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Autore: Ghen    16/02/2019    6 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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39. Smettere di scappare


Oh, le brontolava la pancia. Il dolore al petto, però, era più forte. Appena si svegliò, sentì subito la sensazione di un macigno all'altezza tra la bocca dello stomaco e il petto, aveva la gola chiusa, un forte mal di testa e le tiravano i muscoli del collo. Ah, ma quello era per come si era addormentata. Lentamente, aprì gli occhi appiccicati dal sonno e iniziò a mettere a fuoco intorno a lei: riconobbe la macchina, il sedile, Lena. Non si era nemmeno accorta che le si era addormentata addosso. Erano crollate, ieri. Esauste, pensierose, arrabbiate. Kara in special modo. Mise dritto il collo e si distanziò dal sedile, cercando di allontanare Lena da sé e appoggiandola sul sedile a sua volta. La guardò mentre, dopo un sospiro, riprese a dormire tranquilla. Non poteva crederci che lei, proprio lei, le aveva tenuto nascosto qualcosa come quello. Pensava che più di tutti, sarebbe stata Lena a essere sempre sincera con lei, lo avevano promesso; avevano iniziato tutto insieme, dovevano sempre e solo restare dalla stessa parte. Scavalcò passando sui sedili davanti e, ricambiando torva lo sguardo di una donna che nel parcheggio era appena scesa da una macchina, ricercò il suo cellulare all'interno del cruscotto, trovando tra gli altri un messaggio da parte di Alex. Si chiedeva dove fosse finita e ansimò, immaginando che fosse preoccupata.
Sono con Lena, tornerò verso pranzo a National City.
Inviò e mise il cellulare in tasca dei jeans, sperando che avvertisse anche Eliza. Non se la sentiva di mandare un messaggio anche a lei. Non se la sentiva di parlarle, ora come ora. Come avrebbe fatto a farlo senza accennarle di Lillian? Aprì lo sportello più vicino e scese dalla macchina. Poi rientrò, prese delle monete e tornò a uscire. Entrò nel localino lì davanti alla spiaggia, doveva già essere aperto da qualche ora. Andò in bagno e provò a lavarsi un po', poi pagò una ciambella con cui fare colazione; considerando che avevano usufruito del loro parcheggio per tutta la notte, sarebbe stato il minimo. Camminò verso la spiaggia e mangiò guardando i ragazzi che si preparavano a surfare, a metri da lei. C'era il vento giusto, pensò, spostandosi i capelli dal viso. Non voleva essere arrabbiata con Lena. Capiva perfettamente perché le aveva tenuto nascosto una cosa come quella ed era chiaro di come l'avesse tormentata fino allo stremo, però… Però non riusciva a smettere di tremare e a farle male il petto. I Luthor avevano fatto parte della stessa organizzazione che aveva ucciso i suoi genitori e, ora, i Luthor facevano parte della sua famiglia. La donna che aveva sposato la sua madre adottiva ne aveva fatto parte. La ragazza di cui era innamorata era una Luthor. E lo sapeva bene, certo, che Lena non aveva colpe, ma in quel momento non riusciva a non considerarlo. Era tutto così sbagliato. Lillian aveva sposato Eliza pur sapendo tutto. Dubitava che le avesse accennato qualcosa o Eliza gliel'avrebbe detto. Lillian Luthor non avrebbe mai ammesso la verità. Dannazione. Sentì nella testa, un'altra volta, lo scoppio della bomba che li aveva uccisi e Kara strinse i denti, andandole di traverso la ciambella.
«Kara, sali in macchina, per favore», le aveva detto Lena ore prima, nel parcheggio dell'hotel dove avevano lasciato Clark, Lois e James.
«Dimmi che stai scherzando? Era questo che dovevi dirmi?». Aveva gli occhi sgranati, il cuore che minacciava impazzito di uscirle dal petto, i muscoli tesi. «A-Aspetta…», aveva trattenuto il fiato, fissandola di sbieco, «volevi dirmelo dopo il matrimonio per non fare che mi mettessi in mezzo? Pensavi che se l'avessi detto a Eliza, lei a-avrebbe annullato le nozze?».
Lena aveva deglutito e abbassato gli occhi, sentendosi in colpa. Era stato troppo egoista, non rischiare di perdere la sua nuova famiglia? Aveva stretto la portiera che teneva aperta, solo un momento, per poi guardarla con gli occhi pregni di lacrime. «Per favore… sali in macchina».
Kara l'aveva guardata immobile fino a prendere una decisione, andandole incontro e sedendo sul sedile a lato dell'autista. Aveva aspettato che salisse anche lei e portasse l'auto fuori dal parcheggio per dirle di portarla lontano, ovunque, in modo che potessero discutere da sole della cosa. E avevano discusso, oh, praticamente per ore, prima in macchina, poi sulla spiaggia sedute sulla sabbia fredda della notte, e infine di nuovo in macchina. Ricordava di aver gridato, lì sulla spiaggia. Era così nervosa. Così furiosa. Ma Lena si sentiva talmente in colpa che Kara non era riuscita a non prenderle una mano, quando aveva incrociato i suoi occhi. Si era calmata. Si era sentita tradita, sì, ma Lena… Le si era spezzato il cuore a vederla in lacrime dirle che le dispiaceva. Se non altro, rifletté guardando un surfista cadere in acqua, ora sapeva perché la ragazza ci teneva a dirle tutto prima che tornassero eventualmente insieme. E perché non gliel'avrebbe perdonato. Non poteva non ammettere che aveva avuto ragione a pensarlo.
Sentì qualcuno avvicinarsi e si voltò, trovando la mano destra di Lena quasi davanti al naso, con il palmo alzato e sopra una caramella alla frutta. Ansimò e gliela prese, togliendo la carta e infilandola in bocca, riguardando le onde del mare. Lena le si mise a fianco, in silenzio. Capiva che avrebbe voluto chiederle qualcosa, ma che non riusciva a parlare: Kara la vide abbassare gli occhi, guardare le onde, adocchiare lei. O meglio i suoi piedi. «Sì, ci ho pensato», rispose comunque, annuendo senza voltarsi verso di lei.
Lena annuì un poco, a sua volta. «Avrei voluto essere più coraggiosa e dirtelo molto prima», confessò, lasciando basso lo sguardo.
«Lo sei stata», disse, tentando un goffo sorriso, spento a breve. «Sei stata coraggiosa. A-Avresti potuto non dirmelo mai e, quando lo avrei scoperto, fare finta di niente, di non saperlo. E sei stata forte a… b-beh, sì, a tenertelo dentro. Deve averti fatto male. Non che io concordi, ma… sei stata forte. E non sei scappata questa notte».
«Avrei potuto?».
Kara scosse la testa, sospirando.
Lena si asciugò un occhio, abbozzando un breve sorriso. «Non dovevi, lo sai. Dovrei essere io a tirare su il morale a te, e non viceversa».
«Posso chiederti una cosa?». La vide annuire e allora Kara si voltò, aggrottando la fronte. «Mi accompagneresti da mia zia? Vorrei sentirmelo dire da lei. Dei Luthor. Voglio sentirlo dalle sue labbra, m-ma… non voglio farlo da sola».
Lena le inquadrò la mano sinistra e per un attimo pensò di stringergliela, ma non ci riuscì. Si fermò. «Non devi chiederlo».
Presto si rimisero in macchina, pronte per tornare a National City.

Rhea Gand, intanto, camminava sbattendo i tacchi delle scarpe lungo un corridoio. L'avevano chiamata molto presto quella mattina e si era subito preparata e chiamato l'ufficio del sindaco e al senato: ci sarebbe stato il funerale di Lar il pomeriggio dell'indomani, poiché finalmente le avevano dato il permesso di far seppellire il corpo. Appena si affacciò davanti al laboratorio del coroner, però, si immobilizzò: cosa faceva lui lì? Era davvero troppo. Aprì la porta con una spinta e il coroner la salutò con un tiepido gesto del capo e poi di una mano, abbassando la testa e allontanandosi, intercettando lo sguardo dell'altro. Il signore chiuse la porta dietro di lui, dicendo che li avrebbe lasciati soli, e Rhea squadrò l'altro con odio.
«Dovevo immaginarlo che avresti convinto la scientifica e il coroner a concludere in fretta», disse lui, senza neanche muoversi.
«Avresti dovuto pensarci tu. Questo disinteresse da parte tua, non riesce a frenarmi dal pensare che in fondo tu nutra il desiderio di arrestarmi seriamente, Dru».
«Pensavo volessi sollevarmi dall'incarico e diventare presidente al posto mio. Lo hai fatto capire molto chiaramente, e ora ti aspetti protezione?».
«Sei un pessimo presidente e penso che farei un lavoro migliore, ciò non significa che tu non ti debba ancora comportare da tale». Si avvicinò al corpo sul lettino, coperto da un telo. Allungò la mano per tirarlo via, che l'altro la fermò:
«Non lo farei, fossi in te. Nessuno dovrebbe vedere una persona cara in quelle condizioni».
Lei grugnì e alzò il telo, sgranando gli occhi. Richiuse poco dopo, trattenendo il fiato. «Che cosa gli hanno fatto…».
«Che cosa tu gli hai fatto, ti correggo», si mise al suo fianco destro. «L'autopsia è stata invasiva e non poteva essere diversamente. Tu lo hai messo su questo lettino, Rhea. Ho letto il referto redatto, a proposito», esclamò saccente, attirando un'occhiata. «È stato sparato a breve distanza. Usciva dalla porta della camera padronale, lo hai aspettato all'ingresso, coincide con la polvere da sparo trovata sullo stipite della porta. Non se lo aspettava. Le prove dicono che è stato colto di sorpresa». La guardò. «Si fidava di te».
«Risparmiatela», gracidò, girando la faccia.
«Dove hai messo la pistola, Rhea?».
«Dovrei dirtelo?».
«Hai appena detto che dovrei comportarmi da presidente. Se vuoi che ti protegga, dovrei esserne al corrente».
«Mh, avendo ben poca fiducia nei riguardi del mio presidente, comunque, mi avvalgo del diritto di non rispondere», si allontanò, facendo qualche passo intorno. «È dove non la potrai trovare».
«E tuo figlio? Cos'è successo al tuo ragazzo?».
Rhea scosse la testa, abbassando gli occhi. «Mi ha abbandonato, con tutto quello che ho sempre fatto per lui».
Al contrario, Zod la alzò, annuendo debolmente. «È un testimone?».
«Cosa?», spalancò gli occhi. «No! Avrei mai potuto fare una cosa del genere con lui in casa?».
«E la domestica?».
«Joyce? Era fuori». Non lo guardò negli occhi.
Zod le scoccò un'occhiata. «Sei sicura?».
«Mi chiedi se sono sicura? Non sono una tua studentessa, smettila di farmi il terzo grado: se ti dico che non era in casa, allora non era in casa. Era fuori e, quando è tornata, l'ho istruita su cosa dire alla tua marmaglia di piedipiatti: è tutto».
L'uomo annuì ancora. «Non faranno archiviare il caso, anche con il via libera alla sepoltura. Se non troviamo un responsabile in fretta, subentrerà l'FBI e-», lei lo bloccò:
«E allora trova qualcuno».
«Tu pensa ad avere una storia che regga in piedi». Zod si avvicinò alla porta e le riservò una lunga occhiata, prima di andarsene. Rhea non si fidava di lui ed era certo che gli avesse mentito su qualcosa, che fosse sul figlio e perché era scomparso, o sulla domestica. Se c'erano testimoni, lo avrebbe saputo. L'importante era fare in modo di chiudere il caso fintanto che era nelle sue mani. Ora come ora, la priorità era ritrovare Mike Gand, l'unico figlio della coppia. Era scomparso da troppe ore e di lui non c'era traccia: i suoi amici non lo avevano più visto dopo che se n'era andato dal campus universitario, i parenti nemmeno sapevano che fosse sparito e avevano appreso la notizia della morte del senatore dalla televisione, la sua ex ragazza, Kara Danvers, non aveva idee e sembrava sincera. Era impossibile che si fosse allontanato tanto ed era chiaro che Rhea non prendeva abbastanza seriamente l'idea che, se non si fosse trovato alla svelta, sarebbe stato lui il qualcuno a cui avrebbero accollato l'omicidio. Non c'era segno di scassinatura; le prove dicevano che l'omicida era già all'interno della casa quando era successo e poteva farle modificare, ma perché farlo? Doveva solo fare presto. Quella donna aveva agito d'istinto, ma si era scordata che suo marito era un uomo importante e che non avrebbero semplicemente abbandonato il caso se non si fosse trovato il responsabile. La presidentessa degli Stati Uniti lo aveva telefonato per avere informazioni, spronandolo a sbrigarsi. Tutti gli occhi erano puntati su di loro. Volevano un colpevole. Non c'era tempo per tergiversare; semplicemente non c'era.
E lo sapevano tutti in centrale, Maggie Sawyer inclusa.
Quella mattina era di pattuglia. Aveva accompagnato Jamie dalla babysitter, uscendo da casa poco dopo di Alex, scoprendo di essere stata assegnata a un nuovo partner. Non aveva cercato spiegazioni, cambiavano non di rado le coppie per creare un ambiente di lavoro sereno, e non che a lei importasse, solitamente, se non fosse che lui era uno di quelli che, più di tutti, le parlava alle spalle. George era molto amico di Faora Hui, lo sapeva bene. Non per niente, quando scoprì che erano stati assegnati, le aveva rivolto un'acida occhiata, quasi fosse colpa sua.
Durante il tragitto in auto aveva parlato appena, concentrato sulla strada. Sentiva il suo fiato sul collo. Li contattarono alla radio e lui rispose; solo in quel momento riuscirono a scambiarsi due parole, discutendo se passare a destra o dritti e girare più avanti.
«Ci scommetto che non è nemmeno uscito dal suo quartiere», brontolò poco più tardi, mentre Maggie girava a destra come lui aveva suggerito, evitando di litigare.
«Parli di Mike Gand?».
«Chi altri?», sbottò, guardando fuori dal suo lato del finestrino.
«Pensi possa essere stato lui?». Gettò l'amo e aspettò che abboccasse.
George ridacchiò. «Ma neanche per sogno. Il figlio della signora Gand non avrebbe i connotati per fare una cosa del genere».
«Signora Gand?». Non era tanto il nome con cui l'aveva citata, ma il come: sembravano quasi in confidenza. «La conosci?».
«La conosce Faora», rispose più gelido, a un certo punto. Il sorriso gli si spense e portò dritto lo sguardo, fissando un punto vacuo. «Te la ricordi? Faora? La nostra compagna che la tua amichetta ha quasi ammazzato», borbottò, «O te la sei già scordata?».
Erano vicini, doveva rallentare. Maggie deglutì. «Faora ha quasi ammazzato mia cognata».
«Quella se l'era cercata», strinse i denti, «Aveva messo in pericolo la vita delle persone in stazione, fingendo che ci fosse una bomba».
«Non era stata lei», la difese, «Andiamo! Sono queste le voci che circolano in centrale? Kara non farebbe mai niente del genere».
Mentre lei accostava al marciapiede, lui sghignazzò. «Quelli della disciplinare non le hanno fatto un cazzo, non è vero? Alla tua amichetta».
«Smettila di chiamarla così, odio quel termine», tirò il freno a mano e gli riservò un'occhiata. «Alex Danvers è la mia ragazza, non un'amichetta». Lo vide ignorarla e aprire lo sportello, così lo seguì fuori.
«So solo che Faora è in coma, che sua madre non riesce più ad andarla a trovare, e che voi siete tranquille con la vostra coscienza». Restò indietro, verso il cancello dello sfasciacarrozze che avevano segnalato.
Maggie prese un bel respiro, aprendo il cancello ed entrando. «Faora ha tentato di uccidere Kara e Alex ha sparato per salvarla. Sì, stiamo bene con la coscienza». Sentì i passi del suo nuovo partner seguirla e poi fermarsi all'improvviso. Sentì caldo alla base della testa, come se il sangue le si fosse fermato con lui. Si voltò lentamente e trattenne il fiato, quando lo vide puntarle contro la pistola. «Cosa stai facendo?».
George alzò le sopracciglia. Voleva ridere, ma non gli riuscì. «Mi domandavo cosa accadrebbe se fossi tu quella costretta in un letto d'ospedale. La tua bambina verrebbe a trovarti con la tua amichetta?».
Maggie accostò una mano alla fondina e lo vide accorgersene. Stava facendo sul serio? «Metti giù la pistola», disse soltanto, seria.
Poi, d'un tratto, lui rise e alzò l'arma, rimettendola all'interno della fondina. «Accidenti, ti ho fatto paura? Era uno scherzo, Sawyer. Rilassati. Voi affiliati del D.A.O. vi prendete troppo sul serio». La sorpassò, cominciando a guardarsi intorno tra le lamiere e le auto da rottamare.
Maggie non riuscì più a stare tranquilla, né a dargli di nuovo le spalle. Non sapeva neppure se avesse dovuto o meno indicare il caso al suo capitano: che anche lui, come Faora, facesse parte dell'organizzazione? Quanti poliziotti, suoi colleghi, ne facevano parte? Per un momento aveva temuto che le sparasse davvero, in pieno giorno e in servizio. Si vergognava di aver avuto paura, decidendo di non dire nulla ad Alex. Se lui si era spinto a puntarle contro una pistola, cosa avrebbero fatto gli altri che come lui la prendevano di mira?

Kara e Lena tornarono a National City. Si fermarono in un locale per mangiare qualcosa di veloce per pranzo e, senza parlare di nuovo del gruppo e della famiglia Luthor, si mobilitarono verso Fort Rozz. Senza parlare affatto, in effetti. Kara aveva fretta: doveva essere lì prima che cambiasse idea. E aveva una paura matta. La tensione la stava mangiando dall'interno. Si aspettava che prima o poi, davanti a sua zia, ci sarebbe stata Lena al suo fianco, anche se certo non dopo quella rivelazione. Non sapeva davvero come prenderla: odiava che le si mentisse e ultimamente si era accorta che lo avevano fatto fin troppe persone, eppure se l'unica col motivo più importante per nasconderle tutto era lei, era forse l'unica persona da cui si sarebbe sempre aspettata la verità e la cosa le dava fastidio. Al di là del segreto che era una cosa enorme, che era importante per il suo passato e il presente, più di tutto le dava fastidio che non era riuscita a dirglielo prima. Sì, era davvero convinta che Lena fosse stata coraggiosa, per altri versi, e poteva solo immaginare quanto avesse sofferto nel tenere tutto per sé e perché la loro relazione ne aveva subito, ma se nella ragione la comprendeva, qualcosa dentro di lei si era spezzato e non riusciva a trovare pace. Forse solo sua zia poteva aiutarla.
«L'ultima volta che sono stata qui, ero con Lois», disse, abbassando un poco gli occhi e camminando avanti e indietro nello stretto corridoio che anticipava la saletta delle visite, dove i vetri separavano loro dalle detenute. «Volevo farmi forza, ero quasi sicura di riuscirci. Quasi», rimarcò e la ragazza le andò vicina, fermando i suoi passi agitati. Riuscì a prenderle le mani con le sue e Kara la lasciò fare, sentendo un brivido sulla pelle. Lena che la toccava le faceva sempre un certo effetto, ma quello era stato diverso: invece di essere piacevole, le provocò fastidio. Voleva contatto, ma non lo voleva allo stesso tempo. Avrebbe dovuto sforzarsi con lei, come le suggeriva la ragione?
«Andrà tutto bene», le sussurrò in un sorriso. «È importante; ce la puoi fare».
Kara non ne era abbastanza sicura: si sentiva così leggera, alla sensazione di rottura si aggiunse un terribile mal di stomaco e brutta voglia che tentava con forza di ignorare. Il cuore le batteva così poderoso che, chissà, avrebbe volentieri vomitato quello. Poteva sopportarlo? Non voleva cedere alla sua testa che le ripeteva costantemente, e ora più che mai, che non era così forte come aveva sempre pensato.
La guardia le fece accomodare all'interno della saletta e, mano nella mano, si avvicinarono lentamente ai vetri. Solo un'altra prigioniera, più lontano, aveva visite. Astra non era ancora seduta, la vide passare nel corridoio opposto attraverso le vetrate sbarrate, accompagnata da due agenti e in manette. Le si strinse lo stomaco e solo grazie alla mano tenuta con Lena non si tirò indietro. Si sedettero tenendosi vicine e, per un attimo, si guardarono.
«Mi dispiace per quello che ti dirà», bisbigliò lei. «Farei qualsiasi cosa se potessi cambiare il passato».
Con sguardo stanco, Kara non disse nulla e si rivolse in avanti, a quella donna. La vide sedersi e, pian piano, mentre si rendeva conto di chi le stava davanti, sgranare gli occhi. Era lei. Era sua zia Astra, tanto simile e allo stesso tempo diversa da sua madre. Così cambiata, con qualche ruga in più; così uguale che rivederla era come tornare bambina e ritrovarsi a scuola, quando lei era venuta a prenderla per portarla via. Lo stomaco le parve rigirarsi su se stesso. Ma aveva smesso di scappare.
«Kara…», mormorò la donna e prese la cornetta, indicandole di fare lo stesso. In un attimo, l'altra prigioniera la guardò e all'improvviso chiamò per essere portata via, finendo prima la sua visita. Astra l'adocchiò appena ma, prima di riguardare sua nipote, si accorse che lei non era sola, lanciando a Lena uno strano sguardo.
Kara la fissò: quando era andata a vederla con Lois, sua zia le era parsa molto sciupata, ma al contrario ora aveva una carnagione più vivace, i capelli appena lavati, un cenno di trucco, perfino. Le cose erano cambiate tanto in poco tempo e lo trovò un fatto piuttosto curioso. Prese la cornetta costringendosi a non tremare, deglutendo e socchiudendo per un attimo gli occhi. «Zia Astra…».
«Sì», rispose lei con un gran sorriso rigato di lacrime, poggiando la mano sinistra sul vetro che le separava.
Era inutile, per quanto si sforzasse, Kara non riuscì a non commuoversi e, anche a lei, presto si riempirono di lacrime gli occhi. Sentì Lena stringerle la mano vicina e sorriderle, così ricambiò. Sua zia era responsabile in parte di ciò che era successo ma, in quel momento, il pensiero la sfiorò a stento: era lì con lei e le voleva bene.
La prigioniera veniva portata via in manette alle spalle di Astra intanto che lei sorrideva di ritrovata gioia. «La mia Kara… Quanto sei cresciuta, guardati», le sfuggì un altro commosso sorriso, «Ti aspettavo da tanto tempo. Hai letto le mie lettere? Perché non sei mai venuta prima? Mi sei mancata così tanto…».
Kara abbassò lo sguardo e, con un singhiozzo, si tirò indietro la cornetta, sentendo la vicinanza della ragazza. «Non volevo vederti», confessò, ritrovando la voce.
«Capisco». Anche lei abbassò lo sguardo per un attimo, ma non si perse d'animo, troppo felice di rivederla per prendersela. «Mi dispiace non esserti potuta stare vicina… Sono la tua famiglia, ma non siamo potute stare insieme».
Kara aggrottò la fronte, tirando su con il naso. «A-Avresti voluto che stessimo insieme? Hai tradito i miei genitori». Non doveva dirle una cosa del genere. Semplicemente non doveva.
«No, no, non lo avrei mai-», si fermò e il suo sguardo planò a Lena al fianco della nipote, cambiando espressione, diventando più dura.
Kara la guardò a sua volta e poi di nuovo sua zia. «Puoi parlare davanti a Lena. Puoi fidarti di lei. Io mi fido di lei». La scorse sorriderle, stringendo più forte le loro mani unite, poggiate su una sua coscia.
Astra non trattenne un altro sorriso, per poi asciugarsi gli occhi con una manica blu della divisa da carcerata. «Non sai cosa potrei dirti».
«Oh, lo so», la fissò, «Lo so eccome».
«Siete diventati una famiglia, eh? Si sono sposate, l'ho letto su una rivista. Ce le passano qui, ogni tanto. Te ne ho parlato in qualche lettera, ma è chiaro che tu non le abbia lette… Non volevo che diventassi la figliastra di quella donna», strinse i denti.
«Lillian? Facevano parte della stessa organizzazione che li ha uccisi, vero? I Luthor. E anche tu».
Astra annuì debolmente, passandosi una mano sulla fronte. «Non sai bene cos'è successo in quel periodo, Kara. Lionel ed io avevamo un piano. E qualcun altro, ovviamente, persone fidate, dovevano aiutarci ad aiutarvi. Io ho cercato di salvarli», strinse i denti, avvicinandosi di più al vetro. «Lillian Luthor non ne era al corrente, poi non so se Lionel glielo abbia detto, ma temevamo che ci avrebbe fermati perché stavamo agendo per conto nostro, sai… Lillian è diversa da com'era Lionel», le sfuggì in un brusio, «Lui ne era stufo, lei… era di un'altra opinione. All'inizio, almeno. I giornali raccontano di una Lillian diversa», ridacchiò e Kara guardò Lena, senza dirle nulla. «Quando sono passata a scuola per prenderti era per proteggerti, Kara! Volevo dissuadere Alura dal condannare un uomo-».
«Il commercialista. Zachary Michaels. Lo so», la interruppe e vide la zia annuire.
«Dovevo farlo perché sarebbe stato l'inizio; Michaels aveva mani in pasta dappertutto e sapeva troppe cose, troppe. Ma lei non voleva ascoltarmi…», si intristì ma alla ragazza quella reazione diede fastidio. «Per lei era importante, lo vedeva come un punto di svolta della sua carriera». Il viso le si rigò di nuovo di lacrime e strinse gli occhi. «Ho pianto ogni giorno, Kara. Manca anche a me».
La ragazza lasciò la cornetta e la guardò con ira, trattenendo le lacrime. Lena le chiese cosa le avesse detto e Kara scosse la testa, facendole capire che ne avrebbero parlato in un secondo momento. Così riprese la cornetta, respirando con affanno. «Non parlarmi di mia madre. Non dei miei genitori. Non farlo», la pregò, cercando di trattenere la rabbia crescente. «È anche colpa tua se sono morti».
«No», lei arcuò la fronte, scuotendo la testa. «Non voglio che pensi questo! Te l'ho detto, ho cercato di salvarli! O almeno salvare te, la persona più importante che avessi».
«Non farlo».
Astra si asciugò di nuovo le lacrime si portò una mano contro la bocca, alzando lo sguardo verso un orologio da parete, conscia che non avevano molto tempo. «Dovevamo portarti al sicuro. Si erano alzati molti animi, la paura era divagata, nessuno voleva perdere ciò che avevamo costruito e qualcuno…», deglutì, «qualcuno propose di rapirti per ricattare tua madre. Era questa l'idea iniziale». Vide la nipote irrigidirsi a quelle parole ma non si fermò, non c'era tempo. «Mi sono opposta e qualcun altro con me, siamo andati ai voti, ma… non avevamo raggiunto la maggioranza».
«Ai voti?», domandò, aggrottando la fronte. Si voltò verso Lena e le disse subito questa cosa, così entrambe guardarono Astra, che annuiva. «Pensavo che fosse strutturata a classi».
Lei sorrise. «Sai delle classi? Hai fatto i compiti, Kara, sei… brava. Sì, sì, abbiamo delle classi, ma…».
«Abbiamo?». Le irritava come sua zia si includesse: aveva fatto parte dell'organizzazione, ma ne parlava come se ne facesse ancora parte benché la prigione, nonostante questa avesse ucciso una parte della sua famiglia.
«Non tutti i voti hanno la stessa valenza, dipende dalla classe, ecco, eppure non eravamo comunque riusciti a raggiungere la maggioranza. Quello dei presidenti vale di più ed entrambi avevano votato contrari, ma non era stato sufficiente».
«Presidenti? C'erano dei presidenti?».
«Sì», il suo sguardo planò di nuovo verso Lena. «I Luthor. Lionel e Lillian erano i presidenti».
Kara si allontanò di nuovo dalla cornetta e prese fiato a più riprese, sentendo la tachicardia, guardando Lena a sua volta. «I tuoi genitori erano i presidenti». Non aspettò che le chiedesse di cosa stesse parlando, né se fosse sicura. «Lillian era la presidente dello stesso gruppo di persone che ha portato via da me i miei genitori e lei ha sposato la mia madre adottiva come se non fosse mai successo niente», digrignò a denti stretti e, mentre Lena deglutiva e cercava di stringere più forte la mano di Kara che si era fatta a pugno.
Astra batté il vetro, in modo da attirare l'attenzione. «Kara, devi saperlo: dopo aver perso la votazione, i Luthor si erano ritirati. Davo a loro la colpa perché da presidenti non erano riusciti a fermare ciò che è successo, ma ho saputo che si erano ritirati dopo aver perso la votazione. Io mi ero allontanata perché c'era un mandato d'arresto a mio nome e Lionel non mi aveva detto niente, ma loro-».
Kara cercò di trattenersi dal non urlare e alzò velocemente la mano che fino a un attimo prima le stringeva Lena, sbattendola con forza accanto al vetro. «Se n'erano lavati le mani, quindi? Mi stai dicendo questo? Dovrebbe farmi sentire meglio o cosa?».
Astra scosse la testa. «Loro non potevano vincere quella battaglia, Kara… Erano pochi quelli ancora fedeli. Qualcun altro aveva giocato con le loro emozioni, spaventandoli al punto dal decidere di voler vedere morta la nostra famiglia».
«Rhea Gand», sussurrò e vide sua zia annuire.
«Stai lontana da lei, Kara. È sempre stata qualcuno sopra le righe, ma aveva visto nella possibilità di colpire un nemico come la sua ascesa a presidente. Voi eravate il suo lasciapassare, ma le cose le sono andate male e, invece di prendere il potere, il gruppo si è nascosto».
«Non è lei la presidente, ora».
«No, no», scosse la testa, accennando un sorriso, «E non lo sarà mai. Te lo prometto».
Kara si morse un labbro e, pian piano, sciolse il pungo e accostò la mano al vetro, mentre Astra avvicinava la sua. «Dimmi perché, ti prego! Perché ti sei affiliata a loro invece di combatterli? Perché hai tradito così la tua famiglia e il tuo lavoro?».
Astra trattenne il fiato e piegò le labbra, ferita dalle accuse. «N-Non puoi capire… Quando mi sono affacciata al loro mondo, pensavo di doverlo combattere. Ma la verità è che, insieme a loro, potevamo cambiare questa città. Avevamo in mente di fare tante cose buone e altre ne abbiamo fatte».
«Cosa? Le cose buone si fanno alla luce del sole», la interruppe con sconcerto, confidando velocemente a Lena cosa le stava dicendo.
«La burocrazia, Kara, non sta dalla parte dei bisognosi, ma noi sì».
«Hanno ucciso i miei genitori e i miei zii».
«No… Una di loro ne è responsabile, ha plagiato tanti, ma l'organizzazione è… L'organizzazione è come un mezzo: ci sono soldi, contatti, risorse, e se usate a fin di bene possono cambiare tutto. In meglio. Per questo è nata e per questo mi sono unita a loro, vedendo le potenzialità: per fare del bene».
Non poteva crederci di stare realmente affrontando una discussione di quel tipo. Kara allontanò la mano del vetro e vide l'espressione di sua zia mutare, dispiacendosi. «Ne fai ancora parte?».
«Trova le cose buone che abbiamo fatto, Kara. Trovale e capirai di cosa sto parlando; leggi le mie lettere, se ne hai ancora qualcuna… Fallo», le sorrise con speranza, tra le lacrime. «Quella donna», si guardò intorno, attenta a non fare nomi, «è cattiva, Kara. Ma l'organizzazione…», abbassò la voce, «L'organizzazione può ancora fare tanto».
Lena la vide riguardare l'orologio appeso sul muro e chiese a Kara di poter prendere la cornetta. «Devi aiutarmi», le disse velocemente, senza convenevoli. «Mio padre voleva smascherarli e qualcuno lo ha ucciso».
Astra sospirò. «Sì, so della sua morte. Mi è dispiaciuto tanto», si portò una mano contro la tempia. «Non so chi sia stato. Sembra un omicidio strettamente legato a noi, ma la verità è che non lo so e non lo sa il nuovo presidente. È stata una sorpresa, credimi. Ma la verità è che i Luthor negli anni si sono fatti molti nemici, cara ragazza. Prima di Lionel e Lillian, il presidente era tuo nonno. Potrebbe essere stato chiunque».
Lena si morse un labbro e lasciò la cornetta; intanto suonò un campanello e videro alcune guardie venire verso la loro saletta: il tempo concesso alle visite era scaduto e Astra batté il vetro di nuovo, freneticamente, in modo che Kara prendesse di nuovo la cornetta dalla sua parte.
«La mia bellissima nipote…», sorrise, accarezzando il vetro tra loro come se potesse realmente arrivare a toccarla. «Non devi più venire a trovarmi, Kara. Hai capito?».
Lei la guardò grave, nonostante tutto. «Zia Astra, Michaels è morto. Qualche mese fa, nella sua cella».
Lei sembrò pensarci e poi sospirare, intanto che le guardie entravano per dirle di doversi staccare. «Un danno collaterale, temo… Ma non preoccuparti, per me. Io sono al sicuro».
«Da Zod?», domandò e la donna poggiò di nuovo la mano sul vetro, mentre una guardia l'affiancava e le intimava di nuovo di alzarsi.
Lena si guardò intorno, scorgendo le telecamere: se potevano registrare le loro conversazioni, erano nei guai. Soffiò a un orecchio di Kara di sbrigarsi.
«Sono al sicuro», le ripeté Astra, «Presto saprai qualcosa, leggi le mie lettere. Leggile, Kara… Ti voglio bene». La guarda le spostò la sedia e Kara le poggiò la mano sul vetro. Di nuovo vicine, un attimo fugace, e la prigioniera fu fatta scortare fuori di nuovo in manette. Nonostante tutto, a Kara si spezzò il cuore e Lena si sentì in dovere di mettersi di nuovo vicina.
Una guardia scortò fuori anche loro. Zitte, perse entrambe nei propri pensieri finché non uscirono dalla struttura e Kara ringhiò a denti stretti: «Mia zia non si rende minimamente conto del problema. Era una poliziotta e non si rende conto che nel fare le cose illegalmente non è fare del bene. A prescindere».
«Il mondo non è tutto bianco o nero, Kara». Lei la guardò di straforo e Lena impallidì. «Non sto giustificando nessuno».
«Mi fa così arrabbiare… E Lillian, accidenti». A un certo punto scoppiò: scacciò un urlo e colpì un muro esterno della prigione con un pugno, spaventando la ragazza al suo fianco. E quella donna… Quella donna malvagia aveva ucciso la sua famiglia e aveva tentato di uccidere lei. «La ucciderò». Si rese conto con qualche secondo di ritardo dello sguardo di Lena ancora più pallido del solito e si affrettò a correggersi: «No-Non intendevo Lillian. Ciò che ha fatto è imperdonabile, ma mi riferisco a Rhea Gand. Non c'è altra soluzione, Lena», la guardò con sconforto, asciugandosi le lacrime. «Lo devo fare…».
«Kara», la chiamò e poi si guardò intorno, scorgendo alcuni poliziotti che guardavano nella loro direzione, probabilmente incuriositi dalle urla. «Non qui. Andiamocene». Le prese un braccio ma l'altra era immobile. «Dobbiamo sperare che nessuno abbia sentito».
«La farà sempre franca», proseguì imbambolata, stringendo i pugni e, poi, aggrottando la fronte. «Perfino mia zia non si rende conto; e non basta promettermi che non sarà la presidente di quel gruppo di criminali: è già abbastanza pericolosa così. Ha tentato di uccidermi, ha ucciso suo marito e… ha ucciso la mia famiglia, Lena. Ancora non sappiamo dove sia Mike. Non ho altra scelta se non farla fuori».
Lena scosse la testa, incurvando le labbra. «No. No, non lo farai, Kara».
«Devo farlo, lo capisci?».
Pianse di nuovo, ormai incontrollabile, e l'altra la strinse fra le braccia. Ci riuscì. Era lì, aveva sciolto una barriera da quando le disse dei Luthor. Era fra le sue braccia e avrebbe voluto tenerla così per sempre.
«Lei non si darà pace finché non mi avrà ucciso o ucciso le persone a cui voglio bene. Non posso permetterglielo».
«Ssh». Lena la costrinse ad appoggiare la testa sulla sua spalla destra, ma l'altra si tirò indietro. «Non lo farai», le disse, guardandola negli occhi. «Troveremo un altro modo, la incastreremo, te lo giuro. Se c'è qualcosa che non puoi permetterti, è che Rhea ti porti via anche te stessa. Adesso sei arrabbiata, ma tu non sei così e non ti permetterò di diventarlo, hai capito? Non voglio sentire queste cose da parte tua, non sono da te».
«E se non ci fosse altro modo?».
«Ci sarà. Ci sarà, vedrai. Hai detto che ti fidavi di me. Fidati di me, allora. Un modo si trova sempre». Assottigliò i grandi occhi verdi. Se un modo non ci sarebbe stato, lo avrebbe creato; avrebbe fatto qualsiasi cosa, per lei. «Ci penserò io, Kara. Te lo prometto».

Si ricordava bene come l'aveva guardata Rhea Gand la prima volta che si conobbero. L'orgoglio di Mike al suo fianco, lo sguardo perplesso di Lar e quello curioso e inacidito di lei. Si domandava come aveva fatto a non accorgersi fin da quel momento che c'era qualcosa che non andava in quella donna, che non poteva semplicemente odiarla perché usciva con suo figlio. E Mike era così preoccupato; voleva così disperatamente che loro andassero d'accordo. E lo stesso lei. In quel periodo, era davvero convinta che fosse Mike Gand l'amore della sua vita e aveva preso seriamente l'incarico di rendersi simpatica agli occhi della futura suocera… O almeno prima che Rhea dicesse, per l'ennesima volta, quanto Kara non era adatta per Mike. Lui si era arrabbiato così tanto e avevano litigato. Ricordava di essersi sentita in colpa, per essere stata il motivo per cui il suo ragazzo stava tagliando i rapporti con la sua famiglia. Che ingenua a pensare che ci fosse stato qualcosa in lei che a quella donna non piacesse. Rhea aveva fatto uccidere la sua famiglia e avrebbe ucciso anche lei e Kal se ci fosse stata l'occasione. Accidenti, una parte di lei, adesso, era ancora convinta che avrebbe dovuto ucciderla lei. Anticipare quella donna, coglierla di sorpresa e farla sparire. Mike non gliel'avrebbe perdonato e, di certo, lei stessa sarebbe stata la prima a non perdonarsi. Stava seriamente pensando di uccidere una persona, dopotutto? Voleva diventare un mostro anche lei? Undici anni fa, i suoi genitori la incoraggiavano a diventare un eroe come quelli dei fumetti che leggeva, perché era la sua ispirazione, e ora voleva uccidere qualcuno? Quale eroe lo avrebbe fatto…?
Ma tutto quel peso addosso… non riusciva a sopportarlo. Si sforzava, doveva, non voleva cedere. Anche se conosceva un modo per star meglio.
Allungò lo sguardo a Lena che guidava e sospirò piano per non farsi notare, ripensando a quando le disse che ci avrebbe pensato lei, promettendoglielo. Forse per farsi perdonare. Sicuramente per farsi perdonare. Ma Rhea Gand era un suo problema, non di Lena.
«Oh, cavolo», esclamò Alex quando, aperta la porta di casa sua, se le ritrovò davanti. Acchiappò Kara per una manica e l'avvicinò a sé per abbracciarla, facendole capire molto chiaramente quanto si fosse preoccupata. Dopo le fece entrare, non lasciandosi sfuggire i loro sguardi abbattuti. «Siete state in prigione? Da Astra?». Non si era seduta e sia lei che Kara camminavano a turno davanti a Lena sul divanetto. Non era stato facile raccontarle tutto, dalla verità di Lena alle parole della zia a Fort Rozz: Alex si era passata più volte le mani nei capelli, psicologicamente provata. «Quindi era vero? Lillian faceva parte dell'organizzazione e ha fatto finta di niente? Ha sposato nostra madre omettendo tutta questa faccenda? Oh…», allora si sedette, prendendo un bel respiro per darsi una calmata. «Io non ci posso credere… Non ci voglio credere, non ha senso! Eliza non ne sa niente, è ovvio che non ne sa niente».
«Dobbiamo dirglielo», Kara la guardò.
«La butterebbe giù», sospirò, rivolgendosi poi a Lena, aggrottando lo sguardo. «Da quanto tempo? Da quanto tempo lo sapevi? Da sempre? Quando questa estate ci hai chiesto di aiutarti con la morte di tuo padre-».
«No», Lena si tirò indietro, abbassando gli occhi. «Non ne avevo idea! Se lo avessi saputo allora, le cose sarebbero andate diversamente».
«Ce lo avresti detto subito?».
Alex glielo chiese senza girarci intorno e Kara la fissò mentre apriva la bocca ma non rispondeva. Glielo avrebbe detto subito? Quando ancora non stavano insieme e stavano imparando a conoscersi, le avrebbe detto, mentre mostrava loro le cose che aveva raccolto come il suo certificato di adozione, che sua madre aveva avuto a che fare con le persone che avevano ucciso la sua famiglia?
«Non… non lo so», ammise infine, «Le cose sarebbero state diverse, non so come mi sarei comportata».
Alex aprì bocca ancora che Kara la bloccò: «Va bene, basta. Lena ha già detto che le dispiace, andiamo avanti, okay? Sappiamo di Lillian, dei presidenti, di Rhea Gand. Ora non ci serve che agire», guardò Lena per un attimo, «La incastriamo. Troviamo il modo di farla confessare». La vide annuire e accennare un sorriso, probabilmente perché stava accantonando l'idea di uccidere quella donna. Non lo avrebbe mai fatto, dopotutto.
Sapere dei Luthor aveva turbato davvero tanto Alex Danvers. Lavorava a quel caso da tempo e qualcuno che aveva fatto parte dell'organizzazione le era stata tanto vicina senza saperlo. Era assurdo che stesse capitando una cosa del genere. Quale mostro sposerebbe la donna che aveva adottato una bambina che lei aveva aiutato a rendere orfana? A non dirle niente. E quale capo avrebbe lasciato che la suddetta donna sposasse la madre di una sua dipendente senza dire niente? Ricordò quando John l'aveva messa in guardia su Rhea perché Kara stava frequentando Mike, e su questo si era stato zitto? Come poteva lui non saperlo? Si chiuse nella sua camera da letto dicendo di dover fare una telefonata e aspettò di sentirle chiedere cosa voleva per sbottare arrabbiata: «Lillian Luthor ne faceva parte e tu non hai minimamente pensato che volessi esserne messa al corrente? Come posso svolgere il mio lavoro, se sono la prima a non sapere le cose?». Lo sentì sospirare.
«Abbiamo seguito i Luthor per anni. Loro sono stati i primi a cui siamo andati a bussare la porta, ma erano puliti, Alex», confidò. «Se guardi alla storia di questa città, saprai che i Luthor hanno sempre svolto un ruolo predominante, sempre. Levi Luthor era conosciuto all'estero come un grande luminare, negli archivi storici c'è un reparto con il loro nome sopra, dannazione, perfino una ragazzina, anni fa, ha scritto un tema sul lavoro dei Luthor per la comunità. La Luthor Corp aiutava diverse associazioni no-profit e, al tempo stesso, realtà illecite. In passato qualcuno se lo era lasciato sfuggire, ma erano rimaste voci non confermate. Avevano molto potere, tutti li rispettavano, ovviamente li tenevamo d'occhio, non è tutto oro ciò che luccica», prese una pausa. «Tu sei giovane, Alex. Non hai vissuto il periodo di quando loro sembravano avere in mano National City e forse per questo non ti sei mai chiesta su di loro. Non è più così da anni, almeno dieci. Le acque si sono calmate, ma non abbiamo mai smesso di cercare collegamenti. Ora tu mi stai dicendo di averlo scoperto, ma c'è una prova a confermare che Lillian Luthor ne facesse parte?».
Lei trattenne il fiato e si passò di nuovo una mano sui capelli, scuotendo la testa. «No», rispose con un brusio, «No, non ne abbiamo. La parola di Lex perché glielo ha detto suo padre. E quella di Astra, la zia di Kara».
«Un ragazzo che dice di averglielo detto un uomo che ormai è morto e quella di una donna rinchiusa in prigione da anni per aver cospirato contro gli Stati Uniti insieme a un gruppo di corrotti. Come capirai da sola, non è granché. Come avrei potuto dirti che sospettavamo della donna che stava per sposare tua madre?», le domandò, ma non attese risposta. «Non era necessario metterti in paranoia. Il tuo compito era soltanto quello di proteggere Kara. Se i Luthor erano corrotti in passato, da anni sono puliti e dunque non era una nostra priorità».
«Era una priorità per me, John… Come farò adesso a dirlo a mia madre?».
Lui ci mise un po' a rispondere. «Parlale da figlia, non da agente. Lo supererete come famiglia».
Chiusero la chiamata. Alex strinse il cellulare e fissò il pavimento, persa nei suoi pensieri. La faceva facile, pensò. Sua madre si era appena sposata con lei, accidenti. Appena sposata. Che strana ironia adesso che ci pensava: lei e Kara avevano cercato il marcio nella vita di Lillian Luthor mesi fa e infine, non trovando nulla, avevano finito per accettarla. Adesso avevano trovato il marcio ma si erano sposate. Era tardi. Tornò da loro, trovandole separate e in silenzio: Kara che in piedi guardava fuori dalla finestra e Lena che si teneva la fronte, seduta sul divanetto. Disse loro ciò che le aveva detto John e la sorella si sforzò per non arrabbiarsi ancora con lui.
«Va bene, devo parlare con Lillian», disse a un certo punto, interrompendo un altro silenzio.
«E cosa vorresti dirle? Vorresti dirle di fronte a nostra madre perché non ha fatto abbastanza per salvare i tuoi genitori?», domandò Alex, ancora in piedi, mentre Lena la guardava preoccupata.
«Sì», la fissò accartocciando lo sguardo, tesa e triste. «Sì, se necessario. Perché non mi ha detto niente! Perché non ha detto niente a Eliza, perché l'ha sposata, perché voleva che la chiamassi mamma pur sapendo che fine avesse fatto la mia», gridò e strinse i denti, e così i pugni. Non cercò lo sguardo di Lena neanche per un attimo, ma sapeva che la guardava. La sentiva. Non voleva vedere il suo sguardo rotto quanto il suo.
Alex strinse i denti e il suo viso si raggrinzì, comprendendo il suo dolore. Lillian non aveva solo sposato la loro madre: si rendeva conto in quel momento più che mai in che peso e misura la donna era entrata anche a far parte delle loro vite. Avevano imparato ad averla intorno, ad ascoltarla, ad abbracciarla, a vederla mentre scattava loro delle foto per il suo account Instagram. Non solo la loro madre, Lillian aveva tradito tutte loro. Kara le passò accanto per arrivare alla porta e Alex la afferrò per un braccio, mentre Lena si avvicinava alle due sorelle senza aprire bocca. «Non andare, adesso. Kara, non adesso».
«E quando?», gridò. «Adesso è il momento giusto».
«Non lo è», le scosse la testa, avvicinandola a sé, «Non sei lucida. Aspetta un po' con me».
«Aspettare cosa? Che mi passi la rabbia?».
«Lo so, Kara. Lillian ti ha nascosto la verità! Lo ha fatto Lena», la guardò per un attimo, che se ne stava in silenzio, «Lo ha fatto John! E l'ho fatto io… Sei arrabbiata-».
Kara si morse un labbro con pazienza e dopo strattonò il braccio. «Come non ne hai idea! Ma questo non riguarda te».
«Sì che riguarda me», s'impuntò Alex, fissandola con occhi lucidi. «Ognuno di noi aveva un motivo per fare ciò che ha fatto. E sono arrabbiata anch'io con Lillian e posso solo immaginare quanto tu ti senta tradita perché non è stata solo lei a farlo! Ti è capitato tutto insieme: ognuno di noi è responsabile della tua rabbia. Non posso parlare per lei, né per Lena o John… Ma a me dispiace, Kara», scosse la testa. «Mi dispiace veramente tanto, sorellina». Allungò la mano destra verso di lei e Kara la adocchiò, gonfiando solo un attimo le guance, per poi spingersi in avanti e abbracciarla.
«Ehi! Non ce l'ho con te, va tutto bene», le sussurrò contro i capelli, mentre Alex si aggrappava alle sue spalle. «Non ce l'avrei mai con te».
Lena sorrise tiepidamente, tenendosi distante. Kara allungò lo sguardo verso di lei, le sorrise e ricambiò, ma sentiva che, nonostante questo, nonostante le sia stava vicino con sua zia, nonostante lei stessa l'abbia abbracciata, le cose tra loro erano diverse. Fino a ieri la sentiva vicina come mai prima, e ora… Ora si sentiva di troppo perfino lì, mentre faceva pace con sua sorella. Lei era una Luthor e, fino ad ora, non erano mai sembrati tanto estranei.

Alla fine, Alex riuscì a convincerla a restare. Appena arrivarono Maggie e Jamie, si fecero portare da mangiare da un locale cinese e cenarono insieme. Parlarono della candidatura annunciata di Rhea Gand e, dopo che misero la bambina a dormire, di Fort Rozz, l'organizzazione e le loro classi, del nuovo presidente provando a fare qualche nome e chiaramente di Lillian. Lena era convinta che fosse Zod il nuovo presidente e pensarono che Maggie avrebbe avuto da ridire, invece si stette stranamente in silenzio, più silenziosa perfino di lei, e non accennò di nemmeno un episodio avvenuto in centrale. Era particolarmente strana, in effetti, e Alex disse in privato alle due che forse si sentiva poco bene. Kara spazzolò più piatti da sola. Mangiò con gusto, pur non dimenticando ciò che la tormentava; non sarebbe riuscita a chiudere occhio se non avesse prima parlato con Lillian e Lena lo sapeva: ogni tanto si fermava a scrutarla, mentre rideva e parlava con determinazione, ma si notava che la sua mente era spesso altrove. Alex mandò un messaggio a Eliza per sapere se erano in villa entrambe e, quando ricevette risposta, le guardò, aspettando di sapere da loro cosa volevano fare. Vedendo Maggie tanto silenziosa e per le sue, non se la sentiva di lasciarla sola e a malincuore non le avrebbe accompagnate.
«Le parlerò io comunque», assicurò alle due ragazze, sull'uscio. «La chiamo questa notte, sperando mi risponda. È mio dovere. È già abbastanza arrabbiata con me per il D.A.O., ma…».
Kara la salutò con un abbraccio e cominciò ad andare, ma Lena si fermò. «Tutti noi avevamo un motivo per nascondere a Kara qualcosa, è vero», mormorò, guardando indietro e poi di nuovo Alex. «Tu credi che anche Lillian ne avesse uno valido? Sembrava l'avessi inclusa nel discorso…».
La guardò negli occhi e Alex li abbassò solo un attimo, quasi incerta. «Ssì…», soffiò con un filo di voce e le sorrise mestamente. «Sai, a mente fredda, penso che sia davvero innamorata di mia madre. La paura di perdere tutto, può farti fare qualsiasi cosa».
Lena si allontanò con capo basso, non sapendo come replicare. Perdere tutto era stata la paura che l'aveva attanagliata fino a quel momento, ma Lillian? Era arrivato il momento di guardare in faccia la verità.

Le aspettavano, dato il messaggio di Alex. Si erano messe a guardare un po' di televisione e per poco non si addormentavano vicine, sul divano in biblioteca. Le aspettavano, sì, ma non si aspettavano per niente cosa avrebbero portato con loro quella sera. Seppure Kara non fosse più arrabbiata come quel tardo pomeriggio quando Alex l'aveva bloccata, vedere il volto di Lillian le aveva smosso dentro l'orribile sensazione provata a Fort Rozz che non aveva ancora imparato a gestire: sapeva solo di doverlo fare, di doverlo fare per forza perché non poteva più tirarsi indietro. Le tornò di nuovo alla mente lo scoppio che uccise la sua famiglia, il sangue sotto la nuca di Kal, le notti insonni passate a piangere e i pomeriggi a guardare le stelle con Alex. E poi la voce di sua zia Astra che le diceva che i Luthor si erano tirati indietro, che avevano perso la votazione, che non avrebbero potuto vincere quella battaglia. Era ben consapevole che era Rhea la responsabile di tutto, ma Lillian sapeva e non aveva detto niente. Aveva voltato le spalle alla sua famiglia e ora smaniava per farne parte.
Lei era colpevole.
Il volto duro di Kara bastò a far capire a Lillian che era arrivato il momento di buttare giù le difese. Le bastò quello per voltarsi a cercare quello di Eliza, confuso. E quello di Lena, più teso e triste, distante. «Kara…», biascicò, cercando di trovare le parole.
«No, parlo io», si avvicinò a lei con passo deciso, mettendo le braccia incrociate contro il petto. «Quindi è andata così. Entri a far parte delle nostre vite e fingi che vada tutto bene, ti fidanzi con la mia madre adottiva e, dalla prima volta che mi vedi, mi abbracci e mi dici di poterti chiamare mamma. Che persona sei, Lillian?», Kara corrucciò lo sguardo e la vide deglutire, tornare mezzo passo indietro e abbassare lo sguardo. Forse non sapeva cosa dire? Dopotutto, perché dire qualcosa? Se avesse saputo cosa dire, magari lo avrebbe fatto molto prima.
«Cosa sta succedendo?», domandò Eliza. Guardò Lena vicino a lei, Kara e dopo Lillian. Eppure, da come forte batteva il cuore nel suo petto, già conosceva la risposta a quella domanda: Jeremiah aveva ragione.
«Non poteva andare tutto bene, per una volta?», esclamò Kara a un tratto, con voce rotta, cercando di calmarsi da sola, poi, aggrottando la fronte. «Dovevo solo conoscere la fidanzata di mia madre, e non importa quanto trovassi strana la cosa, accidenti, e nemmeno quanto inizialmente non mi convincessi, ho-ho accettato che facessi parte della famiglia e ora scopro che tu sapevi che fine aveva fatto la mia». Sentì di nuovo gli occhi farsi gonfi. Oh, no, non voleva piangere. Non adesso. Aveva smesso di piangere. Sciolse la posizione rigida e strinse i pugni mentre, una Lillian ferita, rialzava lo sguardo in cerca di quello di Eliza, ma appena i loro occhi si incrociarono, quest'ultima li abbassò, con delusione. «Non hai trovato un solo momento per dire la verità? Sapevi che erano in pericolo e te ne sei lavata le mani?».
Lillian ingrossò il petto, cercando di restare lucida. «Non volevo. Non volevo che lo scoprissi, Kara, mi dispiace molto».
«Ti dispiace?».
«Fa parte di un periodo del mio passato che ho cercato di superare. Volevo-».
«Proteggermi?», domandò a denti stretti, stufa di sentirselo dire.
«Proteggere me stessa», disse con un filo di voce fissando lei, cercando di non pensare alla presenza di sua moglie. «Volevo proteggermi», ribadì e la sincerità stravolse Kara, poiché non se lo aspettava. «Non pretendo che tu capisca il mio punto di vista, Kara. Non lo pretendo da nessuno. Ho fatto tante cose di cui mi pento e lasciare che la tua famiglia pagasse la sete di potere di qualcuno che avrei dovuto fermare è una di quelli. Era una responsabilità dei Luthor e abbiamo fallito. Avevo… paura», socchiuse gli occhi e Kara si pietrificò: era pronta a sputarle addosso ogni accusa che le passava per la testa, ma non ad ascoltare la confessione, né il suo pentimento. «Sono stata egoista e non posso nasconderlo: mio marito è morto cercando di fare la cosa giusta frattanto che me ne stavo al sicuro, in cerca di un nuovo inizio». La fissò. «Innamorarmi della tua madre adottiva è stata la cosa migliore che potesse capitarmi nella vita e», strinse le labbra secche, «avevo paura di perdere tutto».
«Tu non hai idea-», avanzò puntandole contro un dito, determinata, «Non hai idea di cosa significhi perdere tutto! Per davvero! E dover ricominciare daccapo, s-sola al mondo, non ne hai idea», aggrottò la fronte e la fissò truce.
«Hai ragione», annuì. «Volevo solo… essere accettata», precisò con voce rotta. Pur mantenendo uno sguardo duro, si avvicinò a lei e spalancò le braccia. Provò ad abbracciarla ma Kara si tirò indietro e scosse la testa.
«Non toccarmi». Non aveva senso. Non aveva senso continuare. La lasciò e a nulla valsero le parole di Lena per fermarla: uscì di casa senza neppure un giaccone, sbattendo la porta.
La ragazza guardò Eliza, ma lei non aveva occhi che per Lillian che era rimasta immobile, così anche Lena la adocchiò: non l'aveva mai vista in quello stato; era abituata a vedere Lillian Luthor scomporsi per poche cose al mondo, il più delle volte per rabbia, ma così rotta era una cosa decisamente nuova. Come se avesse anche lei un'anima, dopotutto. La vide restare ferma fin troppo a lungo, poi abbassare lo sguardo e, lentamente, dare loro le spalle. Lena prese il giaccone di Kara e il suo, infilandoselo, scambiando uno sguardo con Eliza. Dopo uscì per raggiungerla.
«Mi odi anche tu, adesso… non è vero?». Era ancora voltata, Lillian temeva di guardarla negli occhi e trovare di nuovo quella delusione. «Non sono la persona che ti aspettavi».
«No, ti sbagli», scosse la testa piano, arricciando le labbra. «Sei proprio la persona che mi aspettavo. E temevo che questo momento sarebbe arrivato perché, per qualche strana ragione, dentro di me ho sempre covato il dubbio che ne fossi stata coinvolta, Lillian. Ma mi sono innamorata di te e non volevo accettare che fossi così…».
«Codarda?».
Eliza sospirò. «Avrei voluto che me ne parlassi. È questo che faccio io: ti aspetto. Aspetto sempre che sia tu a fare il passo in avanti, per darti il tempo necessario, solo che quando non arriva, allora tendo a credere che non ci sia nulla di cui parlare e che mi sbagli. Non era questo il caso», biascicò. «Kara era una bambina particolare, sai? Ne ha passate tante. Ha ragione lei». Camminò verso l'ingresso, prese anche lei la sua giacca e se la infilò, tornando indietro solo per avvertirla. «Le porto con me, a casa. Nell'altra casa», delineò un breve sorriso, «È la cosa migliore. Credo che ci meritiamo tutte una notte per pensare». Non le disse altro e uscì, girandosi solo un'altra volta verso di lei, che era ancora di spalle.
Lillian sentì un'auto lasciare il garage e tremò, non certo per il freddo: villa Luthor-Danvers era vuota, adesso. Mai stata così fredda. Era sola.


***


Si stettero zitte in macchina e, una volta arrivate a casa Danvers-Luthor, Kara si chiuse in camera e stanca disse che andava a dormire. Era fredda. Lena notava quanto si sforzasse per essere la Kara di sempre, ma che non lo era. Fingeva con lei. Ma fingere che le cose andassero bene non lo rendeva vero. Non aveva voglia di andare a dormire, così restò sul divano in soggiorno con il laptop acceso sulle gambe, tenendosi impegnata. Una ragazzina aveva scritto un tema sui Luthor, aveva detto John Jonzz? Era una cosa piuttosto curiosa, ma non faticò a trovare la scannerizzazione di un articolo di giornale risalente a tredici anni fa. Si trovava nel sito dell'archivio di National City, fortunatamente non toccato dalla pazza cancellatura di Indigo. Oh, quello era strano. Quello era più che strano, quasi inquietante: I Luthor: un modello per tutti, di Indigo Brainer. C'era persino una sua foto: una ragazzina con due lunghe trecce bionde. Era suo quel tema. Indigo aveva scritto sulla sua famiglia.
X: Sono felice di sapere che hai bisogno di me.
Lo schermo del pc si fece nero e apparve la chat: neanche a farlo apposta, lei era tornata.
«Ancora sveglia?».
Lena si voltò sorpresa, scoprendo Eliza in vestaglia. Le si avvicinò e abbassò lo schermo del portatile. Aveva le occhiaie, poverina, e un'aria molto tesa che cercava di nascondere. «Mi dispiace per-».
«Lena», la fermò, «Tu non hai nulla di cui dispiacerti». Dopo le sorrise e le poggiò una mano su una spalla, cercando di confortarla. «Tu e Kara avete litigato di nuovo?», non aspettò che le rispondesse e sospirò: «Ah, lo sapevi e non glielo hai detto. Come avrai ben notato, cose come questa non giovano alle relazioni romantiche». Le sorrise di nuovo e le fece l'occhiolino, intanto che l'altra spalancava gli occhi e si imporporava sulle gote. «Sì, so che state insieme».
«Stavamo», la corresse dopo aver preso aria ed Eliza la abbracciò.
«Oh, va bene, allora devi dirmi tutto».
No, cose come quelle non giovavano affatto e lo sentiva bene Kara. Non chiuse occhio, anche se restò a letto per tutta la notte. Poteva sopportare che John le avesse tenuto nascosto il suo reale lavoro, poteva sopportare a fatica che Alex lo avesse fatto, d'altronde era sua sorella, e avrebbe sopportato prima o poi che anche Lillian le avesse tenuta nascosta una cosa come quella, seppur dolorosa, ma Lena… si fidava di Lena. Lo aveva detto anche a sua zia. Non esisteva persona al mondo a cui avrebbe dato se stessa se non a Lena. E sebbene la ragione continuasse a suggerirle di perdonarla, di riprovarci, il suo cuore si era chiuso e il suo corpo rigettava il contatto con lei. La sentì quando entrò nella stanza per coricarsi e, prima di andare a letto, le rimboccò le coperte. Era un gesto così dolce, così tanto amorevole, che si sentì in colpa per averle dato fastidio. Non voleva arrabbiarsi con lei, ma era arrabbiata. Lo era eccome.
La mattina successiva, Lena si svegliò un poco più tardi del solito e scoprì con gli occhi impastati dal sonno che il letto di Kara era vuoto. Sentì un'improvviso crampo allo stomaco e si alzò, continuando a percepire la sgradevole sensazione. Trovò Eliza in cucina che faceva colazione: aveva ancora le occhiaie, ma il suo viso sembrava più sereno. Almeno lei. «Sai dov'è Kara? Si è svegliata presto, il suo letto…».
«Ah, sì, non ha voluto sentire storie: ha preso il primo treno per National City. Le ho chiesto di aspettare, ma…», corrucciò lo sguardo e Lena prese fiato a pieni pomoni, sentendo di nuovo il dolore allo stomaco: sapeva dare un nome a ciò che provava, oh, certo, era il vuoto che si era creato tra loro. Doloroso e nero.
Kara rientrò al campus, diretta nella camera che divideva con Megan. La trovò sul letto che leggeva, sbadigliando.
«Non temere, non è ciò che leggo a farmi venire sonno», la rassicurò vedendola rientrare. «È che non ho chiuso occhio. Non sai l'ultima: John ha detto che vuole parlarmi. Non sa che effetto fanno queste parole a una donna».
Kara deglutì, increspando la fronte. «Ha-Hai idea di cosa?».
«No. Spero solo non voglia lasciarmi, è così nervoso ultimamente…».
Anche Kara si sdraiò sul letto, con ancora le scarpe ai piedi. Che volesse dirle del suo reale lavoro? Oh, che razza di amica era? Era così presa da chi le aveva mentito, da non rendersi conto che lei stava facendo lo stesso con Megan, sapendo di John Jonzz. Non spettava a lei dirglielo e forse lui era sul procinto di farlo, però… forse non sarebbe stata diversa da chi lo aveva fatto con lei. «Già…».
Qualcuno bussò alla porta ed entrambe alzarono la testa, perplesse. Chi poteva essere a quell'ora?
Kara si offrì di andare ad aprire. Tutti si aspettava meno che lui e spalancò gli occhi e la bocca: giaccone e pesante felpa scura con cappuccio sceso sul viso, un accenno di barba, sarebbe comunque riuscita a riconoscerlo ovunque. Lo tirò dentro e chiuse la porta, abbracciandolo di scatto, felice che stesse bene.
«Porca vacca», esclamò Megan, mettendosi seduta.
«Ehi…», soffiò il ragazzo, alzando una mano e scendendosi il cappuccio. I suoi occhi erano rossi, il suo corpo tremava e continuava a battere i denti dal freddo. «P-Posso stare un po' qui?».
Mike era tornato e Kara sapeva di doverlo tenere nascosto. Se non altro, il tempo necessario. Tutto il corpo di polizia era ancora incentrato sulla sua cattura e, anche quella mattina, Maggie Sawyer aveva dovuto sopportare un collega ostile mentre erano fuori di pattuglia. Aveva accennato qualcosa della situazione ad Alex, ma le aveva nascosto i dettagli. Era esausta ma tremendamente felice di sapere che non avrebbe lavorato il turno dopo pranzo. Così inviò un messaggio alla sua ragazza per dirle che stava già tornando a casa e si diresse direttamente dalla babysitter per riprendere Jamie. Immaginava già la sua faccia felice nel sapere che l'avrebbe portata lei al parco, quel pomeriggio. Suonò il campanello e attese. Suonò di nuovo, faceva tardi.
«Ehi, Maggie! Come mai qui?».
Le sorrise incerta e l'altra alzò le sopracciglia, ancora più confusa. «Per riprendere mia figlia, ovviamente». Scrollò le spalle ma l'altra fece lo stesso, lentamente.
«Non capisco… La tua collega l'ha presa appena dieci minuti fa».
Collega? Una collega l'aveva presa? «Cosa? Dimmi che stai scherzando… I-Io non ho dato l'autorizzazione a nessuna collega di-», le mancò il fiato, sentendo le gambe farsi pesanti e la testa girarle vorticosamente. A nulla servirono le scuse della babysitter che le diceva di aver visto il distintivo e essersi fidata. Una poliziotta aveva preso Jamie. La sua bambina era in pericolo.





























***

Quanto sentimento aleggia intorno a questo capitolo, quanto… ah, è l'angst.
Benritrovati! Come vi siete immaginati anche voi, Kara si è arrabbiata, anche se non vuole essere arrabbiata, ma è inevitabile, è qualcosa che ora l'ha infettata e le dà perfino fastidio un gesto dolce da parte di Lena come rimboccarle le coperte. Lena le ha mentito, come vi sareste sentite al posto suo?
Però ne hanno parlato a lungo e alla fine lo ha rinfacciato a Lillian, che… che se la pugnalava, avrebbe sofferto meno. Il segreto non è più un segreto e anche Eliza ora sa la verità.
Intanto il profilo misterioso è tornato! Indigo fa di nuovo capolino nella vita di Lena e quest'ultima scopre che proprio lei, diversi anni fa, ha scritto un tema sulla famiglia Luthor. Ah, quanto mi piace intrecciare le cose!
Non dimentichiamoci di Astra! Ha parlato con Kara e un poco con Lena, dell'organizzazzione, a cui a quanto pare si considera ancora membro, e sul possibile assassino di Lionel. Ma anche Astra, dice, non sa con precisione chi possa essere stato non lo sa il nuovo presidente. Chi sarà il nuovo presidente?

Tutto questo mentre Maggie… Maggie ha dei problemi con alcuni colleghi, problemi che si stanno rivelando piuttosto seri se, ora, una di loro ha preso Jamie! Cosa accadrà?

Lo scoprirete nel capitolo 41 perché sì, il prossimo è uno stand alone! È uno stand alone che mi è piaciuto molto scrivere, è particolare, e ho dovuto inventare parecchio. Mi dicono dalla regia che una parte del passato di questo personaggio è stata rivelata nella serie in un episodio che non ho visto. Ho usato e tenuto un nome da questo episodio per un personaggio, e ho cercato di costruirne un altro secondo le indicazioni che mi hanno fornito dello stesso nella serie, ma riguardo ai risultati non so dirvi…
Mah, giudicherete voi. Spero di non aver fatto troppi danni XD

Allora ci rileggiamo giovedì 28 con il capitolo 40 che si intitola Caro Diario!



   
 
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