unico grande ostacolo che la separava da chissà quali meraviglie.

Era la prima volta che suo nonno la portava con sé durante un suo giro di lavoro, fino ad ora i suoi genitori non glielo avevano mai permesso, nonostante lei li pregasse quasi costantemente, fino a sfinirli. Probabilmente la sua passione, anzi, forse sarebbe meglio dire ossessione, per gli animali era partita proprio da lui, che da quando era nata le aveva sempre regalato piccole statuine e giocattoli di qualunque specie, dai cavalli ai cani, dai meravigliosi delfini ai dinosauri, passando per tutta una serie di animali da fattoria con cui la piccola aveva composto un vero e proprio esercito che ogni pomeriggio prendeva il totale controllo del largo tavolino che occupava il centro del soggiorno. Ed oggi, finalmente, avrebbe visto alcuni di quegli animali da vicino. Come sarebbero stati? Erano più grandi o più piccoli di come se li immaginava, e di quale colore? Che suono facevano, come si muovevano? Voleva sapere ogni cosa, e questo il nonno non poteva non notarlo dato che la bimba continuava a saltare cercando di afferrare la grossa maniglia di apertura della porta scorrevole, senza ovviamente arrivarci nemmeno vicina.

«Abbi pazienza, guarda che nessuno scappa da qui dentro, gli animali rimangono qui tutto il giorno sai» le disse con fare divertito.

Poi, aprì la porta.

«Mi raccomando, devi rimanere vicino a me sempre, siamo intesi?» la voce del nonno adesso era ferma, pur nascondendo la solita nota di dolcezza. Non era difficile capirne il motivo, nella lunga stalla si accalcavano, più o meno in fila, una gran quantità di grossi bovini.

Gli occhi della bambina erano spalancati dalla sorpresa, stava quasi trattenendo il fiato mentre dava le prime occhiate a quegli enormi animali. Dando la mano al nonno, iniziarono a camminare lungo il corridoio lastricato.

Il capannone era davvero immenso, una grossa costruzione rettangolare con al centro un corridoio per il passaggio di persone, animali ed alcuni piccoli mezzi, mentre ai lati era provvisto di diversi recinti fatti di grosse sbarre tondeggianti, anch’esse di metallo. Ognuno di essi era provvisto di una lunga mangiatoia cui gli animali potevano accedere grazie a delle aperture a V lungo il lato frontale dei recinti.

Si avvicinarono al primo, sulla destra. Alcune bovine stavano pigramente masticando, gli occhi grandi si guardavano intorno senza troppo interesse per ciò che le circondava. Accanto a loro, un po’ distesi ed un po’ in piedi, c’erano dei piccoli. La bambina ne rimase affascinata, e con il benestare di suo nonno, che la controllava da vicino, si avvicinò alle sbarre, poggiando entrambe le mani sulla più bassa e sporgendosi leggermente per vedere da vicino.

«Tu aspetta qui, io entro un attimo» le disse lui, alzando il chiavistello del cancelletto d’ingresso e dirigendosi, poi, verso le madri assonnate. Posò a terra la cassetta degli attrezzi, ne tirò fuori alcuni oggetti davvero strani, ed iniziò una specie di rodeo con uno dei piccoli, riuscendo ad afferrarlo con poche mosse sicuramente collaudate nel tempo. Per essere un piccolo, aveva una stazza notevole, osservò la bimba. Il manto era leggermente più lungo di quello della madre, arruffato e lanoso, bianco con qualche macchia marrone qui e là, le orecchie grandi, le gambe lunghe e un po’ sproporzionate forse, che rendevano i suoi movimenti goffi e altalenanti. Non era molto felice di essere maneggiato e toccato da quell’uomo sconosciuto, e non perdeva occasione di farlo notare dimenandosi e sbattendo a destra e a manca la lunga coda, spesso e volentieri proprio addosso al nonno, che però sembrava non sentirla nemmeno. Dopo qualche minuto la visita si concluse, con una non particolarmente apprezzata puntura che fu accolta da un lungo e stridulo muggito. La madre, allarmata, accorse trottando per controllare che tutto fosse al suo posto, muggendo a sua volta in risposta a quell’infantile richiesta di aiuto.

Era la prima volta che la bambina sentiva quei versi, e subito le parsero immensamente buffi.

«Muuuuu!» provò ad imitarli, e con sua immensa soddisfazione il piccolo si voltò verso di lei, con aria interrogativa e sbattendo la lunga coda. Il nonno rise di gusto a quella scena, ed uscendo dal recinto prese di nuovo in braccio la bambina, avviandosi poi lungo il corridoio. Era bello guardarlo mentre faceva il suo lavoro, sembrava non stancarsi mai, non avere mai paura di quegli animali così grandi. Anche se in apparenza potevano sembrare gentili e ben disposti, bastava un movimento di troppo, uno sguardo storto o anche solo un odore non gradito a farli agitare. Man mano che andavano avanti lungo il capannone, la piccola diventava sempre più curiosa, faceva domande su cosa mangiavano, su quando erano nati i piccoli, su cosa stava facendo il nonno con questo o quell’attrezzo, tratteneva per un secondo il fiato quando un animale si girava di scatto o schiantava con forza la lunga coda sulla schiena dell’uomo, che con prontezza le confermava subito di star bene.

Era passata una buona mezz’ora, quando il nonno completò la sua ultima incombenza nella stalla. Non erano ancora arrivati dal lato opposto, e la bambina pensò che era un peccato non essere riuscita a vedere uno per uno tutti gli animali che si trovavano lì. Ma c’era una piccola sorpresa tenuta in serbo per lei, proprio per la fine della loro uscita.

«Vieni con me, voglio farti vedere qualcosa che ti piacerà»

Le disse il nonno con un largo sorriso tendendole la mano. Fecero qualche passo, e la bambina non dovette nemmeno farsi dire di cosa si trattava, perché il suo sguardo venne immediatamente catturato dall’oggetto della loro ultima visita. Sgranò gli occhi, si girò verso il nonno a bocca aperta.

Davanti a lei, nell’ultimo recinto a destra della stalla, si trovava un animale enorme. Molto più grande di tutti quelli visti fino ad ora, era alta, possente, con i muscoli guizzanti perfettamente visibili sotto il corto e liscio pelo ramato. Grandi zoccoli si piantavano con forza sulla paglia, la coda larga frustava l’aria scacciando le sparute mosche che si trovavano nei dintorni, facendo sibilare il lungo ciuffetto all’estremità. La bambina si ritrovò a dover alzare la testa al massimo delle sue possibilità per osservarne il muso: era largo, con due piccole corna grigie che spuntavano ai lati della fronte pelosa, due grandi orecchie si muovevano veloci poco al di sotto. Non aveva mai visto niente di più maestoso, era bellissima. Una grande, stupenda mucca marrone.

«Nonno, ma è una mucca bellissima! Posso toccarla?» Cinguettò la bimba, guardando l’uomo con una non troppo tacita preghiera riflessa nei piccoli occhi scuri. L’uomo la prese in braccio e si avvicinò pian piano all’animale.

«Sapevo ti sarebbe piaciuto, ma non è una “mucca” bensì un toro! Il suo nome è Ursulo, ed è il padre di molti dei vitelli che hai visto oggi qui»

Ursulo era un nome davvero strano, ma alla bambina piacque. Le faceva pensare a qualcosa che sembra minacciosa dall’esterno, ma quando ti avvicini in realtà è dolce e gentile, ed in effetti quell’animale era proprio così. Una volta davanti al recinto, Ursulo si avvicinò curioso ad ammirare quella nuova creaturina: allungò il muso verso il braccio del nonno, ed il grosso naso rosa sfiorò la gamba della bambina, che subito si sorprese per la sensazione di caldo e bagnato allo stesso tempo. Quel naso era davvero liscio e buffo. I grandi occhi dell’animale la guardavano senza timore, placidi e tondi, mentre continuava pian piano ad annusarla. A quel punto, la bambina non sapeva più trattenersi. Allungò una mano, aiutata anche dal nonno che si sporse leggermente in avanti, e la poggiò al centro del muso di Ursulo. Lui non si spostò, ed anzi lasciò alla piccola tutto il tempo necessario per accarezzarlo a dovere, arrivando persino a farsi scompigliare il ciuffetto ribelle tra le corna. Infine, come ultimo segno di completa docilità, il toro alzò leggermente la testa e diede una leccata al braccio della bambina che, dopo un primo momento di incredulità per la sensazione rasposa di quella grossa lingua rosa, si mise a ridere di gusto, dandogli una grattata sulla cima del naso.

Il nonno, dopo aver dato una vigorosa carezza sul lato del collo di Ursulo, disse che era ora di tornare a casa. Le visite erano finite, era quasi ora di pranzo e non potevano di certo far preoccupare oltre i genitori, che non avevano loro notizie da quando erano scesi dalla Fiat rossa, ormai quasi un’ora prima. La bambina non era del tutto convinta di questa decisione, le sarebbe piaciuto restare lì ancora un po’, tra il fieno, l’erba, gli animali ed Ursulo, ovviamente. Ma non poteva farci nulla, così, dopo che il nonno l’ebbe di nuovo rimessa a terra, lo seguì verso l’uscita, lanciando occhiate e cenni di saluto a tutti i vitelli con le loro madri mentre passava.

Una volta fuori, l’aria fresca li investì con un fruscìo scompigliando i capelli della bambina. Risalirono velocemente la strada sterrata, ed il nonno aprì la portiera del lato passeggero per consentire alla piccola di entrare e mettersi, finalmente, seduta. Subito dopo, si diresse verso il portabagagli-magazzino per risistemare, si fa per dire, tutti i vari oggetti e farmaci che aveva utilizzato durante le sue visite. Si sentirono cassetti aprirsi, scatole richiudersi, rumore metallico di chissà cosa.

Chiuso il portello, fece il giro dell'auto e si sedette alla guida. Girò la chiave un paio di volte, perché non sempre la cara, vecchia Fiat rispondeva velocemente ai comandi. Quando si sentirono i primi gorgoglii del motore in funzione, fu tutto pronto per partire.

«Ti sei divertita?» chiese alla bambina, che anche da seduta non riusciva a star ferma un attimo. Il vigoroso cenno di assenso della testa lo fece sorridere, ancora.

«Posso venire con te un'altra volta? Me lo prometti?» chiese lei dopo qualche secondo, gli occhi speranzosi ancora pieni di eccitazione e meraviglia per le avventure che aveva vissuto durante quell'ora in libertà, per le cose che aveva imparato, e per una piccola, minuscola idea che le stava iniziando a frullare in testa, un piccolo sogno che avrebbe man mano coltivato andando avanti con gli anni, anche se in quel momento non poteva davvero immaginare quanto sarebbe diventato importante per lei seguirlo.

«Certo che puoi, ma dovremo convincere la mamma. Appena tornati a casa inizieremo la nostra opera di persuasione»

Girandosi verso la bambina, le fece rapido un occhiolino, ed allungò una mano aperta verso di lei. Senza pensarci un attimo, la piccola la colpì con il suo palmo aperto.

Era una promessa.

 
  
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