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Autore: EsterElle    15/02/2019    7 recensioni
Questa storia racconta un Remus Lupin sepolto, inesistente, tormentato dai rimorsi e diviso tra due donne, la Lily del suo passato e l'intraprendente Dora.
"Abbiamo deciso di sposarci in fretta, senza badare a inviti, dolci, fronzoli, presa lei da un accecante amore e preso io dall’inebriante felicità che, mio malgrado, m’esplode sempre in petto quando sono al suo fianco. Folle io, che ho creduto d’amarla, d’amarla più di te, spietata Lily del mio cuore"
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: James/Lily, Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, II guerra magica/Libri 5-7
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N.B: la storia si apre in una precisa scena del quinto libro, quando Harry ha appena comunicato con Sirius  e Remus via camino per chiedere informazioni su suo padre.


 
 
 
L’amore rubato


 
 
 
Primavera, 1996
«Non giudicare tuo padre da quello che hai visto, Harry. Aveva solo quindici anni…»
 
 
Non giudicare il passato, Harry, almeno non il nostro, tanto nero di peccati che non basta una vita di rimorsi per espiarli tutti.
“Si sarà cacciato in qualche guaio?” domanda Sirius preoccupato, rialzandosi dal pavimento gelido.
Raccolgo tutti i pezzi in cui mi s’è frammentato il cuore per trovare la forza necessaria a rassicurare l’ultimo mio amico ancora in vita.
“Immagino che Harry avrà escogitato qualcosa d’illegale per mettersi in contatto con noi ma, vedrai, non si farà beccare” rispondo, ergendo un muro di compostezza tra me e l’onda di rimorsi che s’avvicina per travolgermi.
Come sempre, ho sottovalutato il vecchio Sirius, a cui basta un solo sguardo per cogliere il mio bisogno – probabilmente troppo esplicito – di non restare solo.  Un bisogno, io sospetto, speculare al suo.
“Avanti, siediti un attimo con me” mormora, scostando una sedia dal tavolo.
Appella due birre e me ne lancia una; svito lentamente il tappo, essenzialmente estraneo alle mie dita, al corpo stesso, a questa vita che da quindici anni mi sfugge tra le mani stanche, intorpidite. Il fuoco nel camino pare anch’esso vecchio, crepitante di dolori antichi, mentre brucia mesto nella cucina piombata in un silenzio denso e cupo.
“Fa ancora male, eh?” domanda Sirius d’improvviso, a bruciapelo.
“Sempre” non mento, non a lui.
Parlare di James, di Lily, di quel tempo felice ormai perduto, provoca un dolore sordo che non ha mai trovato pace. Non posso non rimuginare sulle occasioni perse, le verità non dette, il perdono mai implorato e mai ottenuto: mi chiedo per quanto tempo ancora questo tormento abiterà il mio cuore e quanto tempo manca prima che lo consumi fino all’osso.
“Per te com’è, Pad, come sopravvivi?” mi decido a domandare.
Sirius ed io non siamo che ombre di ciò che eravamo un tempo. Tuttavia, nel lessico del mio cuore stanco, lui resterà per sempre Padfoot – sì, più vecchio e grigio che mai – l’unico, su questa terra, con cui posso ancora confidarmi. Mi è mancato troppo, negli anni in cui ho creduto d’essere rimasto completamente solo.
Prima di rispondere, Sirius non rinuncia ad abbozzare il suo sorriso storto, ormai privo di quella grazia accattivante che aveva in gioventù e carico solamente di amarezza. Un sorriso brutto, sul suo volto sempre più segnato: “Ho trascorso la gran parte dell’infanzia pensando di non meritare amore, Moony, lo sai. Poi è venuta la scuola e gli anni più felici della mia vita, che mi hanno illuso di aver finalmente trovato un posto fatto a mia misura e persone capaci di accettarmi, di volermi al loro fianco” racconta, schietto come in questi mesi non è stato mai.
“Tuttavia, ora comprendo che è stata una parentesi, un insieme di ricordi a cui posso aggrapparmi ora che il mondo è ritornato nero. Una manciata d’anni di felicità per sopportare poi un’intera vita di dolore. Non ero destinato ad essere amato in quel modo, forse l’ho sempre saputo. Ecco come tiro avanti” conclude e prende un lungo sorso dalla sua bottiglia quasi vuota.
Questa volta non gli credo, non può essere tanto semplice. James era il suo migliore amico, suo fratello, e sono certo che, da quindici anni a questa parte, Sirius porti sulle spalle un immane fardello: la consapevolezza d’averlo ucciso lui. Non sono pensieri facili da scacciar via, né lordure semplici da lavare una volta che hanno intaccato l’anima.
Dunque, devo ribattere: “Tu hai potuto espiare, hai pagato per l’amore rubato”. L’ho sempre pensato ma non credevo che sarei mai arrivato a dirlo a voce alta. “Tu hai pagato per una colpa che abbiamo commesso entrambi. Che sia questo a darti tanta saggezza, oggi, Sir?” continuo, impietoso.
Il suo sguardo grigio si fa indecifrabile, uguale a quello del ragazzo sveglio e folle che era un tempo.
“Quali colpe, Rem? Di cosa ti sei mai macchiato tu, la nostra coscienza, il nostro bravo ragazzo?” risponde e si sforza d’aprirsi ancora nel suo sorriso storto.
Perché mente? Gliela leggo in viso, l’enorme pena che prova per me e per se stesso.
“Lo sai” ribatto e non aggiungo altro.
Certo, non ne abbiamo mai parlato apertamente, né allora né mai da quando lui è tornato dal mondo dei perduti. Sono parole da sempre sepolte nel mare dei non-detto che ha condannato i Malandrini. Eppure, Sirius è sempre stato in grado di comprendere i miei lunghi silenzi e le occhiate vacue: lui sa, ne sono certo.
“Remus” dice infatti, piano. “Se James non te ne ha mai fatto una colpa, non dovresti farlo nemmeno tu”.
“Io l’ho tradito, così come ha fatto Peter, come hai fatto tu” la mia voce resta pacata, ma queste parole hanno il potere di sferzarci l’animo.
“Lui era quel che era, non lo nego, ma per noi, Pad, per noi avrebbe dato tutto… non meritava questa razza di amici che siamo stati, sleali e traditori. L’abbiamo ucciso con le nostre mani, non serve ribadirlo”.
Adesso che ho girato il coltello nella piaga, che mi sono vendicato per l’eccessiva indulgenza che Sirius mi ha mostrato, mi sento molto peggio. Lui, invece, accusa il colpo con stoica dignità.
“Non merito più amore di quanto ne meriti tu, Sirius” concludo, ancora insoddisfatto.
Restiamo in silenzio. In questa cucina cavernosa, cupa quanto un antico sepolcro, il passato si staglia davanti ai miei occhi. Tutte le scelte sbagliate mi appaiono chiare, le visualizzo una ad una, fino a quella che segnò la definitiva fine dei Malandrini. Il Custode dei Potter doveva essere Sirius, e in quel suo rifiuto risiede la sua pena. Il Custode dei Potter avrei potuto essere io, e nel mio disperato, malcelato amore risiede la mia colpa.
Amai Lily.
La dura verità è che l’amo ancora e non l’ho mai raccontato: un tradimento del genere non si ammette a piena voce se si ha cara la ragione.
Amai Lily e James lo sospettò sin dall’inizio, vorrei gridarla, questa confessione. Amai Lily e persi quella completa fiducia che James mi aveva sempre accordato; amai Lily e fu questo amore a spingere un’intera famiglia nelle braccia dell’ultimo, più crudele, traditore.
“Remus”.
La voce di Sirius giunge a salvarmi dalle mie prigioni.
“Remus” mi chiama ancora, saldo come nessun reduce di Azkaban è mai stato. “Dobbiamo lasciare andare il passato, perché adesso c’è qualcosa che conta di più. Non possiamo permetterci di perdere anche Harry”.
Harry, tutto ciò che resta di loro, di noi, tutto ciò che ha importanza per me.
Annuisco: “Non potrei mai perdonarmi se dovesse morire anche lui in questa guerra”.
La morte mi ha segnato sin dall’infanzia col suo marchio indelebile; da anni le sfuggo con un’abilità a me sconosciuta. Risparmiami ancora, dunque, vecchia amica, perché possa portare a termine un ultimo compito: ti offro in cambio, o dea nera, il mio cuore rattoppato e rovinato, perché tu lo custodisca impedendogli di amare ancora.

 
***
 
Estate, 1996
Sulla tua tomba, oggi, amor mio, lascio pallidi fiori d’estate, bianchi come la luna, freddi come tutti gli inverni che tu non vedesti.
 
Sulla tua tomba, oggi, lascio gigli tardivi, bianchi come la luna, segretamente macchiati dalle mie                                                                                                                                                                                      colpe.
 
Bianca come la luna è la pietra tombale, candido come la luna il tuo nome lì inciso – nere di vergogna le mie dita, che sfiorano il nome di James, posto accanto al tuo.
 
 
L’idea di venire sin quaggiù, in questi pericolosi tempi di guerra, è stata di Dora. Mi sono lasciato trascinare, vinto dal desiderio di lenire le assenze che bruciano il mio cuore e dal suo bisogno di piangere il cugino su una tomba di terra e di marmo.
È stata una pessima idea, vorrei dirle, senza ferirla, senza punirla.
Sulla tomba di Lily e di James poso questi gigli bianchi per te, Sirius, che sei sparito senza lasciare un corpo su cui piangere. Le lacrime, però, sono solo di Dora, di questa ragazza piena di futuro e speranze che non comprende quanto la morte sia giunta benedetta per te, che ora gioisci vicino a coloro che hai sempre amato. Ciò che pungola il mio animo e lo fa sanguinare è ben altro: la solitudine, ormai definitiva, e l’amore che ancora non tace, il desiderio di lei che mi nasce in petto solo osservando il suo nome inciso su questa pietra.
Dora mi prende la mano e la stringe, osservandomi coi suoi begli occhi grandi e innocenti, offuscati dalle lacrime.
“Resta con me ancora un po’, per favore. Non voglio rimanere sola…” mi sussurra.
Un grido mi esplode dentro e, tuttavia, si ferma alla porta delle labbra. Mentre stringo la mano gentile di Dora immagino quella secca e screpolata di Lily, che stringevo volentieri per scaldarla durante le lunghe ronde notturne. Guardo il viso arrossato di Dora, tondo, dolcissimo, e non faccio altro se non rammendarmi degli zigomi aguzzi che tagliavano il volto di Lily, che non era bella agli occhi di tutti, ma così speciale ai miei. Dora mi sorride, piena di fiducia, sicura che la mia vicinanza possa allietare tutti i dolori della vita e della guerra. Lily, al contrario, non sorrideva mai apertamente: il sorriso lo accennava soltanto, stirando appena le labbra, come se presagisse già le sofferenze che la vita aveva in serbo per tutti noi.
Davanti alla sua tomba muta tutto mi parla di lei, ogni cosa sembra persino profumare di lei. Ed io affogo nei ricordi e rivivo di quei suoi modi bruschi, dell’intelligenza viva, del suo sguardo indagatore, dei suoi lunghi, impossibili silenzi. Sulla sua tomba muta, anche il sentimento della colpa si fa meno acuto e il nome di James scolpito nel marmo è tutto ciò che resta a memento dalla mia grande vergogna.
È stata davvero una pessima idea venire qui, oggiHo bisogno di dimenticare, di andare avanti, di seppellire il passato una volta per tutte. Lily è polvere sotto i miei piedi, penso, mentre stringo teneramente Dora in un abbraccio che spero sia consolatorio. Lily è perduta, ma al mondo esistono molte persone che ancora desidero salvare: Harry, come promesso al vecchio Pad, e questa ragazza giovane che, lo so, si sta affezionando troppo a me.
Un suo bacio, umido di lacrime, mi sfiora il collo.
Il rossore sul volto di Dora è violento ma il suo sguardo non si abbassa. Coraggio ne ha da vendere, tanto quanto la follia che ha generato questa sua malsana attrazione per me. Mi vieto di cercare una traccia di verde nei suoi occhi, mi obbligo a non pensare che, se solo lo volessi, Dora potrebbe in un secondo assumere l’aspetto del mio amore mai avuto e ormai perduto. Ricambio il suo sguardo, invece, incatenando i miei occhi ai suoi, oggi di un caldo marrone.
Passano i secondi e quasi lo avverto mentre cresce, l’istinto famelico del lupo, che torna a galla dopo essere stato a lungo quietato dalla sofferenza, dal dolore, dall’inammissibile frustrazione di essere sempre secondo. Dora mi guarda come se non ci fossi che io nel suo cuore ancora integro, come se non volesse che me. Uno sguardo che, in tanti anni, non ha mai sfiorato gli occhi mobili e pericolosi della mia migliore amica.
Mi scosto di colpo, sciogliendo l’abbraccio.
“Dobbiamo tornare” dico con una voce roca che non mi appartiene. La voce del lupo, del predatore.
“Perché?” lei si ribella.
Il sole d’estate le bacia i capelli, i suoi sandali aperti sfiorano l’erba che ricopre la tomba di Lily.
“È pericoloso” le spiego.
Io sono pericoloso, qui, diviso tra il corpo muto di Lily, la donna che ho colpevolmente amato per anni, e te, che mi fai capire quanto può essere facile e dolce lasciarsi amare.
“Tu mi sottovaluti, Remus” si asciuga le lacrime e avanza verso di me tra tombe sconosciute, invase dall’edera e da fiori essiccati al sole. “Te lo leggo negli occhi. Mi pensi un’ingenua, una sciocca, ma sbagli e parecchio: io sono perfettamente in grado di prendere le mie decisioni da sola”.
È molto fiera ora che per la prima volta mi apre il suo cuore. Che macabro sfondo, questo cimitero, per una tale dichiarazione d’amore. Suppongo che la morte voglia rammentarmi la richiesta che le feci: impediscimi di amare ancora. Dovrai impegnarti di più, dea nera della mia vita, perché Dora inganna entrambi: mi raggiunge e posa decisa le sue soffici labbra sulle mie.
Ed io non la respingo.
 
 
***
 
“Sei sparito per settimane! Ti ho cercato persino ad Hogwarts dopo aver sentito degli attacchi di Greyback, sai? Mi hai spaventata a morte, idiota”.
Dora non mi aveva mai chiamato idiota prima d’ora.
“Mi dispiace”.
“Ci mancherebbe!”
La soffitta in cui vivo è tanto squallida e minuscola che, a starci dentro entrambi, quasi ci tocchiamo. Sento il suo calore sulla pelle, il suo respiro che sfiora le mie labbra. È così bello vederla, furiosa com’è, arrabbiata con me, divisa tra il sollievo del sapermi vivo e il desiderio di affatturarmi perché le sfuggo di continuo. È così bello lasciarsi investire dal suo furore giovane ed essere perseguitato dalla speranza recidiva che anima il suo cuore.
È così bello, ma dura così poco. Nego tutto, nego questi affetti e soffoco l’ardore di sentimenti così sbagliati: sono rimasto solo troppo a lungo e, tuttavia, a questa solitudine so che mi devo abituare.
“Ti avevo avvisata, Dora, io non ti devo nulla” ribadisco, più duro di quel che vorrei.  
“Non m’importa. Sappi che continuerò a cercarti, a stanarti nei luridi buchi in cui ti rifugi per nasconderti al mondo” lei ribatte. “È chiaro? Non mi interessa quale razza di schifoso compito ti assegnerà Silente, ti verrò a prendere se sparirai di nuovo. Non ti lascio solo”.
Forse mi sono sbagliato, ho dato tutto troppo per scontato. Non è possibile mantenersi giovani per sempre, nessuno lo sa meglio di me; è la vita che ti frega, che ti smorza l’animo, ti stronca il futuro. La Dora che ha invaso oggi la mia casa non è affatto quella di un tempo. Mi soffermo sul suo volto smunto, sui capelli grigi, sulla piega delle labbra che non si curva più per accogliere il suo sorriso buffo. È colpa mia? Un mio infame merito, quello d’averla ridotta così, triste e grigia, forse disperata, priva di tutta l’allegria e di quei sogni che tanto ammiro?
Non posso permettere che a causa del mio buio si spenga anche lei.
“Non voglio litigare con te. Desidero solo che tu sia felice”.
Il ringhio esasperato che le sale in gola fa concorrenza a quello del lupo che mi dorme in petto: “Come devo dirtelo? Con te, voglio essere felice con te!”
 
 
“Con te, Remus, mi sento tranquilla, al sicuro” mormora Lily, posando la testa sulla mia spalla.
Siamo entrambi di pattuglia al terzo piano, avvolti nei mantelli e seduti sul pavimento di pietra, freddo e scomodo. Abbiamo entrambi addosso il profumo d’una intera giornata: la pancetta a colazione, i vapori di pozioni, la pergamena della biblioteca. Ci si mescolano gli odori, i ricordi, le sensazioni di un tempo condiviso sempre, la certezza di non essere soli in questo mondo. 
“Di cosa hai paura?” le chiedo, sollevandole i capelli e scoprendo il volto pallido.
“Di crescere, credo. Stanno succedendo troppe cose, troppo in fretta…”
 “Lily, tu sai che sei la mia migliore amica, vero?”.
“Già” annuisce “che sfiga, eh?”
Alzo gli occhi al cielo: “Andiamo, sei coraggiosa, sei sincera, cazzuta e anche decisamente intelligente. Fidati, non avrai problemi a cavartela” cerco di scuoterla.
È chiaramente vittima di una giornata storta, come spesso succede alla mia umorale, fragile Lily.
Un gran vuoto, tutto nero, pare divorarla dall’interno, spegnendole il volto e lo sguardo, che da verde si fa fosco. Le sue mani non trovano pace, l’una dentro l’altra, e si tormenta con le dita le unghie già scheggiate.
“Non è vero, ma non importa” dice a fior di labbra. “Grazie, Remus” strofina la guancia sulla mia spalla.
“Lo sai, puoi sempre contare su di me” le passo un braccio intorno alle spalle. “Non ti lascio sola”.
Lei solleva il volto e mi guarda con quel suo sguardo vecchio, carico di mille vite vissute in un istante.
“Sei troppo buono con me”.
 
 
“Tu non sai niente Dora” la voce mi esce dura e bassa, quasi un sibilo. “Tu non capisci”.
Non mi avanza felicità da donare a lei, né da impegnare nel futuro. Tutta quella che avevo l’ho spesa ingenuamente, per poi bruciarne i resti sulla tomba dei miei amici. Non c’è speranza di giorni migliori, non per me che viaggio per il mondo carico di un amore devastante, una maledizione imperitura e una colpa che mi toglie il sonno.
Come posso dirle tutto questo?
“Piantala di autocommiserati” giunge la sua sentenza, netta, feroce.
Mi sfugge un riso amaro e una verità che spero lei possa comprendere: “Avanti, sii sincera. Lo noti anche tu quanto io sia troppo vecchio per te, troppo povero, troppo complicato, troppo pericoloso…”
“Tu mi hai baciata” mi interrompe, irriverente. “Io lo so, che mi vuoi quanto ti voglio io. Non lo capisco, davvero, perché mi rifiuti in questo modo, perché ti neghi la possibilità di andare avanti”.
Improvvisamente, al ricordo di quel giorno al cimitero, mi ritrovo a corto di saliva. Deglutisco: “Questo non cambia le cose. Quel bacio è stato un errore, uno stupido errore”.
 
 
“Non dire così, Lily”.
“È la verità, Remus. Ho sbagliato, non avrei mai dovuto baciare James. È stato un errore”.
Quel bacio è stato come sentirsi fermare il cuore in petto, ma lei questo non lo sa.
“Allora perché l’hai fatto?”
La sala comune è deserta e il fuoco illumina il suo volto, tingendolo d’un rosso ancora più vivo di quello delle sue guance, già di porpora. Per la prima volta scorgo nel suo sguardo vergogna e reticenza; forse, ciò che ha da confessare è troppo intimo e privato persino per me, il suo migliore amico.   
“Perché lui mi fa sentire viva, Rem” si copre il viso con le mani, sopraffatta da una timidezza che raramente mostra in pubblico. “James è… lui è così diverso da me!” sbuffa tra le dita.
Ho bisogno di molto coraggio per mettere a tacere il mio cuore che grida; con gesti appena tremuli, le scosto dolcemente le mani dal volto, scoprendo i suoi occhi che, come impazziti, saettano sul mio viso, mobili e liquidi di gioia e paura.
Perché, Lily? Perché i tuoi occhi non brillano mai così per me?
Ingoio lacrime e sale, vetro e veleno.
 “Va tutto bene” la rassicuro. “È stato solo un bacio. Potresti parlargli, credo che lui capirebbe…”
“Lo volevo anch’io” m’interrompe lei, le labbra socchiuse “Ecco perché è tanto sbagliato”.
Infine, piange lei, e lacrime le cadono dalle lunghe ciglia chiare sul colletto spiegazzato della camicia. Piange senza volerlo e senza fare alcun rumore. Non l’amore, la debolezza o la tristezza generano il suo pianto, io lo so bene, la conosco a fondo: è paura, paura d’amare ancora dopo aver sofferto tanto per la morte dei suoi genitori. Lei piange ed io vorrei tanto farle eco.
 
 
La vita sembra prendersi gioco di me: per quale altro motivo, altrimenti, continuerebbe a presentarsi ai miei occhi come la copia più grigia e più vecchia di quella di un tempo? Perlomeno, allora, non esisteva tutto questo dolore alle spalle con cui fare i conti.
“Non mollerai, eh, ragazza?” la voce mi esce stanca, soffocata.
“Non posso”.
Lo so, lo capisco.
Rivedo nel suo sguardo il mio, innamorato e perso, sofferente per un rifiuto quanto mai crudele e giusto. Tuttavia, credo d’averlo sempre saputo, che Lily non sarebbe mai stata mia. Vorrei che anche Dora giungesse da sé a questa conclusione amara. Ugualmente, vorrei risparmiarle le pene attraverso cui sono passato io. Vorrei allontanarla e proteggerla, vorrei raccontarle la verità perché possa comprendere che, dopotutto, la colpa non è sua: non appartengo che al ricordo, al passato, ad una malinconica vicenda che, ormai, solo io posso rammentare. Custode del mausoleo dei tempi andati, non posso, non riesco a separami dal quel ciarpame vecchio e polveroso che sono i miei ricordi, il mio amore, la mia vita. Non posso, non riesco, ad andare avanti.
“Dora è molto… molto difficile per me”.
“Lascia fare a me, allora” lei trova sempre un modo, una scappatoia, un futuro.
“Ti feriresti, te l’ho detto mille volte. Non è giusto, non posso…”
Lei ride: “Da quando sei diventato un veggente? Chi ti ha dato il potere di sapere cosa è giusto e cosa no, Remus?”
Non posso fare finta che questa tenacia non intacchi la mia decisone, né negare che il suo desiderio di amarmi, di prendermi con sé, non mi commuova. È la goccia che scava la roccia, la musica che oltrepassa i muri, il vento che modella le montagne: dunque, mi chiedo se è davvero giusto resistere a ciò che pare inevitabile.
I suoi capelli torneranno rosa, se io ora cedessi alle sue preghiere e ai suoi desideri? Tornerà a sorridere, a fare cose buffe al naso per divertire gli altri? Tornerà se stessa se io, ora, pronunciassi quelle stesse frasi che Lily non mi disse mai finché fu viva?
“Lasciati andare, Remus, lasciati amare” sussurra e s’avvicina in questo spazio claustrofobico.
È già tra le mie braccia, quando mi decido a stringerla.
 
 
“Remus, che ne pensi? Lui è così egocentrico, a volte, così esibizionista…”
Mi scappa da ridere: “Sì, lo so”.
“Allora mi capisci, no? Non è il caso che questa cosa si faccia troppo seria, meglio continuare così, alla giornata” lei annuisce sola, mettendo nella borsa i libri di trasfigurazione.
Qualcosa si è incrinato, qualcosa è cambiato tra di noi, e non è poi così difficile capire cosa sia: s’è intrufolato James, con l’energia degli ottimisti e la forza di un ciclone. S’è messo in mezzo un ragazzo che ora m’appare sia amico che rivale, familiare e indistruttibile.
Lui l’ha cambiata: s’è messo lì, alto e capace, sincero e ancora un po’ sbruffone, pronto ad arginare il mare nero che le vive in agguato nella mente. Lily ora ha chi la difende da se stessa; forse non lo voglio ammettere, ma si mostra più serena, persino più felice.
Mentre ci dirigiamo in Sala Grande noto che lei non cammina più al mio fianco, ma un passo avanti. Può anche fingere di non saperlo, può continuare con la farsa dell’“oggi sì, domani forse”, ma ormai è lampante: sta correndo da James, spinta da un’attrazione che non ha logica, né senso, né alcuna valida ragione d’esistere.
Mi rendo conto che, forse, potrei fermarla.
Potrei dirle qualsiasi cosa sul conto di Prongs perché lei si fida ancora ciecamente del suo migliore amico. Potrei mettere fine a questo amore sbagliato, potrei finalmente dividere le due persone più diverse che abbiano mai deciso di stare insieme. Magari potrei conquistarmi una possibilità per farmi avanti.
Tutte balle. Io voglio che sia felice.
“È ok, Lily: amalo pure, se vuoi” mi sfugge in un sussurro.
“Hai detto qualcosa, Rem?” lei si volta.
Mi sorride.
Un sorriso raro e bello da spezzare il cuore.
 
 
“No, Dora, non andrà come speri” la allontano, la spingo contro la porta. “Ora devi andartene”.
I suoi occhi sono duri e asciutti mentre mi guarda arrabbiata, ferita.
“Non pensavo fossi tanto cocciuto, così arrogante da non riconoscere la verità nemmeno quando ti balla nuda davanti, Remus” scaglia le parole come incantesimi.
Se ne va, piegata ma non spezzata.
Come lo so?
Oh, Lily cupa e crudele dei miei incubi, tu mi hai rifiutato in mille, dolci modi, eppure io, ancora oggi, non riesco a lasciarti andare.  


 
***
 
 
Estate, 1997
Tetri principi di luglio, bussate esigenti alle soglie di questa mia età.
 
Conosco molti modi morbosi per morire al sole d’inverno,
 e tuttavia nessuno per perire d’estate.
 
D’estate, al profumo dei fiori d’arancio…
 
Tetri principi di luglio, un paio d’anelli arrangiati, una giacca consunta, il volto rasato di fresco intorno alle cicatrici sempre più grigie: la chiesa di questa città di campagna sarebbe vuota, se non fosse per l’arcigna presenza di Moody e lo schietto sorriso di Arthur accanto all’altare. Molly siede poco lontana, in compagnia di una donna bella e altera che risponderà presto al nome di suocera, oltre che a quello di Andromeda Black. All’ingresso, Ted Tonks tiene al braccio la mia giovane sposa, splendidamente ordinaria mentre avanza con indosso i suoi jeans preferiti e una vecchia maglietta bianca.
È tutto sbagliato, continuo a pensare. Non sarei mai dovuto giungere a questo finale.
Abbiamo deciso di sposarci in fretta, senza badare a inviti, dolci, fronzoli, presa lei da un accecante amore e preso io dall’inebriante felicità che, mio malgrado, m’esplode sempre in petto quando sono al suo fianco. Folle io, che ho creduto d’amarla, d’amarla più di te, spietata Lily del mio cuore.  
Mentre Dora avanza lungo la navata, la realtà si frantuma davanti ai miei occhi e persino il mio corpo mi appare muto, immobilizzato da un orrore tanto più grande quanto inevitabile. Mi pare d’essere leggero – quando invece vorrei fuggire via – mi sembra d’essere distante, lontano dalle gambe, dalle braccia, dalle labbra – labbra con cui vorrei gridare. 
Io non dovrei essere qui, oggi, non in queste vesti rubate, trafugate ad un sogno passato. Non dovrei essere qui, al posto che è stato di James, l’unico tra noi in grado di costruire e realizzare progetti, di essere vita e non morte, di creare futuro. E perché Arthur, impostore, siede al posto di Sirius, l’unico fratello vero della nostra vita, l’unico animo nero che ha saputo fare dell’amicizia una legge, schivo all’amore che brucia e distrugge? Persino la presenza di Molly m’appare sbagliata, stonata. Per la prima volta dopo molto tempo, avverto la mancanza di mia madre, la mia fragile, dolce mamma che, ovunque andassi, mi teneva stretto per mano, ancora, riferimento contro la deriva delle mie identità.
Se mi guardo intorno, non trovo alcun senso questa in campagna impersonale, questa chiesa spoglia, questo cielo buio e malato di tristezza e di guerra.
Questo dimenticare non è stato che una finta, un gioco, una farsa. Mi stringo nella giacca e riconosco che l’esercizio è stato vano, disastroso sin dal principio. Tutto ciò che mi sta accadendo, tutto ciò che vedo e sento, ogni cosa attorno a me non è che una copia deforme del sogno proibito che feci in passato quando ancora non vietavo alla mente di perdersi in visioni impossibili. E così, mentre l’aria di questo plumbeo luglio pare soffocarmi, la mia mente non smette di sostituire le immagini di quel sogno alla realtà: all’incedere goffo di Dora lungo la navata, sostituisco il passo un po’ sbilenco di Lily, le sue spalle dritte e fini, il collo lungo che, candido, reggeva la sua scombinata testa rossa. Vedo lei, con lo sguardo luminoso che aveva il giorno del suo matrimonio, il respiro svelto a sollevarle il petto, i gomiti arrossati, le labbra rosee, senza trucco, i nei che le punteggiavano le braccia nude. Se chiudo gli occhi la vedo, la Lily fragile e crudele della mia adolescenza, immutabile e bellissima ai miei occhi, per sempre giovane nella morte. E mentre fantastico le spoglie della donna – Merlino, una ragazza, all’epoca – che amai, che cedetti e che, nonostante tutto, troppo presto mi venne portata via per sempre, la cerimonia avanza senza sosta; Ted mi concede la mano della sua Dora, che accenna un goffo sorriso appagato.
“Vuoi?” mi chiede il prete, e non sa che ancora non sono tornato in me, che il mio spirito volteggia ribelle sulla volta della chiesa, estraneo e scrutatore, malevolo e distrutto.
Voglio? Mi chiedo, dall’alto della mia posizione.
Mi vedo al fianco di Dora, che oggi indossa il rosa dei capelli con meravigliosa gioia, incurante dei Dissennatori che, là fuori, depredano il mondo di ogni allegria.
Voglio davvero rovinarle per sempre la vita, mi domando in preda ai tormenti. Voglio davvero sposarla con la sola, fasulla speranza di poterla amare come dovrei? Mi è stato davvero impossibile, dopotutto, sfuggire al suo amore? O mi ci sono precipitato, guidato dell’istinto più alto del lupo?
Sì, è quest’ombra ferina che dimora nel mio petto la vera colpevole. Colpevole di non aver lottato abbastanza, di aver ceduto alle lusinghe, di essere, infine, più forte di ogni mia volontà. Mi perseguita, il lupo che abita il mio corpo, e, infine, mi stana. Anche ora, è l’istinto animale che ricompone questi pensieri scomposti, ritrovando un’unità di cui mi vergogno.
“Sì, lo voglio” decreta, infine, per me.
Quando la neve cade e i venti gelidi soffiano, il lupo solitario muore e il branco sopravvive. 


 
***
 
Pad, amico mio, ovunque tu sia.
 
Continuo, impunito, a vagare per il mondo, a lottare per la pace, a mutare con la luna e a vivere una vita che nessuno riesce a strapparmi via. Continuo, impunito, a depredare chi mi sta vicino di un amore che non m’appartiene e che pretendo senza averne alcun diritto.
Come un velo impalpabile è il ricordo di Lily sul mio cuore, e lo porto nel petto ogni giorno e in ogni istante. Non posso sollevarlo neanche se volessi perché, oramai, ho speso tanto tempo a struggermi per lei che amarla è diventato parte di me stesso. Lily vive in ogni mio pensiero rivolto ad Harry, in fuga in qualche terra sconosciuta; Lily vive nell’adrenalina che mi scorre in petto durante le missioni, quando sono fin troppo consapevole che un solo passo falso potrebbe avvicinarmi a lei. È nei sorrisi degli amici, nelle abitudini più sciocche, un labbro morsicato, una stretta di mano, una spettinata coda di cavallo.
Come una spina piantata in petto è, invece, il ricordo di James, che continuo a tradire anche nella morte. Lì conficcata mi ricorda quanto in basso possa spingermi e quanta infamia, quanta colpa, può nascondersi sotto la facciata di un eroe.
Dora è un bacio, un abbraccio, l’amore che consumiamo ogni notte, la sua goffa, disastrosa cucina, il terrore di non vederla tornare a casa, la sera, dopo il lavoro. Dora è un errore che vorrei cancellare, annullare ogni giorno. Dora è una scelta egoista che vorrei non avere intrapreso, perché dev’esserci un che di malvagio in me se, al solo scopo di lenire il mio bisogno d’amore, ho accettato di fare di lei una reietta agli occhi del mondo. Dora è l’insonnia che mi perseguita la notte, quando lei cade in preda al sonno e io resto solo a vagare per la casa vuota, colpevole di amare l’una e l’altra: Lily, che riempie i miei giorni, Dora, che abita la notte.
Dimmi, Pad, tu che oramai conosci il disegno del fato: quando pagherò per tutto quest’amore rubato?
 
 
***
 
Primavera 1998
La storia si conclude, il sipario cala.
 
Si ripeterà
 
Oggi, io credo, finalmente pagherò.
Non so se questa visione è un sogno vigile delle mie notti vaganti oppure la realtà, ma nulla mi è mai apparso più reale di così. Dora ed io, ecco cosa scorgo, pallidi ed esangui, stesi su un marmo che, all’occhio, appare più caldo delle nostre guance bianche. Morti, io suppongo, morti insieme e deposti mano nella mano.
Porterò dei gigli sulla tomba sua e mia, se la magia di questo sogno me lo permetterà; la vita, dopotutto, non ha fatto altro che donarmi fiori e ancora fiori, uno per ogni funerale che verrà.
James e Lily, io e Dora, i nostri figli orfani, solo in questa vaga fine di svela l’unica verità: non siamo altro che burattini tra le mani di questa dea crudele e nera che c’è chi chiama amore e chi semplicemente morte. L’amore per la mia bella, fragile Lily e il rimorso verso James mi hanno perseguitato a lungo, segnando la mia vita: ora ne condivido il destino, in una perfetta, magica armonia, senza rimorsi né dolore, senza più nulla da espiare. Se fui io a vegliare, almeno in parte, sul loro ragazzo, adesso Harry ricambierà il favore con il mio piccolo Teddy.
Me ne vado in pace – che strana, silenziosa, morbida pace!
Che sia una visione o forse la realtà, questa è la fine e nulla mi è mai parso più giusto che ripagare così tutto l’amore rubato.
 


 
Teatro nero dell’amore, la luna mi ha dato fiori per i funerali a venire.
 
Dodici figure s’inchinano davanti a lei, io sono ancora uno di loro.
 
La sua bellezza mi spaventa, è morta così bella.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
Note
 
È difficile capire da che parte cominciare le note a questa storia; ammetto che esco io stessa un po’ confusa dalla scrittura delle vicende di Remus declinate in questo modo. Mi sa che non è un buon segno.
Partendo quindi dalle cose più semplici, inizio col dire che la storia partecipa al contest Catene, indetto sul forum da Freya Crescent. Il concorso prevedeva che si sviluppassero i tre elementi presenti in un pacchetto in maniera consequenziale, secondo un rapporto causa-effetto. Io ho scelto questo pacchetto:
 
 
E) Il teatro dell'amore
Protagonista: Remus Lupin
Coppia: Remus/Lily OPPURE Remus/Tonks
 
1. "Black theatre of love
The moon gave me flowers
For funerals to come
12 shapes bow before her
I am still one of them
12 morbid ways to die
Her beauty scares me
She died so beautiful"
 
2. Insonnia
 
3. Fingere di dimenticare
 
Ho scelto l’ordine dal basso verso l’alto, partendo dal “fingere di dimenticare” per giungere in conclusione alla citazione (che ho riportato, in una mia pessima traduzione, in conclusione all’intera one-shot – tagliando un paio di versi).
 
Partendo dal pacchetto, mi rendo conto che ho dato molto più spazio, all’interno della storia, all’elemento numero 3. Non so com’è andata; la storia è nata nella mia mente come una massa informe che poi s’è dipanata piano piano, senza permettermi di controllarla appieno. La citazione, invece, temo di averla sparsa qui e là in più punti, come una sorta di anticipazione, un’apertura verso il finale. Un finale che – nonostante il finto dimenticare e l’insonnia (o più genericamente, il tormento) che questa condizione comporta – vede Remus ancora fermo sulla tomba del suo amore adolescenziale, incapace di andare avanti e soddisfatto soltanto nel momento in cui la morte riporta giustizia.
Ho fatto sì che il momento finale, quello ambientato durante la battaglia di H., apparisse vago e onirico per due motivi distinti: inizialmente perché Remus, nel romanzo, muore prima di Tonks, ed io volevo invece che riflettesse sulla specularità del destino suo e di Dora rispetto a quello di Lily e James. Quindi, ho pensato che questa patina di sogno potesse essere interpretata come una sorte di riflessione post-mortem, di un Remus che guarda il corpo suo e di Tonks dal di fuori. In secondo luogo, volevo che il momento fosse legato – come da pacchetto – al tema dell’insonnia: un uomo che non dorme, io credo, inizia a confondere sogno e realtà e a vedere cose che non esistono, immaginandole in maniera molto vivida. Quindi, chi lo sa, Remus potrebbe davvero aver avuto una sorta di vigile premonizione sul futuro, oppure semplicemente una specie di dissociazione dal suo corpo morto: al lettore l’interpretazione.
 
Vorrei poi dire due parole sui protagonisti.
Spero di non essere stata ridondante nella caratterizzazione di Remus; il mio obbiettivo era quello di percorrere quella vena malinconica e disfattista che io credo lo caratterizzi anche nell’opera originale. In ogni caso, mi è piaciuto molto viaggiare nella sua mente, anche se è stato estremamente complesso. Remus è un personaggio che ha vissuto e patito talmente tanto che cavarne fuori una buona caratterizzazione forse è un’impresa al di sopra delle mie capacità ^^
Anche con Dora ho cercato di attenermi alla caratterizzazione originale, nonostante lo spazio dedicato a lei sia, nella mia storia, piuttosto esiguo. L’unica cosa che temo è che appaia un po’ ingenua e poco “cazzuta”; ho puntato tutto sui dialoghi e spero davvero di non averla appiattita in una descrizione semplicistica, ma questo penso me lo direte voi che leggerete.
Ho potuto sperimentare di più con Lily, che invece ho voluto caratterizzare in antitesi alla versione più popolare di lei. Non volevo negare, nella storia, le sue caratteristiche principali: il coraggio, il carattere, l’intraprendenza. Solo, non volevo renderla un personaggio forte sempre, una roccia, un’adulta prima del tempo. Ho pensato che, a diciassette anni, nessuno è così sicuro di sé, tutti hanno bisogno di mostrare il proprio lato debole. Ecco perché descrivo una Lily quasi nevrotica, in preda a una vena nera, sfiduciata, impaurita – anche perché ho voluto ambientare la morte dei suoi genitori proprio durante i suoi anni di scuola. Una Lily umorale e a tratti timida, ma solo nei momenti di intimità con il suo migliore amico.
Infine, Sirius. La verità è che all’inizio non aveva così tanto spazio, ma il suo personaggio, semplicemente, l’ha preteso. Più che descrivere lui, mi rendo conto che ho amato mostrare il rapporto tra lui e Remus che, in questo caso, io leggo come una vera amicizia, un legame unico, forgiato dalle disgrazie della vita e della guerra.
 
Ed ora, il tema dell’inverno.
In questa storia ho abbondato coi lutti, i rimorsi e compagnia bella, ho rimarcato questo tratto fino allo sfinimento (e forse non è un bene xD). I titoletti dei “paragrafi” sono volutamente caratterizzati dal nome di una stagione calda (primavera, estate) in antitesi al contenuto stesso, cupo e depresso; inoltre, volevo rimarcare il fatto che, anche se è estate, i dissennatori rendono gelida e grigia l’aria, dando origine, per esempio a quei “Tetri principi di luglio” che nomino nella storia.
Ho provato anche a giocare con la lunghezza di questa specie di capitoli: dai primi, più corposi, agli ultimi, sempre più stringati, come se Remus non avesse più nemmeno le parole, o le forze, man mano che il suo umore peggiora, man mano che si affligge in ricordo di colpe che si sommano a colpe.
 
Penso sia tutto, anche perché le note rischiano di diventare più lunghe della storia, che non è certamente corta!
Buona lettura!
Ester 
 
 
 

 
 
 
 
Concorsi:  
[Prima classificata al contest Catene indetto da Freya Crescent sul forum di Efp]  
[Storia partecipante al contest "Hold my Angst (Flash contest - Edite ed inedite)" indetto da GaiaBessie sul forum di EFP]  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

[1] Citazione da Harry Potter e il calice di fuoco
[2] Citazione di George R. R. Martin
  
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