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Autore: Ghostclimber    14/02/2019    6 recensioni
Lo scorso San Valentino a casa Rukawa è stato sconvolgente.
E anche questo non sarà da meno.
Un altro ragazzo, nel frattempo, è un concentrato di ansia...
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti!
Eccomi, come promesso, con una fanfiction di San Valentino!
Per una volta sono in tema con la festività, preparate gli ombrelli perchè potrebbe piovere XD
Buon San Valentino a tutti coloro che lo festeggiano, agli altri buon compleanno di Sendoh!
Battete un colpo se vi aggrada!
XOXO


 
I was born to love you,
with every single beat of my heart,
yes I was born to take care of you,
every single day of my life!

(Sono nato per amarti,
con ogni singolo battito del mio cuore,
sì, sono nato per prendermi cura di te
ogni singolo giorno della mia vita!)



 

-Allora?- chiese Kaede Rukawa dalla soglia della stanza da bagno.

-Sette chili.- rispose, impressionata, sua sorella Kaori, -Con questo polverizzi il record di cinque chili dell'anno scorso.- dichiarò, sollevando una cesta per il bucato piena di cioccolatini.

-Nh.- rispose lui, scocciato, spostandosi dallo stipite con un colpo dei fianchi. Kaori lo sorpassò, spintonandolo in malo modo, e lo precedette in salotto; si sedette a gambe incrociate sul tappeto e cominciò ad aprire lettere.

-Questa dice che morirà se non ti metti con lei.- comunicò ad un annoiatissimo Kaede, stravaccato sul divano.

-Nh. Magari.- da quando era improvvisamente sbocciato, in seconda media, sua sorella aveva decretato che sarebbe stata tradizione visionare attentamente il cioccolato che lui avrebbe ricevuto il giorno di San Valentino, per trovargli una ragazza decente con cui stare.

Vane erano state le proteste di Kaede, che si era costretto ad ammettere che preferiva i maschi: Kaori non aveva fatto un plissé, sostenendo che anche un maschio poteva lasciargli del cioccolato, e in effetti già l'anno precedente qualche pacchetto di provenienza maschile era atterrato nel cesto della biancheria, e le lettere erano state attentamente vagliate e infine scartate, in virtù della scena più allucinante a cui Kaori avesse mai assistito.

E dire che il suo bel fratellino era strano forte, per cui non c'era mai stata una giornata in cui lui non si fosse comportato in maniera stramba.

Ma il San Valentino precedente, quello del suo primo anno al liceo, aveva superato se stesso.

Aveva letto e riletto ogni singola lettera, anche quelle rosa che puzzavano di profumo da quattro soldi, aveva avuto una crisi isterica quando da una busta era scivolato fuori un paio di mutandine, aveva riguardato tutto da capo a fondo e poi... si era messo a piangere.

Kaori, terrorizzata dalla scena, aveva cercato invano di abbracciarlo per offrirgli un po' di conforto, e lui l'aveva molto gentilmente presa a calci sugli stinchi, sbraitando con voce rotta che San Valentino era una festa per mentecatti. Ce n'era voluto del bello e del buono per calmarlo, e alla fine Kaori aveva dovuto optare per una presa di wrestling e una manciata di cioccolatini dritta in bocca; si era quasi macchiata di fratricidio, ma aveva funzionato, forse grazie anche alla serotonina sviluppata dal cioccolato.

Kaede si era seduto sui calcagni, e guardandosi le mani strette a pugni sulle ginocchia aveva finalmente confessato cosa lo turbava: era innamorato.

Peccato che avesse detto il nome del povero disgraziato a voce così bassa che Kaori l'aveva sentito a stento, e si era rifiutato poi di ripeterlo.

Poteva solo escludere i cinque tizi che gli avevano lasciato il cioccolato l'anno precedente, ma lo Shohoku contava qualcosa come quasi quattrocento iscritti, di cui circa la metà maschi: Kaori aveva brevemente meditato di invitare i restanti uno ad uno a casa propria, ma aveva desistito al primo della lista, un certo Aota della squadra di judo, che appena l'aveva vista, bella e longilinea come il fratello, aveva attaccato a sbavare come un San Bernardo idrofobo e a emettere suoni privi di senso.

-Questa ti chiede se hai apprezzato le mutandine dell'anno scorso.- annunciò a Kaede.

-Che schifo.- rispose lui, e si alzò per lavarsi di nuovo le mani: al solo pensiero le sentiva di nuovo sporche. Quando tornò in salotto, la sorella stava masticando pensosa un pezzo di cioccolato al latte e leggeva assorta una lettera lunghissima; arrivata in fondo, l'appallottolò: -Questa ha scritto un tema porno di cinque pagine su tutto quello che ti farebbe se vi trovaste da soli in una stanza da letto. Per fortuna nella vostra scuola non ce ne sono.- Kaede non ribatté. Prese una scatola di cioccolatini assortiti a forma di frutti di mare, meditò sulla sanità mentale del mentecatto che poteva aver pensato che un cioccolatino a forma di polipo potesse risultare appetitoso e su quella della persona che poteva aver pensato che suddetto cioccolatino potesse sedurlo, ne prese uno e lo addentò. Almeno il sapore non era malaccio.

Aprì la busta allegata, ovviamente rosa e coperta di cuoricini, cercando di non farsi illusioni. Una pioggia di glitter gli piovve in grembo, scatenando una tempesta di parolacce, e la letterina della povera Haruko Akagi fu cestinata senza neanche essere letta.

Erano ormai le dieci passate, e Rukawa cominciava a sentirsi un peso sullo stomaco, quando Kaori aprì bocca per dire qualcosa di diverso dalla citazione di versi orrendi, di sonetti scopiazzati e dichiarazioni di imperituro amore e infinito desiderio sessuale.

-Hanamichi Sakuragi!- urlò, e tutti i muscoli di Rukawa si contrassero con violenza. Si sentì in gola un sapore acidulo dal retrogusto cioccolatoso.

-Co... cosa?- chiese.

-Hanamichi Sakuragi!- ripeté Kaori trionfante, sventolando un semplicissimo foglio a quadretti, -Si chiama così quello che ti piace, non è vero?

-Co... cosa? Come...?

-Oooh, ma che cioccolatini professionali, guarda qui!

-Kaori!

-Fatti a mano! Oh, ci deve aver perso la giornata!

-Kaori, dammi quella cazzo di lettera! Ora!- sbraitò Kaede. Fiera del risultato ottenuto, Kaori gliela porse con un gesto elegante, e ridacchiò alla vista del suo bel fratellino, solitamente espressivo come la mummia di Tutankhamon, che si sedeva sul divano con la lettera in mano, uno sguardo trepidante dipinto in volto e le guance rosse dall'emozione.

 

“Ciao, Kitsune.

Ti sorprenderà trovare questa lettera.

O forse no, in fondo non so nemmeno se le leggi, ma vale la pena provare.

Volevo già farlo l'anno scorso, ma avevo pensato che sarebbe stato inutile, che avresti buttato tutto nel primo cestino della spazzatura, o peggio che avresti portato tutto in palestra per non sprecare del cibo e che gli altri avrebbero letto la mia lettera.

Cioè, sarei morto di vergogna.

Invece ho notato che l'anno scorso hai portato tutto a casa, quindi eccomi qui.

Spero ti piaccia il cioccolato fondente.

Spero che tu non venga subito a casa mia ad ammazzarmi di botte, ti prego, lasciami sospirare guardando nel vuoto almeno per mezza giornata, me lo merito per averti fatto dei cioccolatini a forma di palla di basket... sai quanto ci ho messo a trovare lo stampo?!

Comunque, passiamo alle cose serie.

Non so come scriverlo, ma penso che regalarti dei cioccolatini fatti in casa il giorno di San Valentino sia già abbastanza esplicito.

Però è il caso che te lo dico: non mi piaci perché sei bello e bravo a basket.

Mi piaci perché il modo in cui giochi mi fa capire come sei, e quella che vedo è una persona decisa, fiera, sicura di sé, capace di mettere tutto il proprio impegno in qualcosa in cui tiene.

Non m'importa se non puoi ricambiare il mio amore (ecco, l'ho detto... cazzo!), sappi che non ti darò fastidio... non più di quanto te ne do adesso, ahahah!

Spero potrai perdonarmi, ma non potevo tenermi tutto dentro ancora a lungo. Sei la persona più bella che conosco, e ti chiedo solo una cosa: sii felice. Con me, con un'altra persona o da solo, come preferisci, ma sii felice.

Ai shiteru.

Hanamichi Sakuragi”

 

Per il secondo San Valentino di fila, per motivi del tutto diversi, Kaede Rukawa scoppiò a piangere.

Un'ora dopo avrebbe potuto ripetere a memoria la lettera, parola per parola, tanto i kanji erano stampati a fuoco nella sua mente, e Kaori ghignava come una matta.

-Avanti,- lo incitò, porgendogli una scatola di cioccolatini glassati arancioni, -Mangia, li ha fatti apposta per te con le sue manine sante.- Kaede fissò la sorella, poi allungò una mano tremante e prese un cioccolatino tra le dita affusolate. Se lo portò alla bocca, e con gli occhi chiusi lo assaporò, lasciando che gli si sciogliesse sulla lingua, gustando il sapore amaro del cioccolato fondente mitigato dalla dolcezza della glassa reale.

 

…. …. ….

 

-Allora, Hana, novità?- chiese Mito, raggiungendo l'amico sulla strada verso la palestra.

-Non l'ho neanche visto, oggi. So che c'è perché la bici è al solito posto, ma lui non l'ho visto. Merda.- Sakuragi si stropicciò il viso; non aveva dormito granché, la notte precedente, continuava a figurarsi la scena di Rukawa che leggeva la sua lettera e ad immaginarsi varie reazioni del volpino.

Rukawa che leggeva la lettera, poi l'appallottolava e la gettava dietro di sé.

Rukawa che buttava tutte le lettere in massa nel cestino della carta straccia.

Rukawa che utilizzava le lettere per appiccare il fuoco nel caminetto.

Rukawa che usava la sua lettera per fare un grazioso origami a forma di cigno.

Rukawa che sbuffava e alzava un sopracciglio in quella sua espressione di spregio.

Rukawa che decideva di non pulirsi il culo con la lettera solo perché non era abbastanza morbida.

Chissà perché, proprio non gli veniva di immaginarsi Rukawa che leggeva la lettera, se la stringeva al petto e sussurrava a se stesso: “Anch'io ti amo, Hanamichi”; cioè, l'aveva immaginato, ma proprio non ce lo vedeva.

-Merda.- ripeté, per mantenersi coerente a se stesso.

-Vai, altrimenti il Pigmeo ti fa sventagliare da Ayako.- lo incitò Mito.

-Quanto ci vuole perché mi sventagli a morte?

-Sarebbe una morte orrendamente lenta.

-Nel caso c'è sempre la scogliera.

-Piantala di dire stronzate ed entra in quella cazzo di palestra, Hana.- si impose Mito. Facendo affidamento su un set di arti lunghi e muscolosi ma ridotti a budini, Sakuragi aprì la porta scorrevole che dava sulla palestra, e subito Miyagi lo accolse con un delicatissimo urlo da banshee: -MA E' MAI POSSIBILE CHE SEI SEMPRE IN RITARDO?! LO GIURO, ARRIVERAI TARDI ANCHE AL TUO CAZZO DI FUNERALE! FILA A CAMBIARTI, MARSCH!- sbraitò dal basso del suo metro e sessantotto. Sakuragi ne restò così impietrito che non poté far altro che accucciarsi su se stesso e correre verso lo spogliatoio; non si prese nemmeno la briga di cercare Rukawa con lo sguardo, il Pigmeo era stato fin troppo minaccioso. -Ayako non è voluta uscire con lui ieri...- gli spiegò Kakuta mentre Sakuragi gli passava di fianco.

-Anch'io ho le mie pene d'amore, ma non le uso per minacciare di morte il prossimo.- rispose in un soffio irato e terrorizzato.

-No, tu ci riesci anche senza.- ribatté Kakuta.

-KAKUTA PORCO DEMONIO TORNA IN CAMPO!- sbraitò Miyagi.

-Sì, capitano...- obbedì il poveretto, che già aveva subito un bel po' di sventagliate.

 

Sakuragi stava giocando male. Ma non male, male male. Ma non male male, malissimo.

Neanche uno dei suoi “tiri dell'allenamento”, come ancora li chiamava dopo un anno e mezzo, sembrava voler entrare nel canestro; l'unico lato positivo di una tale disfatta era che Miyagi, a furia di urlare, aveva perso la voce e ordinato a gesti di andarsi tutti a cambiare.

Sakuragi, naturalmente, l'aveva ignorato, ed era rimasto in campo nel tentativo di riuscire ad imbroccare almeno un tiro. Uno, non venti, uno. Per piacere.

-Pollo.- disse una voce calda dietro di lui, che per reazione si gelò sul posto.

-Co... cosa?- bofonchiò.

-Tieni i gomiti così larghi che sembri un pollo.- rispose Rukawa, e un soffio d'aria indicò che gli si era avvicinato. Sakuragi abbassò la palla e si voltò a mezzo.

-Alza le mani.- lo incitò Rukawa, toccandogli i tricipiti. Sakuragi eseguì come un automa, e rimase gelato sul posto quando Rukawa cominciò a girargli intorno e a correggergli la posizione: -Il braccio dominante va piegato, ma solo un po'. Il sinistro invece regge solo la palla, piegalo dal basso verso l'alto. Così. Tira.- Sakuragi gli lanciò un'occhiata, ma vide solo la solita maschera impassibile della Volpe Artica. Si concentrò di nuovo sul canestro e lanciò la palla, che con una parabola elegante si insaccò nella rete, con un gradevole rumore morbido a indicare che il ferro non era nemmeno stato sfiorato.

Un'altra palla atterrò tra le sue braccia. -Riprova.- disse Rukawa. Sakuragi trattenne l'irrefrenabile impulso di ridere come un cretino e si rimise in posizione; Rukawa annuì, Sakuragi lanciò la palla e mise a segno un altro canestro impeccabile.

Rimasero in palestra ancora a lungo, Rukawa a raccattare palle e Sakuragi a insaccar canestri, fin quando Rukawa non pose fine all'allenamento extra: -Bene, ora basta, vai a cambiarti. Hai fatto cento canestri di fila.

-Cos... cento?!- si stupì Sakuragi.

-Cento. Li ho contati uno ad uno.

-Wow...- soffiò Sakuragi, acchiappando un asciugamano e tergendosi pensoso il collo sudato. Rukawa raccolse il proprio borsone e si girò per andarsene, quando finalmente il rosso realizzò: erano rimasti da soli in palestra, ad allenarsi senza saltarsi al collo a vicenda, e senza esserne costretti, anzi, Rukawa si era fermato di sua spontanea volontà proprio per aiutarlo!

-Rukawa!- chiamò.

-Nh?

-Perché l'hai fatto?

-Fatto cosa?

-Perché sei rimasto ad aiutarmi?- specificò Sakuragi, il cuore in gola. Rukawa rimase per un po' immobile sulla soglia della palestra, la mano già sulla maniglia; sembrava meditare qualcosa. Infine rispose: -Perché hai talento. E mi sta sui coglioni vedere come lo sprechi.- si girò e il suo sguardo agganciò quello di Sakuragi, che rimase fermo dov'era. Non aveva il coraggio di muoversi, certo che se avesse osato anche solo alzare un piede sarebbe crollato a terra, ridotto ad un mucchietto di gelatina tremolante. Rukawa gli fece un cenno con il capo in segno di saluto e uscì, ma appena il suo piede ebbe varcato la soglia Sakuragi urlò: -Te lo prometto!

-Mi prometti cosa, Do'aho?- chiese Rukawa.

-Ti prometto che mi impegnerò. Arriverò al tuo livello, e allora potremo gareggiare.

-Non devi farlo per me. Devi farlo per te.- rispose Rukawa, poi sparì nel buio della sera.

 

Da quel giorno, Sakuragi cominciò ad impegnarsi al massimo. Noleggiò un sacco di video dell'NBA e li analizzò a fondo, cercando di carpire i segreti dei giocatori. Si allenò fino a sera tarda con Rukawa, non solo sui tiri, ma su tutte le tecniche che vedeva messe in atto nei suoi video e che cercava di replicare. Comprò un manuale con le regole del basket e requisì Miyagi per un pomeriggio intero, interrogandolo su tutto ciò che non riusciva a capire.

Rukawa si dimostrò un insegnante paziente e comprensivo, e un paio di volte Sakuragi era stato certo di veder aleggiare l'ombra di un pallido sorriso su quelle labbra sottili.

Ma...

Ma naturalmente, c'era un ma.

Sakuragi, nelle quattro settimane di allenamento matto e disperatissimo, non aveva mai osato chiedere a Rukawa della lettera di San Valentino, anzi, oramai non osava più nemmeno pensarci. Più ci pensava e più concludeva di aver fatto una cavolata delle sue.

Represse con rabbia la speranza che ogni tanto faceva capolino nel suo cuore, che gli sussurrava dolcemente che forse Rukawa lo stava mettendo alla prova, stava valutando se davvero Sakuragi poteva essere alla sua altezza, perché di certo non si sarebbe abbassato a mettersi con un mediocre casinista che riusciva ad incastrarsi anche nelle questioni più facili.

Represse la speranza, perché dentro di lui covava anche il terrore di ricevere un rifiuto: non sarebbe stato come le ultime cinquanta volte, ma molto, molto peggio. Sarebbe stato devastante. Scendere a patti con un rifiuto esplicito, magari leggere del disgusto su quel bellissimo viso, l'avrebbe ucciso sul colpo; si pensa che un cuore non possa spezzarsi, ma Sakuragi sapeva che se Rukawa avesse respinto i suoi sentimenti, lui non sarebbe sopravvissuto. O meglio, forse sì, sarebbe sopravvissuto, ma avrebbe tirato avanti, un giorno dopo l'altro, senza alcuno scopo.

Sospirò, stendendosi nel futon, i muscoli ancora indolenziti dall'allenamento concluso poche ore prima e incentrato sulle finte: i movimenti bruschi e repentini a cui l'aveva costretto Rukawa gli avevano fatto affaticare la schiena oltre ogni misura, tanto che dopo due ore a rigirarsi nel letto, Sakuragi si risolse a fare qualcosa che non faceva da anni. Si alzò con cautela, percorse i pochi passi che lo separavano dalla stanza a fianco: -Mamma...- chiamò.

 

Rukawa, dal canto suo, non aveva trascorso quel mese seduto sugli allori.

Aveva preso seri provvedimenti, e con l'aiuto di Kaori era riuscito ad essere pronto per la data che aveva stabilito per chiarire le cose una volta per tutte con Sakuragi.

Si rimboccò le maniche della felpa e si dispose a preparare l'ultimo dettaglio.

 

Dopo un massaggio all'olio di mandorle e un impacco di arnica e artiglio del diavolo, Sakuragi stava decisamente meglio. Rimase adagiato ancora un po' nel futon della madre, e accolse con un sorriso le sue lievi carezze sul capo.

-Sei innamorato, cucciolo mio?- chiese sua madre con voce dolce.

-Sì, mamma...- rispose il rosso senza pensarci.

-E come si chiama la fortunata?- Sakuragi spalancò gli occhi. Certo, poteva sempre rispondere solo che si chiamava Kaede, dopotutto era un nome unisex, ma la bugia sarebbe stata evidente, dal tono della voce, dallo sguardo, da quell'aura che la madre sosteneva di percepire intorno a lui: in diciassette anni di vita, mai una volta era riuscito a dirle una bugia. Si sedette a gambe incrociate e guardò con serietà la madre.

-Mamma...

-Tesoro?

-Lui si chiama Kaede.- cominciò a sudare freddo di fronte allo sguardo attonito della madre, e stava quasi per chiedere scusa quando lei parlò: -Youhei lo sa?

-Cos... sì, certo, lo sa.

-E da quando?

-Da quando lo sa? Eh, boh, qualche mese.

-Da prima o dopo l'estate?

-Da prima. Mamma, mi vuoi spiegare che succede? Cioè, ti ho appena detto che il tuo unico figlio è gay, che non avrai mai dei nipotini a ribaltarti la casa e tu ti preoccupi solo se il mio migliore amico lo sa oppure no?

-Quel deficiente... ah, ma questa me la paga!- sbottò la donna.

-Mamma?!

-Oh, scusa, tesoro. Quel cretino di Youhei ha scommesso con me che secondo lui tu saresti gay. Ma la scommessa l'abbiamo fatta a ottobre, sono sicura, quindi non devo pagar pegno perché ha imbrogliato!- Sakuragi boccheggiò, incapace di credere che sua madre e il suo migliore amico avessero scommesso alle sue spalle.

-Certo che è furbo, quel ragazzo.- commentò ancora la donna.

-Allora, non ho capito, è deficiente o è furbo?

-Ripensandoci, è furbo. Molto furbo. Mi ha messo la pulce nell'orecchio, insomma, lui è il tuo migliore amico e ti conosce sicuramente meglio di me... e io mi sono abituata all'idea.

-Ah... quindi...

-Quindi niente. Spero che questo Kaede sia un po' meno stronzo delle cinquanta donzelle che ti hanno scaricato alle medie. Buonanotte, trappolotto mio!- senza un'altra parola, la donna spense la luce, e Sakuragi si coricò di nuovo al suo fianco, per nulla desideroso di lasciare il caldo abbraccio del futon. Sapeva che giorno era, e si sentiva vulnerabile di fronte all'assurda speranza che l'indomani avrebbe avuto una risposta alla propria lettera.
 

.... .... ....

 

Sakuragi guardò per la trecentesima volta il calendario.

A stento deglutì un pezzo di pane tostato, ripetendosi che non era nulla di che, il quattordici marzo era un giorno come tanti altri, non il White Day, non il giorno in cui i ragazzi che hanno regalato del cioccolato a San Valentino ne ricevono a loro volta, se ricambiati.

No, no, era un giorno come tutti gli altri.

Un normalissimo giovedì di merda.

Sakuragi uscì dalla porta, salutando la madre con un pigolio e ricevendo in risposta una risatina, e per prima cosa, non appena raggiunse la scuola, controllò nel proprio armadietto.

Bighellonò per il cortile, poi controllò di nuovo.

Assistette ad un paio di lezioni pallosissime, poi controllò una terza volta.

Di nuovo all'intervallo del pranzo.

Un'ultima volta dopo le lezioni pomeridiane, prima degli allenamenti.

Per cinque volte, trovò l'armadietto decisamente carente di cioccolato.

 

Mito allontanò gli altri amici della Gundan, si affiancò ad un Sakuragi curvo e mesto e chiese: -Ehi, Hana, cosa c'è?

-Oggi è il White Day.

-Ah.

-Youhei, io non vado agli allenamenti. Dì a Miyagi che ho mal di schiena, per favore.

-Senti...

-Non è neanche una bugia. È che... è che ha ragione lui, sono un idiota. Vado a casa.

 

La porta della palestra si schiuse appena, e Miyagi cominciò ad urlare: -DANNAZIONE SAKURAGI! LA PROSS... oh. Mito.

-Miyagi, oggi Hanamichi non verrà. È tornato a casa prima, non si sente bene.

-Ah. Mi dispiace, cos'ha?- chiese Miyagi, preoccupato. Sakuragi non saltava un allenamento da mesi, si era presentato persino con la laringite, una sciarpa di lana a coprirgli il collo e dei buffi versi gracchianti al posto delle solite urla sguaiate.

-Mal di schiena. Preferisce non sforzarla.

-Capisco. Salutamelo, digli di riprendersi in fretta.

-Sarà fatto.

-Dov'è?- chiese una voce fredda e suadente.

-A casa. Non sta bene, mal di schiena.- ripeté Mito, un po' a disagio nel mentire apertamente. Certo, Sakuragi aveva mal di schiena, questo non lo metteva in dubbio, ma era tornato a casa perché era il White Day e Rukawa non aveva risposto al suo cioccolato di San Valentino.

-Dove abita?- Mito si bloccò mentre già si voltava per andarsene.

-Come, scusa?- chiese.

-Dove abita?- ripeté Rukawa.

-Perché vuoi saperlo?- Mito sostenne con forza lo sguardo di Rukawa, che dopo un'attenta analisi di rischi e vantaggi, rispose: -Perché oggi è il quattordici marzo.- Mito annuì lentamente e gli spiegò come arrivare a casa di Sakuragi.

 

Gli allenamenti si trascinarono come un anziano che si alza a stento dal letto in una mattina gelida. Una volta tanto, Rukawa non vedeva l'ora che finissero, e la sua impazienza era tanto evidente che persino Miyagi, che di solito lo lasciava in pace, gli diede una strigliata: -RUKAWA, MA TI SCAPPA LA CACCA?- sbraitò.

-Nh?

-Continui a guardare quel cazzo di orologio e ad agitarti!- Rukawa non rispose. Era stupito che la sua agitazione si notasse così tanto.

-Se vuoi andare a casa, vai, oppure ti calmi!- infierì Miyagi.

-Ok, ciao.- Rukawa gli voltò le spalle, corse in spogliatoio, si cambiò al volo e sfrecciò fuori dalla finestra davanti agli occhi attoniti di Miyagi, che davvero non se l'aspettava.

 

Il campanello a casa Sakuragi suonò alle cinque meno venti.

Un vago strascicare di piedi accolse Rukawa, unito ad un piatto: -Youhei, fuori dai coglioni, dai, t'ho detto che sto bene.- spalancò la porta, contrariamente alle intenzioni che emergevano dalle sue parole, e Rukawa si trovò di fronte un Sakuragi con gli occhi gonfi, in pantaloni della tuta con le gobbe sulle ginocchia e felpa oversize grigio topo.

Sakuragi indietreggiò, spaventato, e si lasciò sfuggire un sibilo di dolore.

-Stai male davvero.- constatò Rukawa, entrando senza aspettare un invito.

-Sì, ehm... la schiena. Cazzo...- bofonchiò Sakuragi, strofinandosi un occhio con la manica della felpa, -Che ci fai qui?- chiese, chiudendo la porta alle spalle di Rukawa, con il cuore in gola.

-Volevo vedere come stavi.- ammise Rukawa.

-Beh, ecco... meglio di ieri, peggio di domani!- tentò Sakuragi con una smorfia. Rukawa prese una serie di piccoli respiri profondi, ed era sul punto di parlare, quando una voce femminile da dentro la casa urlò: -Hana, chi è? Se è Youhei digli di venire qui che non gli faccio niente.

-No, mamma, non è Youhei, è...

-Smettila di difendere il tuo a...- una bella donna dai capelli corti e rossi come quelli del figlio fece capolino nell'ingresso e si interruppe a metà frase. -Oh. Ma tu non sei Youhei.- constatò.

-Mamma, lui è Kaede Rukawa, te ne ho parlato.- disse Sakuragi.

-Davvero?- chiese lei, poi sembrò fare mente locale, -Oh, sì, davvero! Tanto piacere di conoscerti, caro, io sono la mamma del Genio.- si presentò, facendosi avanti con la mano alzata.

-È un... onore, conoscerla...- balbettò Rukawa, stringendole la mano, imbarazzato e attonito per il fatto che quella donna aveva appena definito suo figlio “Genio”.

-Non farci caso, ti prego...- supplicò Sakuragi rivolgendosi a lui.

-Ti ho sentito! Ragazzi, perché non vi accomodate in camera di Hana? Vi porto un tè.

-Non vorrei disturbare...- disse Rukawa, intimidito dalla prospettiva.

-Non dire baggianate, caro, forza!- la mamma di Sakuragi spintonò entrambi verso una porta su cui campeggiava un cartello giallo e rosso con la scritta “Tensai” in viola, ve li spinse dentro e sbatté l'uscio con violenza.

Cadde un silenzio impacciato, mentre entrambi se ne stavano immobili in piedi a guardare nel nulla, poi Sakuragi disse piano: -A volte penso che abbia bisogno di psicofarmaci.

-Mia sorella è uguale.- rispose Rukawa.

-Condoglianze anche a te, allora. Dai, siediti.- Sakuragi, mentre si riprendeva dallo shock, cominciò a sentirsi di nuovo in imbarazzo. Si lasciò cadere sul bordo del letto e indicò una poltroncina a Rukawa, che vi si sedette, rigido.

-Ehm... quindi...- cominciò Sakuragi, ma una voce lo interruppe: -Hana, trappolotto, abbiamo finito i biscotti, io esco a comprarli, controlla il tè, ciao!- la porta d'ingresso sbatté e i due ragazzi rimasero soli.

-Mi sa che tua sorella è meglio.- commentò Sakuragi.

-No, credimi.

-Va beh, adesso però voglio un esempio.- Rukawa, per un istante, si sentì trionfante come quando riceveva un assist sotto canestro. Ricordandosi che non aveva motivo per sentirsi insicuro, cominciò a parlare: -Per esempio, sono anni che mi costringe a...- un fischio acuto venne dalla cucina.

-Ma porca vacca, ha davvero lasciato il bollitore sul fuoco? Seguimi, va', tanto vale che approfittiamo. Qualche preferenza sul tè?

-No, è indifferente.- Sakuragi raggiunse la cucina, spense il bollitore e riempì il filtro con del tè bianco alla scorza d'arancia, poi chiese: -Sono anni che ti costringe a far cosa?

-Nh?- chiese Rukawa. Si era allontanato un paio di secondi per prendere un oggetto dalla borsa della palestra.

-Tua sorella. Stavi cominciando a raccontare.

-Nh. Sono anni che mi costringe a portare a casa tutto il cioccolato che ricevo a San Valentino. E a leggere tutte le lettere.- Sakuragi si immobilizzò, col viso ostinatamente rivolto al muro.

-È convinta che prima o poi troverò qualcuno a cui regalare del cioccolato bianco per il White Day.

-Ah. Ma davvero?- chiese Sakuragi, e cercando di guardare da qualunque altra parte mise due tazze vuote sul tavolo. Era davvero difficile cercare di sostenere la conversazione con quel tremendo groppo in gola e la sensazione di avere gli occhi gonfi e pieni di lacrime. Prese un bel respiro e cercò di tranquillizzarsi mentre si voltava per portare la teiera dal piano della cucina al tavolo.

-Mi ci vedi a fare una roba del genere?- chiese Rukawa.

-No. Decisamente no.- Sakuragi appoggiò la teiera sul tavolo e si chiese se fosse davvero così sgarbato sbattere fuori Rukawa a calci nel sedere per poter piangere in santa pace.

-Come pensavo. È per questo che dico che sei un idiota.- disse Rukawa, ma la sua voce non era fredda e atona come al solito, e Sakuragi osò alzare gli occhi.

Rukawa sedeva con il viso appoggiato ad una mano, il gomito sul tavolo, e lo guardava con aria strana. Il suo sguardo indicò il centro del tavolo, e Sakuragi involontariamente si girò.

Per un attimo non capì.

Insomma, quel cestino prima non c'era.

Si avvicinò, esitante e sbirciò al suo interno.

Continuò a non capire.

-Ma...- Rukawa si alzò, si mise al suo fianco e disse: -Quello l'avevo preso per te a Natale, ma non ho avuto il coraggio di dartelo.- prese un portachiavi a coda di volpe e glielo mise in mano. Sakuragi arrossì, ancora con la bocca aperta per lo stupore, e restò lì come un imbecille ad accarezzare il soffice codino peloso.

-E quello l'ho fatto per te.- Rukawa indicò il cestino, mostrando a Sakuragi un'altra cosa, che la coda di volpe aveva nascosto.

Cioccolato bianco.

Cioccolato bianco modellato a formare la scritta: “Born 2 Love You”.

Sakuragi si sedette e si portò al petto la coda di volpe. Strizzò le palpebre, deglutì qualche volta e infine chiese: -Fai sul serio?

-Nh?

-Fai sul serio, Rukawa, o mi stai prendendo in giro?

-Mi hai mai visto scherzare?- rispose Rukawa, ad un soffio dalle sue labbra. -Ai shiteru, Hana.- si chinò e soffocò con un bacio il gemito di sorpresa di Sakuragi.

In quel momento, la porta d'ingresso si spalancò, e fecero il loro ingresso quattro ragazzi, una donna adulta e una ragazza sui vent'anni, che cominciarono ad esultare e far esplodere crackers pieni di coriandoli colorati.

-Kaori, che cazzo ci fai qui?!- sbottò Rukawa.

-Ti seguo da stamattina, imbecille. Ho conosciuto gli amici e la mamma del tuo ragazzo!

-Era appostata qui fuori!- ghignò la signora Sakuragi.

-E noi ti abbiamo seguito dalla palestra!- si vantò il grassone. Sakuragi gli strappò di mano un cracker sbraitando: -Da' qua!-, tutto rosso in viso. Rukawa, una volta confessati i propri sentimenti, era tornato al suo usuale mutismo. Sakuragi armeggiò con il cracker, lo puntò verso il soffitto e lo fece scoppiare, inondando se stesso e Rukawa di coriandoli.

-Cosa...?- chiese Rukawa.

-Se non puoi batterli, unisciti a loro.- la Gundan esultò.

-Nh.- Kaori emise uno “tzè” degno del fratello, e mentre la cucina si popolava di gente allegra in cerca di tè, Sakuragi trascinò Rukawa in salotto.

-Ehi. Grazie.

-Nh.

-Stavo scherzando, ovviamente, non è necessario che cominci a diventare casinista, ci sono già io che basto per due.

-Anche per dieci.

-Esagerato. Rukawa...

-Kaede.- Sakuragi gli prese timidamente la mano.

-Kaede. Fammi indovinare, oggi hai parlato abbastanza per i prossimi dieci anni?

-Per i prossimi due.

-Ma mi devi sempre contraddire?!- chiese Sakuragi, scocciato.

-No.

-Ah, per fort... aspetta, mi stai contraddicendo di nuovo, maledetto!- sul viso di Rukawa sbocciò un piccolo sorrisetto malizioso.

-Parla tu per tutti e due.- disse, e dopo più di un anno di ansiosa attesa colmò la distanza che li separava senza aspettarsi un pugno.

Ricevette invece la calda stretta di un abbraccio, un altro bacio e un cuore che batteva trepidante.

E un altro boom di applausi, che fu lieto di ignorare.




 

You are the one for me, I am the man for you,
you were made for me, you're my ecstasy,
if I was given every opportunity, I'd kill for your love.
So take a chance with me, let me romance with you,
I'm caught in a dream and my dream's come true,
it's so hard to believe this is happening to me,
an amazing feeling coming through!
-Freddie Mercury, I Was Born To Love You

(Sei quello che fa per me, sono l'uomo per te,
sei stato fatto per me, sei la mia estasi,
se mi fosse data l'opportunità, ucciderei per il tuo amore.
Quindi dammi una possibilità, fammi avere una storia con te,
sono intrappolato in un sogno e il mio sogno è diventato realtà,
è difficile credere che stia succedendo a me,
un sentimento meraviglioso sta emergendo!)


 
Per Jonghyun88: che il tuo White Day porti altrettanta gioia nella tua vita <3
   
 
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