Con
delicatezza, Aneta risistemò il coperchio sopra
l'arnia, facendo attenzione che non si creassero correnti d'aria che
potessero
nuocere alle sue preziose api di fuoco. Erano insetti pericolosi, noti
per la
loro aggressività e per la loro puntura estremamente
dolorosa, ma il loro miele
era ricco di proprietà benefiche e medicinali. Il veleno
contenuto nel loro
pungiglione poteva, se trattato adeguatamente, curare l'artrite e i
dolori
reumatici.
Retrocedendo
di qualche passo e prendendosi qualche istante per assicurarsi che le
api che
ancora le svolazzavano attorno non dessero segni di nervosismo, la
ragazza
sollevò la retina che pendeva dal cappello a tesa larga e la
proteggeva dalle
punture degli insetti. "Padre! Io ho finito!" gridò, rivolta
al
genitore che, diverse decine di metri più in là,
si stava ancora affaccendando
attorno a un'arnia.
Concentrato
sul suo lavoro, l'uomo le rispose a gesti, facendole capire capire che
avrebbe
dovuto avere ancora un po' di pazienza. Scrollando le spalle, Aneta si
chinò e
raccolse la cassetta di legno che aveva provveduto a riempire di fogli
di cera.
Nel chinarsi, notò che a terra, seminascosti dall'erba,
c'erano i corpi senza
vita di alcuni insetti gialli e rossi. Corrugando la fronte leggermente
preoccupata, la giovane raccolse il cadavere di un'ape di fuoco. Ne
stavano
morendo più del dovuto, in quel periodo. C'era qualcosa che
non andava.
Con
estrema attenzione, per evitare che il pungiglione degli insetti
penetrasse
oltre il cuoio consumato dei suoi guanti, Aneta raccolse tutte le api e
le
lasciò cadere nella tasca che portava appesa alla cintura.
Quella sera, si
sarebbe occupata di estrarre il veleno ancora contenuto nell'ampolla
posta
sotto il ventre delle bestiole. Ne aveva ancora una buona scorta, ma si
trattava
di una risorsa troppo preziosa perché ne andasse sprecata
una sola goccia.
Un
alito di vento prese a spirare da sud, portandole un vago sentore di
pioggia e
scompigliandole le poche ciocche di capelli biondi che sfuggivano dalla
treccia
arrotolata attorno al capo. Pioverà
di
nuovo, pensò la ragazza, lanciando un'occhiata
corrucciata alle nuvole
scure che si ammucchiavano sopra ai modesti rilievi che sorgevano a sud
del
villaggio. Era stata una primavera estremamente piovosa e la stagione
era in
ritardo di quasi un mese. Se il tempo non si fosse messo al meglio
quanto
prima, le messi ne avrebbero risentito e, una volta giunto l'inverno,
la
situazione avrebbe potuto farsi problematica.
"Ecco
fatto!"
Distogliendo
lo sguardo dall'orizzonte, Aneta vide che suo padre aveva richiuso le
arnie
alle quali stava lavorando e si stava ora dirigendo verso di lei,
tenendo tra
le mani una cassetta che era almeno il doppio di quella che era stata
affidata
a lei. Affrettandosi a raggiungerlo, la giovane fece per tendere una
mano per
aiutarlo. "Aspetta" lo esortò. "Pesa troppo, portiamola un
po'
per uno."
L'uomo
scosse il capo ed emise un mugolio di dissenso. "Ce la faccio" la
rassicurò, rivolgendole quel sorrisetto storto che tanto le
piaceva. "Tu
pensa a recuperare la tua."
La
giovane esitò per qualche istante, poi fece come le era
stato chiesto e
recuperò la propria cassetta, provvedendo a caricarla sul
carretto trainato da
Moscerino, l'anziano asino di famiglia. La povera bestia era talmente
malconcia
che, ormai, veniva utilizzata solo per compiti minori: in cuor suo,
Aneta
pensava che fosse uno spreco tenere in vita un animale che chiedeva
molto e, in
cambio, dava estremamente poco, ma la bestia era più vecchia
di lei e non si
sarebbe mai sentita di mandarla al macello.
Prendendo
le redini di Moscerino, Bromyr, il padre di Aneta, si voltò
verso la figlia.
"Possiamo andare?"
Prima
che la giovane potesse dare il proprio assenso, però, l'aria
fu attraversata
dal suono vibrante di un corno. Uno squillo lungo, uno squillo breve e
un
ultimo squillo prolungato. La ragazza ebbe l'impressione che il sangue
le si
ghiacciasse nelle vene. Senza emettere un suono, incontrò
gli occhi del padre e
vi lesse il suo stesso smarrimento. "Sono gli Skald" mormorò
l'uomo,
constatando ciò di cui erano entrambi perfettamente
consapevoli. "Al
villaggio, veloce!"
Così
dicendo, Bromyr sciolse i finimenti che legavano Moscerino al carretto
e lasciò
l'animale libero di muoversi come meglio credeva. Come intuendo il
pericolo
imminente, l'asino si avviò trotterellando in direzione
della stalla,
distanziando ben presto i due umani.
Mentre
già suo padre si avviava a passo rapido verso il villaggio e
la relativa
sicurezza data dall'alto recinto di pali appuntiti, Aneta
lanciò un'occhiata
carica di rimpianto alle due cassette piene di miele. Anche se era
piuttosto
improbabile che gli Skald distruggessero le arnie - le punture delle
api di
fuoco erano dolorose anche per loro - non aveva alcun dubbio a
proposito del
fatto che gli uomini-lupo avrebbero rubato il raccolto della giornata.
Maledetti
selvaggi! Pensò,
stringendo i pugni in un moto di rabbia
e di disprezzo nei confronti dei predoni che vivevano nei boschi,
insidiando la
vita della gente per bene. "Aneta!" Il richiamo di suo padre la
riscosse e la giovane raccolse le gonne e trotterellò in
direzione del
genitore, affrettandosi ad allontanarsi dalla foresta e dal pericolo.
Sfortunatamente, non c'era niente che potesse fare per cambiare le cose.
Il
corno della sentinella continuava a lanciare il proprio richiamo e, con
la coda
dell'occhio, la ragazza vide alcuni suoi concittadini che fino a poco
tempo
prima erano stati impegnati nei campi correre verso il villaggio. Non
udiva
grida, né altri rumori che lasciassero presagire che ci
fosse un combattimento
in corso: evidentemente, anche quel giorno la sentinella aveva fatto un
buon
lavoro ed era riuscita a dare l'allarme prima che il nemico potesse
cogliere
qualcuno di sorpresa.
Quando
ebbero raggiunto la recinzione, Aneta vide che i preparativi per la
difesa
erano già in atto: i soldati si stavano disponendo lungo le
passerelle
superiori, le lance puntate, le spade sguainate, le torce accese. Nel
vederli,
la giovane provò una stretta al cuore: sapeva che erano
uomini addestrati, ma
sapeva altrettanto bene che le armi comuni potevano poco contro la
ferocia
degli uomini-lupo. Forse avrebbero respinto l'attacco, ma non senza
subire
alcuna perdita.
Al
centro della piazza sterrata posta di fronte all'entrata principale
della
recinzione, un altro soldato impartiva a gran voce le istruzioni ai
propri
concittadini. "Veloci!" gridava. "Ognuno al proprio Rifugio!
Dovete raggiungere il Rifugio che vi è stato assegnato:
rimangano solo gli
uomini addestrati a combattere!"
Quasi
temesse di perderla tra la folla concitata, Bromyr posò una
mano sulla spalla
della figlia e la sospinse verso il luogo in cui si trovava la grande
costruzione fortificata chiamata Rifugio Est. Ce n'erano quattro,
disposte ai
quattro punti cardinali, ognuna delle quali raccoglieva un quarto delle
poche
centinaia di abitanti di Piana Bianca, proteggendo la gente dietro
porte
robuste, pareti fortificate e tre file di possenti pali di faggio.
Muovendosi
quasi in automatico, Aneta lasciò che il padre la guidasse
lungo il percorso
che le era ormai famigliare. Non era la prima volta che doveva cercare
riparo
dietro quelle porte, anzi: negli ultimi anni, gli attacchi degli Skald
si erano
fatti più frequenti di un tempo. La giovane era ormai
abituata agli sguardi
tesi, alle posture irrigidite, alle parole mormorate con la gola
stretta dal
nervosismo e si era dunque aspettata di ritrovarli anche in
quell'occasione.
Ciò che non si era aspettata, però, era il fatto
che la panca d'onore, quella
posta in una posizione rialzata, il più lontano possibile
dalla porta d'ingresso,
fosse occupata.