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Autore: Harriet    14/02/2019    2 recensioni
Ci sono molti modi per affrontare una sospensione scolastica. Per esempio, rimuginare sul giudizio degli altri e sentirsi in colpa. Oppure insultare qualunque oggetto e minacciare di far saltare tutto il dormitorio.
O magari, confrontarsi con qualcuno, guardarsi dentro e cercare di capire perché si è compiuto una certa azione, e a cosa è servita.
Perché è servita a qualcosa, vero?
[Post episodio 61 "Deku vs Kacchan 2"/ capitolo 119 del manga. Leggermente TodoDeku, KiriBaku se guardate molto bene, ma le coppie non sono il focus della storia.]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: All Might, Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou, Shouto Todoroki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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COW-T di Lande Di Fandom, prima settimana, squadra All Stars.
Prompt: Conflitto
 
 
Stupidaggini eroiche
 
«Allora noi andiamo.»
 «Certo, Uraraka-san.»
 «Sì. Bene. Ci vediamo dopo, Deku-kun.»
 Ma Uraraka si era fermata sulla soglia della sala comune e sembrava titubante a lasciarlo da solo nella stanza da riordinare.
 «Andiamo?» la chiamò Iida. «A più tardi, Midoriya-kun.»
 Izuku salutò entrambi con un sorriso e un cenno della mano. Mentre si allontavano, si domandò quanto fossero davvero arrabbiati con lui. Iida ci teneva, alle regole, e Izuku le aveva infrante, gettandosi in una cosa tanto stupida come una rissa. Iida era quel tipo di amico che non condona le sciocchezze, ma te le fa notare, per il tuo bene. Era una dote preziosa. Quindi c’era solo da essere contenti, se Iida era un po’ arrabbiato. Giusto?
 Sì, era giusto, ma ciò non significava che non gli pesasse. E poi, chissà cosa pensava Uraraka. Si era preoccupata per lui, chiedendogli se stesse bene e se alla fine avesse fatto pace con Kacchan. Uraraka era una persona meravigliosa, ma magari, in fondo, si vergognava di essere amica di qualcuno che ormai mezza scuola considerava un “ragazzo problematico”.
 I compagni di classe li avevano riempiti di battute e ramanzine sulla totale idiozia che avevano combinato. Avevano perfettamente ragione. Quando sarebbe tornato in classe, avrebbe dovuto scusarsi con tutti.
 Dover perdere tre giorni di scuola era una tragedia. Già partiva in svantaggio rispetto agli altri: rimanere ancora più indietro, e per colpa sua, era imperdonabile! E sua mamma, poi? Di certo il professor Aizawa l’avrebbe contattata, per dirle che suo figlio era un teppista irresponsabile che faceva a botte con i compagni. Il pensiero di sua mamma lo riempì, come sempre, di una quantità spropositata di senso di colpa. Spense l’aspirapolvere e si sedette sul bracciolo di uno dei divani. Non sapeva più bene cosa stesse facendo, troppo avviluppato in quelle riflessioni.
 Dal corridoio gli arrivò il suono di una scarica di parolacce, accompagnate da auguri di morte rivolti, in sequenza, alla polvere, a un lampadario e a una pianta. Kacchan era proprio in forma.
 Un pensiero più leggero degli altri gli attraversò la mente: il ricordo dello scambio che aveva avuto quella mattina con Kacchan, quando avevano discusso del suo nuovo stile di combattimento. Era stato il primo dialogo privo di insulti con lui. Era una strabiliante novità, e non era male per niente. Aveva smesso di aver paura dell’altro da un po’, però l’idea di poterci avere un rapporto se non paritario, perlomeno decente, lo rendeva contento. E se era servito azzuffarsi per ottenere quel risultato, allora forse quello che avevano fatto non era stato solo un errore.
    A dover essere del tutto sincero con se stesso, Izuku non credeva per niente che scontrarsi con Kacchan fosse stato un errore. Ma era difficile confrontarsi con le reazioni degli altri. Se avesse potuto dire loro come stavano realmente le cose, forse avrebbero capito. Invece per loro si era trattato solo dell’ennesimo contrasto tra due persone immature che non riuscivano ad andare d’accordo, e…
 «Dicevi a me?»
 Si voltò di scatto, con un ridicolo movimento che lo fece quasi cadere dal divano. Si accorse che dietro di lui c’era Todoroki.
 «Todoroki-kun! No, stavo… Insomma, non mi ero nemmeno accorto che fossi entrato!»
 «Ah. Stavi parlando da solo, come sempre. Non ti volevo disturbare.»
 «Nessun disturbo.» Sorrise all’altro, che gli riservava la solita espressione piatta. «Avevi bisogno di qualcosa?»
 Un’alzata di spalle.
 «Volevo vedere come stavi. Hai un sacco di cose da sistemare» notò Todoroki, indicando la parte del grande spazio comune che rimaneva ancora da pulire e riordinare.
 «Già. Ci metterò un po’. Spero di finire prima di cena.»
 «Vuoi un aiuto?»
 «Assolutamente no! Questa è la mia punizione, e me la sono meritata.»
 Todoroki gli rivolse uno sguardo scettico e non accennò a volersi muovere da lì. Ci fu un secondo di silenzio imbarazzato in cui si guardarono negli occhi, come aspettando un segno di vita dall’altro (una cosa che gli capitava spesso, con Todoroki.) Poi il silenzio fu infranto da un’altra espressione irripetibile proveniente dal corridoio.
 «Sei sicuro di stare bene?» gli chiese Todoroki, prendendogli di mano il tubo dell’aspirapolvere.
 «Sì, tranquillo, non è niente. E poi te l’ho detto, se sono in questa situazione è solo per colpa mia. Avrei potuto tirarmi indietro, no?»
 «Mi chiedevo proprio perché non l’abbia fatto. Non che debba dirmelo, se non vuoi. Ma tu in genere fai cose stupide solo per un motivo.»
 Izuku fu attraversato dalle parole dell’altro come da una scheggia tagliente. Cose stupide. Era chiaro che anche Todoroki la pensasse così, ma sentirglielo dire era spiacevole lo stesso.
 «Lo so, che è stata una cosa stupida» mormorò, abbattuto. «Ma in quel momento non potevo fare altro. Mi è sembrato che Kacchan ne avesse bisogno, così…»
 «Ah. Appunto.»
 «Cosa?»
 «Hai pensato che Bakugo avesse bisogno di risolvere i suoi problemi a botte e quindi hai agito di conseguenza. Avevo ragione. Tu fai cose stupide solo quando pensi che possano aiutare qualcuno.»
 Di nuovo, Izuku rimase senza parole, a fissare l’altro con gli occhi spalancati. Todoroki aveva detto qualcosa che poteva sembrare un complimento. Forse. Era un po’ difficile da capire. Ma almeno non pensava che fosse un cretino senza speranza. Quella consapevolezza lo riempiva di sollievo.
 «È che… Lo sai, io e lui…»
 «Ci sono cose del vostro passato che non conosco. E ho l’impressione che ci sia anche dell’altro, in questa storia della rissa, che non puoi dirmi. O non vuoi. Non importa.»
 Izuku abbassò lo sguardo. Segreti. Odiava i segreti, ma sapeva che in quel caso il segreto era importante. Era vitale. Forse, se tutti avessero potuto avere il quadro completo della situazione, avrebbero capito. Ma nessuno poteva sapere, e tutti dovevano accontentarsi di una spiegazione vaga: Midoriya e Bakugo, che avevano un conflitto in corso da sempre, avevano finito per litigare peggio delle altre volte.
    «Allora, cosa ti rimane da pulire?»
    «Solo questa parte. Il resto lo abbiamo già sistemato io e Kacchan stamattina, mentre voi eravate alla cerimonia di apertura del trimestre. Todoroki-kun, a me fa piacere se mi aiuti, ma… Non ti sto trattenendo? Non dovresti studiare?»
 «Preferisci che me ne vada?»
 «No, no, certo, resta! È solo che non voglio essere un peso per te.»
 «Non lo sei.»
 In quel momento la testa bionda di Kacchan si affacciò sulla soglia. Era armato di straccio e prodotto per pulire le superfici, e aveva la sua solita aura di morte e devastazione tutt’attorno. Quando vide i due, borbottò qualcosa e tornò da dove era venuto.
 «Perlomeno lui è riuscito a risolvere le sue faccende in sospeso con te, dopo che vi siete picchiati?» domandò Todoroki.
 «È un po’ difficile da dire» rispose Izuku, ridendo. «Kacchan è… Insomma, lo sai, com’è. Io però penso di aver risolto.»
 «Tu non avevi niente da risolvere.»
 «Perché dici così?»
 «Perché tu non sei mai stato così ossessionato da lui, al contrario di lui con te. Qualunque cosa ci sia stata tra voi da ragazzini, tu l’avevi già superata. Altrimenti avresti scelto un altro nome da eroe. Quello con qualcosa da chiarire era lui. Non che voglia giudicarlo perché aveva il chiodo fisso con te. So come ci si sente.»
 «Ad… Avere il chiodo fisso con me?»
 La faccia di Todoroki diventò all’improvviso di un bel rosso vivo. Gli voltò precipitosamente le spalle.
 «Voglio dire, a vivere la propria vita cercando di opporsi a una persona, senza rendersi conto di come questo ci possa danneggiare.» Tacque, accendendo l’aspirapolvere e Izuku lo seguì, spostando le sedie dalla zona da pulire, senza sapere bene come rispondergli. «Sarebbe uno sciocco, a sprecare questa occasione per imparare qualcosa» aggiunse Todoroki poco dopo, quando ebbe finito il lavoro.
 «Sono sicuro che sarà così.»
 «Tu sei troppo buono, soprattutto con lui. Beh, l’importante è che tu sia tranquillo.»
 «Io…» Si lasciò cadere su una sedia. Il groviglio di pensieri che lo aveva tormentato fino a poco prima tornò tutto insieme, con prepotenza. «So che siamo andati contro le regole, ma non riesco a pensare che sia stata una cosa del tutto sbagliata. Però ho paura di cosa penseranno tutti. Uraraka, Iida, tu. Mia mamma.» Avvertì la familiare sensazione di essere sul punto di piangere, ma si impose di trattenersi. Stava imparando a gestire le emozioni, no?
 «Chi tiene a te lo sa, come sei fatto. Magari ti diranno che hai sbagliato, ma non perderanno certo la stima di te per una cosa del genere. Per quanto riguarda me, te l’ho detto: non mi stupisce che tu abbia fatto una cosa simile cercando di aiutare qualcuno.»
 Izuku gli sorrise. Sentiva gli occhi pericolosamente umidi. Doveva resistere. E poi sentiva anche qualcos’altro, legato al fatto che fosse Todoroki, a dirgli quelle cose.
 «Grazie.»
 «Dai, finiamo di sistemare, o faremo tardi per la cena.»
 «Tu puoi andare. Non ha senso che ti attardi per me.»
 «Perché, sei solo tu, che hai il diritto di fare sciocchezze per aiutare qualcun altro?»
 Izuku smise di insistere e si rimise all’opera, felice, lasciandosi alle spalle la confusione interiore e godendosi quel momento di chiarezza e la presenza di Todoroki.
 
*
 
 La tentazione di risolvere tutto quel casino facendo esplodere la stanza delle lavatrici era molto forte. Quel posto era uno schifo totale. Come minimo qualcuno di quei coglioni aveva fatto apposta, a lasciare in giro la sua robaccia, sapendo che era lui, a dover pulire. Beh, e lui avrebbe dimostrato che non era da meno di nessuno neanche quando si doveva affrontare dei cazzo di panni sporchi!
 Due giorni chiuso nel dormitorio, e Katsuki non ne poteva più. Ed era appena a metà! Quella cazzo di punizione era veramente una merda, e se il tempo non si fosse sbrigato a passare più velocemente, lui sarebbe impazzito. O avrebbe ridotto a un cumulo di macerie l’intero dormitorio.
 «Kacchan, tutto bene?»
 «Sì, certo, perché non dovrebbe andare tutto bene?» abbaiò, voltandosi verso Deku, comparso sulla porta con il suo solito sorriso cretino. Che cazzo c’era da sorridere, in quella situazione?
 «Io ho finito, per il momento, e mi chiedevo se avessi bisogno…»
 «Pensi che non sia in grado di spolverare?»
 «Va bene, ci vediamo dopo.»
 Katsuki non avrebbe mai pensato di poter trascorrere due giorni da solo in un edificio con Deku, e che Deku ne uscisse vivo.
 Da qualche parte, nella sua testa, echeggiarono (non per la prima volta, in quei giorni) alcune delle parole che All Might gli aveva detto. Quel discorso sul fatto che per essere un eroe gli sarebbe servito il desiderio di aiutare le persone. E che doveva imparare da Deku.
 Quel consiglio lo faceva arrabbiare, non solo perché partiva dal presupposto che si potesse imparare qualcosa da quello scemo. Lo costringeva ad affrontare una questione che aveva sempre evitato fin da quando, da piccolo, aveva deciso che sarebbe diventato un hero.
 Un hero è forte, sconfigge tutti gli avversari e non si arrende mai. Questa era sempre stata l’unica verità che gli importasse. Lui era forte. Lui avrebbe percorso tutta la strada e sarebbe arrivato primo. Certo, era ovvio che un hero facesse quel che faceva per aiutare gli altri. Era scontato. Veniva in automatico con il pacchetto hero, no? Non c’era molto da pensarci su.
 Questo si era sempre detto. Quando sarebbe stato un hero, avrebbe dimostrato a tutti di essere il più forte. Poi, certo, avrebbe salvato la gente e tutto il resto. Era chiaro.
 E invece All Might sosteneva che non fosse così scontato. L’attitudine ad aiutare gli altri era qualcosa da imparare. Qualcosa in cui ci si doveva migliorare, per arrivare in vetta. E questa faccenda a Katsuki non piaceva granché. Non gli piaceva doversi confrontare con l’idea di essere carente in un aspetto fondamentale per gli eroi.
 Non importava con quanto impeto si accanisse contro lo sporco della stanza, concentrando su di esso la sua frustrazione: quel pensiero restava lì e non lo lasciava in pace, scontrandosi con le certezze che aveva sempre avuto.
  Finalmente terminò di riordinare. Ne aveva abbastanza di pulire, di stare rinchiuso e di non potersi sganciare da tutta quella roba dentro la sua testa. Se n’era portata dietro a sufficienza, da quando era stato rapito. Aveva creduto per un attimo di essersene liberato scatenandosi contro Deku, ma a quanto pareva, aveva sputato fuori qualcosa e si era appesantito con qualcos’altro.
 Le voci degli altri lo raggiunsero dal corridoio. Aveva voglia di unirsi a loro? Non particolarmente. Riconobbe le chiacchiere imbecilli di Kaminari e il tono caustico di Jirou. Poi arrivò la risata di Kirishima.
 Prima che potesse uscire, un ultimo colpo di coda della sua testa gli rilanciò un ricordo.
 
 Sono passati un paio di giorni dalla sua liberazione. C’è Kirishima, con lui, che gli esprime per la millesima volta il suo sollievo perché è vivo. Lui lo offende, per tutta risposta: credeva che fosse così debole da lasciarsi sopraffare?
 «Lo so che sei forte, ma avevo paura che ti avrebbero fatto del male. Io lo sapevo, che tu non avresti mai accettato di diventare uno di loro. Tu sei un eroe.»
 
 Ecco, anche allora aveva dato per scontato ciò che quelle parole implicavano. Kirishima era un altro di quelli che blateravano stronzate sull’essere gentili. Era amico di tutti, faceva discorsi sul voler proteggere le persone, rompeva le palle a Katsuki se rispondeva male a qualcuno.
Tu sei un eroe: quelle parole significavano che Kirishima non lo riteneva solo forte, ma anche altruista e disposto a rischiare la vita per gli altri. Mentre mezzo mondo diceva che i villain lo avevano rapito perché il suo carattere si addiceva più a un cattivo che a un hero, Kirishima non aveva dubbi su di lui.
 Era irritante, ma quel pensiero sembrava sanare almeno un po’ il conflitto in corso nella sua testa. Anche se non aveva idea del perché, né di cosa significasse. Basta, basta pensieri. Uscì dalla stanza e i tre ragazzi intenti a scherzare nel corridoio si voltarono verso di lui.
 «Ehi, Bakugo!» lo salutò Kaminari. Jirou gli fece un cenno con la testa. Kirishima gli corse incontro, gli gettò un braccio sulle spalle e lo trascinò con entusiasmo in mezzo a loro. Katsuki non protestò per quel gesto: avrebbe fatto esplodere chiunque altro ci avesse provato, in quel momento, ma non Kirishima. Anche perché stava sorridendo in maniera così idiota e luminosa che probabilmente avrebbe riflesso l’esplosione.
 
*
 
 «Dovremmo impegnarci perché cose simili non succedano più.»
 «Hai ragione sul fatto che forse abbiamo un po’ tralasciato l’aspetto del supporto psicologico. Ma quei due non sono dei bambini piccoli. Noi possiamo fornire loro tutto l’aiuto possibile, ma sono loro, a dover capire come comportarsi.»
 «Certo, ma in questo caso mi sento come se fosse un po’ anche colpa mia.»
 Aizawa scosse la testa.
 «La prossima volta, se ti senti così in colpa, assegnerò una punizione anche a te.»
 Toshinori rise e decise di concludere lì la discussione. Aizawa aveva ragione: non serviva a niente continuare a ripetere le stesse cose. E soprattutto, Aizawa non aveva il quadro generale della situazione. Quello ce l’avevano unicamente lui e i due ragazzi.
 Parlarono ancora un po’ di questioni scolastiche, poi Aizawa lo lasciò solo, nel giardino vicino alla scuola, e Toshinori sedette su una panchina, cercando di rilassarsi. Era buffo come tutta la sua vita passata, tutti i suoi scontri contro i villain e i suoi epici salvataggi gli sembrassero semplici, paragonati al mestiere di insegnante. Quando hai per le mani la psiche e il futuro di un branco di adolescenti, improvvisamente ogni cosa si complica, e preferiresti davvero combattere con un avversario dieci volte più grosso di te, piuttosto che gestire dei ragazzini.
 All’improvviso una delle maggiori fonti delle sue preoccupazioni arrivò in corsa verso di lui. Avrebbe preferito parlargli in un altro momento, ma non riuscì a fare a meno di sorridere a Midoriya, quando se lo ritrovò davanti, con la sua tipica espressione seria e solenne.
 «Buongiorno, giovane Midoriya. Com’è andato il tuo primo giorno di scuola del secondo trimestre?»
 «Molto bene, grazie. Mi impegnerò con tutte le mie forze per rimettermi in pari e far sì che la mia assenza in questi tre giorni non danneggi i miei risultati!»
 «Sono sicuro che recupererai senza alcun problema.» Midoriya annuì, con la sua abituale convinzione, ma negli occhi verdi del ragazzo non si accese il sorriso. Toshinori gli fece cenno di sedersi accanto a lui sulla panchina.
 «Di che cosa avevi bisogno?»
 «All Might, io… Io lo so che ne abbiamo già parlato, e che sei stato tu a lasciare che io e Kacchan risolvessimo i nostri problemi con uno scontro. Ma non voglio che tu pensi male di me per quello che è successo. Magari mi ritieni un immaturo che…»
 «Frena.» Posò per un attimo la mano sui capelli scompigliati del ragazzo. «Non angosciarti per niente. Vi ho già detto che è anche colpa mia. Quindi, non rimuginare inutilmente e stai tranquillo.»
Sono un po’ ipocrita, pensò, mentre guardava il viso del ragazzo che si rilassava e le sue labbra che si increspavano finalmente in un sorriso. Dico a te di non pensarci troppo, mentre sono quattro giorni che mi interrogo sulle mie azioni come vostro professore.
 «Sapessi quante sciocchezze ho fatto io, quando avevo la tua età…» aggiunse.
 «È che non ti voglio deludere» disse Midoriya, non certo per la prima volta. E come accadeva regolarmente, Toshinori si sentì riempire da un misto di orgoglio, tenerezza e paura. Paura di non riuscire a essere ciò che avrebbe dovuto, per tutto il tempo necessario.
 «Nemmeno io» rispose. «Allora, mi racconti di questo esame per la licenza provvisoria?»
 Midoriya si lanciò in una cronaca entusiasta di quell’esperienza, e Toshinori fu felice di sentirlo parlare in quel modo: ebbe l’impressione che il carico di angoscia che entrambi si portavano dietro da giorni stesse pian piano svanendo.
 Quando si salutarono, Toshinori lo guardò mentre si allontanava insieme al giovane Todoroki, appostato poco distante per aspettarlo. A quanto pareva, erano molto legati, e anche quella era una delle conquiste di Midoriya, che era riuscito a fare breccia nelle difese di quel ragazzino cupo. Era un bene che Todoroki si fosse aperto. C’erano persone che trascorrevano tutta la loro carriera scolastica da sole e in guerra con tutti. Todoroki gli era sembrato così, all’inizio dell’anno: chiuso, serio, sofferente. Ma l’indole irrimediabilmente eroica di Midoriya era arrivata a rivoluzionare il suo mondo, pensò, con tutta la fierezza possibile nei confronti del suo successore.
 Non era mai stato così convinto della sua scelta, né così grato per il tempo in più che gli era stato accordato.
 
 
 
***
 
Non avrei mai pensato che dopo sei anni di pausa dalle fanfiction sarei tornata da loro. Trovo significativo aver ricominciato con un fandom e una storia che parlano molto del mio attuale lavoro. No, non il supereroe, ma la professoressa.
È stato molto divertente scriverla. Un po’ meno divertente deve essere stato per le mie beta, che si sono sorbite una serie di dubbi angosciosi, tra cui quello di essere troppo vecchia per riuscire a tenere in character i personaggi. Quindi, grazie a Shu (che non sa nulla di questo fandom, ma è la mia beta storica) e a Lillabulleryu. Grazie anche a Wren per aver sopportato domande e deliri.

Questa storia è dedicata a loro tre: a Shu, perché mandarti le fic da betare sarà sempre una gioia della vita; a Lillabulleryu e a Wren per molti motivi, tutti belli.
Grazie per aver letto. Magari ci rivedremo tra le righe di qualche altra storia.
   
 
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