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Autore: RedeNetele    15/02/2019    1 recensioni
Quando rifiuta per l'ennesima volta il corteggiamento di un pretendente sgradito, ad Aneta viene assegnata una punizione esemplare: viene nominata Figlia della Luna. Quello che potrebbe quasi sembrare un titolo onorifico è in realtà una condanna a morte: le Figlie della Luna sono infatti vittime sacrificali, giovani donne che vengono immolate agli Skald, il popolo selvaggio e misterioso che esige un tributo di sangue in tutte le Terre dell'Ovest.
Quando gli uomini-lupo vengono a prenderla, Aneta crede che la sua vita sia finita. Le basta però conoscere Devin, l'arrogante principe degli Skald, per capire che, in realtà, essa è solo agli inizi.
***
ATTENZIONE: non ho ancora deciso quale sarà il "carattere" di questa storia. Non escludo che in futuro ci siano scene di sesso e violenza. Regolatevi di conseguenza.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Con delicatezza, Aneta risistemò il coperchio sopra l'arnia, facendo attenzione che non si creassero correnti d'aria che potessero nuocere alle sue preziose api di fuoco. Erano insetti pericolosi, noti per la loro aggressività e per la loro puntura estremamente dolorosa, ma il loro miele era ricco di proprietà benefiche e medicinali. Il veleno contenuto nel loro pungiglione poteva, se trattato adeguatamente, curare l'artrite e i dolori reumatici.

Retrocedendo di qualche passo e prendendosi qualche istante per assicurarsi che le api che ancora le svolazzavano attorno non dessero segni di nervosismo, la ragazza sollevò la retina che pendeva dal cappello a tesa larga e la proteggeva dalle punture degli insetti. "Padre! Io ho finito!" gridò, rivolta al genitore che, diverse decine di metri più in là, si stava ancora affaccendando attorno a un'arnia.

Concentrato sul suo lavoro, l'uomo le rispose a gesti, facendole capire capire che avrebbe dovuto avere ancora un po' di pazienza. Scrollando le spalle, Aneta si chinò e raccolse la cassetta di legno che aveva provveduto a riempire di fogli di cera. Nel chinarsi, notò che a terra, seminascosti dall'erba, c'erano i corpi senza vita di alcuni insetti gialli e rossi. Corrugando la fronte leggermente preoccupata, la giovane raccolse il cadavere di un'ape di fuoco. Ne stavano morendo più del dovuto, in quel periodo. C'era qualcosa che non andava.

Con estrema attenzione, per evitare che il pungiglione degli insetti penetrasse oltre il cuoio consumato dei suoi guanti, Aneta raccolse tutte le api e le lasciò cadere nella tasca che portava appesa alla cintura. Quella sera, si sarebbe occupata di estrarre il veleno ancora contenuto nell'ampolla posta sotto il ventre delle bestiole. Ne aveva ancora una buona scorta, ma si trattava di una risorsa troppo preziosa perché ne andasse sprecata una sola goccia.

Un alito di vento prese a spirare da sud, portandole un vago sentore di pioggia e scompigliandole le poche ciocche di capelli biondi che sfuggivano dalla treccia arrotolata attorno al capo. Pioverà di nuovo, pensò la ragazza, lanciando un'occhiata corrucciata alle nuvole scure che si ammucchiavano sopra ai modesti rilievi che sorgevano a sud del villaggio. Era stata una primavera estremamente piovosa e la stagione era in ritardo di quasi un mese. Se il tempo non si fosse messo al meglio quanto prima, le messi ne avrebbero risentito e, una volta giunto l'inverno, la situazione avrebbe potuto farsi problematica.

"Ecco fatto!"

Distogliendo lo sguardo dall'orizzonte, Aneta vide che suo padre aveva richiuso le arnie alle quali stava lavorando e si stava ora dirigendo verso di lei, tenendo tra le mani una cassetta che era almeno il doppio di quella che era stata affidata a lei. Affrettandosi a raggiungerlo, la giovane fece per tendere una mano per aiutarlo. "Aspetta" lo esortò. "Pesa troppo, portiamola un po' per uno."

L'uomo scosse il capo ed emise un mugolio di dissenso. "Ce la faccio" la rassicurò, rivolgendole quel sorrisetto storto che tanto le piaceva. "Tu pensa a recuperare la tua."

La giovane esitò per qualche istante, poi fece come le era stato chiesto e recuperò la propria cassetta, provvedendo a caricarla sul carretto trainato da Moscerino, l'anziano asino di famiglia. La povera bestia era talmente malconcia che, ormai, veniva utilizzata solo per compiti minori: in cuor suo, Aneta pensava che fosse uno spreco tenere in vita un animale che chiedeva molto e, in cambio, dava estremamente poco, ma la bestia era più vecchia di lei e non si sarebbe mai sentita di mandarla al macello.

Prendendo le redini di Moscerino, Bromyr, il padre di Aneta, si voltò verso la figlia. "Possiamo andare?"

Prima che la giovane potesse dare il proprio assenso, però, l'aria fu attraversata dal suono vibrante di un corno. Uno squillo lungo, uno squillo breve e un ultimo squillo prolungato. La ragazza ebbe l'impressione che il sangue le si ghiacciasse nelle vene. Senza emettere un suono, incontrò gli occhi del padre e vi lesse il suo stesso smarrimento. "Sono gli Skald" mormorò l'uomo, constatando ciò di cui erano entrambi perfettamente consapevoli. "Al villaggio, veloce!"

Così dicendo, Bromyr sciolse i finimenti che legavano Moscerino al carretto e lasciò l'animale libero di muoversi come meglio credeva. Come intuendo il pericolo imminente, l'asino si avviò trotterellando in direzione della stalla, distanziando ben presto i due umani. 

Mentre già suo padre si avviava a passo rapido verso il villaggio e la relativa sicurezza data dall'alto recinto di pali appuntiti, Aneta lanciò un'occhiata carica di rimpianto alle due cassette piene di miele. Anche se era piuttosto improbabile che gli Skald distruggessero le arnie - le punture delle api di fuoco erano dolorose anche per loro - non aveva alcun dubbio a proposito del fatto che gli uomini-lupo avrebbero rubato il raccolto della giornata.

Maledetti selvaggi! Pensò, stringendo i pugni in un moto di rabbia e di disprezzo nei confronti dei predoni che vivevano nei boschi, insidiando la vita della gente per bene. "Aneta!" Il richiamo di suo padre la riscosse e la giovane raccolse le gonne e trotterellò in direzione del genitore, affrettandosi ad allontanarsi dalla foresta e dal pericolo. Sfortunatamente, non c'era niente che potesse fare per cambiare le cose.

Il corno della sentinella continuava a lanciare il proprio richiamo e, con la coda dell'occhio, la ragazza vide alcuni suoi concittadini che fino a poco tempo prima erano stati impegnati nei campi correre verso il villaggio. Non udiva grida, né altri rumori che lasciassero presagire che ci fosse un combattimento in corso: evidentemente, anche quel giorno la sentinella aveva fatto un buon lavoro ed era riuscita a dare l'allarme prima che il nemico potesse cogliere qualcuno di sorpresa.

Quando ebbero raggiunto la recinzione, Aneta vide che i preparativi per la difesa erano già in atto: i soldati si stavano disponendo lungo le passerelle superiori, le lance puntate, le spade sguainate, le torce accese. Nel vederli, la giovane provò una stretta al cuore: sapeva che erano uomini addestrati, ma sapeva altrettanto bene che le armi comuni potevano poco contro la ferocia degli uomini-lupo. Forse avrebbero respinto l'attacco, ma non senza subire alcuna perdita.

Al centro della piazza sterrata posta di fronte all'entrata principale della recinzione, un altro soldato impartiva a gran voce le istruzioni ai propri concittadini. "Veloci!" gridava. "Ognuno al proprio Rifugio! Dovete raggiungere il Rifugio che vi è stato assegnato: rimangano solo gli uomini addestrati a combattere!"

Quasi temesse di perderla tra la folla concitata, Bromyr posò una mano sulla spalla della figlia e la sospinse verso il luogo in cui si trovava la grande costruzione fortificata chiamata Rifugio Est. Ce n'erano quattro, disposte ai quattro punti cardinali, ognuna delle quali raccoglieva un quarto delle poche centinaia di abitanti di Piana Bianca, proteggendo la gente dietro porte robuste, pareti fortificate e tre file di possenti pali di faggio.

Muovendosi quasi in automatico, Aneta lasciò che il padre la guidasse lungo il percorso che le era ormai famigliare. Non era la prima volta che doveva cercare riparo dietro quelle porte, anzi: negli ultimi anni, gli attacchi degli Skald si erano fatti più frequenti di un tempo. La giovane era ormai abituata agli sguardi tesi, alle posture irrigidite, alle parole mormorate con la gola stretta dal nervosismo e si era dunque aspettata di ritrovarli anche in quell'occasione. Ciò che non si era aspettata, però, era il fatto che la panca d'onore, quella posta in una posizione rialzata, il più lontano possibile dalla porta d'ingresso, fosse occupata.

   
 
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