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Autore: BeaterNightFury    14/02/2019    1 recensioni
Ho letto da qualche parte che anche la persona più piccola può cambiare il corso del tempo.
Nessuno ha MAI detto se in meglio… o in peggio.

Ventus ha 16 anni, una meravigliosa famiglia adottiva, e un sacco da imparare sui mondi.
Terra e Aqua hanno responsabilità e sogni, e forse un po' il bisogno di comportarsi da giovani.
Lea ha una sorellina per cui è tutto il mondo, Isa ha un cane, Zack ha una ragazza e un amico da aiutare.
Sora ha troppa felicità per il suo bene, Riku ha la testa dura, e Kairi qualcosa che dovrebbe ricordare.
Insieme ad altri, condividono una sola storia.
(La trama è vagamente ispirata alla vecchia fanfiction "Til Kingdom Come" che ho scritto con i miei amici, ma questa considera canon la trama e gli eventi di Kingdom Hearts 3, quindi potrebbero esserci degli spoiler più avanti)
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Capitolo 1
Immagini Nel Cielo
 
 
“Questa è la mia famiglia.
L’ho trovata per conto mio.
È piccola e disastrata, ma bella.
Sì, molto bella.”
 
Il rumore assordante di un vetro in frantumi echeggiò per il salone, immediatamente seguito dal pianto disperato di una bambina molto piccola.
«L’hai fatta grossa, Terra.» Il ragazzino impegnato fino a quel momento in un acceso duello con il colpevole si strinse nelle spalle, e dismise la propria arma con un movimento del polso.
Si chiamava Ventus e con i suoi sedici anni non dimostrati era il più giovane degli studenti, pur non essendo la persona più giovane all’interno del castello. Normalmente Terra, il suo interlocutore, di quattro anni più anziano, in risposta ad una simile accusa lo avrebbe preso per le spalle, sollevato per aria, e gli avrebbe grattugiato per bene i capelli biondi con le nocche, ma in quel momento il pianto dell’ultima arrivata aveva lasciato il ragazzo più grande in preda alla preoccupazione.
«Shiro…» Terra sibilò tra i denti, schiaffeggiandosi la fronte con la mano che non stringeva il Keyblade.
In un angolo della stanza, delimitato da un box per bambini, una bambina di poco più di un anno con gli occhi azzurri e i capelli inusualmente bianchi si era aggrappata al recinto e piangeva, cercando con lo sguardo gli occupanti della stanza. Terra corse da lei e la prese immediatamente in braccio.
«Mi dispiace, piccina, papà non voleva fare rumore…»
«No, volevi soltanto sparare me contro la parete.» Ventus ridacchiò raggiungendo l’amico. «Guarda che però avrebbe pianto lo stesso.»
Ventus adorava Shiro, e il suo status di zio in tutto tranne che il sangue, ma non era stato sempre così ben disposto verso di lei. Pur avendo effettivamente compiuto sedici anni (soffriva di amnesia, e l’altra studentessa del castello, Aqua, aveva arbitrariamente deciso la data del suo dodicesimo compleanno come il 27 Novembre di quattro anni prima, il giorno in cui era arrivato da loro), non dimostrava la sua età né fisicamente, in quanto nettamente basso ed esile e con lo stesso viso rotondo di quando era arrivato là, né mentalmente, e quando aveva scoperto, quasi due anni prima, che i suoi compagni di scuola, i suoi amici Terra e Aqua, avevano pur inconsapevolmente dato vita ad una bambina, aveva erroneamente ritenuto che sarebbe stato allontanato dal castello, o escluso, a causa della nuova arrivata.
C’erano voluti alcuni giorni di convincimento da parte di Terra e Aqua, e un piccolo, inconsapevole intervento di Shiro, perché Ventus comprendesse che poco o niente sarebbe davvero cambiato.
Shiro voltò lo sguardo verso il ragazzino e tese una manina verso di lui, squittendo: «Tio!»
«Eh no gattina, così non vale, sai?» Terra, fingendosi offeso, abbassò Shiro verso il pavimento, tenendola con le gambe all’aria, poi la rimise dritta, le fece fare un volo in aria e la riprese, stringendola forte. La piccola prese a ridere.
«Sai, Terra, che non hai affatto ragione di essere geloso?» Ventus fece un sorrisetto. «Alla fine preferisce sempre la tua spalla per rigurgitarci sopra.»
Shiro smise di ridere e fissò un punto alle spalle di Terra e Ventus, per poi sorridere di nuovo e indicare qualcuno con la manina.
«Mamma! Nonno!» esclamò allegra.
Aqua prese Shiro dalle braccia di Terra e controllò che stesse bene, poi fissò la vetrata che Terra aveva mandato in frantumi con un Aerocolpo mirato male.
«Che cosa è successo?» chiese ai due ragazzi.
«Papà BUM!» Shiro intervenne prima che uno dei due avesse tempo di spiegare. Aqua stava visibilmente cercando di lanciare un’occhiataccia a Terra e Ventus, ma il commento di Shiro fece sciogliere la sua espressione in un sorriso.
Ventus si morse il labbro. Shiro a malapena era in grado di dire una dozzina di parole e una frase (“volio bene!”), ma era perfettamente capace di vuotare il sacco quando le veniva chiesto.
Il ragazzino non immaginava nemmeno cosa sarebbe stata capace di spifferare Shiro nei prossimi due, forse tre o quattro anni, che ci avrebbe messo lui ad arrivare al suo esame.
L’uomo che era arrivato assieme ad Aqua, vestito in un ampio mantello bianco e con capelli, barba, e baffi neri punteggiati di grigio, si fermò davanti a Terra e lo guardò negli occhi.
«Sei nervoso, ragazzo. Cerca di stare calmo.» Lo raccomandò.
«Mi dispiace, Maestro.» Terra accennò ad un inchino.
La formalità nelle parole di Terra era soltanto una facciata: l’uomo anziano che il giovane aveva chiamato Maestro, Eraqus, era la persona più prossima che i tre ragazzi avessero ad un padre. Aveva cresciuto Terra e Aqua fin da quando erano troppo piccoli per poter scrivere il loro nome, e Ventus da quando un suo vecchio amico e antico rivale lo aveva lasciato lì, asserendo che fosse stato gravemente ferito nel corpo e nel cuore.
«È stato un incidente…» Ventus fece per difendere il suo amico.
«So benissimo cosa è stato, Ventus, non ti agitare.» Il Maestro Eraqus alzò una mano a calmare lo studente più giovane. «Tuttavia, credo che per la vostra sicurezza e soprattutto la vostra tranquillità credo sia meglio se terminiate tutti la sessione di studio di oggi in biblioteca.»
Niente avrebbe davvero abbattuto Ventus di spirito, neanche la prospettiva di passare il resto del pomeriggio su libri di magia, ma sapeva che per Terra non sarebbe stato lo stesso, quindi fece un sorriso da un orecchio all’altro per l’amico e iniziò ad incedere con il passo più largo che gli consentissero le gambe corte. Terra tirò un sospiro, si costrinse a sorridere, lo seguì e lo superò arruffandogli spietatamente i capelli.
«Uhm, Terra?» Aqua lo raggiunse, con un sorriso a metà tra l’imbarazzato e il vendicativo. Gli passò Shiro, che stava inconfutabilmente iniziando a puzzare. «Chi rompe paga
Terra impallidì visibilmente, ma prese in braccio la bambina e la portò verso i bagni del castello.
Camminando verso il corridoio che portava alla biblioteca, Ventus fece in tempo a notare con la coda dell’occhio che Aqua era rimasta indietro, e si era fermata davanti alla vetrata in frantumi.
Prima di girare l’angolo, la vide chinarsi e raccogliere i pezzi di vetro.
 
 
«Aspetta! Fammi provare un’altra volta!» Zack si stese nella sabbionaia e guardò la sua ragazza con un sorriso.
«Va bene… ma solo un altro tentativo!» Aerith, tredici anni, un sorriso innocente e addosso la divisa di una delle scuole medie della città, gli impartì l’ordine.
Zack calciò le gambe verso l’alto e fu in piedi in un singolo, fluido movimento. «Aha!»
Aprì le braccia e fece un sorriso fino alle orecchie, poi si sedette su una panchina del parco giochi di Radiant Garden.
«Ti trattano bene nella guardia cittadina?» La ragazza si sedette accanto a lui, senza smettere di sorridere.
Zack annuì. Avendo soltanto sedici anni, il lavoro assegnatogli non era a tempo pieno – era ancora obbligato a frequentare il liceo locale – ma era stato immediatamente additato come quello figo da quando nei pomeriggi seguiva uno dei tre capitani delle guardie con addosso una divisa blu.
Persino i due combinaguai della sua classe lo avevano tirato da parte e gli avevano proposto di dividere gli utili dei loro affari in cambio di collaborazione.
«Per il momento l’atto più eroico che mi è stato assegnato è stato di rintracciare un bambino disperso in mezzo al mercato cittadino. Angeal dice che devo fare cose alla mia misura.»
Aerith si fece seria.
«Zack, lo so che hai vinto la scommessa, ma ti devo comunque chiedere un favore. C’è un mio compagno di classe…»
«Compagno?» Zack sobbalzò, preoccupato. «Cosa… chi…?»
Sperava non fossero brutte notizie… Aerith stava con lui… certo, era più plausibile che magari uscisse con un coetaneo
«Ha cercato di entrare nelle guardie come hai fatto tu.» Aerith abbassò lo sguardo. «Credo che qualcuno lo abbia allontanato in pubblico ridicolo, una delle sentinelle del re, e lui adesso è con il morale a terra.»
«Non c’è molto da fare quando alle guardie qualcuno non piace…» Zack fece una smorfia. «Poi, tredici anni… a quanto pare il ragazzino avrà più sogni che cervello se ha cercato di farlo già da adesso.»
Aerith gli diede uno schiaffetto su un orecchio.
«Dai!»
«Tu pensi ci possa riuscire?» Zack la guardò perplesso.
«Non lo so.» Aerith sostenne il suo sguardo. «Ma gli serve un amico. Qualcuno come te
Gli prese una mano nelle sue, poi sorrise di nuovo.
«Dici di voler diventare un eroe. Questo sarebbe un po’ da eroi.»
Zack sorrise di rimando, e prese a sua volta le mani della sua ragazza.
Sì, era una cosa che poteva fare. L’amico di scuola di Aerith non era la minaccia che aveva immaginato. Era soltanto… un amico. Un suo futuro amico peraltro, se le cose fossero andate come…
«ZACK E AERITH, SEDUTI SOTTO A UN PINO, SI GUARDANO NEGLI OCCHI E SI SCAMBIANO UN BACINO!»
Una voce tuonò dietro di loro, e Zack girò la testa per vedere un ragazzo della sua età, con irti capelli rossi, una giacca arancione e una bandana a scacchi gialli e marroni sopra una maglietta bianca e un paio di calzoni beige, un sorriso divertito e un megafono di fortuna nelle mani.
«Quello sopra di loro è un larice, scemo.» Accanto a lui, un altro ragazzo, con i capelli azzurri pettinati all’indietro, una giacca blu e i pantaloni bianchi, guardò l’amico che reggeva il megafono con aria di superiorità e lo corresse.
Zack rimase a guardare i due per un momento, poi sbuffò rumorosamente.
«Figurarsi se non dovevate essere voi.» Li apostrofò, poi li indicò ad Aerith. «Miccia…» Segnò a dito il ragazzo rosso… «… e Moccio.» … per poi portare il dito verso il suo compagno.
La menzione di quei soprannomi sortì l’effetto desiderato, e il ragazzo con il megafono di carta scagliò il suo utensile al suolo, alzando al cielo gli occhi verdi.
«Zack, sul serio? Lo sai come mi chiamo!»
Zack scoppiò a ridere. «Per questo è divertente!»
Il ragazzo scrollò le spalle e guardò il suo amico come se cercasse supporto.
«No, dico, Isa, l’hai sentito? Ha insultato anche te!»
«Ti rendi conto che potresti essertela cercata, vero?» Isa non fece una piega.
«Chi è il più folle, il folle o il folle che lo segue?» Il ragazzo del megafono riprese il sogghigno e il megafono e fece un passo verso la panchina. «Aerith, giusto?» Tese la mano ad Aerith. «Zack non fa che parlare di te. Il folle che mi segue si chiama Isa, e io mi chiamo Lea.»
«Piacere di conoscervi.» Aerith si girò verso Lea e gli strinse la mano.
«Piacere mio.» Lea spostò il peso dalle punte dei piedi ai talloni, poi si portò una mano alla fronte. «Mi raccomando. L-e-a. Lo hai memorizzato?»
«Sai, non credo lo scorderà mai. Assieme alla cattiva impressione.» Isa raggiunse Lea. «Piacere, comunque. Siamo in classe con Zack.»
«Purtroppo.» Zack si abbandonò sullo schienale della panchina e lasciò che il suo sedere strisciasse in avanti. «Mai, mai, mai fare ora di scienze allo stesso tavolo di Lea.»
«Oh, andiamo, è successo solo una volta!» Lea iniziò a fare l’offeso. Isa lo guardò con nonchalance e gli alzò tre dita.
«Diciamo che sa essere alquanto esplosivo…» Isa stava iniziando a dire, ma Zack non gli prestò attenzione. Nella tasca dei pantaloni, il suo cellulare aveva iniziato a vibrare ed emettere suoni.
«Pronto?» Portò il dispositivo all’orecchio e premette il tasto di ricezione.
«Zack?» La voce di Angeal, uno degli ufficiali di guardia, arrivò dal telefonino. «Sto chiamando per conto di Lord Ansem. Vuole che tu ti sottoponga ad addestramento aggiuntivo durante le vacanze estive.»
«Oh…» Zack annuì. Le vacanze estive sarebbero iniziate a giorni. Per certi versi, la notizia di ulteriore addestramento era sia buona che cattiva.
«Domani dopo la scuola farai immediatamente rapporto al castello. Dilan sa del tuo arrivo, quindi non preoccuparti di venire messo alla porta.»
Zack si coprì l’orecchio libero con la mano, si alzò e fece un paio di passi più in là.
«D’accordo. Domani.»
«Non ho ancora i dettagli chiari, ma Lord Ansem è convinto tu debba imparare a usare un’arm…»
Poco lontano, Lea aveva ripreso in mano il megafono.
«ZAAACK! NON FINIRTI QUELLA BIRRA, INGORDO!» urlò, mentre Aerith si alzava e faceva per toglierlo.
«Ma sei scemo? Chiudi subito quel becco!» Zack gli ribatté istintivamente, ma si rese rapidamente conto che Angeal avrebbe potuto sentire e pensare che fosse rivolto a lui. «Scusa, Angeal… un mio compagno di scuola. Con un megafono.»
Non appena Zack ebbe detto “Angeal”, fu il turno di Lea di sbiancare come un lenzuolo.
«Puoi attivare l’altoparlante?» Angeal chiese dall’altra parte del telefono.
Zack si allontanò il telefono dall’orecchio e premette il comando del vivavoce.
«Mi vorresti dire, ragazzino, che c’è un negozio in città che vende alcool ai ragazzi delle scuole
Lea barcollò sul posto e rimase zitto.
A quanto pare Angeal aveva interpretato il silenzio di Lea esattamente come quello che era, perché parlò di nuovo.
«Domani, dopo la scuola, ti voglio vedere al castello di Lord Ansem assieme a Zack, e mi aspetto che tu mi riferisca per filo e per segno chi ha infranto la legge.»
 
 
C’erano parecchie cose della sua infanzia che Ventus non ricordava affatto.
Non ricordava dove fosse cresciuto, né i nomi dei suoi genitori, o se avesse mai davvero avuto una famiglia.
Ricordava però il suo nome. Ricordava che aveva già imparato a leggere e scrivere, come si teneva un’arma in mano, che aveva sempre amato i gatti, e che aveva sentito da qualche parte che vedere una stella cadente in cielo era un pessimo presagio – l’avvertimento di una imminente sciagura, o di una guerra.
Per certi versi, non ci voleva credere.
Negli ultimi quattro anni gli era stato insegnato a non credere alla prima cretinata che gli venisse raccontata – ad osservare, ascoltare, ed essere certo di qualcosa prima di iniziare a preoccuparsi. Era una delle tante cose per le quali si sentiva grato verso il Maestro Eraqus.
Terra e Aqua, seduti vicino a lui, uno a sinistra e l’altra a destra, sulla panchina in pietra in cima alla montagna del castello, sembravano anche loro abbastanza preoccupati, anche se sicuramente era per altri motivi: un po’ di tempo prima, il giorno precedente all’incidente della finestra, il Maestro aveva annunciato loro che sarebbero stati sottoposti all’Esame del Simbolo della Maestria, e l’esame sarebbe stato la mattina dopo.
Persino Shiro sembrava agitata: quella sera aveva fatto i capricci e rifiutato il cibo, e tutti e tre avevano convenuto che probabilmente una passeggiata l’avrebbe perlomeno spinta ad accettare il biberon.
Enfasi sul probabilmente.
Al momento sembrava più una battaglia persa.
«Ehi, Aqua…» Forse Ventus sapeva come iniziare il discorso, senza citare il vecchio adagio della disgrazia imminente. «Ti sei mai chiesta cosa sono le stelle… e da dove viene la luce?»
Aqua smise per un momento di lottare contro i capricci di Shiro e lo guardò negli occhi.
«Ecco, pare che…»
«Ogni stella lassù è un mondo a sé.» Terra intercettò la risposta, approfittando della distrazione per arruffare i capelli di Ventus. «La luce è il loro cuore, che splende su di noi come mille lanterne.»
Non era proprio la migliore delle notizie, ma Ventus non voleva caricare i suoi amici con altre preoccupazioni, quindi cercò di ottenere altre notizie con tutta la nonchalance che potesse mantenere.
«Non capisco…» Il ragazzo si strinse nelle spalle.
«In altre parole, sono come te e Shiro, Ven.»
«Cosa vuoi dire?» Ventus sobbalzò sul posto. Il discorso di Terra si faceva sempre più enigmatico.
«Un giorno lo scoprirai, ne sono certo.»
«Ma voglio saperlo ora
«Sei piccolo per saperlo ora!» Terra prese Ventus per le spalle con un braccio e con l’altro gli strofinò i capelli con le nocche.
«Piantala di trattarmi come un bambino!» Ventus si finse offeso e cercò di dimenarsi dalla presa dell’amico, ma non resistette a lungo. Non lo aveva mai detto ad alta voce e non ce n’era neanche bisogno, ma adorava i momenti in cui Terra e Aqua lo lasciavano sedere accanto a loro, lo abbracciavano e persino gli facevano il solletico.
C’erano parecchie cose della sua vita che Ventus non ricordava affatto, ma se c’era qualcosa che il suo cuore non scordava, era la sensazione di essere stato per lungo tempo terribilmente solo.
Ogni piccola attenzione della sua famiglia improvvisata gli ricordava che loro c’erano, gli volevano bene, e non se ne sarebbero andati.
Si era già appoggiato contro la spalla di Terra con uno sbadiglio quando Ventus sentì Aqua dire: «Voi due sareste proprio due strani fratelli…». La ragazza stava abbassando la voce, come se ritenesse che Ventus fosse sul punto di crollare.
In effetti, il ragazzino non riusciva quasi più a tenere gli occhi aperti… sentiva ancora Shiro che si lamentava, sentiva che Terra cercava in qualche modo di sistemare la sua posizione, ma gli era venuto molto sonno…
«Ho paura, Terra…» Aqua stava dicendo. «Temo che qualcosa possa cambiarci domani.»
«Persino Shiro ha notato che sei agitata…» Terra stava ridacchiando, ma qualcosa nel suo tono tradiva preoccupazione. «Andrà tutto bene, dai…»
Ventus si sforzò di non cedere al sonno. Probabilmente, se le sue domande non erano servite ad altro che ad ottenere un po’ di coccole, avrebbe trovato le risposte che cercava ora che i più grandi erano convinti che non stesse ascoltando.
«E se…?»
«Ssshhhhh… domani saremo uno di fronte all’altra, ma comunque vada tra noi non cambierà niente.» Terra si fermò per prendere un respiro. «E poi siamo fratelli ad honorem di questo vecchio bambino qui, e abbiamo una bambina bellissima…»
«Terra… grazie… grazie di tutto questo.»
Erano momenti come quello, Ventus ne era sicuro, in cui tutto nei mondi andava bene.
Poi Shiro, che durante tutto quel tempo aveva continuato a fare i capricci ed emettere versi lamentosi, iniziò a lamentarsi più forte e a piangere.
Ventus aprì gli occhi e si mise su dritto, pronto ad aiutare se si fosse giunti al punto in cui era difficile calmarla (gli era sempre più o meno facile farla ridere), ma Terra sembrava già essere all’opera: si era fatto passare Shiro, l’aveva fatta sedere sulle sue ginocchia e, tenendola con un braccio, aveva iniziato a carezzarle la testa.
«… ma i patti erano chiari, un coccodrillo a te, e tu dovevi dare un gatto nero a me… volevo un gatto nero, nero, nero, mi hai dato un gatto bianco ed io non ci sto più…»
Terra era stonato come una campana, e in certi punti della canzone recitava anziché cantare, come se fosse stata una filastrocca anziché una canzoncina, ma cantare quelle parole davanti a Shiro era come recitare una formula magica – la piccolina si metteva immediatamente a ridere.
Dopo un po’ Ventus si unì alla canzone, se non altro per sovrastare le stecche di Terra e salvarsi i timpani, e prima che finissero Shiro aveva scordato le lacrime e stava battendo le mani allegramente.
«Ah, sì, quasi dimenticavo.» Aqua iniziò a prendere qualcosa dalla scarsella che portava sotto ai vestiti. «Ho fatto dei portafortuna per domani.»
Estrasse quelle che sembravano tre piccole stelle colorate, tutte e tre in vetro piombato con un laccio di cuoio che pendeva da ognuna. D’un tratto, Ventus capì dove erano finiti i cocci della vetrata che Terra aveva fatto in mille pezzi.
Aqua passò il primo, arancione, a Terra, poi ne mise un secondo, di un magnifico verde brillante, nelle mani di Ventus.
«Uno anche per me?» commentò il ragazzino, sorpreso. Non avrebbe affrontato l’esame l’indomani, e si sarebbe aspettato di dover aspettare prima di ottenere il suo.
«Certo! Ce n’è uno per ognuno!» Aqua mostrò nella mano l’ultimo rimasto, di un bel color celeste.
«Conoscendoti, lo hai fatto anche per la nostra gattina, eh?» Terra fece rimbalzare Shiro sulle ginocchia.
Aqua sorrise.
«Beh, sì, ma dovrà aspettare per averlo. Diciamo… fino a quando non capirà che cosa va o non va in bocca!» Passò una mano tra i capelli della piccola, che intanto stava cercando di togliere il portafortuna arancione dalle mani del padre.
Non avevano ancora scordato cosa era successo il Natale precedente, che per combinazione era anche stato il primo compleanno di Shiro. Terra le aveva intagliato un Keyblade giocattolo e la prima cosa che Shiro ci aveva fatto era stato intaccarlo con i primi dentini.
«Da qualche parte là fuori c’è un albero con frutti a forma di stella,» Aqua spiegò, rivolgendo lo sguardo al cielo. «E quei frutti rappresentano un legame indissolubile. Perciò, finché porteremo dei portafortuna con questa forma, niente ci potrà separare. Troveremo sempre il modo di riunirci.»
Guardò di nuovo i due ragazzi.
«Tecnicamente… avrei dovuto farli con delle conchiglie… ma ho fatto del mio meglio con quello che avevo.»
«A volte ti comporti proprio da ragazzina!» Terra abbozzò un sorrisetto complice.
«Hey!» Aqua ribatté immediatamente. «Che vuoi dire con “a volte”?»
Sembrava che stessero per discutere ancora su quella frecciatina quando Shiro iniziò a farfugliare, alzare le braccia e gesticolare verso il biberon, rompendo quell’accenno di tensione.
«Ci pensa zio.» Ventus si strinse nelle spalle, si fece dare il biberon da Aqua e la bambina da Terra, e iniziò a porgere a Shiro il latte.
Quando la bambina, ormai calmatasi, fu interamente concentrata sulla sua cena, Ventus cercò di fugare un altro dei suoi dubbi.
«Quindi non sono davvero dei portafortuna?» Era un po’ triste pensarci, ma i pezzi salvati dalla vetrata non erano esattamente un ottimo surrogato per delle conchiglie.
«Beh, questo è ancora da vedere.» Aqua gli passò una mano tra i capelli, poi fece la stessa cosa a Shiro. «Però ci ho messo un piccolo incantesimo.»
«Davvero? Quale?» Ventus sorrise.
Aqua sorrise a sua volta e alzò il suo portafortuna.
«Un legame indissolubile.»
Ventus non era in grado di dire per quanto ancora rimasero nel parco del castello, su quella panchina a guardare le stelle. Shiro fu la prima ad iniziare a sbadigliare, e immediatamente dopo anche lui sentì le palpebre farglisi pesanti, e prima che potesse pensare a quanto sonno aveva, la mano di Terra lo scosse per una spalla e la voce del suo amico gli disse che era ora di tornare a letto.
Aqua gli prese Shiro dalle braccia e Terra lo prese per mano, e tutti e quattro presero il sentiero di montagna che li avrebbe riportati al castello e alle loro stanze.
Non si sentiva nulla attorno, solo il rumore dei loro passi e di qualche vecchio grillo con l’insonnia.
Le uniche luci nella notte provenivano dalle finestre del castello e dalle stelle.
Stavano per arrivare alla scalinata che portava al portone quando Terra li fece fermare, la mano di Ventus ancora stretta nella sua (Ventus era abbastanza sicuro di aver fatto qualche passo ad occhi chiusi durante la strada), e tirò un respiro.
Quella volta sarebbe stata l’ultima che avrebbero varcato la porta come tre apprendisti. Ventus provò ad immaginare quanti anni ci sarebbero voluti prima del suo turno, se i suoi amici lo avrebbero aiutato, se gli sarebbe stato permesso di bruciare le tappe con più di un maestro nel castello, se fosse cambiato molto da quando il suo ex maestro lo aveva lasciato, e se l’uomo lo avrebbe notato.
Fu in quel momento che Terra si schiarì la gola.
«Voi…» Il giovane mormorò. «Siete… le persone più importanti della mia vita.»
Teneva la testa e le spalle basse, come se si vergognasse a confessarlo.
«Domani… cambieranno un sacco di cose…» Guardò Aqua. «Tu diverrai Maestra di certo, sei più brava di me. Io farò del mio meglio… in fondo è il nostro sogno. E prima o poi toccherà a questo dinosauro e a questa gattina qui. Ma per quanto le cose possano cambiare… ricordate che quello che ho detto non cambierà mai.»
   
 
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